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Kail ne aveva approfittato per stendere un po’ le gambe, perché il combattimento e il viaggio di ritorno alla “Ghiandaia Verde” l’avevano decisamente sfiancato. Galeth era rimasto di sotto, nella sala comune, a bere birra, mentre Jole, dopo un attimo di esitazione quando l’aveva visto sorridere sull’uscio della sua camera mentre la allattava, aveva accompagnato di corsa Erstellen nella stanza della madre per cambiarla. Non sapeva spiegare il perché, ma sembrava che quella ragazzina fosse diversa dal solito da quando si stava occupando della piccola e questo al mezzelfo fece un enorme piacere. Jole aveva di sicuro qualche problema a socializzare, per questo, quando poteva, era solito portarle un dono quando passava di qui. Una bambola, un monile luccicante, un animale di legno intagliato dall’abile mano di un nano, insomma una di quelle cose che si potevano trovare nei mercati o sulle bancarelle dei paesi che visitava. Si svegliò pensando di aver appena appoggiata la testa sul cuscino, ma si rese conto che erano passate tre ore da quando era tornato in camera sua. Pertanto si equipaggiò in tutta fretta e scese di corsa nella sala comune. Sebbene non fosse ancora ora di pranzo, la locanda era già viva e gremita di persone e questo mise Kail in grande agitazione. Trovò Galeth al suo solito tavolo, appisolato sui gomiti. Davanti al guerriero, cinque boccali vuoti. “Andiamo bene, di prima mattina …” Pensò tra sé lo scout mentre lo scrollava per una spalla. Galeth si ridestò con uno scatto istintivo. Poi si passò le mani callose sul viso nel tentativo improbabile di riprendersi. Kail attese pazientemente qualche secondo, poi domandò in maniera diretta al mercenario se fosse pronto a partire e a seguirlo nella sua missione, oppure se aveva deciso per una soluzione più cauta e quindi di lasciar cadere la cosa. Il guerriero, come era suo solito, pretese di conoscere prima qualche dettaglio in più, vista l’ampiezza e la durata dell’incarico e il mezzelfo ovviamente scelse la via della verità. Il viaggio sarebbe stato lungo e difficile, ma non era privo di certezze. Avevano a disposizione i diari di Anteus e il suo itinerario. Avrebbero fatto il possibile per seguirlo alla lettera, cercando di ricostruire tutto il suo cammino, sperando di rivelare la portata di ciò che aveva scoperto e magari realizzare anche cosa gli fosse capitato. Lungo il percorso avrebbero cercato qualche alleato tra quelli che l’avevano aiutato ad arrivare fin sotto Pax Tharkas e magari avere dalle loro voci dirette un quadro più preciso dei segreti che aveva portato alla luce. Sullo sfondo, Kail aggiunse, poteva esserci una guerra, che le forze oscure stavano preparando in gran segreto a sud, contro la Solamnia e la gente libera di Krynn. Galeth chiamò Piotr dietro al bancone, facendogli segno che voleva un’altra birra. Poi commentò così: “Ora è tutto più chiaro. Facciamo così mezzelfo: mi hai pagato più di quello che avevamo pattuito. Pertanto ti accompagnerò fino a Port O’Call… ho alcuni amici laggiù che potrebbero aiutarti ad imbarcarti per l’Abanasinia senza spellarti vivo. Quando saremo al porto ti darò la mia risposta…” Galeth non fece nemmeno appoggiare il boccale sul tavolo, strappandolo letteralmente dalle mani del giovane cameriere e portandolo subito alle labbra. Kail annuì e commentò che avrebbe capito se lui si fosse infine tirato indietro: si trattava di una missione anomala, potenzialmente mortale e praticamente non pagata, visto che l’accordo era che avrebbero diviso a metà tutti i beni che avrebbero trovato lungo il tragitto. Tuttavia Galeth scosse la testa e disse: “Non mi spaventa questa impresa … nel nostro lavoro, ogni incarico, anche il più stupido, è comunque pericoloso. Così come non mi dispiacerebbe lasciare questa zona per qualche mese … o anno. Quello che non so, è se voglio davvero lavorare per le finalità personali dei cavalieri che ti hanno commissionato questa ricerca. Non mi interessano le loro guerre e i loro intrighi. Non hanno mai alzato un dito in mio favore, perché dovrei farlo io per loro?” Kail lo guardò intensamente, ma non replicò. Si limitò ad annuire e a spiegare che prima di procedere verso sud, avrebbero dovuto raggiungere di nuovo il “passo dell’orso”, perché lui doveva assolutamente lasciare la bambina ai suoi tutori. Sarebbe stato meglio dunque che, giunti in quel punto, si fossero momentaneamente divisi per ritrovarsi poi a Knollwood un paio di giorni dopo. Era preferibile infatti che lui non sapesse niente di più su questa faccenda, per la sicurezza della piccola, ma anche della sua. Galeth annuì e si alzò, lasciando tintinnare delle monete d’argento sul tavolo. “Ti aspetto alle stalle allora.” Sentenziò, mentre si avviava verso l’uscita. Kail lo seguì con gli occhi per qualche secondo, poi tornò di sopra. Sulle scale incontrò Margareth, che aveva appena rifatto i letti nelle stanze. La donna lo intercettò e prima che potesse dirle qualcosa, lo invitò a seguirla. Aveva una piccola chiave in mano. Si diresse verso una delle ultime stanze, le più luminose della locanda. Aprì e fece accomodare il mezzelfo. Sul letto, dentro la sua cesta di vimini, c’era Erstellen. Kail si avvicinò e sorrise quando la vide così placida e rilassata. Poi si voltò verso Margareth. “Ho preparato delle stoffe che ti saranno molto utili per il viaggio. Ho lavato il suo biberon e ti ho preparato latte e acqua per nutrirla. Stai tranquillo: nessuno saprà mai niente da me sulla piccola e se è vero che sparirai dalla circolazione per qualche mese, è molto probabile che non correremo alcun rischio.” La donna teneva le mani unite sul grembo e parlava con una voce solenne, molto determinata. Kail non sapeva come ringraziarla e quando le disse che avrebbe voluto pagarla per i suoi sforzi, la donna negò decisamente con il capo. “Quella bambina è stata una benedizione per noi. Da anni non vedevo Jole così contenta, le ha perfino parlato, sai? Era dalla morte del padre che non lo faceva…” Margareth si asciugò una lacrima dal viso. Kail invece corrucciò la fronte: non era a conoscenza di questo terribile segreto. “Mio marito Jonas è stato ucciso sei anni fa dai banditi sulla via per i Monti Garnet. Era un mercante e viaggiava spesso. Una vera tragedia … per me, ma soprattutto per lei.” Kail abbassò il capo, pregando la donna di accettare almeno qualche moneta, ma Margareth non ne volle sapere. “Sono io che dovrei pagarti, Kail. Jole è la cosa più importante che ho e vederla contenta, anche se solo per pochi giorni, non ha avuto prezzo! Grazie. Grazie di cuore.” L’abbracciò d’istinto e i due rimasero per qualche secondo stretti l’uno all’altra. Poi Kail si sistemò Erstellen nella fasciatura, afferrò lo zaino che gli aveva passato Margareth e raggiunse il più velocemente possibile la stalla. Aghnes era stata strigliata e nutrita e non si oppose a partire immediatamente. Così, insieme a Galeth, iniziarono di nuovo a cavalcare verso il “passo dell’orso”, lasciandosi alle spalle delle persone buone che l’avevano aiutato con il cuore. Durante le pause forzate per assistere Erstellen, Galeth si mostrò piuttosto nervoso: era vero che sarebbero passati almeno due giorni prima che il “Corvo Rosso” avrebbe potuto prendere delle contromisure a quello che era successo ai suoi scagnozzi, ma il guerriero non si fidava, diventando guardingo ed intrattabile. Mentre scivolavano verso il basso, Kail eliminò ogni traccia dei segni che Galeth aveva lasciato per lui sui sassi lungo la gola, in modo tale da incontrare ancor meno problemi in futuro. Arrivati oltre il “passo dell’orso” i due compagni si fermarono e, come avevano convenuto, si separarono, dandosi appuntamento alla taverna del “Tasso Argentato” di Knollwood un paio di giorni dopo. Kail cavalcò per altre tre ore, controllando lo stato di Erstellen ogni cinque minuti. Ormai era diventato paranoico sulle condizioni della piccola. D’altronde lei non piangeva mai e quindi egli non riusciva a capire se qualcosa non andava. Decise di fare tutta una tirata, saltando di un’ora il pasto previsto per la bimba. Quando intravide il maniero Uth Breannar era ormai sera. La prima cosa che lo colpì, quando tagliò per il villaggio sottostante, fu che il feudo doveva essere in festa visto come erano agghindate le case e le strade. C’erano carri di mercanti ovunque e anche una piccola carovana di saltimbanchi. Si, decisamente c’era un clima festoso presso la tenuta Uth Breannar! Kail raggiunse la rocca sulla collina senza troppe difficoltà. Aveva visto delle ronde da lontano, ma nessuno evidentemente l’aveva notato dirigersi verso il maniero. Tuttavia, raggiunto il ponte levatoio, dovette per forza fermarsi. “Alt! Fatevi riconoscere per favore.” Due cavalieri della corona, stanziati di guardia, si mossero aggressivi ma non ostili verso di lui. Kail serrò il cavallo. Mostrò il viso, scostandosi via il cappuccio. Poi si presentò come Kail Uth Mohdi e porse loro la lettera di Lord Astarte indirizzata a Lord Gerald. I due cavalieri controllarono il sigillo, poi gli dissero di scendere da cavallo e seguirli da presso. Il mezzelfo fece come gli era stato detto. Arrivati nel cortile interno, Kail notò che c’erano festoni e ghirlande appese ovunque anche nel maniero, ma non domandò il perché per discrezione. Uno dei due cavalieri scortò poi il suo destriero nella stalla e Kail salutò Aghnes sussurrandole di pazientare solo qualche ora. L’altro invece lo accompagnò all’interno del maschio centrale. Inizialmente al primo piano, poi, dopo aver parlottato con un altro cavaliere suo pari, fino al piano di sopra. La cosa che apparve subito strana al mezzelfo fu che incontrò pochi soldati di guardia, ma tantissimi inservienti, soprattutto donne. Ma che stava succedendo lì dentro? Ulthar, così si chiamava la sua scorta, gli fece strada fino al secondo piano, fermandosi infine innanzi una robusta porta chiusa in legno massello. Lo stemma del drago su sfondo giallo e nero spiccava evidente. Bussò e dall’altra parte una voce esplose potente: “Chi è? Ho già detto che non voglio essere disturbato!” Ulthar aprì e timidamente disse: “Mio signore, c’è qui un emissario di Lord Astarte. Ha avanzato richiesta di conferire con voi. Pare sia urgente!” Il volto del cavaliere della rosa mutò completamente. Da stizzito ed esasperato, sembrò rilassarsi, come qualcuno che finalmente poteva fare qualcosa alla sua portata. “Bene. Fallo entrare.” Commentò rude ma soddisfatto Lord Gerald, alzandosi in piedi come imponeva la Misura. Mentre scivolava indietro, Ulthar gli sussurrò un “in bocca al lupo”, che solo l’udito fine di Kail avrebbe potuto sentire. Il mezzelfo ghignò divertito. Poi fece due passi avanti, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle. Si inchinò e disse: “Mio signore, vengo da parte di Lord Astarte. Egli ha bisogno urgente del vostro aiuto.” Poi avanzò ancora e gli porse la lettera col sigillo. Kail non conosceva il contenuto della lettera, poiché la Misura non gli concedeva quella licenza e anche se non si sentiva un cavaliere, non sarebbe stato rispettoso nei confronti di Astarte sbirciare quanto vi era scritto. Quindi osservò attentamente la reazione del signore del maniero per sperare di intuirne perlomeno la portata. Lord Gerald Uth Breannar era stato un grande guerriero. Alto quasi due metri, possente e coraggioso, si era guadagnato il suo titolo dopo numerose imprese sul campo. Ed ora, alla soglia dei sessanta anni, sembrava ancora molto più propenso a gestire affari di guerra, piuttosto che quelli di normale amministrazione del suo maniero. Aveva iniziato a leggere con attenzione e sguardo determinato, come chi doveva soppesare quanti soldati posizionare sul campo di battaglia. Tuttavia, man mano che andava avanti iniziò a sgranare gli occhi, fino a cadere seduto come se qualcuno l’avesse appena sconfitto in singolar tenzone, disarmandolo con facilità e umiliandolo pubblicamente. Poi alzò lentamente gli occhi sgomenti verso Kail e disse: “Che diavolo vorrebbe da me Astarte? Che mi prendessi cura di una … di una neonata … che … lui pensa sia nientepopodimeno che la figlia di Paladine? Andiamo ragazzo, non può dire sul serio. E poi dove sarebbe ora questa bambina, sentiamo …” Kail aprì il mantello e mostrò la piccola Erstellen al grande guerriero. Lord Gerald per poco non morì d’infarto dietro la sedia. Ebbe un sussulto talmente forte, che sembrò avesse visto un drago! “Ma quella … quella bambina … è … è vera …” Pazientemente, Kail annuì. “Vera e anche molto affamata milord …” Rispose, abbozzando un sorriso sardonico. “Ma