Cosi come aveva programmato di fare, Arsen si svegliò prima degli altri e cominciò con il preparare la colazione, qualche minuto dopo Urlic e il figlio si destarono dal proprio sonno.
Si accorsero di aver dormito tutta la notte un sonno pesante, come ammantati da un buio e da un silenzio irreale che li avesse catapultati in un luogo lontano da quel pericolo che avevano affrontato il giorno prima.
«Non credevo di essere così stanco», disse Urlic che, appena fu un po’ più sveglio, si accorse con sgomento di quello che fosse successo.
Non riusciva ancora a capacitarsi di aver dormito così a lungo e di aver abbassato così tanto la guardia. Si alzò di scatto, in preda al senso di colpa, recuperando al più presto le armi e guardandosi intorno spaesato, proprio mentre Probo riapriva gli occhi.
«Non avevo sonno e mi sembrava inutile farlo perdere anche a uno di voi. È stata comunque una nottata tranquilla», li anticipò Arsen, senza bisogno di farli parlare, prevenendo le loro domande che, comunque, i loro occhi stavano esprimendo in maniera più che eloquente.
«Già!», intervenne Probo con uno sbadiglio «Non dormivo così da tempo, con gli ultimi avvenimenti non mi sentivo più tranquillo neanche a casa», il giovane appariva meno preoccupato del padre.
«Bene! Non c’è niente di meglio di una buona dormita e di una buona colazione prima di iniziare un lungo viaggio. Prego, miei giovani amici, venite a mangiare, il cammino ci attende».
Mangiarono in silenzio e solo mentre raccoglievano le ultime cose Arsen parlò: « faremo come abbiamo deciso: per un po’ la via sarà la stessa di ieri, costeggeremo il fiume Corsoro e solo dopo taglieremo verso nord, arrivando fino alle pendici dei monti Sian, poi lì vedremo il da farsi».
Diede un ultimo sguardo a ciò che era stato distrutto e subito dopo rivolse gli occhi al cielo:
«Il sole si sta alzando, è ora di mettercelo alle spalle».
Si inoltrarono nel bosco, seguendo la via percorsa al momento della fuga dall’attacco dei Brownie,
arrivarono al fiume e questa volta lo guadarono. Ora si trovavano in quella che veniva chiamata la terra dei tre fiumi: Corsargento e Corsazzurro erano i due affluenti del fiume Corsoro, che nasceva dal monte Sian e continuava la sua corsa verso sud-est , alimentava il lago dorato e sfociava nel mare del Sud.
Si trovavano dove Corsargento si tuffava nel Corsoro. Cominciarono a costeggiare quest’ultimo. Camminavano in fila indiana, Arsen per primo guidava il gruppetto. Il sentiero era stretto ma facilmente percorribile e procedeva leggermente in salita, accanto ad esso il fiume scorreva rumorosamente: l’acqua limpida saltava da scalini di roccia, scalzava pietre e in alcuni tratti formava bolle, che dalla profondità risalivano in superficie. Intorno a loro, come in tutta l’area occupata dai tre fiumi si estendeva quella che veniva chiamata la Foresta dei Mira, perché formata in prevalenza da questi alberi imponenti e contorti, dai lunghi rami nodosi, dalla corteccia bruno-rossastra e dalle foglie grandi e seghettate che bloccavano la luce del sole. Non ne esistevano altri su quella terra, almeno in quella conosciuta dai tre. Si diceva che fossero alberi antichi che un tempo avevano popolato più aree, ma essi, adesso, apparivano vecchi e stanchi e la loro stirpe era in lenta decadenza. Come ogni altro essere vivente, anche i Mira stavano compiendo il loro percorso, lasciando, sebbene molto lentamente, il loro spazio vitale ad altre specie. Attualmente, però, nulla, agli occhi degli uomini e animali, sembrava mutare in quella foresta e così sarebbe rimasto ancora per molte generazioni.
Al terzo giorno i viaggiatori avevano già, come da programma, ripiegato verso nord. Il sole stava tramontando e i tre cercarono un posto per passare la notte. Accesero il fuoco e mangiarono in silenzio le provviste. Nelle giornate passate avevano avuto dal bosco il cibo necessario, risparmiando su quello che avevano portato e che si sarebbe conservato più a lungo. Una volta usciti dalla foresta, avrebbero avuto poche possibilità di trovare cacciagione e in seguito, arrivati sulla Via dell’Est, non avrebbero fatto deviazioni fino a Faranor.
