La prima cosa che il mezzelfo riuscì a fare quando si riprese fu aprire a fatica gli occhi. Grevi, pesanti, arrossati. La seconda fu gemere per il dolore terrificante. Un dolore assoluto. Un dolore di morte. Cercò di realizzare dove si trovasse e se il suo corpo ancora rispondesse ai suoi comandi, ma gli era oltremodo difficile fare anche i movimenti più semplici. La spalla gli causava, ad ogni piccolo spostamento, un’agonia indicibile. Perlomeno, grazie ad essa, sapeva di essere ancora vivo. Con uno sforzo sovrumano, riuscì a tirarsi su dal letto sul quale era stato adagiato. Era molto confuso, la testa gli girava, ed aveva la vista annebbiata, ma era quasi certo di trovarsi alla “Ghiandaia Verde”: la locanda principale di Elmwood. Almeno così gli sembrava, da quel poco di familiare che poteva notare nella stanza. Vedeva immagini non sfocate, ma scolorite: come nei ritratti in bianco e nero degli artisti da strada, che talvolta incontrava girando per i mercati. Traballante, si mise in piedi. Si avvicinò allo specchio: uno specchio ovale a misura d’uomo. Notò che la spalla destra era fasciata, ma quando si sporse per controllarla meglio, notò che sotto di essa spiccava una macchia scura, diramata come le zampe di un grosso ragno, chiaramente infetta. Kail scosse la testa: questo proprio non ci voleva! Margareth, la proprietaria della locanda, doveva averlo medicato, ma il veleno aveva camminato troppo ormai e probabilmente per lui c’era ben poco che si potesse fare. Era nelle mani degli dei! Sospirò affranto. Poi tirò su la testa fieramente e sussurrò tra sé preoccupato: “Dov’è Erstellen?” Una folata di panico lo investì come un’onda d’alta marea. Incurante dell’agonia e della sofferenza che provava, girò la maniglia e uscì. Era strano però: non c’erano rumori, né lontani e né vicini, o perlomeno lui non riusciva ad udirli. Letteralmente trascinandosi, appoggiandosi sulla parete, prese la direzione delle scale ma poi si fermò quasi subito. Aveva forse percepito qualcosa che l’aveva richiamato alle sue spalle: dall’altra parte, alla fine del corridoio, in una delle ultime stanze, si era levato lieve il pianto di un bambino. O così gli era sembrato. Lo scout, ansimando e tossendo, girò la testa verso quel suono e cambiò direzione. Fece alcuni passi strascicati, ma poi finì sul pavimento di legno con un grido strozzato. Il fatto di aver fatto leva con le mani per non finire a faccia a terra, gli aveva causato una pena che mai ricordava di aver provato in tutta la sua vita. Il pianto persisteva e Kail si aggrappò a quello, come gli erranti nel deserto facevano coi miraggi. Gattonò per qualche metro e poi coraggiosamente si rimise in piedi. Non fu difficile trovare la camera da dove salivano i gemiti del bambino: erano per lui adesso come il richiamo delle sirene per i marinai o la stella maestra per i naufraghi. Arrivato alla porta bussò per istinto, ma non ricevette risposta. Quindi girò il pomello ed entrò. La stanza era profumata e piena di colore: il sole filtrava dalle finestre e irradiava la sua poderosa luce su ogni cosa, ma in particolare su una culla di vimini sistemata sul letto. Come Kail si avvicinò, il pianto si interruppe di colpo. Poi il mezzelfo si affacciò e guardò nella cesta. I suoi occhi erano offuscati dal dolore e dal veleno, ma la riconobbe subito. Era proprio la piccola Erstellen! Lui abbozzò un sorriso e quando lo fece, le piccole manine della bimba sembrarono protendersi verso di lui. Kail sapeva che era impossibile: era una neonata e non c’era la minima chance che lei potesse riconoscerlo, né tantomeno chiedergli qualcosa in maniera così diretta. Eppure pareva proprio che stesse invitandolo a prenderla in braccio! Quando la afferrò e la tirò a sé, la luce del sole sembrò espandersi ancor di più, accecandolo ed avvolgendolo in un tenero abbraccio per alcuni brevi istanti. Tuttavia, il suo tocco non portò solamente esperienze positive: infatti un