perché tutti mi vogliono coinvolgere in storie di neonati e bambini? Prima mia nuora, adesso Astarte …” Commentò Gerald, quasi disperandosi. “Mio signore, sarebbe il caso chiamare qualcuno che fosse in grado di ottemperare ai bisogni della bimba. Inoltre, è inutile che vi ricordi ciò che già sapete: nessuno dovrà conoscere le circostanze della sua nascita, né la sua vera identità … o tutto ciò che abbiamo fatto e faremo in futuro per proteggerla verrà vanificato.” Lord Gerald provò ad aggiungere che tutto ciò che aveva letto nella lettera poteva essere frutto della fantasia di Astarte o addirittura uno scherzo di pessimo gusto, ma Lady Brunilde di Caela in Uth Breannar, intervenne ad interromperlo come un fiume in piena! Spalancando la porta senza troppi preamboli urlò: “Gerald Uth Breannar! Cosa ci fai ancora qui? Tua nuora sta partorendo e tu cincischi in questa stanza polverosa senza assistere alla nascita di tuo nipote? Eh??” Gerald spiegò alla moglie, immobile con le mani sui fianchi, che aveva appena accolto un emissario. Emissario che portava una strana richiesta da parte di Lord Astarte. Lady Brunilde guardò Kail severa, poi spalancò la bocca e portò una mano su di essa incredula. Aveva appena notato Erstellen! “Ma è … è una neonata! Ma siete folle a portarla con voi così? Ha mangiato?” Domandò spicciola. Kail scosse la testa, mostrando lo zaino con tutto il necessario per prepararle il suo latte. “Parleremo dopo delle strane richieste di Lord Astarte! Prima dobbiamo dare da mangiare a questo scricciolo. Datela a me…” Kail le porse la bimba. “E tu…” Continuò poi Brunilde, puntando l’indice contro il marito. “Tu verrai con noi di sotto. Subito!” Gerald sospirò e si alzò, ma prima di seguirla notò con quanta dolcezza lei guardasse quella bimba. Sorrise compiaciuto, con gli occhi che gli brillavano d’amore e si diresse alla porta. Mentre passava, troneggiando sul mezzelfo, sussurrò ghignando: “Non sposarti mai. Dai retta a me.” Kail annuì, condividendo perfettamente quella riflessione, anche se sapeva bene che chi l’aveva pronunciata stava palesemente mentendo. Gabrielle Steelguard era una donna giovane, dai capelli rossi, le lentiggini e gli occhi azzurri come il cielo terso che spesso si vedeva sopra la foresta di Lemish. Moglie di Marcus Uth Breannar, unico erede di Gerald e Brunilde, aveva già partorito due volte. Il primogenito Theodor aveva otto anni, mentre la secondogenita Eleanor ne aveva sei. Quello che stava per arrivare sarebbe stato il loro terzo figlio, o figlia, ma non avevano ancora deciso il nome. Ora Kail riuscì a collegare ogni cosa. I festoni, i saltimbanchi, il gran movimento di nutrici, damigelle e governanti: Gabrielle avrebbe partorito entro poche ore e il feudo Uth Breannar era giustamente in fermento per questo evento. Brunilde mostrò Erstellen alla nuora, che esplose in un sorriso raggiante. Poi fermò una dama di compagnia di Gabrielle e le domandò se poteva occuparsi subito di lei. La bimba aveva fame. Quando la vide, la fedele ancella Brigida Crotius, la guardò con un’espressione che Kail aveva notato raramente negli occhi degli umani. Non era semplice contentezza o piacere di vederla, accudirla o coccolarla, ma vero e proprio amore. Amore a prima vista! Un po’ confusa, la giovane donna si allontanò con lo zaino di Kail, raggiungendo a passo svelto le cucine per ottemperare a quella richiesta. All’interno della stanza c’erano anche Marcus, Theodor ed Eleanor, tutti intorno al letto della moglie e della madre. Marcus domandò sorridendo a Gabrielle se fosse pronta a crescere il loro ultimo figlio o figlia, chiedendole cosa sperasse per lui, se fosse maschio e cosa invece, se fosse femmina. Tuttavia il piccolo Theodor la anticipò, dicendole che avrebbe dovuto fargli un fratellino, in maniera tale che egli avrebbe potuto aiutarlo a diventare un grande guerriero come il loro nonno. Kail intuì che Marcus non era come suo padre, non aveva il suo piglio da stratega e guerriero. Qualità che probabilmente aveva invece ereditato suo nipote Theodor. Marcus abbassò gli occhi un po’ tristemente, dettaglio che nessun altro aveva notato a parte lui ed Eleanor. La bambina restava silenziosa, ma notava ogni cosa: segno di grande intelligenza. Non si incupì per il dispiacere del padre, né si indispettì per l’uscita infelice del fratello. Ne prese semplicemente atto. Era davvero un peccato che il cavalierato non ammetteva le donne tra le sue fila: avrebbe scommesso che quella ragazzina sarebbe diventata un soldato valoroso e sagace al pari di suo nonno e anche di più, se solo gliel’avessero permesso. In tutto questo, fuori dalla stanza, appoggiato alla balaustra, Lord Gerald Uth Breannar sbuffava, pregando che quello strazio finisse il prima possibile.
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Kail procedeva verso il “passo dell’orso” tenendo i sensi all’erta e facendo attenzione a non destare il minimo sospetto in chi lo stava seguendo. Si era perfino accampato per fingere di allattare Erstellen, accendendo un fuoco e riscaldando il latte per sfamarla. Ogni suo movimento era misurato, calcolato. Comunicava ai suoi pedinatori che egli sapeva di essere seguito e che non sarebbe stato saggio aggredirlo lungo la strada perché avrebbero rischiato di colpire la bambina. La stretta gola tra i monti Garnet si avvicinava sempre di più e le erte e scoscese pareti rocciose sembravano alzarsi ad ogni metro, tanto Aghnes stava scendendo verso il basso. Il cielo era purtroppo plumbeo e né le stelle, né le due lune, offrivano quella luce che sarebbe stata utilissima nella sua situazione. Tuttavia la vista di Kail era per metà elfica e quindi, nonostante l’oscurità, gli offriva una visuale chiara sicuramente migliore di quella degli umani. Era una fortuna, perché quando passò col cavallo vicino ad una grossa pietra, di lato al sentiero, notò qualcosa su di essa che solo uno della sua razza poteva sperare di riuscire a notare. Kail corrucciò la fronte e scese da cavallo. Fingendo di appostarsi per espletare un bisogno fisiologico, si avvicinò al sasso e lo guardò meglio. Erano già diversi minuti che non sentiva più la sensazione oppressiva di essere osservato, segno che gli assassini l’avevano superato ed erano andati a prendere posizione lungo la strettoia approfittando delle sue pause. Tuttavia, perché rischiare? Meglio continuare con la sceneggiata. Ciò che sembrava una semplice scalfittura sulla pietra, osservandola meglio, aveva in realtà una forma ben precisa. Troppo precisa. Come fosse un segnale, un avvertimento o un messaggio messo lì per lui. Solo Galeth avrebbe potuto fare una cosa del genere! Avendo già lavorato insieme e conoscendolo abbastanza a fondo, aveva più che senso. Si trattava di un rozzo triangolo che mostrava una linea che lo divideva a metà. “Che diavolo vorrà dire?” Si interrogò il mezzelfo, mentre tornava verso Aghnes. “Il triangolo potrebbe rappresentare la montagna, mentre la linea in mezzo… il sentiero che passa attraverso la gola. Non capisco però come da questo potrei dedurre che cosa stai cercando di dirmi, Galeth.” Kail sapeva bene che il mercenario era un guerriero troppo esperto per agire in maniera superficiale e poco chiara, pertanto concluse che quel segno non doveva essere l’unico che aveva lasciato in giro. Infatti, mentre continuava a scendere, proprio a ridosso dell’ultima curva, scorse un’altra grossa pietra sporgente, che palesava un altro di questi disegni quasi invisibili. Il mezzelfo rallentò la sua puledra fin quasi a fermarla, fingendo di scartare di lato per evitare i sassi sulla sconnessa strada in discesa. Poi si voltò alla sua sinistra, ed incollò lo sguardo su quella nuova incisione. Era molto simile alla precedente, ma non del tutto. Questa volta il triangolo aveva non solo un segmento che lo tagliava in due, ma anche tre trattini in più: tre piccole linee, posizionate in maniera precisa sul grezzo graffito. Una era stata messa a destra, solitaria, proprio sotto la parte iniziale del tratto centrale. Le altre due erano state posizionate invece sulla sinistra, appena sopra e appena sotto l’inizio dello stesso tratto. Kail abbozzò un sorriso astuto. Ora aveva capito. Galeth gli stava dicendo che un assassino lo stava aspettando all’inizio della via che tagliava il passo. Gli altri due invece si trovavano alla fine, uno davanti l’altro, probabilmente ad attenderlo per impedirgli la via di fuga, qualora fosse riuscito a sfuggire all’agguato del primo sicario. Come Aghnes mise finalmente le zampe sulla superficie pianeggiante del sentiero, Kail tornò a sentirsi spiato e ben presto scoprì anche il perché. Sopra di lui infatti, quel maledetto corvo aveva iniziato a volteggiare sbucando praticamente dal nulla. Il medaglione aveva iniziato a scaldargli il petto, ed ora anche a vibrare leggermente. Questi stimoli, che il monile di sua madre rimandava, gli erano ancora poco chiari, ma ogni volta che quell’artefatto maledetto reagiva in qualche modo, significava che gli stava per succedere qualcosa di strano o di pericoloso. Kail mise per istinto mano alle spade, poi però cambiò idea, optando per un’arma da tiro, afferrando invece l’arco. Appoggiò la freccia sulla cocca, ed attese. Sperò solo che Galeth fosse lì con lui: era ancora molto debole e non gli sarebbe bastata soltanto la sua vista elfica questa volta per uscire incolume da quel pasticcio. Il corvo gracchiò due volte e il riverbero del suo acuto richiamo riecheggiò per diverse volte lungo l’intera gola. Tutti i sensi del mezzelfo si destarono insieme, preparandolo al peggio: quello era chiaramente un segnale. Poi l’uccello si allontanò verso ovest. In quel momento, una sagoma esile ed ammantata di nero, uscì da dietro le rocce con una balestra carica in mano. Dopo appena un battito di ciglia, Kail si voltò e puntò l’arco su quella figura: quel tizio poteva essere abile quanto voleva, ma lui era per metà elfo e sarebbe stato sempre più veloce di un semplice essere umano. Tuttavia, sebbene in netto vantaggio, prima di tirare udì una voce tonante alle sue spalle. La voce di Galeth: “Il corvo! Non lasciarlo fuggire!” Fu solo grazie ai suoi riflessi allenati che il mezzelfo riuscì a cambiare obiettivo in un attimo. Mirò verso l’ultima posizione dove aveva visto il corvo, riuscì a scorgerlo appena e scagliò comunque la sua freccia. Senza pensare. Quel suono così caratteristico non fu l’unico che Kail sentì, mentre solcava il vento leggero che attraversava le pareti montane. Quasi contemporaneamente, due fischi simili sibilarono molto vicini a lui. Uno centrò il sicario al petto, l’altro gli sfiorò l’avambraccio, graffiandolo appena. Nel frattempo in cielo, il corvo gracchiò un’ultima straziante volta prima di cadere a piombo sul terreno. Un colpo da maestro! Mentre Galeth finiva il lavoro infilzando l’assassino con la spada, Kail si rammaricò per l’ennesimo colpo di sfortuna. Quella piccola ferita sul braccio non era niente per uno della sua tempra, ma poteva rappresentare una condanna a morte, se colui che l’aveva appena aggredito avesse usato un veleno diverso dalla sera precedente. Infastidito e preoccupato, scese da cavallo e andò a recuperare sia la freccia che il corvo. Poi raggiunse Galeth, ed insieme a lui sgombrò la strada dal corpo del sicario. Purtroppo egli non aveva niente di utile con sé, se non pochi spiccioli nelle tasche. Kail ringraziò il mercenario per le indicazioni sulle pietre e per aver sventato l’agguato, sperò solo che la lieve ferita che si era procurato non gli sarebbe stata fatale. Galeth scosse la testa, rassicurandolo: i tre assassini non avrebbero avuto il tempo di preparare o procurarsi un nuovo veleno in così poco tempo. Poi si schiarì la possente voce e disse: “E’ andata bene! Ora però viene il difficile: dovrai simulare di esser sfuggito all’agguato per un soffio, allontanandoti al galoppo. Le altre due canaglie si sono appostate per tagliarti la strada alla fine del passo, ed impedirti la fuga. Già saranno sospettosi per via del corvo che hai fatto fuori. Dobbiamo agire subito, senza perdere tempo!” Kail annuì e risalì a cavallo con un unico, fluido movimento. Mentre afferrava le redini, Galeth aggiunse: “Puoi fingere di esserti ferito e cadere da cavallo, ma dovresti conoscere il punto migliore per farlo… questo mi darebbe di sicuro il tempo di intervenire. L’assassino avrà solo un colpo a disposizione, per cui non rischierà, se ti potrà finire da vicino.” Kail aveva già spronato Aghnes, quando Galeth si fece sentire di nuovo: “Mezzelfo: è assolutamente fondamentale che nessuno di loro sopravviva o né io e né te potremo più