Kail procedeva verso il “passo dell’orso” tenendo i sensi all’erta e facendo attenzione a non destare il minimo sospetto in chi lo stava seguendo. Si era perfino accampato per fingere di allattare Erstellen, accendendo un fuoco e riscaldando il latte per sfamarla. Ogni suo movimento era misurato, calcolato. Comunicava ai suoi pedinatori che egli sapeva di essere seguito e che non sarebbe stato saggio aggredirlo lungo la strada perché avrebbero rischiato di colpire la bambina. La stretta gola tra i monti Garnet si avvicinava sempre di più e le erte e scoscese pareti rocciose sembravano alzarsi ad ogni metro, tanto Aghnes stava scendendo verso il basso. Il cielo era purtroppo plumbeo e né le stelle, né le due lune, offrivano quella luce che sarebbe stata utilissima nella sua situazione. Tuttavia la vista di Kail era per metà elfica e quindi, nonostante l’oscurità, gli offriva una visuale chiara sicuramente migliore di quella degli umani. Era una fortuna, perché quando passò col cavallo vicino ad una grossa pietra, di lato al sentiero, notò qualcosa su di essa che solo uno della sua razza poteva sperare di riuscire a notare. Kail corrucciò la fronte e scese da cavallo. Fingendo di appostarsi per espletare un bisogno fisiologico, si avvicinò al sasso e lo guardò meglio. Erano già diversi minuti che non sentiva più la sensazione oppressiva di essere osservato, segno che gli assassini l’avevano superato ed erano andati a prendere posizione lungo la strettoia approfittando delle sue pause. Tuttavia, perché rischiare? Meglio continuare con la sceneggiata. Ciò che sembrava una semplice scalfittura sulla pietra, osservandola meglio, aveva in realtà una forma ben precisa. Troppo precisa. Come fosse un segnale, un avvertimento o un messaggio messo lì per lui. Solo Galeth avrebbe potuto fare una cosa del genere! Avendo già lavorato insieme e conoscendolo abbastanza a fondo, aveva più che senso. Si trattava di un rozzo triangolo che mostrava una linea che lo divideva a metà. “Che diavolo vorrà dire?” Si interrogò il mezzelfo, mentre tornava verso Aghnes. “Il triangolo potrebbe rappresentare la montagna, mentre la linea in mezzo… il sentiero che passa attraverso la gola. Non capisco però come da questo potrei dedurre che cosa stai cercando di dirmi, Galeth.” Kail sapeva bene che il mercenario era un guerriero troppo esperto per agire in maniera superficiale e poco chiara, pertanto concluse che quel segno non doveva essere l’unico che aveva lasciato in giro. Infatti, mentre continuava a scendere, proprio a ridosso dell’ultima curva, scorse un’altra grossa pietra sporgente, che palesava un altro di questi disegni quasi invisibili. Il mezzelfo rallentò la sua puledra fin quasi a fermarla, fingendo di scartare di lato per evitare i sassi sulla sconnessa strada in discesa. Poi si voltò alla sua sinistra, ed incollò lo sguardo su quella nuova incisione. Era molto simile alla precedente, ma non del tutto. Questa volta il triangolo aveva non solo un segmento che lo tagliava in due, ma anche tre trattini in più: tre piccole linee, posizionate in maniera precisa sul grezzo graffito. Una era stata messa a destra, solitaria, proprio sotto la parte iniziale del tratto centrale. Le altre due erano state posizionate invece sulla sinistra, appena sopra e appena sotto l’inizio dello stesso tratto. Kail abbozzò un sorriso astuto. Ora aveva capito. Galeth gli stava dicendo che un assassino lo stava aspettando all’inizio della via che tagliava il passo. Gli altri due invece si trovavano alla fine, uno davanti l’altro, probabilmente ad attenderlo per impedirgli la via di fuga, qualora fosse riuscito a sfuggire all’agguato del primo sicario. Come Aghnes mise finalmente le zampe sulla superficie pianeggiante del sentiero, Kail tornò a sentirsi spiato e ben presto scoprì anche il perché. Sopra di lui infatti, quel maledetto corvo aveva iniziato a volteggiare sbucando praticamente dal nulla. Il medaglione aveva iniziato a scaldargli il petto, ed ora anche a vibrare leggermente. Questi stimoli, che il monile di sua madre rimandava, gli erano ancora poco chiari, ma ogni volta che quell’artefatto maledetto reagiva in qualche modo, significava che gli stava per succedere qualcosa di strano o di pericoloso. Kail mise per istinto mano alle spade, poi però cambiò idea, optando per un’arma da tiro, afferrando invece l’arco. Appoggiò la freccia sulla cocca, ed attese. Sperò solo che Galeth fosse lì con lui: era ancora molto debole e non gli sarebbe bastata soltanto la sua vista elfica questa volta per uscire incolume da quel pasticcio. Il corvo gracchiò due volte e il riverbero del suo acuto richiamo riecheggiò per diverse volte lungo l’intera gola. Tutti i sensi del mezzelfo si destarono insieme, preparandolo al peggio: quello era chiaramente un segnale.  