senso di soffocamento e di ansia iniziarono a salirgli su dal medaglione di sua madre. Kail strinse i denti e chiuse gli occhi, ma non lasciò andare la piccola. Anzi, la tenne ancor più stretta a sé. Finché la luce si trasformò in tepore e il tepore in benessere e fu in quel momento che il dolore sparì! Quando riaprì gli occhi, si trovava di nuovo disteso su un letto molto simile al precedente, ma esattamente nella stanza che ricordava affittare ogni volta, quando si vedeva costretto a rimanere ad Elmwood per passare la notte. Qui dentro era tutto molto simile a quella precedente, ma due cose sostanziali erano adesso cambiate: la spalla non gli faceva più male e la camera sembrava come dire, più colorata, più piena! Kail si passò una mano tra i capelli, cercando di convincersi che la sua esperienza appena passata fosse stata solo uno sogno particolarmente realistico. Poi si voltò verso la porta. Una bambina dai capelli castani, lisci e lunghi, vestita con abiti da ostessa, lo stava osservando probabilmente già da qualche secondo. Sembrava stupita di vederlo desto e seduto sul letto! Il mezzelfo non fece in tempo a dirle nulla, che la ragazzina scappò via. “Si è svegliato!” Ripeteva di continuo, con voce stridula e acerba. Kail si sentiva un po’ rallentato, appannato, ma nel complesso stava bene. Si avvicinò allo specchio e controllò di nuovo la ferita. Il bendaggio era spesso, ma adesso non si vedeva alcuna infezione lì sotto, segno che il veleno era stato del tutto estirpato. Corrucciò la fronte: era abbastanza sicuro di aver sognato prima, ma il dolore era stato molto reale. Com’era possibile che adesso era sparito, insieme al veleno? “Finalmente ti sei svegliato… non pensavo ce l’avresti fatta stavolta: la tua spalla stava davvero messa male. Fammi dare un’occhiata…” A parlare era stato Kernan Lorgest, un ergothiano alto grosso e burbero, che di mestiere faceva il cerusico. Fortunatamente era un suo amico. L’uomo fece sedere Kail sul letto, ed iniziò a controllargli il bendaggio. Il mezzelfo lo ringraziò per averlo salvato e domandò quanto tempo era rimasto incosciente. Kernan lo guardò. Non era più giovanissimo, aveva superato i quaranta e sapeva capire al volo quando una persona andava di fretta. “Hai dormito dodici ore filate…” Il mezzelfo sgranò gli occhi e si alzò di scatto dal letto, chiedendo apprensivamente dove fosse e come stesse la bambina che aveva con sé. “La bimba sta bene… Margareth si sta occupando di lei.” Rispose Kernan con un sospiro. Poi con una mano invitò l’amico a tornare sul letto. “Non vuoi che ti controlli prima il braccio? Stava davvero messo male ieri sera e francamente non ero affatto sicuro che ce l’avresti fatta a passare la notte. Il veleno aveva camminato troppo…” Kail annuì, spiegando che anche lui era rimasto assai sorpreso da questo miracolo, ma voleva vedere la bambina prima di fare qualunque altra cosa. Il cerusico acconsentì condiscendente. “D’accordo… Jole?” Urlò. La ragazzina si affacciò di corsa. “Vai a chiamare la mamma per favore… dille di portare la bimba.” Concluse, mentre la osservava sparire nel corridoio. “Ora posso guardarti la spalla?” Grugnì, in un modo che non lasciava spazio ad altre obiezioni. Kail si sedette e lasciò che il cerusico facesse il proprio lavoro. Quando guardò il suo volto, non seppe se preoccuparsi o gioire. “È … è incredibile! La spalla ha una ferita, ma è pulita: non c’è più traccia del veleno! Sono certo fosse un veleno mortale, di quelli che usano gli assassini, ma evidentemente mi sbagliavo. Hai la pellaccia davvero dura mezzelfo, complimenti. Lassù qualcuno ti vuole bene.” Kail era parecchio confuso. Era sicuro che fosse stato Kernan a dargli un antidoto per il veleno, ma a quanto pare non era stato così. Inoltre, dubitava fortemente che fosse solo grazie alla sua tempra che fosse ancora vivo. Non restavano molte opzioni allora: quel sogno, forse, era stato qualcosa di più di un semplice, delirante