tornare da queste parti senza che provino ad ammazzarci ad ogni metro. Fai quello che vuoi, ma fallo bene.” Kail si gettò in una corsa furiosa: aveva mille pensieri in mente e mille strategie, ma di nuovo si affidò all’istinto. Appena percepì il suo medaglione vibrare, prima rallentò, poi si fermò del tutto, lasciandosi cadere di peso sul terreno roccioso. Teneva entrambe le spade sotto il mantello, proprio sopra la fascia che teneva ferma la bambola di pezza. Rimase così, immobile, sperando che Galeth lo raggiungesse il prima possibile. Nella sua posizione non poteva vedere ciò che stava succedendo, ma udì chiaramente delle voci che si facevano sempre più vicine. “Quel dannato mezzelfo è caduto proprio sulla bambina!! Se l’ha ferita o peggio, gli strapperò via gli occhi dal cranio! Vado a controllare, tu tienilo sotto tiro, che quel maledetto già avrebbe dovuto essere morto e sepolto da ieri!” Il rumore dei passi diventava sempre più forte, quindi Kail afferrò le spade, pronto a tutto. Il medaglione vibrava sempre di più: forse significava che il pericolo si faceva sempre più vicino? Quando sentì un respiro pesante proprio sopra di lui, si preparò ad agire. Il sicario lo girò col piede e quando si stava accovacciando per controllare la bambina, Kail scattò in piedi come un gatto, armi in pugno. In quel momento, un grido di guerra si levò alle spalle del sicario, che imprecò cercando di capire cosa diavolo stesse succedendo. Il dardo dell’altro assassino sibilò parecchio sopra la testa di Kail, che ingaggiò subito il nemico che aveva davanti. L’altro aveva gettato la balestra e stava fronteggiando Galeth con i suoi due pugnali. Lo scontro fu aspro, ma Kail ebbe la meglio, trafiggendo infine a morte l’assassino. Dal fatto che non avesse vertigini, né alcun altro sintomo debilitante, comprese che ormai era diventato immune o comunque resistente al tipo di veleno che utilizzavano i sicari del “Corvo Rosso”! Nel frattempo, anche il mercenario che lavorava con lui aveva ucciso il suo avversario. Kail si fermò un secondo a riprendere fiato: non si sentiva ancora granché bene, ed aveva urgente bisogno di riposo. Poi raggiunse Galeth e insieme a lui prese a perquisire i cadaveri dei loro aggressori. Trovarono delle monete d’oro e una pietra rossa, probabilmente magica, visto che il suo medaglione si era scaldato leggermente quando l’aveva afferrata. Inoltre, il sicario che aveva affrontato aveva anche un foglio di pergamena ripiegato nelle tasche. Esso recitava così: “Kumik, prendi due dei tuoi e recati al feudo Astarte. Porta con te uno dei cristalli ematoidi, ti saranno utili. Il bersaglio è una neonata, accompagnata da un mezzelfo. Liberati di lui e portami la bambina. Questo è un lavoro commissionato da Lord V. in persona. Inutile dirti quanto sia importante dunque. Fai bene il tuo lavoro e ti sarai guadagnato 100 pezzi d’oro, oltre tutto ciò che il mezzelfo porta con sé, denaro compreso. Non deludermi o morirai! Firmato: Il “Corvo Rosso”.” Kail e Galeth si divisero il bottino, poi presero a discutere sulle prossime mosse da fare. Per prima cosa, Kail mostrò la pietra rossa al compagno. Che commentò così: “Non so cosa sia quel cristallo, ma credo sia collegato ai corvi… da quel che ho sentito dire in giro, pare che sia con quegli affari che li controllano.” Il mezzelfo prese a rigirarlo tra le dita. “Bisognerebbe chiedere ad uno stregone…” Pensò, nascondendo infine il cristallo in una piccola sacca. Poi tirò fuori il sacchetto di monete che gli aveva affidato Astarte, lo aprì e fece per pagare Galeth per il suo lavoro. “Che vuoi fare adesso mezzelfo?” Disse Galeth laconico. Kail si fermò e lo guardò perplesso, non essendosi aspettato una domanda del genere. Gli chiese cosa intendesse dire, mentre ancora teneva aperto a metà il sacchetto con le monete. “Sei sicuro che vuoi che le nostre strade si dividano? Come speri di poter lavorare ancora qui, in questa zona, con quei furfanti alle calcagna? Non avranno pace finché non ti metteranno le mani addosso o scopriranno dove vive la bambina, lo sai questo, vero?” Kail annuì, ma spiegò al mercenario che dopo l’affido della bimba, avrebbe intrapreso un lungo viaggio verso sud, per una importante missione nell’Abanasinia e che quindi la cosa lo toccava solo marginalmente. Gli disse anche che avrebbe gradito moltissimo il suo aiuto, ma che non aveva osato spingersi a tanto perché avrebbe implicato per lui lasciare ogni cosa per seguirlo. Gli pareva una missione un po’ troppo “definitiva” insomma. Galeth rimase in silenzio per diversi intensi secondi, contemplando le sue parole, poi rispose che, sebbene avrebbe avuto bisogno di conoscere bene i dettagli di quell’incarico prima di accettare, non c’era nulla lo legava a questi luoghi. Anzi, cambiare un po’ aria avrebbe potuto anche fargli bene. A quel punto Kail lo pagò, poi si fece aiutare a spostare i corpi dei sicari e insieme tornarono alla locanda. Ne avrebbero parlato meglio davanti ad una birra. Arrivarono di prima mattina, ma la “Ghiandaia Verde” era già aperta. Kail trovò la piccola Jole che stava allattando Erstellen nella sua stanza e questo semplice gesto riuscì a strappargli un sorriso compiaciuto. Molte cose gli sarebbero mancate della Solamnia: la sua casa, quella gente così umana e disponibile e perché no, anche vivere alla giornata. Tuttavia, partire con Galeth, sapendo che Erstellen era al sicuro, gli alleggeriva il cuore e questo era sicuramente un bene.
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La prima cosa che il mezzelfo riuscì a fare quando si riprese fu aprire a fatica gli occhi. Grevi, pesanti, arrossati. La seconda fu gemere per il dolore terrificante. Un dolore assoluto. Un dolore di morte. Cercò di realizzare dove si trovasse e se il suo corpo ancora rispondesse ai suoi comandi, ma gli era oltremodo difficile fare anche i movimenti più semplici. La spalla gli causava, ad ogni piccolo spostamento, un’agonia indicibile. Perlomeno, grazie ad essa, sapeva di essere ancora vivo. Con uno sforzo sovrumano, riuscì a tirarsi su dal letto sul quale era stato adagiato. Era molto confuso, la testa gli girava, ed aveva la vista annebbiata, ma era quasi certo di trovarsi alla “Ghiandaia Verde”: la locanda principale di Elmwood. Almeno così gli sembrava, da quel poco di familiare che poteva notare nella stanza. Vedeva immagini non sfocate, ma scolorite: come nei ritratti in bianco e nero degli artisti da strada, che talvolta incontrava girando per i mercati. Traballante, si mise in piedi. Si avvicinò allo specchio: uno specchio ovale a misura d’uomo. Notò che la spalla destra era fasciata, ma quando si sporse per controllarla meglio, notò che sotto di essa spiccava una macchia scura, diramata come le zampe di un grosso ragno, chiaramente infetta. Kail scosse la testa: questo proprio non ci voleva! Margareth, la proprietaria della locanda, doveva averlo medicato, ma il veleno aveva camminato troppo ormai e probabilmente per lui c’era ben poco che si potesse fare. Era nelle mani degli dei! Sospirò affranto. Poi tirò su la testa fieramente e sussurrò tra sé preoccupato: “Dov’è Erstellen?” Una folata di panico lo investì come un’onda d’alta marea. Incurante dell’agonia e della sofferenza che provava, girò la maniglia e uscì. Era strano però: non c’erano rumori, né lontani e né vicini, o perlomeno lui non riusciva ad udirli. Letteralmente trascinandosi, appoggiandosi sulla parete, prese la direzione delle scale ma poi si fermò quasi subito. Aveva forse percepito qualcosa che l’aveva richiamato alle sue spalle: dall’altra parte, alla fine del corridoio, in una delle ultime stanze, si era levato lieve il pianto di un bambino. O così gli era sembrato. Lo scout, ansimando e tossendo, girò la testa verso quel suono e cambiò direzione. Fece alcuni passi strascicati, ma poi finì sul pavimento di legno con un grido strozzato. Il fatto di aver fatto leva con le mani per non finire a faccia a terra, gli aveva causato una pena che mai ricordava di aver provato in tutta la sua vita. Il pianto persisteva e Kail si aggrappò a quello, come gli erranti nel deserto facevano coi miraggi. Gattonò per qualche metro e poi coraggiosamente si rimise in piedi. Non fu difficile trovare la camera da dove salivano i gemiti del bambino: erano per lui adesso come il richiamo delle sirene per i marinai o la stella maestra per i naufraghi. Arrivato alla porta bussò per istinto, ma non ricevette risposta. Quindi girò il pomello ed entrò. La stanza era profumata e piena di colore: il sole filtrava dalle finestre e irradiava la sua poderosa luce su ogni cosa, ma in particolare su una culla di vimini sistemata sul letto. Come Kail si avvicinò, il pianto si interruppe di colpo. Poi il mezzelfo si affacciò e guardò nella cesta. I suoi occhi erano offuscati dal dolore e dal veleno, ma la riconobbe subito. Era proprio la piccola Erstellen! Lui abbozzò un sorriso e quando lo fece, le piccole manine della bimba sembrarono protendersi verso di lui. Kail sapeva che era impossibile: era una neonata e non c’era la minima chance che lei potesse riconoscerlo, né tantomeno chiedergli qualcosa in maniera così diretta. Eppure pareva proprio che stesse invitandolo a prenderla in braccio! Quando la afferrò e la tirò a sé, la luce del sole sembrò espandersi ancor di più, accecandolo ed avvolgendolo in un tenero abbraccio per alcuni brevi istanti. Tuttavia, il suo tocco non portò solamente esperienze positive: infatti un senso di soffocamento e di ansia iniziarono a salirgli su dal medaglione di sua madre. Kail strinse i denti e chiuse gli occhi, ma non lasciò andare la piccola. Anzi, la tenne ancor più stretta a sé. Finché la luce si trasformò in tepore e il tepore in benessere e fu in quel momento che il dolore sparì! Quando riaprì gli occhi, si trovava di nuovo disteso su un letto molto simile al precedente, ma esattamente nella stanza che ricordava affittare ogni volta, quando si vedeva costretto a rimanere ad Elmwood per passare la notte. Qui dentro era tutto molto simile a quella precedente, ma due cose sostanziali erano adesso cambiate: la spalla non gli faceva più male e la camera sembrava come dire, più colorata, più piena! Kail si passò una mano tra i capelli, cercando di convincersi che la sua esperienza appena passata fosse stata solo uno sogno particolarmente realistico. Poi si voltò verso la porta. Una bambina dai capelli castani, lisci e lunghi, vestita con abiti da ostessa, lo stava osservando probabilmente già da qualche secondo. Sembrava stupita di vederlo desto e seduto sul letto! Il mezzelfo non fece in tempo a dirle nulla, che la ragazzina scappò via. “Si è svegliato!” Ripeteva di continuo, con voce stridula e acerba. Kail si sentiva un po’ rallentato, appannato, ma nel complesso stava bene. Si avvicinò allo specchio e controllò di nuovo la ferita. Il bendaggio era spesso, ma adesso non si vedeva alcuna infezione lì sotto, segno che il veleno era stato del tutto estirpato. Corrucciò la fronte: era abbastanza sicuro di aver sognato prima, ma il dolore era stato molto reale. Com’era possibile che adesso era sparito, insieme al veleno? “Finalmente ti sei svegliato… non pensavo ce l’avresti fatta stavolta: la tua spalla stava davvero messa male. Fammi dare un’occhiata…” A parlare era stato Kernan Lorgest, un ergothiano alto grosso e burbero, che di mestiere faceva il cerusico. Fortunatamente era un suo amico. L’uomo fece sedere Kail sul letto, ed iniziò a controllargli il bendaggio. Il mezzelfo lo ringraziò per averlo salvato e domandò quanto tempo era rimasto incosciente. Kernan lo guardò. Non era più giovanissimo, aveva superato i quaranta e sapeva capire al volo quando una persona andava di fretta. “Hai dormito dodici ore filate…” Il mezzelfo sgranò gli occhi e si alzò di scatto dal letto, chiedendo apprensivamente dove fosse e come stesse la bambina che aveva con sé. “La bimba sta bene… Margareth si sta occupando di lei.” Rispose Kernan con un sospiro. Poi con una mano invitò l’amico a tornare sul letto. “Non vuoi che ti controlli prima il braccio? Stava davvero messo male ieri sera e francamente non ero affatto sicuro che ce l’avresti fatta a passare la notte. Il veleno aveva camminato troppo…” Kail annuì, spiegando che anche lui era rimasto assai sorpreso da questo miracolo, ma voleva vedere la bambina prima di fare qualunque altra cosa. Il cerusico acconsentì condiscendente. “D’accordo… Jole?” Urlò. La ragazzina si affacciò di corsa. “Vai a chiamare la mamma per favore… dille di portare la bimba.” Concluse, mentre la osservava sparire nel corridoio. “Ora posso guardarti la spalla?” Grugnì, in un