Poi l’uccello si allontanò verso ovest. In quel momento, una sagoma esile ed ammantata di nero, uscì da dietro le rocce con una balestra carica in mano. Dopo appena un battito di ciglia, Kail si voltò e puntò l’arco su quella figura: quel tizio poteva essere abile quanto voleva, ma lui era per metà elfo e sarebbe stato sempre più veloce di un semplice essere umano. Tuttavia, sebbene in netto vantaggio, prima di tirare udì una voce tonante alle sue spalle. La voce di Galeth: “Il corvo! Non lasciarlo fuggire!” Fu solo grazie ai suoi riflessi allenati che il mezzelfo riuscì a cambiare obiettivo  in un attimo. Mirò verso l’ultima posizione dove aveva visto il corvo, riuscì a scorgerlo appena e scagliò comunque la sua freccia. Senza pensare. Quel suono così caratteristico non fu l’unico che Kail sentì, mentre solcava il vento leggero che attraversava le pareti montane. Quasi contemporaneamente, due fischi simili sibilarono molto vicini a lui. Uno centrò il sicario al petto, l’altro gli sfiorò l’avambraccio, graffiandolo appena. Nel frattempo in cielo, il corvo gracchiò un’ultima straziante volta prima di cadere a piombo sul terreno. Un colpo da maestro! Mentre Galeth finiva il lavoro infilzando l’assassino con la spada, Kail si rammaricò per l’ennesimo colpo di sfortuna. Quella piccola ferita sul braccio non era niente per uno della sua tempra, ma poteva rappresentare una condanna a morte, se colui che l’aveva appena aggredito avesse usato un veleno diverso dalla sera precedente. Infastidito e preoccupato, scese da cavallo e andò a recuperare sia la freccia che il corvo. Poi raggiunse Galeth, ed insieme a lui sgombrò la strada dal corpo del sicario. Purtroppo egli non aveva niente di utile con sé, se non pochi spiccioli nelle tasche. Kail ringraziò il mercenario per le indicazioni sulle pietre e per aver sventato l’agguato, sperò solo che la lieve ferita che si era procurato non gli sarebbe stata fatale. Galeth scosse la testa, rassicurandolo: i tre assassini non avrebbero avuto il tempo di preparare o procurarsi un nuovo veleno in così poco tempo. Poi si schiarì la possente voce e disse: “E’ andata bene! Ora però viene il difficile: dovrai simulare di esser sfuggito all’agguato per un soffio, allontanandoti al galoppo. Le altre due canaglie si sono appostate per tagliarti la strada alla fine del passo, ed impedirti la fuga. Già saranno sospettosi per via del corvo che hai fatto fuori. Dobbiamo agire subito, senza perdere tempo!” Kail annuì e risalì a cavallo con un unico, fluido movimento. Mentre afferrava le redini, Galeth aggiunse:  “Puoi fingere di esserti ferito e cadere da cavallo, ma dovresti conoscere il punto migliore per farlo… questo mi darebbe di sicuro il tempo di intervenire. L’assassino avrà solo un colpo a disposizione, per cui non rischierà, se ti potrà finire da vicino.” Kail aveva già spronato Aghnes, quando Galeth si fece sentire di nuovo: “Mezzelfo: è assolutamente fondamentale che nessuno di loro sopravviva o né io e né te potremo più tornare da queste parti senza che provino ad ammazzarci ad ogni metro. Fai quello che vuoi, ma fallo bene.” Kail si gettò in una corsa furiosa: aveva mille pensieri in mente e mille strategie, ma di nuovo si affidò all’istinto. Appena percepì il suo medaglione vibrare, prima rallentò, poi si fermò del tutto, lasciandosi cadere di peso sul terreno roccioso. Teneva entrambe le spade sotto il mantello, proprio sopra la fascia che teneva ferma la bambola di pezza. Rimase così, immobile, sperando che Galeth lo raggiungesse il prima possibile. Nella sua posizione non poteva vedere ciò che stava succedendo, ma udì chiaramente delle voci che si facevano sempre più vicine. “Quel dannato mezzelfo è caduto proprio sulla bambina!! Se l’ha ferita o peggio, gli strapperò via gli occhi dal cranio! Vado a controllare, tu tienilo sotto tiro, che quel maledetto già avrebbe dovuto essere morto e sepolto da ieri!” Il rumore dei passi diventava sempre più forte, quindi Kail afferrò le spade, pronto a tutto.  