“Abbiamo ospiti.”
“Credo che rimarremo ancora qui viste le circostanze”
«Bene amici miei», riprese Arsen girandosi nuovamente verso gli ospiti, dopo essersi preso del tempo. Aveva appena finito di riempire tre tazze di un liquido fumante, ora, due di esse, le stava offrendo proprio ai suoi visitatori.
«Ecco qualcosa per corroborarvi dalla fatica del viaggio, ma ditemi: cosa ha spinto due Finningal, razza non avvezza a lasciare le proprie terre, a fare un così lungo tragitto per far visita a un vecchio come me? È da molti anni ormai che mi sono ritirato qui nella foresta ed è da altrettanti che nessuno passa più per questa via alla ricerca della mia abitazione.»
« Siamo in cerca di consiglio. Il parere di un saggio. Il nostro re, mio cugino, chiede il vostro aiuto se avrete il buon cuore di ascoltarci.»
«Suvvia! Siedi Urlic e fai accomodare anche tuo figlio. Queste formalità non si addicono alla mia umile casa. Piuttosto vedo preoccupazione nei vostri occhi, raccontatemi tutto e vedrò se potrò darvi l’aiuto sperato.»
Le figure possenti dei due esseri sovrastavano Arsen, di certo non di piccola statura, tuttavia
nessun uomo poteva competere fisicamente con un Finningal.
Urlic e suo figlio Probo appartenevano a una delle razze più antiche di quelle terre: gli uomini-leone.
In lontananza e di sfuggita potevano essere scambiati per uomini, ne avevano le movenze e molte delle loro abitudini, ma, in realtà, i Finningal erano molto più alti di qualsiasi essere umano e la loro muscolatura molto più sviluppata. Ben proporzionati, portavano lunghi capelli rossi che incorniciavano un viso che ricordava molto l’aspetto del fiero e grande felino da cui prendevano il nome. Il loro corpo, poco nascosto da semplici abiti, era ricoperto da una corta e fitta peluria dello stesso colore dei capelli.
I due ora occupavano le sedie indicate da Arsen, troppo piccole per loro, con notevole imbarazzo. Urlic prese finalmente coraggio e, dopo aver preso un sorso della bevanda offertagli, prese a parlare:
«In verità non so il vero motivo che ha spinto mio cugino a inviarmi qui, ma mi ha pregato di riferirti questo che sta succedendo nei nostri territori».
Arsen si stupì molto di quella frase e, dopo essere tornato indietro per prendere la tazza che aspettava sul tavolo, prese posto e pregò il Finningal di continuare.
«Sono molti i giorni che nelle terre dell’ovest occupate dalla nostra gente avvengono strani fenomeni, a dire il vero questi li avremmo chiamati naturali, se non fosse per la loro inusuale frequenza. Ormai sono mesi che la terra trema, frane e fiumi in piena devastano villaggi. Sono manifestazioni che non ci sono nuove, ma mai, così di continuo, le nostre genti hanno subito simili flagelli. E non è tutto. Si comincia a parlare di creature nere come la notte che si aggirano nei luoghi dei disastri. Ombre furtive e sfuggenti sono state avvistate nei boschi vicino ai villaggi prima della loro distruzione, come per annunciarne l’avvento, o dopo per goderne degli effetti. Sono state colpite anche zone non popolate, specialmente all’inizio di questa interminabile serie. Mio cugino pensa che la causa di tutto questo sia qualche essere potente e malvagio che riesce a turbare i delicati equilibri esistenti in natura. Forse è opera di quelle nere creature o di qualcuno che le comanda. Ho detto che non so il vero motivo che ha spinto il re a mandarmi qui, ma a questo punto io confido almeno in una qualche spiegazione che ci possa essere di conforto. Questo è in breve quello che la mia popolazione sta patendo. Tu puoi forse dirci qualcosa in merito?».
Arsen si era già alzato dalla sua sedia e ora vagava in giro per la stanza, con una mano reggeva la stretta tazza ancora piena e con l’altra si accarezzava la sua corta barba. Sembrava una persona comune. Era un bell’uomo dai tratti decisi, nulla del suo aspetto lasciava intendere quali poteri o quanti anni avesse, si sapeva solo che, di entrambi, ne aveva molti. Le genti di quelle terre lo chiamavano “stregone”. Per alcuni era un uomo saggio e misterioso, per altri potente e pericoloso alla stregua della razza elfica del nord. La barba che teneva fra le mani era nera con pochi segni di un grigio che non sembrava volesse aumentare. Chi lo conosceva non aveva mai visto mutare il suo aspetto. Solo i suoi profondi occhi grigi lasciavano trasparire i segni di una interminabile vita. Quegli stessi occhi ora apparivano turbati dal racconto di Urlic.
