Kail arrivò piuttosto stanco dal viaggio che l’aveva riportato dopo tanti anni nel maniero di Lord Astarte. Non era stato un viaggio lungo. Quando se n’era andato, circa quattordici anni prima, aveva deciso di non spostarsi troppo lontano dalle sue radici. Il vecchio maniero di suo padre Lucas e quello del cavaliere della spada che l’aveva adottato, il suo amico Victor Astarte, erano entrambi vicino Lemish e lui non se l’era sentita di tagliare del tutto i ponti con il passato. Se si era allontanato non era certo per colpa di Astarte o dei sui cavalieri. Tantomeno per colpa di suo padre, che l’aveva dato in affido solo per proteggerlo dagli intenti oscuri della madre. Eppure si sentiva stremato, segno che emotivamente era stato davvero difficile ritornare a casa.
Il mezzelfo intrecciò le dita dietro la nuca, mentre si sistemava meglio sul comodo letto. La sua stanza era rimasta com’era, ma dall’odore di pulito e freschezza che sentiva sulle coperte, grazie a i suoi affilati sensi elfici, veniva risistemata ogni giorno o quasi. Abbozzò un sorriso amaro ripensando a quanto gli era costato andarsene. Aveva scelto di costruirsi una piccola baita sopra Chisel, a meno di mezza giornata di viaggio a cavallo da qui e per guadagnarsi il pane faceva quello che sapeva fare meglio: combattere, scortare carovane di mercanti lungo la foresta e talvolta anche liberare il passo da animali pericolosi. Alcuni villaggi l’avevano ingaggiato talvolta per togliere di mezzo anche alcune piccole bande di goblin, che si dicevano avessero preso molto più coraggio negli ultimi anni nell’infastidire gli umani, ma dal suo punto di vista restavano casi isolati.
 Eppure alcuni suoi colleghi, che spesso incontrava nelle fiere di città o nei villaggi, avevano raccontato che lungo alcuni punti delle catene montuose dei monti Dargaard, le scorrerie di orchi e goblin erano aumentate sensibilmente col passare degli anni. Addirittura descrivevano creature ancor più terribili e oscure che si accompagnavano ad essi e davano sibilanti ordini nella loro lingua oscura. “Ombre alate”, le avevano definite. Ombre alate, che mettevano i brividi quando qualcuno di loro li aveva intravisti nell’oscurità. 
“Fantasticherie romanzesche”, aveva sempre pensato a proposito il mezzelfo. Tuttavia, quando la sera prima di partire aveva incontrato l’ambulante che gli aveva proposto quella strana zampa artigliata riposta all’interno della teca, non era più sicuro che quei suoi colleghi fossero così fuori di testa. Stranamente se n’era sentito attratto, tanto da volerla acquistare. Il motivo? Non lo sapeva.
Kail non era mai contento quando doveva affrontare nemici oscuri, a causa del suo terribile passato. Eppure se ne sentiva affine. Rammentava bene il villaggio sterminato da orchi e goblin, vicino al maniero di Astarte: un massacro orribile! Ricordava perfettamente l’aspra battaglia scoppiata tra i figli del male e i cavalieri di Solamnia. Aveva impressi a fuoco nella memoria gli sguardi inorriditi dei suoi compagni, quando si era trasformato in una bestia sanguinaria davanti ai loro occhi. Si era strappato parti dell’armatura come fossero di carta e aveva trucidato ognuna di quelle creature malevole senza sosta, rincorrendoli e sgozzandoli uno per uno nella foresta. Fu un episodio isolato il suo, ma bastò per terrorizzarlo. Ricordava perfettamente l’oscurità che in quel momento stava divorando il suo cuore, ecco perché non temeva tanto per sé, quanto per i suoi amici. Cos’era diventato? Chi era davvero? Ne aveva parlato subito dopo con Anteus, suo padre adottivo, ed Astarte, suo tutore, ed insieme a loro aveva optato per una separazione momentanea. Per far calmare le acque, si dissero, anche se tutti sapevano che difficilmente quella ferita sarebbe potuta guarire se non dopo tanto tempo. I cavalieri infatti non l’avrebbero mai più visto come un loro pari. Già avevano faticato ad accettarlo a causa della sua natura mezzosangue, adesso sarebbe stato impossibile, visto che si era trasformato in una specie di demone senz’anima. Vedendolo smarrito e perplesso riguardo chi fosse veramente, prima di accomiatarsi, Astarte gli aveva raccontato la sua storia. O almeno la storia che di lui conosceva. Di suo padre cavaliere e di sua madre chierico oscuro, che aveva tentato di sacrificarlo neonato a chissà quale divinità malvagia. Un passato tragico ed oscuro il suo, che presagiva un futuro altrettanto buio e sofferto. 