Il medaglione vibrava sempre di più: forse significava che il pericolo si faceva sempre più vicino? Quando sentì un respiro pesante proprio sopra di lui, si preparò ad agire. Il sicario lo girò col piede e quando si stava accovacciando per controllare la bambina, Kail scattò in piedi come un gatto, armi in pugno. In quel momento, un grido di guerra si levò alle spalle del sicario, che imprecò cercando di capire cosa diavolo stesse succedendo. Il dardo dell’altro assassino sibilò parecchio sopra la testa di Kail, che ingaggiò subito il nemico che aveva davanti. L’altro aveva gettato la balestra e stava fronteggiando Galeth con i suoi due pugnali. Lo scontro fu aspro, ma Kail ebbe la meglio, trafiggendo infine a morte l’assassino. Dal fatto che non avesse vertigini, né alcun altro sintomo debilitante, comprese che ormai era diventato immune o comunque resistente al tipo di veleno che utilizzavano i sicari del “Corvo Rosso”! Nel frattempo, anche il mercenario che lavorava con lui aveva ucciso il suo avversario. Kail si fermò un secondo a riprendere fiato: non si sentiva ancora granché bene, ed aveva urgente bisogno di riposo. Poi raggiunse Galeth e insieme a lui prese a perquisire i cadaveri dei loro aggressori. Trovarono delle monete d’oro e una pietra rossa, probabilmente magica, visto che il suo medaglione si era scaldato leggermente quando l’aveva afferrata. Inoltre, il sicario che aveva affrontato aveva anche un foglio di pergamena ripiegato nelle tasche. Esso recitava così: “Kumik, prendi due dei tuoi e recati al feudo Astarte. Porta con te uno dei cristalli ematoidi, ti saranno utili. Il bersaglio è una neonata, accompagnata da un mezzelfo. Liberati di lui e portami la bambina. Questo è un lavoro commissionato da Lord V. in persona. Inutile dirti quanto sia importante dunque. Fai bene il tuo lavoro e ti sarai guadagnato 100 pezzi d’oro, oltre tutto ciò che il mezzelfo porta con sé, denaro compreso. Non deludermi o morirai! Firmato: Il “Corvo Rosso”.” Kail e Galeth si divisero il bottino, poi presero a discutere sulle prossime mosse da fare. Per prima cosa, Kail mostrò la pietra rossa al compagno. Che commentò così: “Non so cosa sia quel cristallo, ma credo sia collegato ai corvi… da quel che ho sentito dire in giro, pare che sia con quegli affari che li controllano.” Il mezzelfo prese a rigirarlo tra le dita. “Bisognerebbe chiedere ad uno stregone…” Pensò, nascondendo infine il cristallo in una piccola sacca. Poi tirò fuori il sacchetto di monete che gli aveva affidato Astarte, lo aprì e fece per pagare Galeth per il suo lavoro. “Che vuoi fare adesso mezzelfo?” Disse Galeth laconico. Kail si fermò e lo guardò perplesso, non essendosi aspettato una domanda del genere. Gli chiese cosa intendesse dire, mentre ancora teneva aperto a metà il sacchetto con le monete. “Sei sicuro che vuoi che le nostre strade si dividano? Come speri di poter lavorare ancora qui, in questa zona, con quei furfanti alle calcagna? Non avranno pace finché non ti metteranno le mani addosso o scopriranno dove vive la bambina, lo sai questo, vero?” Kail annuì, ma spiegò al mercenario che dopo l’affido della bimba, avrebbe intrapreso un lungo viaggio verso sud, per una importante missione nell’Abanasinia e che quindi la cosa lo toccava solo marginalmente. Gli disse anche che avrebbe gradito moltissimo il suo aiuto, ma che non aveva osato spingersi a tanto perché avrebbe implicato per lui lasciare ogni cosa per seguirlo. Gli pareva una missione un po’ troppo “definitiva” insomma. Galeth rimase in silenzio per diversi intensi secondi, contemplando le sue parole, poi rispose che, sebbene avrebbe avuto bisogno di conoscere bene i dettagli di quell’incarico prima di accettare, non c’era nulla lo legava a questi luoghi. Anzi, cambiare un po’ aria avrebbe potuto anche fargli bene. A quel punto Kail lo pagò, poi si fece aiutare a spostare i corpi dei sicari e insieme tornarono alla locanda. Ne avrebbero parlato meglio davanti ad una birra. Arrivarono di prima mattina, ma la “Ghiandaia Verde” era già aperta. Kail trovò la piccola Jole che stava allattando Erstellen nella sua stanza e questo semplice gesto riuscì a strappargli un sorriso compiaciuto. Molte cose gli sarebbero mancate della Solamnia: la sua casa, quella gente così umana e disponibile e perché no, anche vivere alla giornata. Tuttavia, partire con Galeth, sapendo che Erstellen era al sicuro, gli alleggeriva il cuore e questo era sicuramente un bene.