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Capitolo 1 - Spiragli di luce.
- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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I primi giorni dopo il risveglio furono atroci per Escol: il suo corpo doveva riprendersi dai terribili traumi subiti, ma anche dalla lunga inattività che l’aveva portato a rimanere immobile e a letto per quasi tre lunghi mesi. Sia Malcom che Keira avevano iniziato a fidarsi del tutto di lui e il giovane Nordhmenn stava provando a ricambiare la loro cortesia e il loro affetto come poteva. Non era ancora in grado di compiere pesanti lavori manuali, ma si prodigava comunque a coadiuvare Liss nei lavori di casa. La giovane sembrava mostrare una particolare simpatia per lui e di questo Escol se ne rese conto quasi da subito. Sentì il peso di questa responsabilità. Liss non era di molto più piccola di Kail e continuava a palesare, in più di un’occasione, la stessa sfrontatezza ed ardore del suo allievo purtroppo defunto. Era stata lei ad aiutarlo a ripulirsi un po’, assistendolo nell’accorciarsi la barba e i capelli ormai diventati un pò troppo lunghi e trasandati. Liss gli mostrò, passandoci delicatamente sopra il dito, che le cicatrici si stavano velocemente richiudendo e questo le sembrava davvero incredibile. Con gioia commentò che presto ben pochi segni sarebbero rimasti a deturpare il suo bel viso: sarebbero bastati solo una manciata di altri giorni e tutto sarebbe passato. La sua vicinanza fu una vera benedizione per Escol. Liss era un vero raggio di sole. Forse proprio quel raggio di sole che l’aveva svegliato la settimana prima e stava provando ad insegnargli di nuovo che la vita era una cosa sacra e preziosa e che non bisognava mai sprecarne un attimo invano. Uno di quei giorni, il figlio del Duca aveva apparecchiato e messo sul fuoco una pentola con un buono stufato e quando la giovinetta era tornata da scuola, si recò subito da lui entusiasta. “Oggi a lezione ho imparato una cosa importante. La vuoi sapere anche tu?” Liss guardò Escol furbescamente, con gli occhi verdi spalancati,entusiasti, mentre si tirava dietro di sé una sedia. Escol sorrise ed annuì. “Ho imparato che “Escol” è il nome del figlio del Duca di Berge. Mi sa tanto che tu sia proprio quell’Escol, non è vero?” Il giovane Nordhmenn si fermò per un breve attimo dal girare e rigirare il mestolo nel pentolone ribollente, poi scrollò le spalle, commentando pacato che in molti del loro popolo portavano quel nome e lui non era che uno tra quelli. Poco convinta delle sue argomentazioni, Liss scivolò via dalla sedia e si avvicinò di qualche metro a lui. Poi disse: “Domani verrà a trovarti Aisen, il cerusico del villaggio. Sarà contento di vedere che finalmente inizi a guarire. A dire il vero, adesso… perfino un pò troppo velocemente…” Escol le sorrise di nuovo, colpito dall’entusiasmo contagioso della giovane. Poi le disse di andare nelle sue stanze, sistemare i libri e prepararsi per il ritorno imminente dei suoi genitori dai campi. Liss obbedì, sgambettando fuori dalle cucine. Escol quasi spezzò il mestolo per la tensione nervosa. Non sapeva spiegare il perché, ma era come se ritenesse in cuor suo che Escol Berge, il figlio del Duca di Berge, fosse morto il giorno stesso dell’attacco alla cittadella. Insieme a Kail, a Vala, ad Eledras e a suo padre, condotto nella capitale e sicuramente già giustiziato in pubblica piazza davanti a tutti da Arios “il maledetto”, come monito per chi volesse riprovare a minacciare in futuro la sua autorità. Eppure, più ripensava a tutta la sua ordalia, da quando aveva lasciato il maniero Berge a quando era stato abbandonato al suo