Dopo un lungo respiro finalmente parlò: «Non ho parole di conforto per le tue genti, ma non voglio dare giudizi affrettati, bisognerà indagare, cercare queste creature sperando che siano solo il frutto delle menti esasperate di chi ha perso un riparo o, ancor peggio, la vita di una persona cara».
«Non siamo visionari», le parole uscirono dalla bocca di Probo inizialmente come un sussurro per poi proseguire con un tono più alto ma incerto di chi è consapevole di poter offendere e, nonostante tutto, incapace di trattenersi, «i Finningal sono un popolo colto e non una massa di sprovveduti senza cervello che si lasciano condizionare dalle storie e dalle leggende che raccontiamo ai bambini. La mia gente dice il vero, se sono state viste, queste creature, devono esserci!».
Gli occhi del giovane uomo–leone si erano accesi di orgoglio e di sfida mentre vagavano per la stanza, tuttavia senza incrociare lo sguardo di Arsen.
«Probo le tue accuse sono irrispettose e infondate. Arsen non è un uomo qualunque!» aveva tuonato il padre alzandosi da quella sedia ormai veramente troppo stretta per contenere la rabbia verso il figlio.
«Perdona il ragazzo», disse poi rivolgendosi all’uomo « sai come sono tesi i rapporti tra noi e la razza umana a causa dei pregiudizi. Troppe volte siamo stati chiamati bestie dagli uomini». Cercando di ricomporsi riprese posto vicino al figlio.
«Non volevo offenderti giovane Probo», disse con sincero rammarico e, girandosi verso la finestra aperta su un lato della stanza, Arsen aggiunse tra sé «Questa volta spero che si sbaglino e che le leggende possano rimanere tali!»
Proprio in quel momento, alzando gli occhi, un movimento lo distolse dai suoi pensieri.
“Shaca?”
Una palla di luce irruppe proprio dentro la stanza schiantandosi sulla parete opposta facendola in parte crollare, ma sfiorando appena lo stregone.
«Prendete le vostre armi, siamo attaccati»
con uno scatto i due Finningal si alzarono rovesciando le sedie e i loro occhi felini si accesero.
«Ecco, arrivano! Sono Brownie e sono molti»
«Miseri esseri. Che arrivino pure! La mia ascia saprà trattarli come meritano, conosceranno l’ira di Urlic!»
«Non sono loro che mi preoccupano!», Arsen scrutava il cielo dalla breccia che si era aperta sulla parete della sua casa.
«Chi è capace di lanciare un simile incantesimo non è di certo un Brownie e non posso difendervi da un nemico così potente che ha il vantaggio di colpire dall’alto. Eccolo, è lì!»
Arsen fece un cenno con il capo verso un massa scura nel cielo che i Finnigal riuscirono a intravedere tra gli alberi, pur non riuscendo a distinguere la sagoma.
« Non ci resta che fuggire. Venite!»
Si mossero verso il retro, ma il passaggio era bloccato da un gruppo di Brownie che ebbe la peggio, l’ascia bipenne di Urlic non lasciò loro scampo.
«Presto! Nel bosco. Tra gli alberi, non ci potrà trovare».
Uscirono da quelli che ormai erano i resti della casa e percorsero quel poco spazio che li divideva dalla vegetazione facendosi strada tra i nemici che indietreggiavano davanti alla lunga spada di Arsen e dalla furia degli uomini leone. La creatura alata stava per sferrare un altro attacco scendendo in picchiata, ma il suo assalto fu fermato dalle cime degli alberi Mira che ormai coprivano la fuga dei tre.
La loro corsa non durò molto: i pochi che l’avevano seguiti presto si ritirarono al richiamo dell’essere alato. I tre si fermarono per riprendere fiato.
«Popoli delle paludi! Perché hanno attaccato la tua dimora Arsen?» domandò Urlic ancora scottato dal fatto di essersi dato alla fuga.
«Non ne ho idea. I Brownie non oserebbero mai, pur numerosi che siano, mettersi contro di me, ma questa volta sono in buona compagnia e a quanto vedo non ci volevano uccidere. Dobbiamo tornare. Forse avremo le risposte alle nostre domande.»
«Cosa era quello…quel…»
« L’essere alato era un Murdoc. Suo era il richiamo che abbiamo udito, ma non è stato lui, giovane Probo, a lanciarci la sfera distruttiva, probabilmente era la cavalcatura di qualcuno con grandi capacità!»
«Un altro come te Arsen? credevo fossi l’unico!»