Kail Sospirò tristemente. “Avrò fatto la scelta giusta a tornare?” Si domandò, tra sé.
“Toc – Toc.”
Kail si tirò immediatamente su con la schiena. “Chi è?” 
“Sono Selena… una delle governanti. Se lo desiderate, vi scorterò da Astarte. Il signore del maniero vi sta aspettando.” 
“Certamente.” Rispose lapidario Kail, mentre si riprendeva in spalla lo zaino. Poi aprì la porta. Davanti a lui stava una giovane ragazza dai capelli ricci e biondi. Vestita con un semplice e comodo abito, fece un inchino quando i loro sguardi si incrociarono. Kail abbozzò un sorriso, sforzandosi di capire se poteva conoscerla, ma realizzò che era troppo giovane per riuscire a ricordarsi di lei. Magari era la figlia di un suo amico, ma erano passati quattordici anni. Troppi. 
“Prego, fammi strada.” Selena gli sorrise, si voltò, ed iniziò a scortarlo per i corridoi di pietra del maniero. Ovviamente Kail conosceva benissimo dove fossero le stanze di Victor, ma le lasciò fare il suo lavoro. “Mio padre, Anteus, presiederà all’incontro?” Azzardò il mezzelfo, per intavolare una breve conversazione con lei. La giovane governante abbassò gli occhi e si intristì. “Sir Anteus purtroppo è scomparso mesi fa, milord. E’ tutto ciò che so, ma confido che Lord Astarte saprà darvi molte più informazioni di me in merito.” Anteus sparito? Perché Astarte non era venuto a dirglielo di persona? Kail serrò i pugni, ma non disse altro, trattenendo a stento la rabbia. 
Arrivati alle scale che conducevano al piano superiore, fece segno a Selena di rimanere. “Da qui in poi vado da solo. Grazie per il tuo aiuto, milady.” Selena fece un inchino e sparì in un corridoio vicino. Kail salì le scale, ignorando gli sguardi degli altri cavalieri, scudieri, paggi ed inservienti,  che gli passavano accanto guardandolo con curiosità. Erano tutti troppo giovani per sapere chi fosse, anche se lui non era cambiato granché. Arrivò dunque innanzi alla porta delle stanze di Astarte e bussò. “Avanti.” Replicò una bassa voce baritonale, che lui ben conosceva. Lord Victor era un uomo sulla sessantina, alto, massiccio e fiero. Indossava una semplice camicia bianca, una paio di pantaloni di cuoio e degli stivali da caccia piuttosto rovinati. Tuttavia non era disarmato. La sua armatura, con lo stemma della spada e del martin pescatore, giaceva montata su una gruccia di legno poco distante. La sua spada e il suo scudo invece erano appesi al muro, ma sistemati per essere presi facilmente in qualunque momento fosse stato necessario. Astarte si tirò con entusiasmo fuori dalla scrivania dove era infilato, posò la piuma d’oca nel calamaio e andò ad abbracciarlo. “Kail! Che piacere vederti. Sono contento tu abbia accolto la mia chiamata. Non ero affatto sicuro che avresti accettato la mia richiesta d’aiuto.” Kail abbozzò un sorriso forzato. “Beh, i cavalieri che hai mandato hanno saputo essere parecchio convincenti. Cos’è che non va, mio signore? Come posso servirti?” Il sorriso sul volto di Victor scemò pian piano. Il grande guerriero iniziò a passeggiare nervosamente per la stanza, le mani intrecciate dietro la schiena.        