destino dall’Efreet, non era Arios l’uomo che odiava più di ogni altro. Solo Andor e il ricordo di ciò che aveva fatto riuscivano a scatenare in lui una rabbia, una tale furia omicida, da esser capace di compiere una vera carneficina. Andor, Bedde o come diavolo si chiamava, l’aveva manipolato da quando era un bambino. Si era finto per decenni chi non era, ingraziandosi i favori di tutti quelli che odiavano Arios, non solo i suoi e quelli di suo padre, ma anche quelli di elfi, nani ed esiliati. Compreso Astarte. Era un viscido, infame traditore. “L’imperatore maledetto” almeno era semplicemente ciò che era e sarebbe sempre stato: la sciagura di Eord e nient'altro. Malcom e Keira tornarono a casa pochi minuti dopo e ringraziarono il figlio del Duca per aver preparato loro il pranzo. Escol rispose che era un piacere per lui rendersi utile in qualche modo. Ben presto sarebbe stato meglio e avrebbe potuto contribuire al fabbisogno della casa in maniera molto più corposa. Keira lo ringraziò per i suoi propositi, ma lo invitò a procedere con calma: era indubbiamente vero che la sua ripresa nell’ultima settimana aveva superato ogni più rosea aspettativa, ma era sempre meglio non sfidare la benevolenza dei Paradine. Quando si sarebbe sentito pronto, avrebbe fatto quello che avrebbe voluto. Per loro, ma soprattutto per sé stesso. Escol annuì, trovando così la tranquillità necessaria per consumare il suo pasto. Verso sera Malcom andò a fargli visita nelle sue stanze e i due parlarono un po' più approfonditamente del passato evidentemente burrascoso del giovane Nordhmenn. Il padre di Liss non cercò di essere invadente, solo pratico. Aveva intuito che il suo ospite non poteva essere un semplice soldato della ribellione, ma qualcuno di valoroso, di importante e, non essendo certo un sostenitore dell’imperatore, anche per questo aveva deciso di aiutarlo. Quando vide il suo volto, anche se deturpato dalle ferite e dal sangue, aveva capito subito che quel giovane era di nobile lignaggio e che non poteva permettere di lasciarlo morire da solo, come un cane, senza provare a salvarlo. Tuttavia, invitò Escol ad essere cauto con Aisen. Non perché il vecchio cerusico fosse un servo infido dell’imperatore, ma perché lui aveva la responsabilità di proteggere la propria famiglia. Il figlio del Duca lo guardò e il suo sguardo intenso lo trafisse come una lancia. Poi bisbigliò amaramente tra i denti che avrebbe preferito di gran lunga restituire la vita che lui gli aveva donato, piuttosto che lasciare che la sua famiglia potesse soffrire a causa delle sue azioni. Pertanto invitò lui Keira e Liss, di chiamarlo con il suo secondo nome in presenza del cerusico o di altri estranei: Theodor, un nome altrettanto altisonante. Escol sorrise astutamente e Malcom ricambiò increspando le labbra, intuendo subito il riferimento a “Escol Berge”, del ducato dei Berge. Gli era sembrato ovvio che Liss avesse parlato con suo padre di ciò che aveva imparato a scuola. I due si strinsero la mano e poco più tardi condivisero la cena, frugale ma dignitosa. Aisen arrivò dal villaggio alla fattoria poco dopo l’alba. Liss lo accolse in casa, baciò Escol su una guancia e poi uscì per andare di corsa a scuola. Escol invitò Aisen ad entrare nelle sue stanze, un po’ imbarazzato. Anche il cerusico era un Nordhmenn, anche se il suo cipiglio lo rendeva un tipo meno semplice da capire rispetto a Malcom. L’anziano guaritore ordinò ad Escol di sdraiarsi sul letto, sfilò dalla borsa alcuni strumenti e poi lo visitò. Quando tolse i bendaggi, notò che le ferite nell’ultima settimana si erano completamente richiuse! Nessuna di esse sanguinava più e perfino sul volto, sulle guance e