«No, mio giovane amico, io sono l’unico che non ha rinunciato alla compagnia delle genti di questa terra» precisò lo stregone.
«Ma ora avviamoci! Non credo ci sia più pericolo.»
Il ritorno verso le rovine della casa fu lento, non sapevano cosa avrebbero trovato e il timore di finire in una trappola li invitava alla cautela. Costeggiarono per un tratto il fiume che scorreva nelle vicinanze e piegarono verso nord avvicinandosi al luogo dell’attacco, evitando sia la via presa dai nemici, sia quella che loro avevano usato per fuggire. Quando giunsero, il sole stava tramontando.
«Si direbbe che cercassero qualcosa!» notò Urlic che riconobbe le tracce del saccheggio perpetrato dai loro nemici, che, come acque che trasbordano da un recipiente divenuto troppo piccolo per contenerle, si erano riversati in tutti gli ambienti di quella che era stata la piccola dimora di Arsen.
«O che la volessero distruggere! Non ci sono andati con le mani di velluto», Probo fece questa considerazione al padre mentre raccoglieva da terra i resti di quello che era un libro scritto in una lingua a lui sconosciuta. Pensando che potesse essere di valore, cercò di ricomporlo come meglio poteva. Dopo averci armeggiato un po’ con le sue grandi mani e credendo di aver terminato, cominciò a guardarsi intorno per cercargli un posto adatto. Alla fine, con cura, lo poggiò su una mensola ancora fissata alla parete rimasta intatta. Soddisfatto del proprio lavoro cercò di fare la stessa cosa con altri libri, ma presto dovette desistere dal suo intento: i fogli sparsi erano troppi e non capendo cosa ci fosse scritto era difficile metterli insieme correttamente. Si girò verso lo stregone visibilmente dispiaciuto.
Arsen, dopo aver fatto un giro della casa, era rimasto fermo e sembrava riflettere. Si guardava intorno, ma nei suoi occhi non c’era né disperazione né sgomento, questi erano sono leggermente socchiusi come una persona che si sforza di guardare lontano, anche se in realtà il suo sguardo era rivolto verso il pavimento. Rimase così per poco, poi, con uno scatto, si mosse verso una scala che conduceva probabilmente a un piano interrato, Probo e Urlic si guardarono non sapendo se a loro era consentito seguirlo, tuttavia si fecero coraggio e andarono dopo qualche istante. Si trovarono dentro a una cantina con tutte le bottiglie ormai in frantumi e il contenuto sparso sul pavimento.
Arsen aveva appena richiuso una piccola botola, nascosta originariamente sotto una grande botte rotolata contro la parete e semidistrutta, e visibilmente irritato si era rivolto verso i Finningal che scendevano:
«Queste canaglie non sanno che danno mi hanno fatto. In questa cantina c’erano vini che avrebbero fatto una meravigliosa figura su una tavola di un re e che ora ubriacheranno le formiche. Evidentemente non sanno che sono poche le cose che mi fanno infuriare e questa è decisamente la peggiore di tutte.»
«Bene», aggiunse, ricomponendosi , «Vediamo cosa hanno lasciato di commestibile, ci attende un lungo viaggio.»
«Un lungo viaggio Arsen?» i due credevano di non aver capito bene.
«Sì! Questi avvenimenti, con quello che voi mi avete riportato, meritano una grande considerazione e forse decisioni che non posso prendere da solo», disse agitando l’indice davanti a sé, «io mi dirigerò verso la dimora di Garvin e voi fareste bene a venire con me, devo informarlo di ciò che sta accadendo»
«Non riusciremo neanche ad entrare a Faranor. Pochi sono gli esseri mortali che hanno visto Valdor e ancora di meno sono coloro che possono raccontarlo», protestò Probo.
«Tuttavia questa è la mia intenzione, devo parlare con il re in persona»
«Faranno forse passare te, ma noi faremmo sicuramente un viaggio a vuoto. Con quale garanzia dovremmo seguirti, il cammino non è agevole e ci vorranno giorni di marcia. Perché affrontarli? Per essere poi scacciati indietro! Il nostro popolo ha bisogno di noi e gli elfi non amano gli intrusi», insistette Urlic.
«Il vostro popolo ha bisogno non solo del vostro appoggio, ma di una soluzione. Il tuo re ha affidato a te e a tuo figlio un compito importante. Siete venuti fin qui pregandomi di aiutarvi, se vi fidate del mio giudizio, vi prego, seguitemi. Che cosa potreste dire ora al vostro re? Se non ci faranno passare mi introdurrò io solo nella grande foresta, mentre voi mi aspetterete al confine».