“Quelle che erano solamente brutte sensazioni, riguardo una guerra imminente che si stava affacciando da sud, oggi si sono trasformate in più che ansie o angosce prive di fondamento. Nel corso degli ultimi tre lustri, ognuno dei Lord della Solamnia del sud, ha inviato uomini fidati nell’Abanasinia e anche più giù, per scoprire se queste voci fossero vere o meno. Più di cento tra i nostri migliori combattenti e scout sono partiti, Kail, ma solo in otto sono tornati… e quasi tutti loro sembrano aver perso il senno, purtroppo. Solo due fonti restano piuttosto attendibili… ma sembra si siano nascosti bene. Una paura terribile pare abbia afferrato i loro cuori.” Kail aggrottò le sopracciglia, poi domandò: “Anteus… era… era tra questi?” Astarte abbassò lo sguardo, incupendosi all’istante. “Si, Kail. E’ partito due anni fa. Doveva mandare un rapporto su ciò che aveva scoperto, riguardo un’area che aveva definito “promettente”, circa sei mesi fa, ma tale resoconto non è mai arrivato. E’anche per questo che ti ho chiamato qui.” Kail lo guardava perplesso. Non era certo di riuscire a seguirlo davvero. 
Fu un’intuizione, un gesto istintivo: il mezzelfo frugò nello zaino e tirò fuori la teca con la zampa artigliata. Astarte sgranò gli occhi. “Dove… dove l’hai presa?” Riuscì solo a balbettare. “L’ho acquistata a Lemish da un ambulante, che mi ha detto di averla comprata a sua volta da dei trapper elfici nell’Abanasinia inferiore.” Victor annuì, si avvicinò e domandò: “Posso vederla da più vicino?” Il mezzelfo annuì a sua volta, cedendogli la teca. Astarte la aprì e la osservò tra l’ammaliato e il disgustato. Apparteneva chiaramente ad una creatura oscura e mai vista: sembrava la zampa di un drago nero, ma cento volte più piccola. La girò e rigirò tra le dita. Poi assottigliò gli occhi e indicò un punto. “Vedi qui?” Kail si avvicinò. “Questa ferita non è causata da una trappola per orsi. Qui c’è un taglio netto…” I due si guardarono increduli. Poi Kail bisbigliò piano: “Questa è una ferita di un’arma da taglio. Segno che il suo possessore se l’è amputata di proposito piuttosto che farsi trovare o catturare.” Astarte annuì. “Un gesto volontario e razionale, di qualcuno che utilizza armi d’acciaio e non artigli e morsi per sopravvivere. Questa è l’ennesima conferma che un grande male sta tornando in vita, Kail. E nessuno più di te, dovrebbe averne sentito l’influenza. La presenza . Grandi sono le ansie e i dubbi che hanno afferrato il mio cuore in questi anni. Tuo padre Lucas me lo aveva detto quando mi ha affidato il tuo destino. Mi perdonerai se allora non te lo dissi, ma l’ho fatto per proteggerti: tua madre ti ha forgiato nell’oscurità e ha messo il suo tenebroso sigillo a cinque teste su di te. Il sigillo che porti ancora al collo. Non pronuncerò qui il suo nome, ma tu sai di chi sto parlando, vero?” 
“Takhisis”, pensò tra sé Kail, impietrendo ed annuendo lentamente. Dunque il medaglione che aveva al collo rappresentava l’effige della dea oscura! Aveva senso: sua madre era un’adoratrice delle tenebre e Takhisis era la sua regina indiscussa! Fece per sfilarselo, inorridito, ma poi rammentò cosa gli era accaduto l’ultima volta che ci aveva provato durante un momento di sconforto. Era quasi morto soffocato, come se qualcuno lo stesse strangolando. Si limitò dunque a coprirlo e a farlo sparire sotto il corpetto di pelle. 
“Tuttavia, insieme all’ombra convive sempre la luce, mio protetto. Anche dagli ambienti più oscuri può sbocciare la speranza. Ed è proprio qui, in questo maniero che ha deciso di farlo..”
Astarte gli sorrise, smorzando così quei toni cupi che si erano creati lungo la loro conversazione. Tornò alla scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori una rozza chiave di ferro arrugginita. “Vieni con me… “Disse poi lapidario. Kail lo seguì da presso. Victor sembrava colto da un’euforia pazzesca: camminava con una tale determinazione e tenacia, che Kail riusciva a stento ad eguagliarne il passo. Arrivarono dopo pochi minuti nei pressi di scale che portavano ad un sotterraneo. Il mezzelfo non aveva memoria di un simile ambiente, poiché qui si trovava l’antico tempio di Paladine della famiglia Astarte. 