sugli zigomi, erano assai pochi ormai i solchi rimasti visibili. “Tutto ciò ha dell’incredibile, giovane Nordhmenn…” Bisbigliò il cerusico, controllando una strana escrescenza che Escol aveva sul petto, esattamente nel punto ove il ciondolo di Enwel presumeva fosse andato in mille pezzi. Il figlio del Duca gli afferrò la mano rugosa e lo invitò con lo sguardo a non andare oltre con quel tipo di esame. Mettendo le mani avanti Aisen gli sorrise. Poi domandò: “Come devo chiamarti, milord?” Escol scelse il nome “Theodor”, come stabilito con Malcom la sera prima. Notando che Aisen sembrava non soddisfatto pienamente del loro incontro, il figlio del Duca azzardò a chiedergli se avesse qualcos’altro da dirgli. Anzi, lo pregò di parlare liberamente. Il cerusico si schiarì la voce, un pò impastata, poi disse: “Sono stato un cerusico imperiale e posso vantare di avere molta esperienza sul campo. Ho visto ogni tipo di ferita, ma le vostre, mio signore…. le vostre erano di un tipo sconosciuto. Vi ho tolto personalmente centinaia di piccole schegge di metallo dal corpo, salvando la vostra vita. Potreste pertanto soddisfare questa mia curiosità personale? Sempre che non vi arrechi offesa, ovviamente, Sir Theodor…” Escol lo guardò di sottecchi. Poi raccontò di un cruento scontro, di poco antecedente alla grande battaglia combattuta nelle piane di Stamstan e di un potente mago imperiale, che, grazie ad un incantesimo particolarmente letale, fece andare letteralmente in frantumi la sua armatura. Lasciandolo solo, nella boscaglia, a trascinarsi in fin di vita. Il cerusico ammise che, per quanto possibile, il suo racconto restava alquanto improbabile, ma bastava comunque ad inquadrare la portata delle cose che il giovane aveva visto e vissuto. Detto questo Aisen si alzò, aggiungendo che sarebbe tornato da lui adesso ogni due settimane, ma sospettava che, al ritmo in cui stava guarendo, la prossima volta che si fossero visti, sarebbe stata l’ultima. La profezia del cerusico si avverò in tempi ancor più ristretti. La settimana successiva, Escol in iniziò a fare delle lunghe camminate, spesso accompagnato da Liss. Egli tornava due volte al giorno, prima dell’alba e dopo il tramonto, nel luogo ove era stato condotto dall’Efreet, nella speranza di ritrovare qualcosa di suo in mezzo alle foglie e al fango. Era forse un esercizio inutile, che annoiava ogni volta a morte Liss, ma Escol continuava a recarsi lì e a sperare in un miracolo. Anche ritrovare il suo pugnale o il suo vecchio spadone, sarebbe stata una grazia incredibile da parte dei Paradine. Tuttavia, nonostante la loro dedizione e minuziosa ricerca tra cespugli e alberi, non riuscirono a rinvenire alcunché. Eppure, il figlio del Duca, ogni giorno che passava e recuperava una piccola parte della sua antica forza, sentiva dentro di sé che quello sforzo, costante e impegnativo, gli era utile. Utile per credere di nuovo in qualcosa, per ritrovare la speranza perduta. Una sera, di ritorno dal duro lavoro nei campi, si imbatté negli occhi verdi di Liss che attendeva lui e la sua famiglia sull’uscio di casa. Erano occhi colmi d’affetto e lui capì che forse aveva trovato in quella casa di contadini ciò che aveva smarrito nella sala del trono dell’imperatore. Lui, un nobile, figlio del Duca di Berge e feroce “Guerriero dell’Ordine”, aveva trovato la pace in quel rifugio, d’amore e condivisione. Con lo sguardo perso nei campi, pensò che avrebbe dovuto prepararsi al peggio, perché la pace non era per gente come lui. Doveva trovare un modo per poter difendere quel tesoro inestimabile. Per sé stesso e per quella famiglia, aveva bisogno di acciaio. Di tanto acciaio.
Capitolo 13 - Verità o tradimento?
- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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La “Explorer” navigò in assoluta tranquillità per due giorni interi e i nostri eroi poterono finalmente rilassarsi un pò. La missione ad Arches era stata parecchio stressante, non tanto per la sua difficoltà, incidente con gli spettri a parte, quanto per l’importanza che aveva nell’economia del risultato finale. Se infatti non avessero ottenuto il “Pugnale di Cardras”, tutto il loro viaggio, i loro sforzi per arrivare fin lì, sarebbero stati vani. La morte di Vala sarebbe stata vana. Tutti erano curiosi quindi di poter vedere anche solo per un attimo quella meraviglia, ma Escol aveva dato ordini precisi a Kail di non toccare quel coltello finché non fosse stato davvero necessario. Ancora scioccato per la visione che aveva avuto e che riguardava il giovane Mohdi e l’Imperatore Maledetto, il figlio del Duca aveva stabilito così e a Kail non restò che obbedire ai suoi ordini. La notte del terzo giorno però qualcosa cambiò e il cuore di Escol si strinse in una morsa terribile. Manuel aveva bussato alla sua cabina, riferendogli che Remis voleva vederlo. Il giovane guerriero si mise qualcosa addosso e lo seguì immediatamente. Giunto di coffa, il capitano gli andò incontro. Aveva un lungo cannocchiale in mano, il che non era un buon segno, ma non il bieco cipiglio dell’ultima volta. Remis gli passò lo strumento e lo invitò a guardare verso nord - est. Escol deglutì per il nervoso: una nave pirata degli Okar era chiaramente visibile tra la foschia notturna! Inoltre, le insegne che portava mostravano che apparteneva proprio a quella stessa fazione che avevano combattuto durante il viaggio d’andata. Escol sospirò affranto, poi guardò Remis e gli domandò quale strategia avesse in mente questa volta per farli uscire vivi da quel pasticcio. Il capitano invece gli fece segno con la mano di guardare meglio. Il giovane guerriero allora tornò a posare l’occhio nel cannocchiale e in effetti scorse un dettaglio strano, che prima non aveva notato: la nave pirata sembrava allontanarsi da loro piuttosto che avvicinarsi! Remis gli sorrise astuto. Vedendo il volto corrucciato del giovane, che evidentemente non riusciva ancora a capire cosa stesse succedendo, gli spiegò che questo era l’effetto della pesante sconfitta che i pirati avevano subito per mano della “Explorer”! Grazie infatti al loro aiuto e alle voci che aveva messo a Duruchta, su “un gruppo di nuovi marinai dai grandi poteri”, era quasi sicuro che questa fazione di pirati non avrebbe mai più dato problemi a lui e al suo equipaggio. Lo ringraziò dal profondo del cuore per questo. Escol sospirò di sollievo: non solo dunque la compagnia non avrebbe dovuto combattere gli Okar, ma probabilmente quella nave non avrebbe mai più avuto problemi da essi. Grazie a loro. A Hilda principalmente. Remis gli offrì la mano, ed il giovane guerriero la strinse con forza. RInfrancato, tornò a dormire. Il giorno dopo Escol decise di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Di tempo ce n’era ancora in abbondanza e non credeva che avrebbe avuto una seconda occasione come quella per mettere luce su alcune questioni che aveva a cuore. Domandando ai suoi amici di essere lasciato da solo per qualche ora, recuperò la pietra nera di Wizimir dalla tasca e chiamò a sé lo stregone. Wizimir rispose alla chiamata quasi istantaneamente, inviando la sua forma eterea a comunicare con il suo giovane amico Nordhmenn. Per quanto riuscisse a manifestarlo (egli era una creatura davvero inquietante), sembrava sinceramente contento di vederlo vivo e vegeto. Ovviamente, morso dalla curiosità, domandò