modo che non lasciava spazio ad altre obiezioni. Kail si sedette e lasciò che il cerusico facesse il proprio lavoro. Quando guardò il suo volto, non seppe se preoccuparsi o gioire. “È … è incredibile! La spalla ha una ferita, ma è pulita: non c’è più traccia del veleno! Sono certo fosse un veleno mortale, di quelli che usano gli assassini, ma evidentemente mi sbagliavo. Hai la pellaccia davvero dura mezzelfo, complimenti. Lassù qualcuno ti vuole bene.” Kail era parecchio confuso. Era sicuro che fosse stato Kernan a dargli un antidoto per il veleno, ma a quanto pare non era stato così. Inoltre, dubitava fortemente che fosse solo grazie alla sua tempra che fosse ancora vivo. Non restavano molte opzioni allora: quel sogno, forse, era stato qualcosa di più di un semplice, delirante viaggio onirico. Forse la bambina l’aveva davvero salvato. “Ehi Kail, ci sei? Ho chiesto cosa diavolo ti è successo?” Il mezzelfo abbassò il capo, perso nei suoi pensieri. Poi raccontò cosa gli era capitato nel bosco, omettendo per adesso la questione del corvo per non inquietare oltremodo il suo interlocutore. “Uhm, strano… i boschi di Lemish sono abbastanza tranquilli in questo periodo… è molto probabile che i tuoi assalitori venissero da fuori. Che hai fatto per farli incazzare in quel modo?” Il mezzelfo fece spallucce, commentando che stava solo portando a termine il proprio lavoro. Kernan tornò a guardarlo con bieco cipiglio. Schioccando le labbra domandò: “Posso domandarti da quand’è che vai in giro con le neonate?” Kail sorrise amaro, spiegando che era proprio quello il lavoro che gli era stato commissionato: accompagnare quella bambina, figlia di una famiglia molto importante, dai suoi futuri tutori. Non poteva dire molto altro sull’argomento, ma ritenne di non aver mentito all’amico poi così tanto. In fondo, secondo Astarte, Erstellen era la “figlia” della famiglia più importante di tutti, quella di Paladine in persona! Fortunatamente per lui, una donna non più giovanissima, dai tratti giunonici, entrò trafelata nella stanza e riuscì a sviare la discussione. Portava con sé una piccola cesta di vimini stretta nella destra, mentre con la sinistra teneva al petto una neonata. Kail si rasserenò come la vide. Margareth gli sorrise e gliela porse. “Ecco a te. Le ho dato da mangiare, l’ho cambiata e ho messo nella cesta dei panni di lana per tenerla al caldo…” Disse con dolcezza, mentre si scostava dal viso una ciocca di capelli neri che lentamente si stavano velando di grigio. Dietro di lei, sua figlia Jole osservava tutto in silenzio. Vedendo lo sguardo apprensivo e preoccupato di Kail, l’ostessa fece un passo avanti, gli afferrò un braccio e disse: “Senti Kail… tre brutti ceffi sono venuti alla locanda ieri sera. Hanno cominciato a fare delle domande piuttosto insistenti su un mezzelfo e una bambina. Fortuna che c’era Galeth, che ha consigliato caldamente loro di consumare qualcosa in silenzio o lasciare immediatamente la locanda e se ne sono andati. La cosa stava iniziando a prendere una brutta piega. ” Kail ci mise poco a realizzare chi fosse Galeth: un mercenario umano abile con la spada, che si guadagnava da vivere più o meno come faceva lui e che, come lui, aveva un codice d’onore molto personale che gli impediva di prendere lavori sporchi come coloro che lo stavano pedinando per ucciderlo. Un paio di volte avevano anche collaborato, con successo, in missioni comuni. “Kail, ti consiglio di lasciare la bimba qui al sicuro ed andare a parlare con Galeth… credo sia ancora giù a bere birra. Non so dove tu stia andando, ma non sei ancora in condizione di combattere tre assassini da solo. Magari lui potrebbe aiutarti…” Disse l’ergothiano, vedendo il mezzelfo in seria difficoltà. Lo scout non riusciva a staccare gli occhi da Erstellen. Kernan gli appoggiò allora una mano sulla spalla.“Dai retta a me: vai giù a mangiare qualcosa. Così ne approfitti per fare due chiacchiere con lui… Galeth è un tipo a posto.” Kail spostò il suo sguardo vagamente obliquo dalla piccola all’amico cerusico. Poi annuì, lasciando la bimba di nuove nelle sapienti mani di Margareth. Vedendo ancora la sua riluttanza ad allontanarsi, la donna sospirò e disse: “Non temere, abbiamo nascosto subito il tuo cavallo e la bambina è al sicuro qui con me. Vai tranquillo, nessuno saprà del nostro segreto.” Lui la guardò con grande intensità. Poi la ringraziò e si diresse alle scale che portavano al piano di sotto. Era quasi l’ora di pranzo e le cucine iniziavano a lavorare per saziare i bisogni dei molti avventori che riempivano ad ogni ora la locanda. D’altronde, era anche normale: la “Ghiandaia Verde” era la taverna più importante di Elmwood! Tra la confusione generale e i vapori che salivano di continuo dalle cucine, non fu immediato per Kail trovare Galeth. Finché un uomo muscoloso sulla quarantina, vestito di pelli e ornato di parecchi monili, bracciali e catene, alzò un grosso bicchiere nella sua direzione per invitarlo ad avvicinarsi. Teneva i capelli corti, neri e brizzolati, ed aveva orecchini d’oro ad entrambi gli orecchi. Inoltre, indossava una rozza armatura di maglie, ed aveva un grosso spadone legato alla schiena. “Sono contento di vederti in piedi. Da quel che mi hanno detto, te la sei vista brutta…” Kail annuì, raccontando anche al mercenario la sua disavventura nella foresta e dei suoi assalitori. Tre loschi ceffi, armati di armi avvelenate. Gli domandò, per prima cosa, se era riuscito a riconoscerli quando ci aveva parlato.“No. Non sono riuscito a vederli in faccia, ma credo proprio che non bazzichino questi posti. Credo vengano dalla “Godsfell Woods”… ormai quel dannato bosco è diventato un posto davvero poco raccomandabile …” Galeth fece una smorfia di disappunto e portò il boccale alle labbra. Innanzitutto Kail lo ringraziò per averli cacciati via: con quel gesto probabilmente gli aveva salvato la vita. Poi tornò a fargli delle domande sulle bande di assassini che circolavano nella foresta più a nordest. “Ci sono diversi gruppi di tagliagole e banditi laggiù. Ma le principali bande sono tre… “le lame silenti”, il “dente di drago” e il peggiore di tutti: il “corvo rosso”.” Disse laconicamente Galeth, tornando a sorseggiare birra. “Si dice che il capo del corvo rosso sia un ex stregone rinnegato: un tipo senza scrupoli e senza alcun codice morale. Si mormora che abbia contatti estesi su tutto il continente, perfino nella gilda dei ladri di Palanthas. Il classico personaggio da cui tenersi ben lontani.” Continuò poi il mercenario, controllando la reazione del mezzelfo. Kail gli parlò dell’inquietante corvo che l’aveva seguito, stanandolo ogni volta e Galeth annuì inarcando un sopracciglio, palesando una punta di preoccupazione.“Se è davvero il “corvo rosso” che ti cerca e credo proprio che sia così, vuol dire che dietro c’è qualcuno che paga tanto e bene. Su questo puoi starne certo.” Vedendo lo sconforto nel suo sguardo e reagendo più come fosse sorpreso che infastidito per questo, Galeth aggiunse: “Posso consigliarti solo una cosa, mezzelfo: se hai tre di loro alle calcagna e stai svolgendo un compito dove la segretezza è tutto, te ne devi sbarazzare prima di raggiungere il posto dove stai andando. Altrimenti loro lo verranno a sapere e renderanno vani tutti i tuoi sforzi.” Era ovvio che Kail sapesse perfettamente tutte queste cose, ma stava ancora valutando se fosse il caso coinvolgere fino in fondo quel mercenario. Era un tipo a posto, ma non poteva rischiare di mettere in pericolo Erstellen se qualcosa dovesse mettersi male. Per cui si limitò a parlare vagamente sull’importanza di quella commissione e dei suoi legami forti con i committenti. Non era un incarico che stava svolgendo per soldi, ma per onore. Galeth annuì e sospirò a fondo. Poi disse: “Senti mezzelfo, tu mi stai simpatico e sei un tipo leale, quindi mi piaci ancora di più, ma se ti vuoi mettere contro quelli del “corvo rosso”, devi sapere che se farai un passo falso, non rischierai solo la tua vita, ma anche quella delle persone che ti hanno commissionato questo lavoro. Se anche solo uno di quei tre furfanti sopravvive, sarà un grande problema, per loro e per te…” Lasciò poi andare il boccale ormai vuoto, mentre Jole aveva portato al tavolo sidro e patate speziate per Kail: la sua accoppiata preferita! Pulendosi le mani sui pantaloni di cuoio, Galeth si alzò e aggiunse frettolosamente: “Molto bene, io sto andando via. Se c’è qualcosa che posso fare per te, dimmelo adesso. Non avrai un’altra possibilità.” Kail spostò di lato il piatto e si convinse, offrendo al mercenario di aiutarlo nella sua missione. Galeth non disse nulla, limitandosi ad osservarlo con attenzione e a rimettersi seduto lentamente.“Va bene, sentiamo… di che si tratta? Sai che non prendo tutti i lavori che mi vengono proposti.” Il mezzelfo a quel punto parlò della bambina e del lavoro come sua scorta che gli era stato commissionato. “Dunque è vero quello che dicevano quelle tre canaglie … hai una bambina con te. E dove la stai portando?” Kail non gli parlò degli Uth Breannar, ma di un posto a sudovest che doveva raggiungere il prima possibile. “D’accordo. Quanto è la paga?” Kail provò a mercanteggiare, ma poi fece la sua offerta. Galeth rispose d’un fiato, facendo capire al mezzelfo che qualunque cifra offerta sarebbe andata bene, vista la natura dell’incarico. “Di norma costo molto di più, ma va bene quello che mi hai proposto. Hai la mia spada per questo lavoro. Ma te lo dico prima: non mi muoverò senza un buon piano. Se quelli scoprono che sono invischiato, non lavorerò mai più da queste parti… oltre al fatto più che probabile che ci rimetterei la pelle.” I due buttarono giù una linea d’azione, decidendo per una strategia che Galeth alla fine ammise che poteva funzionare. Li avrebbero attirati al “passo dell’orso”: una strettoia tra la città di Kyre e i monti Garnet. Galeth sarebbe andato prima e si sarebbe appostato laggiù, in attesa dell’arrivo degli assassini. Kail invece sarebbe partito all’imbrunire. Prima c’era una cosa che doveva stabilire con Margareth. I due si salutarono, poi il grosso mercenario uscì dalla locanda dirigendosi alle stalle. Kail invece entrò in cucina e domandò all’ostessa se avesse un minuto da dedicargli. Maragreth stava armeggiando con il biberon di Erstellen e preparando la sua cucina, ma si liberò per ascoltarlo. Kail venne subito al punto: necessitava dell’aiuto della donna, affinché tenesse la piccola al sicuro quel tanto che bastava per liberarsi dagli assassini che lo volevano uccidere e aveva bisogno di una bambola di sua figlia Jole per riuscirci. All’inizio Margareth non riusciva a capire, ma poi ci arrivò: Kail aveva intenzione di portare con sé una “finta Erstellen”, così da non destare sospetti con quel maledetto corvo e al contempo non rischiare la vita della bambina inutilmente. Perfino Piotr, il ragazzo dietro al bancone, poteva essere una spia del “corvo rosso” per lui adesso, pertanto suggerì alla donna silenzio assoluto e discrezione massima. Margareth annuì. Lo scortò di sopra, gli fece dono di una bambola della figlia e lo rassicurò che nessuno si sarebbe avvicinato alla sua protetta durante la sua assenza. Lo giurò sulla sua stessa vita. Kail annuì e volle ricompensarla per questo gesto, offrendole dei soldi con cui comprare un bel vestito alla figlia. Poi si diresse nelle sue stanze e iniziò a preparare il suo equipaggiamento. Verso sera, notò quel dannato corvo dagli occhi di brace appollaiato su un ramo di un albero poco distante dalla locanda. Era chiaramente in attesa di un suo passo falso. Tuttavia, questa volta la sua presenza non lo infastidì affatto. Anzi, era contento che chi lo stava cercando l’avesse infine trovato. Quindi uscì, palesandosi senza problemi e si diresse alle stalle, portando con sé la cesta di vimini con dentro la bambola di pezza. Si issò su Aghnes e uscì spavaldamente al trotto. Mentre cavalcava verso il “passo dell’orso”, più volte percepì il pericolo attorno a sé, ma si rese conto che la bambina non era un limite solo per lui, ma anche per chi lo voleva morto. Finché l’avesse tenuta legata addosso infatti, nessuno sarebbe stato così sciocco da rischiare di colpirla scoccando dardi avvelenati da lontano. Lo stavano attirando in trappola nella strettoia, dove avrebbero potuto aggredirlo da sopra e da più punti ai lati, non sapendo però che questo era esattamente ciò che egli voleva. L’ultimo pensiero, prima di arrivare a destinazione, Kail lo offrì ad Erstellen: non era ancora convinto che fosse una creatura benedetta, ma di sicuro non era un bambina come le altre. Era speciale. Davvero speciale.
