Kail spronò Aghnes lungo il sentiero che calava dalla collina ove sorgeva il maniero Uth Breannar. Attraversarono insieme i campi e il fiume, fino a scendere a valle. Il feudo, patrocinato dal cavaliere della Rosa Gerald Uth Breannar, era ancora immerso nei festeggiamenti legati alla nascita del terzo nipote del famoso cavaliere, quando il mezzelfo, schivando saltimbanchi e orchestre, scivolò silenzioso oltre la loro vista diretto a Knollwood. Non si trattava di un tragitto lungo: giusto un paio d’ore e si sarebbe ricongiunto con Galeth. Kail non conosceva benissimo quel villaggio, a differenza del mercenario. C’era passato alcune volte in passato, ma non poteva affermare di sapersi orientare perfettamente laggiù. Tuttavia non poteva certo essere così difficile. Il villaggio era piccolo e sarebbe bastato chiedere per trovare la locanda del “Tasso Argentato”. La sera era giunta da poco quando Aghnes e il suo cavaliere entrarono al passo a Knolwood e subito qualcosa di insolito aggredì il temprato sesto senso del mezzelfo. Il borgo sembrava deserto. Le strade erano vuote, non c’erano contadini che tornavano dai campi, né boscaioli o cacciatori che rincasavano. Ogni tanto si udiva il nitrito di un cavallo, il latrare di un cane, ma presenze umane: zero. Eppure dalle luci che Kail poteva intravedere oltre le finestre sbarrate, non c’erano dubbi chela gente ci fosse. Era certamente una serata fredda, ma non abbastanza per giustificare tutto quel silenzio. Kail fu tentato di fermarsi e bussare, perlomeno per chiedere dove fosse la dannata locanda che cercava, se non per mitigare la curiosità lacerante del perché nessuno circolasse per le buie vie. Tuttavia non ce ne fu bisogno, perché il “Tasso Argentato” apparve davanti a lui dopo l’ultima svolta. Il mezzelfo tirò le redini e Aghnes si fermò. Nella locanda c’era indubbiamente qualcuno e questo era un buon segno, ma il cavallo di Galeth non era legato alla staccionata esterna. E questo invece era strano. Kail iniziò a preoccuparsi. Smontò da cavallo ed entrò, tenendo le mani sotto il mantello pronto a sguainare le armi. La taverna era accogliente. Piccola, molto pulita ma piena di fumo e con odori di spezie molto forti nell’aria. Due avventori dalla faccia poco raccomandabile sedevano alla fine del locale, occupando due tavoli diversi. I due brutti ceffi lo salutarono con un gesto accennato del mento quando entrò e Kail fece altrettanto. Non sapeva se davvero i due l’avevano riconosciuto o l’avevano salutato solo per una mera formalità, ma scommetteva il suo miglior pugnale che l’avevano fatto perché erano mercenari come lui. Che avevano fiutato il suo odore. All’improvviso, un oste tarchiato, sulla sessantina, con la parannanza e una folta barba grigia, lo accolse cordialmente. Si pulì le mani sul grembiule e quando Kail gli domandò di Galeth, egli rispose così: “Si, Galeth è passato, ma ha detto che aveva da fare e che sarebbe tornato presto. Se volete aspettarlo, posso portarvi una birra nel frattempo …” L’oste aveva gli occhi furbi e un fare sbrigativo di chi sapeva sempre capire come fare un buon affare. Kail annuì e ordinò anche un pasto caldo visto che c’era. L’oste ovviamente non poté che esserne contento e sparì nelle cucina, invitandolo ad accomodarsi. Quando si voltò e se ne andò, l’olfatto affilato del mezzelfo percepì sulle sue mani e su suo grembiule un aroma strano, che lì per lì non riuscì a definire subito, ma che istintivamente lo mise in guardia. Kail scelse un tavolo di mezzo, dove potesse controllare ogni cosa nel locale, ma girandosi un momento verso un altro tavolo notò dei dettagli che gli fecero cambiare idea. Delle tracce di birra rancida