«Il popolo elfico ci ha sempre trattato con rispetto intrattenendo con noi anche rapporti di tipo commerciale, ma niente di più, e si dice che si paga con la morte l’intrusione nelle loro terre», Urlic aveva distolto lo sguardo dallo stregone e disse questa frase a bassa voce, quasi stesse parlando a se stesso scuotendo più volte il capo.
«Si dice anche che re Garvin sia molto buono e giusto. Voi non lo conoscete, è vero, ma confidate in me, la loro legge li protegge da chi è malvagio. Voi non dovete temere, venite con me, vi ripeto, io credo che sia la scelta migliore. Di più ora non posso dirvi, la vostra indecisione è durata troppo, so che il vostro cuore ha già scelto».
Arsen sapeva parlare in modo molto convincente e si diceva che sapesse condizionare le menti, questo pensiero sfiorò per un attimo lo stregone che si pentì di aver detto quell’ultima frase che poteva suonare quasi come un incantesimo, ma ormai era troppo tardi, aggiungere altro poteva alimentare ancora di più il sospetto. Non gli rimaneva che sperare che i Finningal non pensassero a quella eventualità o non conoscessero questa sorta di leggenda sul suo conto. Urlic aveva ascoltato Arsen e quello che aveva capito era che, per qualche ragione che non riusciva pienamente a cogliere, la sua scelta avrebbe cambiato il loro destino e che c’era poco tempo per prenderla. Cercò aiuto nel figlio, ma Probo aveva la stessa espressione di quando, poco più di un bambino, aspettava la decisione del padre di poter far parte alla sua prima battuta di caccia: serio e cercando di mascherare al meglio l’ansia. In quel lontano giorno quel bambino avrebbe accettato con coraggio, qualunque fossero, le parole del padre.
«Bene! faremo così! Non tornerò da mio cugino senza prima aver tentato di far di tutto per la mia gente. I Finningal sanno sopportare senza un lamento le avversità, ma questa situazione li sta fiaccando, devo portare loro almeno una speranza. Mi auguro solo che la nostra prolungata assenza non sia fonte di troppa agitazione per il re».
Al suono di quelle parole Arsen parve sollevato e a Probo comparve un sorriso compiaciuto sul volto.
«Allora è deciso. Aiutatemi! Il viaggio è lungo, più cibo riusciremo a trovare e meno perderemo tempo a cacciare durante il cammino. Cominciamo ora a prepararci finché la luce lo consente, domani partiremo».
«Rimarremo la notte qui? Non è prudente, I Bronwie potrebbero tornare.»
«Sì Probo, passeremo qui la notte, ma non ti preoccupare, questo potrebbe essere l’ultimo rifugio sicuro che avremmo per diverse notti»
Mentre Urlic e Probo si occupavano delle provviste e della cena che avrebbero consumato da lì a poco, Arsen preparava i suoi bagagli personali e, dato che ormai la casa risultava pericolante, approntò un riparo. La notte non sarebbe stata fredda, la primavera era alle porte e presto su gli alberi del giardino adiacente alla casa sarebbero comparsi i primi fiori. Arsen quest’anno non li avrebbe visti sbocciare.
Negli ultimi tempi aveva viaggiato poco e si era allontanato solo per pochi giorni.
Aveva incontrato elfi e uomini, ma da molto tempo non vedeva Garvin e non si spingeva così a nord. Non aveva mai abitato così a lungo la sua casa e ora, l’essersi allontanato dal resto del mondo, non gli aveva permesso di accorgersi dei cambiamenti che si stavano attuando.
Cenarono in silenzio. Dopo aver mangiato, Arsen informò Urlic e Probo della via che aveva deciso di seguire e i due ascoltarono approvando il piano, infine si prepararono per la notte. Decisero di fare turni di guardia, Arsen si propose per il primo e quando ebbe la certezza che i due Finningal dormissero tranquilli riposò anche lui. Non li avrebbe svegliati fino all’indomani, dovevano recuperare le forze per affrontare la fatica del viaggio. Sapeva benissimo che la veglia era inutile, ma ancora non poteva spiegare ai due il perché e aveva finito per assecondarli. Era importante sentirsi al sicuro per poter dormire un sonno rigenerante, la mattina avrebbe detto loro che non si era sentito stanco e che sarebbe stato inutile chiedere il cambio. Chiuse gli occhi accennando un sorriso, sapeva di aver lasciato la propria vita e quella dei suoi nuovi amici in buone mani.
CAPITOLO UNO
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- Scritto da Vilia Decrais
- Categoria: I racconti delle terre di Adria
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