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- Scritto da Mike Steinberg
- Categoria: Le Origini Di Kail
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L’aria gelida del mattino non ancora nato si intrufolava lo stesso all’interno dello spesso mantello del mezzelfo. Faceva davvero molto freddo. Il cavallo nitriva infastidito, faticando anch’esso a scaldarsi, mentre veri e propri getti di vapore fuoriuscivano dalle sue narici aperte e stressate. Inoltre il cielo era scuro e prometteva pioggia da un momento all’altro. “Condizioni perfette per viaggiare con una neonata, non c’è che dire…” Pensò tra sé Kail preoccupato. Lo scout percorse il sentiero principale con saggia premura, calando pian piano dal maniero Astarte fino al villaggio sottostante. Doveva star attento che Erstellen non solo fosse ben coperta, ma che evitasse di prendere troppi scossoni: non era certo un esperto in materia, ma che gli improvvisi sobbalzi non le facessero bene ci arrivava anche da solo. Procedeva dunque al passo, cercando di rimanere più nell’ombra possibile. Il rumore lento di zoccoli a malapena era percepibile in quel tratto di brughiera, mentre una fitta nebbia, che sembrava evocata da un vero stregone, uno di quelli che si diceva fossero rintanati nella foresta di Wayreth, riduceva quasi a zero la visibilità oltre qualche metro. “Ancora rammento bene come funzionano le cose da queste parti…” Si disse tra sé, abbozzando un ghigno di autocompiacimento. Di lì a poco, iniziò a intravedere le prime case e le prime staccionate: ombre biancastre nella fitta bruma mattutina. Kail serrò il cavallo. Doveva riconoscere che Astarte gli aveva messo addosso un’ansia terribile. Indipendentemente se la bimba fosse davvero un “dono di Paladine”, cosa alquanto improbabile dal suo punto di vista, il fatto che fosse in pericolo era una cosa che con lui condivideva. Se fosse rimasta al maniero, prima o poi avrebbe attirato, come una luce le falene, un mare di gentaglia prezzolata e disposta a tutto. Entro qualche mese o al massimo qualche anno, la voce si sarebbe sparsa come un tam tam degli orchi, e quella marmaglia senza valori morali avrebbe cercato di rapirla e venderla a qualche stregone rinnegato o falso chierico in cerca di notorietà. Altri miserabili, che infestavano come la gramigna sia la Solamnia che l’Abanasinia. Pertanto si era preso sulle spalle una gigantesca responsabilità e doveva agire con estrema cautela. Se avesse deciso di tagliare in due il feudo avrebbe raggiunto la foresta in minor tempo, ma forse era meglio affidarsi a sentieri meno battuti, fare il giro largo, eludendo gli edifici e tagliando per la campagna aperta. Avrebbe così evitato incontri rischiosi, a cominciare dai contadini che stavano andando negli orti a lavorare. La nebbia sarebbe stata il suo scudo, mentre passava vicino ai terreni coltivati. Anche perché aveva una strana sensazione sotto pelle. Come se qualcuno lo stesse segretamente spiando e quindi seguendo. Kail scosse la testa e spronò il cavallo verso i campi: non doveva cedere alla paranoia. La bimba doveva arrivare sana e salva a destinazione rischiando il meno possibile, ma chi poteva minacciarla a pochi giorni dalla sua nascita? Chi poteva già sapere chi si ventilava che fosse e della sua miracolosa venuta su questo mondo? Kail la osservò per un secondo. La bimba dormiva, placida, serena. Non piangeva. Non si agitava. Tuttavia, più si inoltrava in aperta campagna e più sembrava avere dei sussulti. Dei tremori. “Sarà pure un “dono di Paladine”, ma sta morendo di freddo…” Si disse tra sé il mezzelfo. Doveva azzardare ad andare un po’ più veloce: qui si gelava davvero, essendo tutto spazio aperto e doveva trovare un posto sicuro il prima possibile per accendere un fuoco, darle da mangiare e riscaldarla, prima che le labbra le diventassero viola. Kail diede una botta d’anca al cavallo per comunicare la sua scelta e Aghnes obbedì, nitrendo leggermente. Lo scout sorrise e accarezzò la sua puledra, ma quando tirò su la testa ciò che vide gli gelò il sangue nelle vene. Due occhi rossi, più avanti ed in basso alla sua sinistra, lo fissavano immobili. Due grezzi cristalli cremisi, che si stagliavano sopra la nebbia come un inquietante e surreale bassorilievo! Kail mise istintivamente una mano sulla spada e l’altra sopra la testa della bimba. Lo sguardo rossastro scomparve, ma il suo medaglione si era scaldato fino a quasi bruciargli il petto! Incredibilmente, dopo tanto tempo, il ciondolo di sua madre, che sembrava essersi spento negli ultimi quindici anni, adesso pareva infuocato. E per un attimo, al mezzelfo venne un dubbio tremendo: era solo per il freddo che la neonata stava tremando o aveva reagito in qualche modo al tocco malefico del pendente sacro di un chierico della dea oscura? Aveva senso, se fosse stata davvero una figlia del drago di Platino. L’idea gli passò nella mente, ma poteva ancora trattarsi di suggestione: meglio non scendere a conclusioni affrettate. Tuttavia il calore era stato più che reale. Kail ebbe paura per Erstellen, ma la bimba dormiva ancora seraficamente e non sembrava né scossa, né accaldata per quel terribile sbalzo di temperatura che aveva provato. Decise comunque di girare il ciondolo dietro la schiena, così da non rischiare di coinvolgere la bambina in altre esperienze similari nemmeno per sbaglio. Assottigliando gli occhi, infagottò di nuovo la piccola nel mantello, tenne alta la spada e spronò il cavallo verso la direzione in cui aveva visto quei due piccoli occhi di fuoco. “Meglio andare a controllare... non mi piace lasciare nemici alle spalle.” Pensò lo scout tra sé. Percepì appena un movimento sotto il cavallo che gli fermò il cuore! Trattenne il respiro e levò alta la spada. Un cane si alzò infastidito dai campi arati, scomparendo oltre la sua vista con un unico abbaio seccato. Il mezzelfo sospirò, abbassando lentamente la lama. “Possibile che me li sia sognati? Eppure il calore del medaglione è stato forte e vivido. Uhm… qualcosa non va, meglio stare pronti.” Concluse Kail, mentre riprendeva la via. Percorse qualche altro centinaio di metri e di nuovo sopraggiunse il bruciore, questa volta sulla schiena. Preparato al peggio, il mezzelfo si guardò intorno e ancora una volta scorse gli occhi rossastri nella fitta bruma, poco distante. Adesso riusciva, seppur a malapena, ad intravedere una sagoma attorno ad essi. Sembrava una figura umanoide, alta circa due metri, con gli occhi di brace che lo fissavano torvi. Kail valutò l’opzione di spingere il cavallo al galoppo, ma sarebbe stato troppo pericoloso per la piccola. Il rischio di farsi male o peggio di cadere, era troppo elevato. Tuttavia, doveva capire cosa diavolo stava succedendo. Chi lo stesse minacciando, se si trattava davvero di una minaccia. Il fatto poi che il suo medaglione si scaldasse in quel modo non lo rassicurava affatto. Pensava, e non a torto, che se quei “due cosi rossi brillanti” avevano risvegliato l’artefatto di sua madre, beh, di certo non poteva trattarsi di una cosa benevola o positiva per lui. Era logico supporre che perlomeno fossero di natura affine. Kail si avvicinò nuovamente e questa volta fu fortunato, poiché proprio in quel momento la nebbia si diradò di qualche metro, permettendogli di vedere meglio. Si trattava di uno spaventapasseri, sul quale però era appollaiato un uccello. Un corvo per la precisione. Un corvo dagli occhi rossi! Il ciondolo prese anche a vibrare, qualsiasi cosa questo dettaglio significasse. Poi il corvo iniziò beccarsi le ali e le zampe, gracchiò un paio di volte annoiato e volò via. Ora però il mezzelfo ne era sicuro: qualcuno lo stava osservando grazie ad esso e quel corvo non poteva essere un normale famiglio. Era di più. Lui non amava cercare spiegazioni soprannaturali a ciò che gli capitava, ma uccelli dagli occhi cremisi, che innescavano il suo oscuro e mistico pendente, non ne aveva mai incontrati. Lo guardò sparire nella nebbia, poi riprese a cavalcare preparandosi mentalmente al round successivo. Sapeva che la cosa non sarebbe certo finita lì. Lo scout intravide alcuni contadini nei campi, ma poteva solo udire il rumore delle vanghe e dei loro aratri. Né loro, né lui, sarebbero mai riusciti a scorgersi attraverso la fitta foschia biancastra che avvolgeva ogni cosa. Poi il villaggio fu finalmente alle sue spalle, ma Kail decise di entrare nella foresta prima di fermarsi per un bivacco. Inizialmente aveva optato per aggirare il bosco ed andare verso il fiume per via di Erstellen, percorso più lungo ma per lei più agevole, ma dopo quanto gli era capitato si era convinto che sarebbe stato meglio passare per la macchia. Conosceva meglio il territorio e lì dentro sarebbe stato meno esposto ad eventuali agguati. Annuendo gravemente tra sé, si infilò senza ripensamenti tra gli alberi. Kail aveva passato gli ultimi quattordici anni nei pressi della foresta di Lemish, per cui affermare che la conoscesse come le sue tasche non era affatto un’esagerazione. Infatti ci mise davvero poco a trovare un posto adatto per accamparsi. Entro poche ore avrebbe preso a piovere e le fronde degli alberi, più fitte in quel punto, avrebbero protetto la bimba dalle intemperie. Per prima cosa tolse Erstellen dalle fasce porta bebè e la mise delicatamente nella cesta di vimini. La coprì per bene e poi accese un fuoco. Dalle bisacce recuperò acqua e latte, per poi mescolarli nel biberon di legno coi giusti dosaggi che gli erano stati suggeriti da Selena. Una volta pronto, lo mise a scaldare su dei sassi sopra il fuoco. Quando ritenne che fosse sufficientemente caldo, prese in braccio la bimba ed iniziò a farla mangiare. Mentre le dava il latte la osservò meglio: doveva ammettere che era piuttosto atipica come neonata. Non si agitava mai, non piangeva mai, non si lamentava mai, anzi sembrava quasi sorridere e, cosa ancor più importante e strana, pareva come se riuscisse a capire le situazioni. Insomma, tutte cose che non erano affatto comuni. Dopo un po’ fu costretto a distogliere lo sguardo da lei o avrebbe iniziato a sorridere anche lui e non poteva permettersi di lasciarsi andare al buon umore in una situazione pericolosa come quella in cui si trovavano. Dopo essersi sincerato che la piccola stesse bene e non avesse problemi di rigurgiti, attese che prendesse sonno e iniziò a smontare il campo. La sensazione di essere seguito perdurava, ma ora si trovava nel suo ambiente naturale e sarebbe stato più difficile stanarlo. Cavalcò un altro paio d’ore senza problemi. La foresta non permetteva molto alla luce del mattino di filtrare attraverso gli alberi, ma la temperatura si era alzata di qualche grado e questa era di certo una buona notizia per la bimba. La tabella di marcia che si era dato mentalmente il mezzelfo prevedeva due ore di cammino e un’ora di sosta. Mantenendo quel ritmo sarebbe arrivato ad Elmwood, la prima città di frontiera oltre la foresta di Lemish, verso sera. Probabilmente non sarebbe stato saggio passare la notte lì, ma almeno avrebbe potuto fare rifornimenti e prendere qualche cosa utile per Erstellen all’emporio. Kail preparò il secondo bivacco, ripetendo con meticolosa cura le operazioni fatte in precedenza. Controllò anche se la piccola doveva essere cambiata, ma pareva di no. Un’altra cosa davvero strana. Quindi cancellò le tracce del bivacco e riprese il viaggio. Dopo non molto iniziò a piovere. Non forte, ma insistentemente. Muovendosi a cavallo, questa cosa non era affatto buona per provare a coprire i segni del suo passaggio. Inoltre, una mezz’ora prima, gli era parso di aver notato un’ombra scura tra i cespugli: era assai probabile che chi lo stava spiando l’avesse infine trovato. Tuttavia, pedinato o meno, dopo due ore doveva fermarsi per forza. Non aveva dubbi questa volta: la bimba doveva esser pulita oltre che sfamata. Con i sensi all’erta, Kail preparò il terzo campo, ma questa volta decise di non lasciare la piccola nel cesto, ma vicino, anzi, attaccata a lui. La cambiò e la nutrì accanto al fuoco, che sfrigolava allegro e ristoratore per entrambi. Quando una folata di calore gli investì la schiena, Kail tirò su la testa e in quel momento preciso capì che non era stato il confortante falò a scaldarlo, ma di nuovo il suo medaglione. Infatti, su un ramo sopra di lui, di nuovo il corvo lo osservava infido coi suoi occhi rossastri! Ogni altro suono si spense nella boscaglia e il mezzelfo intuì subito che stava succedendo qualcosa. Qualcosa di imprevisto, che stava spaventando gli animali lì intorno. Ripose quasi meccanicamente Erstellen nella fascia legata al suo petto, la strinse forte a sé e si alzò lentamente: occhi e orecchi desti oltre ogni misura. Finché lo udì: il sibilo di un dardo alla sua sinistra. Fu solo grazie ai suoi riflessi elfici e al fatto che era preparato ad una cosa del genere, che la freccia lo mancò. Solo di pochi centimetri, ma bastarono per dargli il tempo di abbassarsi e sfoderare entrambe le spade. A quel punto il corvo gracchiò forte e sortì via e con lui chiunque fosse appostato dietro i cespugli con la balestra in mano. Kail maledì la situazione, che gli impediva di inseguire il suo o i suoi assalitori. Nonostante fosse nel suo ambiente naturale, la presenza della piccola gli impediva di fare una cosa del genere. Non sarebbe stato solamente pericoloso, sarebbe stato stupido, perché la bimba gli stava davanti e quindi era oltremodo vulnerabile. Preferì dunque tornare al cavallo e ripartire immediatamente. Le successive due ore furono un’agonia per il mezzelfo. Egli sapeva bene adesso che c’era qualcuno che non solo lo stava seguendo, ma che probabilmente lo voleva morto. Ma perché? Volevano lui o la bambina? Se cercavano lui, forse volevano mettere le mani sulle 200 monete d’oro che gli aveva dato Astarte. Ma se puntavano Erstellen, significava che qualcuno al maniero di Astarte lo aveva tradito! Non voleva nemmeno pensare a questa eventualità, perché se si escludevano i cavalieri che l’avevano trovata nel Tempio di Paladine, rimanevano solo le tre nutrici come principali indiziate. E questo significava che anche Selena poteva essere tra le sospettate. Quando giunse finalmente il momento per la quarta sosta, Kail notò qualcosa di strano sul sentiero. Un albero di media grandezza sembrava caduto di recente, rendendo problematico proseguire dritto. La pioggia ed i tuoni lontani, rendevano difficile alle orecchie del mezzelfo di captare eventuali movimenti, anche lievi, intorno a lui. Finché una voce roca e profonda echeggiò tra le fronde del bosco. “Consegnaci la bambina e non ti verrà fatto alcun male. Rifiuta e morirai.” Kail si costrinse a rimanere freddo, concedendosi alcuni secondi di riflessione. “Allora è lei che vogliono… e dunque è vero: Astarte è stato tradito!” Concluse Kail tra sé. Il ciondolo bruciava e vibrava, ma il mezzelfo non riusciva a vedere alcun inquietante corvo svolazzare attorno a lui. Tuttavia sapeva bene che una o forse più balestre cariche puntavano alla sua testa o al suo cavallo. In base alla sua esperienza, i suoi assalitori si trovavano adesso ai suoi lati, più che davanti. Se si fosse fermato, Aghnes sarebbe stata abbattuta e lui avrebbe perso l’iniziativa, a terra e con Erstellen attaccata al suo petto. Quindi rallentò solo di un po’ il cavallo, ed alzò lentamente una mano, come se segnalasse una resa. Poi afferrò le redini e diede il comando alla puledra di saltare il tronco e galoppare all’impazzata oltre il punto dell’imboscata. In questo modo gli assalitori sarebbero rimasti alle sue spalle e né Aghnes, né Erstellen avrebbero rischiato di essere colpite. Sarebbe stato comunque pericoloso per la bimba, ma in quel caso o beveva o affogava! Poco preparati ad una reazione come quella, gli assassini uscirono dal bosco. Erano in tre e tutti ammantati di nero. Uno di loro aveva armi da mischia nelle mani, gli altri due delle balestre cariche. Aghnes fece il suo lavoro, lasciando di stucco gli aggressori. La cavalla saltò il tronco con facilità, ed iniziò a galoppare verso nord. Il primo dardo sibilò a pochi centimetri dalla testa del mezzelfo, ma il secondo si conficcò nella sua spalla destra. Un grido strozzato lo fece sussultare, ma Kail sapeva che non era una ferita profonda. Quello che lo spaventava era un’altra cosa: in genere i gruppi di banditi prezzolati che bazzicavano per le foreste, utilizzavano molto spesso dardi avvelenati contro le loro vittime. Dalla sensazione di generale intorpidimento, lo scout ci mise poco a realizzare che anche lui non aveva fatto eccezione. Essendo per metà elfo, aveva una resistenza naturale enorme a quasi tutti i veleni, ma non poteva rischiare di fermarsi e provare a trovare in giro qualche pianta in grado di aiutarlo. Doveva continuare a cavalcare lungo il sentiero fino ad arrivare ad Elmwood e lì visitare il cerusico del paese, suo amico, per farsi salvare la vita. Dopo altre tre ore di galoppata, Kail controllò Erstellen, con la vista ormai offuscata e le forze che lo stavano abbandonando. La piccola non aveva emesso un gemito fino a quel momento e quando la guardò, nonostante la situazione fosse davvero critica, gli ispirò fiducia. Come se volesse dirgli: “Non ti preoccupare, ce la faremo…” Riuscì perfino a cavargli un sorriso. Anche se non fosse stata un “dono di Paladine”, si trattava comunque di una bimba molto speciale. Di questo ormai se ne era convinto. Era quasi buio quando Aghnes arrivò al passo alla locanda della “Ghiandaia Verde” di Elmwood e l’ultima cosa che Kail rammentò prima di accasciarsi mezzo morto su di lei, era una voce femminile che chiamava soccorsi.”