viaggio onirico. Forse la bambina l’aveva davvero salvato. “Ehi Kail, ci sei? Ho chiesto cosa diavolo ti è successo?” Il mezzelfo abbassò il capo, perso nei suoi pensieri. Poi raccontò cosa gli era capitato nel bosco, omettendo per adesso la questione del corvo per non inquietare oltremodo il suo interlocutore. “Uhm, strano… i boschi di Lemish sono abbastanza tranquilli in questo periodo… è molto probabile che i tuoi assalitori venissero da fuori. Che hai fatto per farli incazzare in quel modo?” Il mezzelfo fece spallucce, commentando che stava solo portando a termine il proprio lavoro. Kernan tornò a guardarlo con bieco cipiglio. Schioccando le labbra domandò: “Posso domandarti da quand’è che vai in giro con le neonate?” Kail sorrise amaro, spiegando che era proprio quello il lavoro che gli era stato commissionato: accompagnare quella bambina, figlia di una famiglia molto importante, dai suoi futuri tutori. Non poteva dire molto altro sull’argomento, ma ritenne di non aver mentito all’amico poi così tanto. In fondo, secondo Astarte, Erstellen era la “figlia” della famiglia più importante di tutti, quella di Paladine in persona! Fortunatamente per lui, una donna non più giovanissima, dai tratti giunonici, entrò trafelata nella stanza e riuscì a sviare la discussione. Portava con sé una piccola cesta di vimini stretta nella destra, mentre con la sinistra teneva al petto una neonata. Kail si rasserenò come la vide. Margareth gli sorrise e gliela porse. “Ecco a te. Le ho dato da mangiare, l’ho cambiata e ho messo nella cesta dei panni di lana per tenerla al caldo…” Disse con dolcezza, mentre si scostava dal viso una ciocca di capelli neri che lentamente si stavano velando di grigio. Dietro di lei, sua figlia Jole osservava tutto in silenzio. Vedendo lo sguardo apprensivo e preoccupato di Kail, l’ostessa fece un passo avanti, gli afferrò un braccio e disse: “Senti Kail… tre brutti ceffi sono venuti alla locanda ieri sera. Hanno cominciato a fare delle domande piuttosto insistenti su un mezzelfo e una bambina. Fortuna che c’era Galeth, che ha consigliato caldamente loro di consumare qualcosa in silenzio o lasciare immediatamente la locanda e se ne sono andati. La cosa stava iniziando a prendere una brutta piega. ” Kail ci mise poco a realizzare chi fosse Galeth: un mercenario umano abile con la spada, che si guadagnava da vivere più o meno come faceva lui e che, come lui, aveva un codice d’onore molto personale che gli impediva di prendere lavori sporchi come coloro che lo stavano pedinando per ucciderlo. Un paio di volte avevano anche collaborato, con successo, in missioni comuni. “Kail, ti consiglio di lasciare la bimba qui al sicuro ed andare a parlare con Galeth… credo sia ancora giù a bere birra. Non so dove tu stia andando, ma non sei ancora in condizione di combattere tre assassini da solo. Magari lui potrebbe aiutarti…” Disse l’ergothiano, vedendo il mezzelfo in seria difficoltà. Lo scout non riusciva a staccare gli occhi da Erstellen. Kernan gli appoggiò allora una mano sulla spalla.“Dai retta a me: vai giù a mangiare qualcosa. Così ne approfitti per fare due chiacchiere con lui… Galeth è un tipo a posto.” Kail spostò il suo sguardo vagamente obliquo dalla piccola all’amico cerusico. Poi annuì, lasciando la bimba di nuove nelle sapienti mani di Margareth. Vedendo ancora la sua riluttanza ad allontanarsi, la donna sospirò e disse: “Non temere, abbiamo nascosto subito il tuo cavallo e la bambina è al sicuro qui con me. Vai tranquillo, nessuno saprà del nostro segreto.” Lui la guardò con grande intensità. Poi la ringraziò e si diresse alle scale che portavano al piano di sotto. Era quasi l’ora di pranzo e le cucine iniziavano a lavorare per saziare i bisogni dei molti avventori che riempivano ad ogni ora la locanda. D’altronde, era anche normale: la “Ghiandaia Verde” era la taverna più importante di Elmwood! Tra la confusione generale e i vapori che salivano di