Si prepararono per la notte e scelsero i turni di guardia. Iniziò Probo, che si mise a intagliare, con un piccolo pugnale, un legno vicino al fuoco. Arsen e Urlic presero a dormire.
Dopo alcune ore Urlic si sentì toccare sulla spalla, «Padre è il tuo turno».
Urlic si alzò con agilità e prese il posto che fino a quel momento era stato del figlio.
Era passata non più di un’ora da quando aveva montato la guardia, che Arsen si alzò dal suo giaciglio e si avvicinò al Finningal che, accortosi di quel movimento dietro di lui e intuendone la natura , era rimasto nella stessa posizione, appoggiato all’ascia e volgendo lo sguardo davanti a sé, rimanendo concentrato nel suo compito.
«Devo andare via», la voce di Arsen era quasi un bisbiglio « tornerò all’alba. Aspettatemi fino a che il sole non esca dalle montagne, se per allora non mi vedrete, proseguite senza di me» fece una pausa, «ma questo non succederà. Almeno spero.»
« Perché ti allontani di notte?» Urlic non capiva, tuttavia la sua reazione fu solo quella di girare il capo verso il suo interlocutore.
«Devo fare una cosa importante, e la notte tiene lontana gli occhi indiscreti. Starò attento, vedrai che andrà tutto bene. Sono giorni che viaggiamo senza problemi ed è probabile che chi ci ha attaccato non si sia spinto fino a qui»
«Vai pure allora»
«Bene!», stava per allontanarsi quando, dopo aver riflettuto per qualche secondo, con evidente impaccio di chi non è abituato a dover giustificare le proprie azioni, si sforzò di aggiungere « Urlic… ti sono molto grato della fiducia che mi dimostri».
«Fiducia? Se non dovessi tornare, ci dirigeremo verso casa e dovrò dire al mio re di aver fallito la missione e rendere conto del tempo perso. Chiami fiducia la mia speranza di poter essere d’aiuto al mio popolo», rispose il Finningal con apparente noncuranza.
Accennando un segno di intesa con il capo, Arsen si alzò e, senza aggiungere altro, sparì silenziosamente fra gli alberi. Urlic si guardò intorno; era la prima volta dall’attacco che rimaneva solo con il figlio. Quando erano partiti non sapevano molto di chi si sarebbero trovati d’avanti. Suo cugino spesso gli aveva parlato dello stregone, ora si chiedeva se non si fosse fatto condizionare dai suoi racconti. No! Non poteva essere. Dal primo momento in cui aveva visto Arsen aveva capito che aveva qualcosa di eccezionale, tanto da alzare la voce a suo figlio, che probabilmente si era chiesto perché il padre si schierava dalla parte di un uomo che conosceva per lo più dalle storie che venivano raccontate su di lui. Ora si rendeva conto che, dall’inizio dei quel viaggio, lui aveva lasciato che Arsen lo guidasse. Gli scappò un sorriso al pensiero che Urlic, comandante dell’esercito di Bortas, cugino del re, abituato più a dare ordini che a riceverli, si era fatto trascinare senza troppe domande in questa avventura da uno che era pur sempre di razza umana, o almeno sembrava esserlo. Guardò il figlio che dormiva, aveva catapultato in questa storia pure lui. Pensava di aver smesso di preoccuparsi da quando si era arruolato sotto il suo comando. Suo figlio era il migliore dei suoi e doveva rimanere a organizzare gli aiuti alla popolazione in difficoltà, oppure comandare la spedizione per la ricerca e le investigazioni sulle presunte creature avvistate, ma Urlic lo aveva voluto con lui per egoismo, almeno così credeva. Probo era la sua famiglia. Urlic non sapeva cosa stava accadendo, cosa avrebbe dovuto affrontare lui, o cosa avrebbe dovuto affrontare il figlio se fosse rimasto, e aveva creduto che, qualunque cosa fosse successa, era insieme che dovevano stare. Questi suoi pensieri non li aveva condivisi con il figlio che, quindi, aveva male accettato la decisione del padre.
Ricordava ancora come era andata:
«Signore», lo aveva chiamato Probo appena erano rimasti soli, «credo che io sia più utile qui piuttosto che come vostra scorta»
«No!» aveva risposto seccamente «Tu verrai con me.»