sporcavano il pavimento, per il resto pulitissimo, ed una sedia rotta era stata spostata da quel punto e messa momentaneamente da una parte. Istintivamente scelse quel posto e come lo fece, i due uomini che aveva alle spalle sembrarono diventare stranamente nervosi. Nel frattempo l’oste tornò con un boccale di birra e la promessa che la cena sarebbe stata servita quanto prima. C’era qualcosa che proprio non andava in quella taverna. Ma cosa? Kail afferrò il boccale, ma lo sguardo gli scivolò sul tavolo e lì vide un’incisione. Un incisione troppo strana perché potesse essere casuale. Con un coltello era stata graffiata una sigla che non poteva non notare. Essa recitava: KUM. Kail Uth Mohdi! Era solo un segno in mezzo a mille, ma come era stato per i sassi al “passo dell’orso”, un occhio attento come il suo non poteva non vederlo. Si trattava di Galeth. Gli era successo qualcosa. Perso nei suoi pensieri, Kail portò il boccale alle labbra e in quel momento capì cosa fossero quei strani effluvi che aveva annusato sull’oste. Si trattava di Belladonna: un’erba che cresceva solo in posti particolarmente umidi, che se distillata nel giusto modo, diventava un potente narcotico. Il mezzelfo appoggiò il boccale sul tavolo. Sentì un rumore quasi d’impazienza alle sue spalle, mentre iniziava a capire cosa fosse successo. Galeth era seduto qui, nemmeno cinque o sei ore prima a giudicare da quanto puzzava quella birra per terra. Era stato drogato e scivolando aveva rotto la sedia che era stata spostata di lato. Tuttavia, prima di perdere i sensi aveva lasciato con il coltello quella sigla per lui. Ora la domanda era: come diavolo faceva a scoprire dove fosse finito il mercenario? L’oste nel frattempo era entrato ed uscito dalle cucine per ben tre volte. Sembrava come se stesse controllando qualcosa. Certo, verificava se avesse bevuto o meno! Il mezzelfo non sapeva molto della Belladonna ma immaginava che l’effetto stordente non fosse immediato. Almeno riflettendo su quanto ci aveva messo Galeth ad incidere quella sigla sul tavolino. Sicuramente avrebbe avuto qualche secondo, da quando avesse bevuto a quando si sarebbe addormentato. Pertanto fece scattare la sua trappola. Portò il bicchiere nuovamente alla bocca e fece finta di bere un lungo sorso. Con la coda dell’occhio osservò la reazione dei due manigoldi alle sue spalle. Essi si ritrassero sulle sedie, visibilmente più rilassati. Poi fecero un segnale all’oste, quasi impossibile da notare, ma non per uno come Kail. A quel punto l’oste uscì dalle cucine in tutta fretta e disse: “Scusate mio signore, vado un secondo alla latrina. Torno subito… giusto in tempo per portarvi la cena.” Kail annuì, mentre l’oste usciva nel buio della notte. Vedendo la trepidazione che cresceva nei mercenari, decise che era il momento di mettere in pratica il suo piano. Sbadigliò e si accoccolò sul tavolo, mettendo la testa tra le mani. I due uomini a quel punto si alzarono. Dai loro brevi discorsi, Kail non capì molto chi fossero, ma intuì chi era il loro mandante: il maledetto Corvo Rosso! I suoi sospetti erano reali dunque: quel furfante, in qualche modo, era venuto a sapere di Galeth e questo poteva solo far pensare che ad Elmwood qualche spia doveva aver riferito a uno dei suoi sicari che il mercenario era coinvolto nell’affare della neonata. Mentre i due lestofanti lo tiravano su, trascinandolo tosto nelle cucine, Kail ebbe un brivido freddo. Se la rete dei Corvi Rossi era così fitta, doveva assolutamente andar via di lì. Se teneva alla vita di Erstellen, doveva trovare Galeth (se era ancora vivo) e poi tagliare la corda. Fuggire nell’Ergoth del Sud il prima possibile! Ormai il uso viaggio non