continuo dalle cucine, non fu immediato per Kail trovare Galeth. Finché un uomo muscoloso sulla quarantina, vestito di pelli e ornato di parecchi monili, bracciali e catene, alzò un grosso bicchiere nella sua direzione per invitarlo ad avvicinarsi. Teneva i capelli corti, neri e brizzolati, ed aveva orecchini d’oro ad entrambi gli orecchi. Inoltre, indossava una rozza armatura di maglie, ed aveva un grosso spadone legato alla schiena. “Sono contento di vederti in piedi. Da quel che mi hanno detto, te la sei vista brutta…” Kail annuì, raccontando anche al mercenario la sua disavventura nella foresta e dei suoi assalitori. Tre loschi ceffi, armati di armi avvelenate. Gli domandò, per prima cosa, se era riuscito a riconoscerli quando ci aveva parlato.“No. Non sono riuscito a vederli in faccia, ma credo proprio che non bazzichino questi posti. Credo vengano dalla “Godsfell Woods”… ormai quel dannato bosco è diventato un posto davvero poco raccomandabile …” Galeth fece una smorfia di disappunto e portò il boccale alle labbra. Innanzitutto Kail lo ringraziò per averli cacciati via: con quel gesto probabilmente gli aveva salvato la vita. Poi tornò a fargli delle domande sulle bande di assassini che circolavano nella foresta più a nordest. “Ci sono diversi gruppi di tagliagole e banditi laggiù. Ma le principali bande sono tre… “le lame silenti”, il “dente di drago” e il peggiore di tutti: il “corvo rosso”.” Disse laconicamente Galeth, tornando a sorseggiare birra. “Si dice che il capo del corvo rosso sia un ex stregone rinnegato: un tipo senza scrupoli e senza alcun codice morale. Si mormora che abbia contatti estesi su tutto il continente, perfino nella gilda dei ladri di Palanthas. Il classico personaggio da cui tenersi ben lontani.” Continuò poi il mercenario, controllando la reazione del mezzelfo. Kail gli parlò dell’inquietante corvo che l’aveva seguito, stanandolo ogni volta e Galeth annuì inarcando un sopracciglio, palesando una punta di preoccupazione.“Se è davvero il “corvo rosso” che ti cerca e credo proprio che sia così, vuol dire che dietro c’è qualcuno che paga tanto e bene. Su questo puoi starne certo.” Vedendo lo sconforto nel suo sguardo e reagendo più come fosse sorpreso che infastidito per questo, Galeth aggiunse: “Posso consigliarti solo una cosa, mezzelfo: se hai tre di loro alle calcagna e stai svolgendo un compito dove la segretezza è tutto, te ne devi sbarazzare prima di raggiungere il posto dove stai andando. Altrimenti loro lo verranno a sapere e renderanno vani tutti i tuoi sforzi.” Era ovvio che Kail sapesse perfettamente tutte queste cose, ma stava ancora valutando se fosse il caso coinvolgere fino in fondo quel mercenario. Era un tipo a posto, ma non poteva rischiare di mettere in pericolo Erstellen se qualcosa dovesse mettersi male. Per cui si limitò a parlare vagamente sull’importanza di quella commissione e dei suoi legami forti con i committenti. Non era un incarico che stava svolgendo per soldi, ma per onore. Galeth annuì e sospirò a fondo. Poi disse: “Senti mezzelfo, tu mi stai simpatico e sei un tipo leale, quindi mi piaci ancora di più, ma se ti vuoi mettere contro quelli del “corvo rosso”, devi sapere che se farai un passo falso, non rischierai solo la tua vita, ma anche quella delle persone che ti hanno commissionato questo lavoro. Se anche solo uno di quei tre furfanti sopravvive, sarà un grande problema, per loro e per te…” Lasciò poi andare il boccale ormai vuoto, mentre Jole aveva portato al tavolo sidro e patate speziate per Kail: la sua accoppiata preferita! Pulendosi le mani sui pantaloni di cuoio, Galeth si alzò e aggiunse frettolosamente: “Molto bene, io sto andando via. Se c’è qualcosa che posso fare per te, dimmelo adesso. Non avrai un’altra possibilità.” Kail spostò di lato il piatto e si convinse, offrendo al mercenario di aiutarlo nella sua missione. Galeth non disse nulla, limitandosi ad osservarlo con attenzione e a rimettersi seduto lentamente.