«Ma padre, non mi credi all’altezza?» i suoi occhi si erano riempiti di delusione, ma la voce rimaneva ferma.
«È un ordine», aveva aggiunto Urlic dandogli bruscamente le spalle, «preparati!»
Gli era sembrato l’unico atteggiamento per convincere il figlio a restargli accanto, adesso si chiedeva se mai sarebbe riuscito a rivolgersi a Probo come un padre ad un figlio.
Non era sempre stato così. Ricordava ancora con quale affetto lo aveva cresciuto, ma da quando la madre li aveva lasciati, era scomparso con lei il collante che li teneva uniti e gli era stato sempre più difficile comunicare i suoi sentimenti e, di contro, Probo si chiudeva più in se stesso e, quando si era arruolato, la rottura era stata definitiva. Urlic aveva cominciato a trattarlo prima come un soldato, ora come suo valente secondo, mai più come un figlio.
Il resto della nottata passò come erano passate le altre, e Urlic, perso nei suoi pensieri e incapace di dormire, fece un doppio turno di guardia. Rimase sveglio fino all’alba vegliando sul figlio. Con le prime luci del mattino cominciò a sentirsi inquieto: Arsen sarebbe arrivato? Non sapeva se preoccuparsi per lui o per loro: cosa avrebbero effettivamente fatto? Avrebbero continuato secondo l’itinerario scelto, sperando che li raggiungesse o sarebbero veramente tornati indietro come gli aveva detto?
Probo si svegliò distraendo Urlic dai propri pensieri : «dov’ è Arsen?»
«Non so, ha detto che all’alba sarebbe tornato»
«Certo che è veramente un tipo strano» Aggiunse Probo stiracchiandosi.
«Strano è riduttivo, non credi?»
«Strano è il modo in cui è riuscito a portarci fin qui: in meno di un giorno è riuscito a convincerci a seguirlo».
«Credi che stiamo sbagliando? Forse ci stiamo facendo manipolare? », chiese Urlic al figlio.
«La verità? Credo che l’istinto di un Finningal non vada sottovalutato e se il mio e il tuo ci portano alla stessa conclusione…», lasciò la frase a metà.
«Quindi», lo interruppe il padre, «più che fiducia in lui, tu ti fidi della tua capacità di non sbagliare».
Un sorriso si accese sul viso del giovane mentre alzava le spalle, e il padre poté per un attimo scorgere di nuovo quello che era sempre stato suo figlio: un giovane allegro e ottimista come lo era stata sua madre.
«Io direi di preparare la colazione…Per tre!», concluse poi.
Probo dopo essersi misurato in battaglia con i Brownie, aveva compreso come gli stava divenendo stretta la vita di palazzo , lontano dalle terre selvagge, così preso dagli impegni marziali e come ora il suo animo e il suo fisico si stessero rinvigorendo in quelle marce forzate, in quella missione con uno scopo ben preciso che lo avrebbe portato in luoghi sconosciuti. E, anche se ben cosciente dell’importanza di quel viaggio e del momento di difficoltà del suo popolo, non poteva fare a meno di essere di buon umore tanto da riuscire a scherzare persino con suo padre, come non aveva più fatto da moltissimo tempo.
Si mossero lentamente per ingannare il tempo: si sarebbero rimessi in cammino dopo aver mangiato, con o senza lo stregone. Un tacito accordo tra i due prevedeva di ritardare la partenza il più possibile.
L’attesa non si rivelò vana, dopo poco, un rumore tra gli alberi li allarmò, presero le armi e si guardarono intorno.
«Non so se ringraziarvi per avermi preparato da mangiare o rimproverarvi per esservi attardati. Buongiorno miei giovani amici!»
«Stavamo per andare via, hai fatto appena in tempo… e buongiorno Arsen, non sembra che tu abbia dormito stanotte», rispose Urlic, poggiandosi sull’ascia puntata verso terra.
«Infatti, ma ho fatto quello che dovevo» Arsen si affrettò a sedersi vicino alle braci che andavano spegnendosi, allungando le mani per trarne un po’ di calore.
Urlic e Probo speravano in una spiegazione che non arrivò perché lo stregone non aggiunse altro. Ripartirono poco dopo e i due non chiesero nulla.
CAPITOLO DUE
- Dettagli
- Scritto da Vilia Decrais
- Categoria: I racconti delle terre di Adria
- Visite: 232