Appena varcò l’arcata di pietra e notò gli inginocchiatoi, si ricordò della leggenda di Gerardina Astarte e della sua famosa profezia. “Oggi, alla fine dei tempi, all’alba della caduta della montagna di fuoco e dell’ira degli dei, Paladine mi ha fatto dono di una visione: un giorno tornerà, e il suo arrivo porterà di nuovo gioia nei cuori dei buoni e dei giusti.” Perlomeno questo era più o meno il contenuto della filastrocca che gli avevano raccontato da piccolo le nutrici per farlo addormentare. 
Astrate gli mostrò l’altare e dietro di esso il simbolo di Paladine: un triangolo di platino su uno sfondo d’argento. In quel momento Kail fu afferrato da un senso di soffocamento e angoscia inspiegabili. Mentre Astarte sembrava radioso e raggiante, più si avvicinava all’altare, Kail, pareva invece soffrire e sudare freddo. Ad un certo punto fu costretto a fare alcuni passi indietro, prima che non riuscisse più a sopportare quella sensazione straziante. Non sapeva bene spiegare come, ma percepiva che il suo disagio dipendeva dal ciondolo oscuro che aveva al collo. C’era qualcosa in quel tempio, un’aura strana, una forza primordiale benevola, oltre ogni immaginazione. Ma che a lui non faceva bene.
“E’ qui… è qui che è apparsa Kail.” Il mezzelfo lo fissò interdetto, lottando per rifiatare. “Cosa?” Sussurrò angosciato. “Non cosa, mio protetto…  chi… un dono inatteso: la… speranza. Seguimi.” Ancor più perplesso di prima, ma felice di lasciare quell’antico e dimenticato tempio, Kail lo seguì. Fecero alcuni corridoi, poi delle scale, fino a fermarsi innanzi ad una piccola porta: a dire la verità, in un’ala del maniero poco vissuta da quel che ricordava. Kail udì distintamente dei rumori e delle voci dietro la porta. Astarte annunciò il suo nome ed entrò. 
Era una stanza estremamente pulita ed ordinata, con un mucchio di lenzuola e cuscini profumati e tre nutrici che si stavano prendendo cura di un neonato che non doveva avere nemmeno una settimana di vita! Non c’era altro lì dentro: né armi benedette, né armature incantate indossate da chissà quale avatar di Paladine. C’era  solo un bimbo appena nato e tre badanti, di cui una, la più giovane tra loro, era proprio Selena.
“Lei è Erstellen, Kail. La creazione. Il dono di Paladine!” Esclamò Astarte, indicando con la mano la neonata.  “E’ apparsa due giorni fa nel tempio, giù nei sotterranei. Ce ne siamo accorti solo perché la bimba piangeva per la fame e i cavalieri di guardia sono stati attirati dalle sue grida disperate!” Kail inarcò un sopracciglio. Non che non credesse al soprannaturale: aveva un oggetto al collo che dimostrava il contrario. Lui stesso  era stato posseduto da una specie di mostro senza raziocinio che l’aveva costretto a fare cose indicibili. Tuttavia, la storia “dell’apparizione divina” non sembrava reggere molto. Perlomeno esistevano spiegazioni molto meno mistiche, che potevano giustificare quell’evento molto meglio che non un intervento diretto di Paladine. Astarte, che ben lo conosceva, perché aveva il suo stesso cinico e pragmatico modo di pensare, lesse lo scetticismo nei suoi occhi e si apprestò ad aggiungere: “Nessuno poteva entrare od uscire dal tempio, Kail… è sigillato da anni e solo io ho la chiave. Non ci sono passaggi segreti, abbiamo controllato per scrupolo ogni singola pietra, ed è impossibile che qualcuno possa aver fatto una copia della chiave, visto che solo in pochissimi conoscono cosa si cela in quel sottoscala.” In effetti la sensazione che aveva provato laggiù faceva pensare a qualcosa di soprannaturale, ma guardando meglio quella bimba, Kail non percepiva nulla, nessuna fonte di potere simile a quella che quasi l’aveva soffocato nel tempio. La cosa era piuttosto strana. “Sai bene che i cavalieri un tempo servivano Kiri – Jolith e che oggi questa è un tradizione che in pochi seguono ancora. Immaginati per Paladine! No, credimi, è stato il “Drago di Platino” stesso che ce l’ha mandata. Insieme a questo…” Astarte mostrò a Kail un semplice nastrino giallo e nero. “La bimba lo aveva legato al polso…” Kail si avvicinò e prese i due fili sottili in mano. Poi alzò la testa verso Victor e chiese: “Supponiamo che tutto quello che dici sia vero. Cosa c’entro io?” Astarte salutò le nutrici e fece segno al suo protetto di uscire dalla stanza e fare quattro passi insieme a lui. 