“Va bene, sentiamo… di che si tratta? Sai che non prendo tutti i lavori che mi vengono proposti.” Il mezzelfo a quel punto parlò della bambina e del lavoro come sua scorta che gli era stato commissionato. “Dunque è vero quello che dicevano quelle tre canaglie … hai una bambina con te. E dove la stai portando?” Kail non gli parlò degli Uth Breannar, ma di un posto a sudovest che doveva raggiungere il prima possibile. “D’accordo. Quanto è la paga?” Kail provò a mercanteggiare, ma poi fece la sua offerta. Galeth rispose d’un fiato, facendo capire al mezzelfo che qualunque cifra offerta sarebbe andata bene, vista la natura dell’incarico. “Di norma costo molto di più, ma va bene quello che mi hai proposto. Hai la mia spada per questo lavoro. Ma te lo dico prima: non mi muoverò senza un buon piano. Se quelli scoprono che sono invischiato, non lavorerò mai più da queste parti… oltre al fatto più che probabile che ci rimetterei la pelle.” I due buttarono giù una linea d’azione, decidendo per una strategia che Galeth alla fine ammise che poteva funzionare. Li avrebbero attirati al “passo dell’orso”: una strettoia tra la città di Kyre e i monti Garnet. Galeth sarebbe andato prima e si sarebbe appostato laggiù, in attesa dell’arrivo degli assassini. Kail invece sarebbe partito all’imbrunire. Prima c’era una cosa che doveva stabilire con Margareth. I due si salutarono, poi il grosso mercenario uscì dalla locanda dirigendosi alle stalle. Kail invece entrò in cucina e domandò all’ostessa se avesse un minuto da dedicargli. Maragreth stava armeggiando con il biberon di Erstellen e preparando la sua cucina, ma si liberò per ascoltarlo. Kail venne subito al punto: necessitava dell’aiuto della donna, affinché tenesse la piccola al sicuro quel tanto che bastava per liberarsi dagli assassini che lo volevano uccidere e aveva bisogno di una bambola di sua figlia Jole per riuscirci. All’inizio Margareth non riusciva a capire, ma poi ci arrivò: Kail aveva intenzione di portare con sé una “finta Erstellen”, così da non destare sospetti con quel maledetto corvo e al contempo non rischiare la vita della bambina inutilmente. Perfino Piotr, il ragazzo dietro al bancone, poteva essere una spia del “corvo rosso” per lui adesso, pertanto suggerì alla donna silenzio assoluto e discrezione massima. Margareth annuì. Lo scortò di sopra, gli fece dono di una bambola della figlia e lo rassicurò che nessuno si sarebbe avvicinato alla sua protetta durante la sua assenza. Lo giurò sulla sua stessa vita. Kail annuì e volle ricompensarla per questo gesto, offrendole dei soldi con cui comprare un bel vestito alla figlia. Poi si diresse nelle sue stanze e iniziò a preparare il suo equipaggiamento. Verso sera, notò quel dannato corvo dagli occhi di brace appollaiato su un ramo di un albero poco distante dalla locanda. Era chiaramente in attesa di un suo passo falso. Tuttavia, questa volta la sua presenza non lo infastidì affatto. Anzi, era contento che chi lo stava cercando l’avesse infine trovato. Quindi uscì, palesandosi senza problemi e si diresse alle stalle, portando con sé la cesta di vimini con dentro la bambola di pezza. Si issò su Aghnes e uscì spavaldamente al trotto. Mentre cavalcava verso il “passo dell’orso”, più volte percepì il pericolo attorno a sé, ma si rese conto che la bambina non era un limite solo per lui, ma anche per chi lo voleva morto. Finché l’avesse tenuta legata addosso infatti, nessuno sarebbe stato così sciocco da rischiare di colpirla scoccando dardi avvelenati da lontano. Lo stavano attirando in trappola nella strettoia, dove avrebbero potuto aggredirlo da sopra e da più punti ai lati, non sapendo però che questo era esattamente ciò che egli voleva. L’ultimo pensiero, prima di arrivare a destinazione, Kail lo offrì ad Erstellen: non era ancora convinto che fosse una creatura benedetta, ma di sicuro non era un bambina come le altre. Era speciale. Davvero speciale.