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Kail era rientrato nelle sue stanze già da una buona mezzora e ne aveva approfittato per rinfrescarsi un po’. Selena, Adele e Quirinna, le tre governanti personali di Lord Astarte, gli avevano portato delle caraffe di acqua calda con cui potersi lavare e degli abiti puliti per potersi cambiare. Ormai era quasi ora di cena e il mezzelfo aveva ancora in mente alcune cose da fare prima di raggiungere Astarte nella sala da pranzo. In particolare voleva vederci più chiaro sulle circostanze del ritrovamento della bambina. Victor gli aveva raccontato che erano stati due cavalieri di sentinella a trovarla nel Tempio di Paladine, attratti dalle urla affamate della piccola. Sicuramente doveva già averli interrogati a fondo a riguardo, ma magari potevano aver tralasciato alcuni dettagli utili, qualcosa che lì per lì era sfuggito alla loro attenzione, vista la concitazione del momento. Quando uscì dalla porta della sua camera, determinato ad approfondire la questione, incrociò Selena nel corridoio principale. La giovane governante si trovava lì non per caso, ma proprio per scortarlo dal suo signore: la cena infatti stava per essere servita e non era buona educazione far aspettare il padrone di casa. Kail optò dunque per seguirla, ma non cercò di nascondere le sue intenzioni: “Selena, tu sai chi, tra i cavalieri, ha fisicamente ritrovato la bimba nel tempio di Paladine? Vorrei scambiare due parole con loro, se fosse possibile.” Selena si irrigidì: era chiaro che l’argomento la turbasse molto. Abbassando di un poco il tono della voce, bisbigliò: “Mio signore, Lord Astarte non desidera che si parli di questo argomento. Né tra le mura del suo maniero, né per le strade o tra i vicoli del villaggio sotto la sua protezione. E’ pericoloso … anche le pareti e le ombre stesse hanno occhi ed orecchi ben aperti di questi tempi …” Kail la guardò con intensità. Era chiaro che, dalla scelta delle parole della ragazza, lei si fosse affezionata parecchio alla bambina e temesse davvero per la sua incolumità. Eppure traspariva anche tutta la severità, che egli ricordava bene, degli ordini e delle precise indicazioni da seguire, che Astarte lasciava sempre ai suoi sottoposti. Selena sembrava quasi spaventata dalle possibili conseguenze delle sue eventuali negligenze e lui la capiva perfettamente. Tornò dunque a fissare il corridoio facendo spallucce. “Non preoccuparti, lo chiederò direttamente a lui, non voglio causarti problemi.” Selena abbozzò un sincero sorriso: spostando la testa verso il basso fece un lieve inchino e lo ringraziò per questa sua premura. Arrivati innanzi alla sala di pranzo, la giovanissima governante bussò alla porta e Victor, dall’altra parte, la invitò ad entrare. Kail non attese di essere presentato: irruppe a passo deciso all’interno senza aggiungere una parola, né dare il tempo di pronunciarla. Astarte reagì a questa sua leggerezza nell’applicazione della Misura non come una mancanza di rispetto, ma come un’usanza che, evidentemente, non era la prima volta che aveva visto praticare dal suo protetto. Si alzò, come invece imponeva il galateo, portò la mano sul petto, come facevano i cavalieri quando accoglievano parenti o persone che stavano particolarmente a cuore, ed indicò alla sua destra: il posto che aveva scelto per lui. Congedò poi Selena con un cenno del capo. La ragazza si ritirò con un inchino veloce. La sala da pranzo era molto ampia, con grossi finestroni sulla sinistra incorniciati da drappi rossi e neri, delle comode poltrone e dei tavolini per conversare e degustare un buon liquore dopo il pasto e un camino in fondo, sulla parete nord, acceso e pieno di braci scoppiettanti per riscaldare l’ambiente. Un lungo tavolo di legno di quercia tagliava in due il centro della stanza. Ovviamente Astarte sedeva a capotavola. “Prego, Kail. Accomodati pure.” Kail si avvicinò e sedette vicino a lui. Victor aveva un bicchiere di vino e un piatto vuoto davanti, ma l’occhio attento del mezzelfo aveva notato anche qualche altra cosa alla sua sinistra, vicino le posate. Una pergamena e cos’altro? Non riusciva a vedere bene: il suo tutore sembrava volesse intenzionalmente tenerle nascoste. “Vino?” Disse con tono cordiale. Kail annuì, ma un’ombra iniziava ad allungarsi sul suo volto perplesso. Prese il bicchiere, lo portò alla bocca e ne assaggiò un generoso sorso: era squisito! Astarte aveva scelto un’annata particolarmente preziosa, segno che quella doveva essere davvero un’occasione importante. “Allora, hai pensato un po’ meglio a cosa ti aspetterà se deciderai di accettare di svolgere per me le missioni che ti ho proposto? Puoi ancora tirarti indietro o magari concludere di volerne portare a compimento soltanto una, se non ti senti sicuro.” Kail fece schioccare le labbra e posò lentamente il bicchiere. “Ho forse scelta, mio signore?” Astarte abbozzò un sorriso, abbassando per un momento gli occhi verso il tavolo. “Esiste sempre una scelta, Kail. Anche se capisco quello che vuoi dire. Se rinunciassi ad accompagnare la bimba al maniero Uth Breannar, causeresti un bel problema a me e se ti rifiutassi di andare a sud… beh, lo faresti ad Anteus.” Victor approfittò di quella pausa intensa per degustare ancora un po’ di vino, poi continuò: “Eppure non devi sentirti in difetto, qualora facessi un passo indietro… né per una cosa e né per l’altra. Non sono situazioni che hai concorso tu a creare e dunque per le quali dovresti sentirti responsabile.” Il mezzelfo lo fissò e i due rimasero a guardarsi negli occhi per qualche interminabile secondo. “Se hai ragione, mio signore… e non portassi quella bimba a Lord Gerald, sarei responsabile eccome se le capitasse qualcosa. Non solo per lei, non solo per te, ma per tutto Krynn probabilmente. Sarebbe un disastro se Erstellen cadesse nelle mani sbagliate.” Kail si concesse un altro momento silenzioso e carico di energia. “Tuttavia, vorrei ugualmente porre delle domande ai cavalieri che l’hanno trovata, se tu sei d’accordo. Potrebbe esserci sfuggito un dettaglio, magari riguardo qualcosa… qualcosa di meno … “mistico” … e più … “umano”, ecco.” Una smorfia di disappunto si dipinse sul volto di Astarte. “I cavalieri sono già stati interrogati, Kail. Per ore. Sai che il “Codice e La Misura” impongono loro di non mentire mai. Non ho ragione di dubitare di quanto mi hanno detto e non dovresti farlo nemmeno tu, perché anch’io sono un cavaliere… e loro sono sotto la mia protezione e responsabilità.” Il mezzelfo non rispose, limitandosi a giocherellare con il bicchiere ormai vuoto. Victor sospirò. Poi continuò. “Tu ancora non mi credi, vero? Non fino in fondo, almeno…” Kail abbassò lo sguardo. Poi lo rialzò fieramente. “Ho qualche… qualche dubbio, mio signore, si. Questa faccenda ruota tutto intorno ad una neonata affamata ed urlante, fin troppo umana quindi, che è stata trovata in un luogo mistico abbandonato da secoli. Dici che la chiave non è stata trafugata e che non ci sono passaggi segreti e io ci credo ovviamente, ma… ma le persone possono essere ingannate. Possono essere raggirate. Inoltre, la ragione per cui vuoi che accompagni la piccola dagli Uth Breannar, poggia su una… “visione”… che hai avuto la sera a cena e su alcuni nastrini colorati, che chi l’ha trovata o magari chi l’ha portata lì, avrebbe potuto benissimo metterle al polso per inscenare la storia del “dono di Paladine”.” Astarte lo ascoltò attentamente, senza interromperlo mai. “Tuttavia… terrò le mie perplessità per me, mio signore. Perché la bimba è innocente, ed è in pericolo adesso. Inoltre, se esiste solo una possibilità su cento che sia davvero chi dici che è veramente, vale ancor di più la pena non rischiare e portarla via di qui il prima possibile.” Victor abbozzò un sorriso amaro. “Ti ringrazio per aver aperto il tuo cuore, per avermi detto la verità, ciò che pensi davvero riguardo le circostanze della sua apparizione. Hai dei dubbi legittimi e io lo capisco… se lei durante il viaggio riuscirà alla fine a fugarteli, vorrà dire che questa missione avrà avuto successo completamente. Altrimenti, avrai fatto solo quello che ritenevi giusto: metterla in salvo e al sicuro dai fanatici e dai pazzi!” Lo sguardo del grande condottiero si fece duro, sottolineando quanto gli stesse a cuore questo argomento. Poi continuò, la voce rotta, spezzata dal fervore, che solo un “Cavaliere della Spada”, un antico paladino degli dei poteva avere.“Qui non si tratta semplicemente di accompagnare qualcuno di importante da una maniero all’altro, Kail. Si tratta di compiere un cammino verso la luce. Se poi non ti riuscirà, avrò stima di te lo stesso. L’importante è che tu rimanga aperto alla fede.” Kail annuì, ma non commentò. Astarte liberò la sinistra da sopra gli oggetti che nascondeva e prelevò una lettera indirizzata a Lord Gerald. “Tieni…” Disse piano. “Nella lettera viene spiegata ogni cosa sulla venuta di Erstellen su questo mondo e alcuni consigli utili su come allevarla e a chi affidarla… anche se credo che Gerald sia molto più strutturato di me sull’argomento. Il suo maniero è pieno di donne… di tutte le età… e tutte parecchio… come dire… determinate a perseguire la cosa giusta da fare. Soprattutto in questi casi. Non credo avrai problemi a convincerlo, se ti farai simili alleate.” Il mezzelfo allungò una mano, afferrò la lettera con il sigillo e la appoggiò sul tavolo. Al che, Victor si girò ancora verso la sua sinistra, prese una pergamena, completamente vergata dall’inizio alla fine e gliela consegnò. “Riguardo Anteus, invece… ho pensato che potessero esserti utili questi appunti. Sono degli estratti con le sue note personali riguardo tutti i luoghi che ha visitato nell’Abanasinia prima del suo silenzio. Sono ormai più di tre mesi che aspettiamo la sua relazione semestrale e non ti nascondo una certa preoccupazione sulla sua sorte.” Kail iniziò a leggere le note. Victor le aveva riordinate, in maniera da avere una cronologia riguardo i luoghi, i tempi e i percorsi fatti. Astarte gli diede il tempo di esaminare le carte velocemente. Poi domandò: “Come intendi procedere?” Kail non scollò nemmeno per un attimo gli occhi dalla pergamena, ma rispose senza esitare. “Appena avrò finito dagli Uth Breannar, taglierò verso sud e il porto e troverò una nave che mi porti laggiù il prima possibile. Sono già parecchi mesi che di Anteus non si sa più nulla e non voglio perdere altro tempo prezioso…” Victor annuì, si alzò, andò nei pressi di un piccolo scrigno di legno custodito sopra il camino, lo aprì, ed afferrò un sacchetto tintinnante. Poi tornò al tavolo e disse: “Prendi queste monete d’oro. Metti pure tutte le spese che avrai a nome mio, finché ti concederanno di avere credito. Non sprecare soldi inutilmente, potrebbero servirti più avanti. E nel caso avessi problemi seri, nelle grandi città troverai sicuramente delle banche. Potrai usare questo sigillo come garanzia per avere un prestito.” Astarte si sfilò l’anello dal dito e glielo diede. Kail non riusciva a credere ai suoi occhi: Victor gli stava dando il proprio anello di famiglia, la cosa forse più preziosa che aveva dopo la sua spada! Imbarazzato, Kail lo ringraziò balbettando, garantendogli che avrebbe fatto del suo meglio per non deludere le sue aspettative. Poi il Lord del maniero suonò un piccolo campanello d’argento e finalmente la servitù iniziò a portare la cena. Kail ascoltò con attenzione i consigli del cavaliere veterano: Anteus si era fatto degli alleati laggiù, amici, compagni d’arme, informatori, che l’avevano aiutato con la sua missione. Ripercorrere i suoi tragitti, parlare con quelle persone, poteva fare la differenza. Sarebbe stato molto difficile riuscire a farcela contando solo sulle proprie forze. Da quel che Anteus aveva scoperto, soprattutto negli ultimi mesi, non si faceva fatica ad immaginare che laggiù si articolasse una trama piuttosto complessa, oscura e pericolosa, di qualcuno che non andava assolutamente sottovalutato. Meglio andare preparati. Finita la cena, i due si diedero appuntamento nelle stalle la mattina seguente, prima dell’alba. La notte passò