era solo una missione, ma anche l’unica strada percorribile per sopravvivere. A meno di voler affrontare da solo questa banda di criminali organizzati e con agganci potenti in tutta la Solamnia. Dalle cucine, i mercenari lo trasportarono nelle cantine, fermandosi innanzi una porta di legno chiusa. Nel tragitto, Kail poté notare un piccolo laboratorio alchemico vicino al tavolo da mattatoio: un forte odore di Belladonna saliva ancora su da un paio d’alambicchi fumanti. Uno dei due uomini continuò a sorreggere il mezzelfo per le ascelle, mentre l’altro diede le spalle ad entrambi, cercando di aprire la porta con una rozza chiave di ferro. Quello fu il momento che Kail scelse per agire. Si tirò su come un gatto, spada in pugno. Con un movimento fluido, trafisse mortalmente al collo l’uomo alla porta. Poi si voltò e attaccò anche il secondo, che certamente non si era aspettato una cosa del genere. L’uomo tentò di urlare, ma ne uscì solo un rantolo strozzato quando la spada di Kail gli entrò in bocca trapassandogli il cranio. Rapidamente, il mezzelfo aprì la porta e trovò dentro la stanza Galeth, legato e imbavagliato ad una sedia. Come un lampo gli si avvicinò, lo slegò e lo prese a schiaffi per farlo riprendere. Le cucine avevano un’uscita posteriore, soluzione che il mezzelfo valutò per un breve istante, ma avrebbe rischiato di perdere Aghnes e non poteva permettersi di farlo. Quindi, sorreggendo il mercenario per quanto potesse riuscire, superò i cadaveri dei due lestofanti ed uscì dalla porta principale. Giusto in tempo per vedere delle sagome scure avvicinarsi da est. Purtroppo però, anche Aghnes era sparita e questo dettaglio poteva rappresentare la loro fine! Tuttavia Galeth riferì che prima di svenire aveva sentito l’oste dire ai mercenari di portare il suo cavallo nelle stalle della locanda: forse anche la sua puledra si trovava lì. Dovevano rischiare. Si nascosero e scivolarono tra le ombre fino ad aggirare la locanda. Avevano poco tempo. L’oste e gli uomini che lo accompagnavano non avrebbero impiegato molto a scoprire che entrambi erano scappati! Giunsero alle stalle chiuse e i due uomini annuirono: dovevano far presto o li avrebbero presi e questo poteva significare la morte di molte persone innocenti. Oltre a quella più che probabile della piccola Erstellen. Kail bussò e dall’altra parte dei passi si avvicinarono alla porta della stalla. “Chi è?” Domandò una voce ovattata. A quel punto Galeth si schiarì la gola e rispose imponente: “Sono io! Apri subito imbecille!” Giocandosi il tutto per tutto. L’uomo dall’altra parte cadde nella trappola dei due compagni e un pugno ben assestato del mezzelfo lo mise facilmente al tappeto. Erano stati fortunati, perché c’era un solo uomo di guardia, ed era un mercenario locale. Se fosse stato un sicario dei Corvi avrebbe dato ben più filo da torcere. Kail e Galeth, salirono a cavallo e anche se l’omone aveva ancora la testa che gli girava, uscirono al galoppo dalla stalla. Direzione sud, verso Port o’Call! Appena in tempo! Perché a meno di trenta metri, delle sagome scure si stavano minacciosamente avvicinando. Tra queste, una incuriosì e allo stesso tempo terrorizzò il mezzelfo. Si trattava di qualcuno molto grosso, vestito completamente di nero. Una figura tetra, resa ancor più inquietante da un rigonfiamento che aveva sulla schiena, come se portasse uno scudo legato dietro, ma tenuto sotto la pesante mantella col cappuccio che gli velava il volto. Era distante, ma Kail provò un tremore gelido quando i suoi occhi leggermente obliqui si posarono su di lui. Anche perché il suo medaglione maledetto iniziò a vibrare tanto intensamente che il mezzelfo pensò esplodesse.