“La mia intenzione era quella di chiederti se avessi voluto aiutarmi a recuperare informazioni utili a sud, Kail. Scoprire la sorte capitata ad Anteus, ripercorrere la sua pista e portare le prove di focolai di creature malvagie che si stessero preparando alla guerra. Poi però è arrivata lei… e volevo sapere se potessi fare prima qualcos’altro per me.” Il mezzelfo lo guardò, restituendogli il nastrino. “Vorrei che tu accompagnassi la piccola al maniero degli Uth Breannar. Gerald è un mio caro amico, nonché alleato in questa missione di ricognizione a sud. Anche gli Uth Monnar e il giovane Lord Gunthar, degli Uth Wistan, stanno seguendo con interesse la questione. Ovviamente non ti manderò allo sbaraglio: ti darò una lettera di presentazione, dove ogni dettaglio gli sarà spiegato. Ma prima devi accettare l’incarico: te la senti di fare anche questo per me?” Kail schioccò le labbra, perplesso. “Mio signore, perdonami, ma non ho capito il nesso tra la bimba e gli Uth Breannar …” Astarte si passò una mano callosa sul viso, come se avesse dimenticato di dire qualcosa d’importante, ed annuì. “Te lo spiego subito.” Disse. “Due giorni fa, la sera prima dell’arrivo di Erstellen, ho avuto una visione mentre ero a cena, da solo, innanzi al fuoco del camino. Tra le fiamme, ho scorto un drago di bronzo che mi osservava. Non parlava, ma il suo sguardo, severo ma benevolo, mi stava avvisando che presto sarebbe successo qualcosa d’importante… qualcosa che mi avrebbe condotto a prendere una decisione fondamentale per il destino della Solamnia. Forse per il destino di tutto Krynn.” Kail rovistò nella sua mente nel tentativo di trovare un collegamento logico tra il drago di bronzo, quel neonato e gli Uth Breannar, ma non ci riuscì. Ma quando il suo sguardo attento cadde sul nastrino giallo e nero in mano ad Astarte, finalmente capì. Lo stemma degli Uth Breannar ritraeva proprio un drago di bronzo in uno sfondo giallo e nero! “Quindi ritieni che quella neonata… sia destinata agli Uth Breannar… per via della tua visione e di quel nastrino nero e giallo?” Il cavaliere della spada annuì. “Ragazzo, la questione è molto più grande di quello che credi. Dovresti sapere che gli esponenti della mia famiglia sono storicamente molto “percettivi”. Inoltre, se la bimba rimane qui, sarà in pericolo. Presto la notizia del dono di Paladine si spargerà per tutta l’area e parecchi malintenzionati vorranno mettere le loro sudice mani su di lei. Per venderla a chissà quale falso chierico pazzoide o mago oscuro… mentre se la diamo in affidamento ai nostri amici, potrò chiudere la questione dicendo che si trattava solo di un macabro scherzo. Che qualcuno aveva rubato la chiave del tempio di Paladine, ed aveva inscenato tutta la vicenda per coprire che so, uno scandalo…  mi inventerò qualcosa a riguardo.” Kail spostò lo sguardo da Victor al corridoio. Poi disse: “Questo ha senso. Indipendentemente se quella bimba sia davvero quello che dici, con tutti i matti che girano di questi tempi, qui sarebbe davvero in pericolo. D’accordo, la scorterò, ma quando tornerò parleremo di questioni meno mistiche e più pratiche. Va bene?” Astarte annuì. “Non ho perso le speranze di trovare mio padre e voglio sapere ogni cosa sulla sua missione…” Aggiunse Kail a denti stretti. “Figliolo, anche io rivorrei indietro il mio maestro d’armi. I nostri obiettivi non sono così distanti.” Così, i due tornarono nelle loro stanze e si prepararono per la cena. Kail era tornato a casa per aiutare il suo tutore, ma non si sarebbe certo aspettato compiti così strani e particolari. Lui era un guerriero, non una spia e di certo nemmeno un babysitter.