veloce e tranquilla e quando arrivò il momento, il mezzelfo si mosse prontamente. Fortunatamente conosceva quel maniero come le sue tasche, ed utilizzò vie alternative per impedire ad occhi indiscreti di notarlo neanche per sbaglio. Arrivò alle stalle quando era ancora abbastanza buio per strada. Notò che il suo cavallo era stato strigliato e nutrito e gli zoccoli ferrati a dovere. Tuttavia le bisacce, ai fianchi dell’animale, erano state riempite di oggetti strani e particolari, che lì per lì non riuscì a riconoscere, ma che tosto, le due persone che lo stavano aspettando, non tardarono ad illustrargli. Insieme a loro, dentro un piccolo cesto di vimini, dormiva placidamente una bimba che non arrivava nemmeno a una settimana di vita. Selena abbozzò un sorriso divertito quando notò il panico negli occhi di Kail. “Avete dimestichezza con i bambini?” Domandò, conoscendo molto bene la risposta. Kail inarcò un sopracciglio. “Potrei andare ad uccidere un drago invece di fare questo?” Astarte mise le mani sul volto, scuotendo la testa preoccupato. “Dovete prenderla in questo modo e quando vi accamperete e dovrete allattarla, spostarla di lato. Quando la bimba ha mangiato, sistematela pure nella culla. Se vi doveste muovere con lei, conviene che la leghiate a voi, con queste…” Continuò Selena, mostrando al mezzelfo delle fasce. “A – allattarla?” Balbettò nel frattempo Kail, terrorizzato. La ragazza annuì, poi gli mostrò come dover usare le fasce, scegliendo saggiamente di fissare su di lui un’imbragatura stabile, che poi avrebbe solo dovuto stringere, in caso col movimento si fosse allentata. “Ecco qui… ah, in queste bisacce troverete: il biberon per la bimba, due litri di latte e uno d’acqua per nutrirla… poi ci sono anche una spugna per pulirla e dei panni puliti per cambiarla.” “P - pulirla?” Ormai Kail era completamente sopraffatto: questa missione rischiava di diventare troppo difficile per lui. “Ricordate che ogni due ore dovrete darle da mangiare e ogni quattro… dovrete cambiarla. Certo, un fiume con acqua corrente sarebbe la cosa migliore per la sua igiene, ma andrà bene anche se sceglierete la via della foresta. Avete acqua a sufficienza per fare tutto ciò che le serve.” Vedendolo in seria, serissima difficoltà, Astarte decise di intervenire con un consiglio prezioso. “Quando cavalchi, non puoi certo lasciare la bimba nella culla. Dovrai legartela addosso, mettendola nell’imbragatura da trasporto come ti ha fatto vedere Selena. A meno che tu voglia andare a piedi…” “Non ci penso nemmeno…” Rispose Kail, del tutto vinto dagli eventi. Vedendolo un po’ troppo assente, Astarte decise di riportarlo su Krynn. Da sotto il mantello gli porse una spada lunga: “Tieni … questa è la spada di tuo padre Anteus. E’ un’arma speciale: apparteneva al suo maestro d’armi. Nessuno sa chi sia, ma visto il livello del suo allievo, doveva essere davvero un grande guerriero. Sono decenni che non viene usata, per cui sarà più utile a te che alla sua casa vuota.” Kail afferrò la spada con mani tremanti, ma non la sguainò. Avrebbe avuto tempo per farlo in un altro momento. La legò al cavallo, poi mise un piede in una staffa e montò in groppa al suo destriero. Astarte si avvicinò di qualche passo. “Questo invece… è un dono per Erstellen da parte mia. Apparteneva alla mia ava: Gerardina Astarte. Dì a Gerald di custodirlo e di fargliene dono quando i tempi saranno maturi.” All’interno di un panno era nascosto un oggetto di metallo, che però il mezzelfo non scoprì per una questione di etichetta. Selena prese in braccio Erstellen e gliela passò. Kail la infilò dentro l’imbragatura e si sbrigò a coprirla col mantello. Ora la segretezza diventava essenziale! La ragazza afferrò poi la cesta di vimini e la ripose nelle bisacce. Kail fece una smorfia strana e disse. “Sembri piuttosto intraprendente per essere una semplice governante…” Lei ammiccò. “Sono la nipote di Sir Anteus, che altro potevate aspettarvi da me?” Il mezzelfo sgranò gli occhi, poi storse un angolo della bocca a formare un mezzo sorriso. Qualora fosse tornato vivo aveva intenzione di farsi una lunga chiacchierata con quella giovane donna piena di sorprese.“Allora buona fortuna. Aggiornami almeno ogni sei mesi, se riesci. E che Paladine guidi i tuoi passi, figlio mio!” Sentenziò Astarte. Kail ebbe un brivido: era la prima volta che Victor lo chiamava in quel modo. Con decisione girò il cavallo, strinse ancor di più il pesante mantello attorno al fragile corpo di Erstellen, ed uscì al trotto dal maniero.
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Kail arrivò piuttosto stanco dal viaggio che l’aveva riportato dopo tanti anni nel maniero di Lord Astarte. Non era stato un viaggio lungo. Quando se n’era andato, circa quattordici anni prima, aveva deciso di non spostarsi troppo lontano dalle sue radici. Il vecchio maniero di suo padre Lucas e quello del cavaliere della spada che l’aveva adottato, il suo amico Victor Astarte, erano entrambi vicino Lemish e lui non se l’era sentita di tagliare del tutto i ponti con il passato. Se si era allontanato non era certo per colpa di Astarte o dei sui cavalieri. Tantomeno per colpa di suo padre, che l’aveva dato in affido solo per proteggerlo dagli intenti oscuri della madre. Eppure si sentiva stremato, segno che emotivamente era stato davvero difficile ritornare a casa.
Il mezzelfo intrecciò le dita dietro la nuca, mentre si sistemava meglio sul comodo letto. La sua stanza era rimasta com’era, ma dall’odore di pulito e freschezza che sentiva sulle coperte, grazie a i suoi affilati sensi elfici, veniva risistemata ogni giorno o quasi. Abbozzò un sorriso amaro ripensando a quanto gli era costato andarsene. Aveva scelto di costruirsi una piccola baita sopra Chisel, a meno di mezza giornata di viaggio a cavallo da qui e per guadagnarsi il pane faceva quello che sapeva fare meglio: combattere, scortare carovane di mercanti lungo la foresta e talvolta anche liberare il passo da animali pericolosi. Alcuni villaggi l’avevano ingaggiato talvolta per togliere di mezzo anche alcune piccole bande di goblin, che si dicevano avessero preso molto più coraggio negli ultimi anni nell’infastidire gli umani, ma dal suo punto di vista restavano casi isolati.
Eppure alcuni suoi colleghi, che spesso incontrava nelle fiere di città o nei villaggi, avevano raccontato che lungo alcuni punti delle catene montuose dei monti Dargaard, le scorrerie di orchi e goblin erano aumentate sensibilmente col passare degli anni. Addirittura descrivevano creature ancor più terribili e oscure che si accompagnavano ad essi e davano sibilanti ordini nella loro lingua oscura. “Ombre alate”, le avevano definite. Ombre alate, che mettevano i brividi quando qualcuno di loro li aveva intravisti nell’oscurità.
“Fantasticherie romanzesche”, aveva sempre pensato a proposito il mezzelfo. Tuttavia, quando la sera prima di partire aveva incontrato l’ambulante che gli aveva proposto quella strana zampa artigliata riposta all’interno della teca, non era più sicuro che quei suoi colleghi fossero così fuori di testa. Stranamente se n’era sentito attratto, tanto da volerla acquistare. Il motivo? Non lo sapeva.
Kail non era mai contento quando doveva affrontare nemici oscuri, a causa del suo terribile passato. Eppure se ne sentiva affine. Rammentava bene il villaggio sterminato da orchi e goblin, vicino al maniero di Astarte: un massacro orribile! Ricordava perfettamente l’aspra battaglia scoppiata tra i figli del male e i cavalieri di Solamnia. Aveva impressi a fuoco nella memoria gli sguardi inorriditi dei suoi compagni, quando si era trasformato in una bestia sanguinaria davanti ai loro occhi. Si era strappato parti dell’armatura come fossero di carta e aveva trucidato ognuna di quelle creature malevole senza sosta, rincorrendoli e sgozzandoli uno per uno nella foresta. Fu un episodio isolato il suo, ma bastò per terrorizzarlo. Ricordava perfettamente l’oscurità che in quel momento stava divorando il suo cuore, ecco perché non temeva tanto per sé, quanto per i suoi amici. Cos’era diventato? Chi era davvero? Ne aveva parlato subito dopo con Anteus, suo padre adottivo, ed Astarte, suo tutore, ed insieme a loro aveva optato per una separazione momentanea. Per far calmare le acque, si dissero, anche se tutti sapevano che difficilmente quella ferita sarebbe potuta guarire se non dopo tanto tempo. I cavalieri infatti non l’avrebbero mai più visto come un loro pari. Già avevano faticato ad accettarlo a causa della sua natura mezzosangue, adesso sarebbe stato impossibile, visto che si era trasformato in una specie di demone senz’anima. Vedendolo smarrito e perplesso riguardo chi fosse veramente, prima di accomiatarsi, Astarte gli aveva raccontato la sua storia. O almeno la storia che di lui conosceva. Di suo padre cavaliere e di sua madre chierico oscuro, che aveva tentato di sacrificarlo neonato a chissà quale divinità malvagia. Un passato tragico ed oscuro il suo, che presagiva un futuro altrettanto buio e sofferto.
Kail Sospirò tristemente. “Avrò fatto la scelta giusta a tornare?” Si domandò, tra sé.
“Toc – Toc.”
Kail si tirò immediatamente su con la schiena. “Chi è?”
“Sono Selena… una delle governanti. Se lo desiderate, vi scorterò da Astarte. Il signore del maniero vi sta aspettando.”
“Certamente.” Rispose lapidario Kail, mentre si riprendeva in spalla lo zaino. Poi aprì la porta. Davanti a lui stava una giovane ragazza dai capelli ricci e biondi. Vestita con un semplice e comodo abito, fece un inchino quando i loro sguardi si incrociarono. Kail abbozzò un sorriso, sforzandosi di capire se poteva conoscerla, ma realizzò che era troppo giovane per riuscire a ricordarsi di lei. Magari era la figlia di un suo amico, ma erano passati quattordici anni. Troppi.
“Prego, fammi strada.” Selena gli sorrise, si voltò, ed iniziò a scortarlo per i corridoi di pietra del maniero. Ovviamente Kail conosceva benissimo dove fossero le stanze di Victor, ma le lasciò fare il suo lavoro. “Mio padre, Anteus, presiederà all’incontro?” Azzardò il mezzelfo, per intavolare una breve conversazione con lei. La giovane governante abbassò gli occhi e si intristì. “Sir Anteus purtroppo è scomparso mesi fa, milord. E’ tutto ciò che so, ma confido che Lord Astarte saprà darvi molte più informazioni di me in merito.” Anteus sparito? Perché Astarte non era venuto a dirglielo di persona? Kail serrò i pugni, ma non disse altro, trattenendo a stento la rabbia.
Arrivati alle scale che conducevano al piano superiore, fece segno a Selena di rimanere. “Da qui in poi vado da solo. Grazie per il tuo aiuto, milady.” Selena fece un inchino e sparì in un corridoio vicino. Kail salì le scale, ignorando gli sguardi degli altri cavalieri, scudieri, paggi ed inservienti, che gli passavano accanto guardandolo con curiosità. Erano tutti troppo giovani per sapere chi fosse, anche se lui non era cambiato granché. Arrivò dunque innanzi alla porta delle stanze di Astarte e bussò. “Avanti.” Replicò una bassa voce baritonale, che lui ben conosceva. Lord Victor era un uomo sulla sessantina, alto, massiccio e fiero. Indossava una semplice camicia bianca, una paio di pantaloni di cuoio e degli stivali da caccia piuttosto rovinati. Tuttavia non era disarmato. La sua armatura, con lo stemma della spada e del martin pescatore, giaceva montata su una gruccia di legno poco distante. La sua spada e il suo scudo invece erano appesi al muro, ma sistemati per essere presi facilmente in qualunque momento fosse stato necessario. Astarte si tirò con entusiasmo fuori dalla scrivania dove era infilato, posò la piuma d’oca nel calamaio e andò ad abbracciarlo. “Kail! Che piacere vederti. Sono contento tu abbia accolto la mia chiamata. Non ero affatto sicuro che avresti accettato la mia richiesta d’aiuto.” Kail abbozzò un sorriso forzato. “Beh, i cavalieri che hai mandato hanno saputo essere parecchio convincenti. Cos’è che non va, mio signore? Come posso servirti?” Il sorriso sul volto di Victor scemò pian piano. Il grande guerriero iniziò a passeggiare nervosamente per la stanza, le mani intrecciate dietro la schiena.
“Quelle che erano solamente brutte sensazioni, riguardo una guerra imminente che si stava affacciando da sud, oggi si sono trasformate in più che ansie o angosce prive di fondamento. Nel corso degli ultimi tre lustri, ognuno dei Lord della Solamnia del sud, ha inviato uomini fidati nell’Abanasinia e anche più giù, per scoprire se queste voci fossero vere o meno. Più di cento tra i nostri migliori combattenti e scout sono partiti, Kail, ma solo in otto sono tornati… e quasi tutti loro sembrano aver perso il senno, purtroppo. Solo due fonti restano piuttosto attendibili… ma sembra si siano nascosti bene. Una paura terribile pare abbia afferrato i loro cuori.” Kail aggrottò le sopracciglia, poi domandò: “Anteus… era… era tra questi?” Astarte abbassò lo sguardo, incupendosi all’istante. “Si, Kail. E’ partito due anni fa. Doveva mandare un rapporto su ciò che aveva scoperto, riguardo un’area che aveva definito “promettente”, circa sei mesi fa, ma tale resoconto non è mai arrivato. E’anche per questo che ti ho chiamato qui.” Kail lo guardava perplesso. Non era certo di riuscire a seguirlo davvero.
Fu un’intuizione, un gesto istintivo: il mezzelfo frugò nello zaino e tirò fuori la teca con la zampa artigliata. Astarte sgranò gli occhi. “Dove… dove l’hai presa?” Riuscì solo a balbettare. “L’ho acquistata a Lemish da un ambulante, che mi ha detto di averla comprata a sua volta da dei trapper elfici nell’Abanasinia inferiore.” Victor annuì, si avvicinò e domandò: “Posso vederla da più vicino?” Il mezzelfo annuì a sua volta, cedendogli la teca. Astarte la aprì e la osservò tra l’ammaliato e il disgustato. Apparteneva chiaramente ad una creatura oscura e mai vista: sembrava la zampa di un drago nero, ma cento volte più piccola. La girò e rigirò tra le dita. Poi assottigliò gli occhi e indicò un punto. “Vedi qui?” Kail si avvicinò. “Questa ferita non è causata da una trappola per orsi. Qui c’è un taglio netto…” I due si guardarono increduli. Poi Kail bisbigliò piano: “Questa è una ferita di un’arma da taglio. Segno che il suo possessore se l’è amputata di proposito piuttosto che farsi trovare o catturare.” Astarte annuì. “Un gesto volontario e razionale, di qualcuno che utilizza armi d’acciaio e non artigli e morsi per sopravvivere. Questa è l’ennesima conferma che un grande male sta tornando in vita, Kail. E nessuno più di te, dovrebbe averne sentito l’influenza. La presenza . Grandi sono le ansie e i dubbi che hanno afferrato il mio cuore in questi anni. Tuo padre Lucas me lo aveva detto quando mi ha affidato il tuo destino. Mi perdonerai se allora non te lo dissi, ma l’ho fatto per proteggerti: tua madre ti ha forgiato nell’oscurità e ha messo il suo tenebroso sigillo a cinque teste su di te. Il sigillo che porti ancora al collo. Non pronuncerò qui il suo nome, ma tu sai di chi sto parlando, vero?”
“Takhisis”, pensò tra sé Kail, impietrendo ed annuendo lentamente. Dunque il medaglione che aveva al collo rappresentava l’effige della dea oscura! Aveva senso: sua madre era un’adoratrice delle tenebre e Takhisis era la sua regina indiscussa! Fece per sfilarselo, inorridito, ma poi rammentò cosa gli era accaduto l’ultima volta che ci aveva provato durante un momento di sconforto. Era quasi morto soffocato, come se qualcuno lo stesse strangolando. Si limitò dunque a coprirlo e a farlo sparire sotto il corpetto di pelle.
“Tuttavia, insieme all’ombra convive sempre la luce, mio protetto. Anche dagli ambienti più oscuri può sbocciare la speranza. Ed è proprio qui, in questo maniero che ha deciso di farlo..”
Astarte gli sorrise, smorzando così quei toni cupi che si erano creati lungo la loro conversazione. Tornò alla scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori una rozza chiave di ferro arrugginita. “Vieni con me… “Disse poi lapidario. Kail lo seguì da presso. Victor sembrava colto da un’euforia pazzesca: camminava con una tale determinazione e tenacia, che Kail riusciva a stento ad eguagliarne il passo. Arrivarono dopo pochi minuti nei pressi di scale che portavano ad un sotterraneo. Il mezzelfo non aveva memoria di un simile ambiente, poiché qui si trovava l’antico tempio di Paladine della famiglia Astarte.
Appena varcò l’arcata di pietra e notò gli inginocchiatoi, si ricordò della leggenda di Gerardina Astarte e della sua famosa profezia. “Oggi, alla fine dei tempi, all’alba della caduta della montagna di fuoco e dell’ira degli dei, Paladine mi ha fatto dono di una visione: un giorno tornerà, e il suo arrivo porterà di nuovo gioia nei cuori dei buoni e dei giusti.” Perlomeno questo era più o meno il contenuto della filastrocca che gli avevano raccontato da piccolo le nutrici per farlo addormentare.
Astrate gli mostrò l’altare e dietro di esso il simbolo di Paladine: un triangolo di platino su uno sfondo d’argento. In quel momento Kail fu afferrato da un senso di soffocamento e angoscia inspiegabili. Mentre Astarte sembrava radioso e raggiante, più si avvicinava all’altare, Kail, pareva invece soffrire e sudare freddo. Ad un certo punto fu costretto a fare alcuni passi indietro, prima che non riuscisse più a sopportare quella sensazione straziante. Non sapeva bene spiegare come, ma percepiva che il suo disagio dipendeva dal ciondolo oscuro che aveva al collo. C’era qualcosa in quel tempio, un’aura strana, una forza primordiale benevola, oltre ogni immaginazione. Ma che a lui non faceva bene.
“E’ qui… è qui che è apparsa Kail.” Il mezzelfo lo fissò interdetto, lottando per rifiatare. “Cosa?” Sussurrò angosciato. “Non cosa, mio protetto… chi… un dono inatteso: la… speranza. Seguimi.” Ancor più perplesso di prima, ma felice di lasciare quell’antico e dimenticato tempio, Kail lo seguì. Fecero alcuni corridoi, poi delle scale, fino a fermarsi innanzi ad una piccola porta: a dire la verità, in un’ala del maniero poco vissuta da quel che ricordava. Kail udì distintamente dei rumori e delle voci dietro la porta. Astarte annunciò il suo nome ed entrò.
Era una stanza estremamente pulita ed ordinata, con un mucchio di lenzuola e cuscini profumati e tre nutrici che si stavano prendendo cura di un neonato che non doveva avere nemmeno una settimana di vita! Non c’era altro lì dentro: né armi benedette, né armature incantate indossate da chissà quale avatar di Paladine. C’era solo un bimbo appena nato e tre badanti, di cui una, la più giovane tra loro, era proprio Selena.
“Lei è Erstellen, Kail. La creazione. Il dono di Paladine!” Esclamò Astarte, indicando con la mano la neonata. “E’ apparsa due giorni fa nel tempio, giù nei sotterranei. Ce ne siamo accorti solo perché la bimba piangeva per la fame e i cavalieri di guardia sono stati attirati dalle sue grida disperate!” Kail inarcò un sopracciglio. Non che non credesse al soprannaturale: aveva un oggetto al collo che dimostrava il contrario. Lui stesso era stato posseduto da una specie di mostro senza raziocinio che l’aveva costretto a fare cose indicibili. Tuttavia, la storia “dell’apparizione divina” non sembrava reggere molto. Perlomeno esistevano spiegazioni molto meno mistiche, che potevano giustificare quell’evento molto meglio che non un intervento diretto di Paladine. Astarte, che ben lo conosceva, perché aveva il suo stesso cinico e pragmatico modo di pensare, lesse lo scetticismo nei suoi occhi e si apprestò ad aggiungere: “Nessuno poteva entrare od uscire dal tempio, Kail… è sigillato da anni e solo io ho la chiave. Non ci sono passaggi segreti, abbiamo controllato per scrupolo ogni singola pietra, ed è impossibile che qualcuno possa aver fatto una copia della chiave, visto che solo in pochissimi conoscono cosa si cela in quel sottoscala.” In effetti la sensazione che aveva provato laggiù faceva pensare a qualcosa di soprannaturale, ma guardando meglio quella bimba, Kail non percepiva nulla, nessuna fonte di potere simile a quella che quasi l’aveva soffocato nel tempio. La cosa era piuttosto strana. “Sai bene che i cavalieri un tempo servivano Kiri – Jolith e che oggi questa è un tradizione che in pochi seguono ancora. Immaginati per Paladine! No, credimi, è stato il “Drago di Platino” stesso che ce l’ha mandata. Insieme a questo…” Astarte mostrò a Kail un semplice nastrino giallo e nero. “La bimba lo aveva legato al polso…” Kail si avvicinò e prese i due fili sottili in mano. Poi alzò la testa verso Victor e chiese: “Supponiamo che tutto quello che dici sia vero. Cosa c’entro io?” Astarte salutò le nutrici e fece segno al suo protetto di uscire dalla stanza e fare quattro passi insieme a lui.
“La mia intenzione era quella di chiederti se avessi voluto aiutarmi a recuperare informazioni utili a sud, Kail. Scoprire la sorte capitata ad Anteus, ripercorrere la sua pista e portare le prove di focolai di creature malvagie che si stessero preparando alla guerra. Poi però è arrivata lei… e volevo sapere se potessi fare prima qualcos’altro per me.” Il mezzelfo lo guardò, restituendogli il nastrino. “Vorrei che tu accompagnassi la piccola al maniero degli Uth Breannar. Gerald è un mio caro amico, nonché alleato in questa missione di ricognizione a sud. Anche gli Uth Monnar e il giovane Lord Gunthar, degli Uth Wistan, stanno seguendo con interesse la questione. Ovviamente non ti manderò allo sbaraglio: ti darò una lettera di presentazione, dove ogni dettaglio gli sarà spiegato. Ma prima devi accettare l’incarico: te la senti di fare anche questo per me?” Kail schioccò le labbra, perplesso. “Mio signore, perdonami, ma non ho capito il nesso tra la bimba e gli Uth Breannar …” Astarte si passò una mano callosa sul viso, come se avesse dimenticato di dire qualcosa d’importante, ed annuì. “Te lo spiego subito.” Disse. “Due giorni fa, la sera prima dell’arrivo di Erstellen, ho avuto una visione mentre ero a cena, da solo, innanzi al fuoco del camino. Tra le fiamme, ho scorto un drago di bronzo che mi osservava. Non parlava, ma il suo sguardo, severo ma benevolo, mi stava avvisando che presto sarebbe successo qualcosa d’importante… qualcosa che mi avrebbe condotto a prendere una decisione fondamentale per il destino della Solamnia. Forse per il destino di tutto Krynn.” Kail rovistò nella sua mente nel tentativo di trovare un collegamento logico tra il drago di bronzo, quel neonato e gli Uth Breannar, ma non ci riuscì. Ma quando il suo sguardo attento cadde sul nastrino giallo e nero in mano ad Astarte, finalmente capì. Lo stemma degli Uth Breannar ritraeva proprio un drago di bronzo in uno sfondo giallo e nero! “Quindi ritieni che quella neonata… sia destinata agli Uth Breannar… per via della tua visione e di quel nastrino nero e giallo?” Il cavaliere della spada annuì. “Ragazzo, la questione è molto più grande di quello che credi. Dovresti sapere che gli esponenti della mia famiglia sono storicamente molto “percettivi”. Inoltre, se la bimba rimane qui, sarà in pericolo. Presto la notizia del dono di Paladine si spargerà per tutta l’area e parecchi malintenzionati vorranno mettere le loro sudice mani su di lei. Per venderla a chissà quale falso chierico pazzoide o mago oscuro… mentre se la diamo in affidamento ai nostri amici, potrò chiudere la questione dicendo che si trattava solo di un macabro scherzo. Che qualcuno aveva rubato la chiave del tempio di Paladine, ed aveva inscenato tutta la vicenda per coprire che so, uno scandalo… mi inventerò qualcosa a riguardo.” Kail spostò lo sguardo da Victor al corridoio. Poi disse: “Questo ha senso. Indipendentemente se quella bimba sia davvero quello che dici, con tutti i matti che girano di questi tempi, qui sarebbe davvero in pericolo. D’accordo, la scorterò, ma quando tornerò parleremo di questioni meno mistiche e più pratiche. Va bene?” Astarte annuì. “Non ho perso le speranze di trovare mio padre e voglio sapere ogni cosa sulla sua missione…” Aggiunse Kail a denti stretti. “Figliolo, anche io rivorrei indietro il mio maestro d’armi. I nostri obiettivi non sono così distanti.” Così, i due tornarono nelle loro stanze e si prepararono per la cena. Kail era tornato a casa per aiutare il suo tutore, ma non si sarebbe certo aspettato compiti così strani e particolari. Lui era un guerriero, non una spia e di certo nemmeno un babysitter.