subito come fosse andata la sua missione, visto che l’occhio di Atreus non riusciva a penetrare le barriere dell’isola. Escol, a sua volta curioso di scoprirne il motivo, chiese al tempo stesso lumi all’amico stregone. Wizimir si limitò a bisbigliare che attorno al castello dell’Ordine aleggiava ancora un potentissimo incantesimo, che rendeva impossibile a qualunque occhio magico di guardare in quella direzione. Escol annuì finalmente soddisfatto, certo che Atreus non avesse potuto vedere ciò che era davvero successo laggiù. Il giovane guerriero ammise comunque che erano riusciti a recuperare il pugnale di Cardras, ma che aveva però necessità di conferire con il suo signore. Purtroppo Wizimir dovette negargli questa possibilità, poiché spiegò che Atreus non era ancora tornato dal posto in cui si era recato. Immaginando di chi si stava parlando, Escol sospettò subito che l’Asur stava visitando posti e esseri ben al di fuori della sfera umana. Wizimir non negò affatto quella possibilità, ma si astenne dall’offrire ulteriori dettagli sull’argomento. Quando si parlava del suo padrone, diventava molto difficile per lui sapersi districare tra quello che era opportuno e quello che invece sarebbe stato per lui letale riferire agli altri. Anche ai suoi alleati. Quindi Escol non ci provò nemmeno ad approfondire il discorso. Piuttosto decise di parlare con il mago riguardo il messaggio che aveva trovato sotto il pugnale Asur, che aveva trafitto la schiena di Edric. Secondo il parere di Wizimir esso era autentico! Aveva sentito più volte infatti Atreus vantarsi del fatto che era stato lui a cancellare l’Ordine dalla faccia di Eord, ma onestamente non ne sapeva molto di più. Escol corrucciò la fronte. Se era stato davvero l’Asur a commettere quell’omicidio di massa, doveva assolutamente capire come ci fosse riuscito. Non per un sentimento di vendetta o di rivalsa nei suoi confronti, ma per fare luce su una vicenda che era costata cara alla sua famiglia e ad un “Ordine” a cui, volente o nolente, apparteneva di diritto. Comunque Wizimir lo rassicurò sul fatto che quando Atreus sarebbe tornato disponibile, lo avrebbe avvertito circa le sue necessità di conferire con lui. Non aveva dubbi che “Egli” gli avrebbe offerto tutte le risposte con la massima franchezza come di consueto. Escol come al solito lo ringraziò per la sua disponibilità e cortesia. Sapeva bene che Wizimir faceva quanto Atreus gli aveva detto di fare, ma era convinto che lo stregone, al di là dei suoi obblighi verso l’Asur, fosse sinceramente interessato a lui e alle sue vicende. I due si salutarono con rispetto, ed Escol quella notte fece sogni irrequieti e turbolenti. Il viaggio continuava a procedere tranquillo e le sponde del continente iniziarono a vedersi all’orizzonte. Della minaccia dei pirati non c’era stata nemmeno l’ombra e la “'Explorer” veleggiava sicura e veloce su acque che conosceva molto bene. La notte prima dell’approdo, Escol ricevette finalmente la visita che tanto attendeva. Atreus infatti lo contattò durante il sonno, chiedendogli subito come fosse andato il viaggio sull’isola di Arches. Il figlio del Duca sorrise, ghignando di questa sua frustrazione e rispose che tutto era andato secondo i piani. Il pugnale era stato recuperato e loro stavano adesso recandosi nella capitale, per attivare la fase due del piano. Atreus annuì soddisfatto e sollevato. Aggiunse che Andor aveva svolto egregiamente il suo compito di “preparazione del terreno” e che, grazie al suo lavoro, Escol avrebbe potuto muoversi senza troppe difficoltà nel raggiungere Arios. Atreus restava dunque molto fiducioso. Quando fu il turno del giovane guerriero di fare le domande, l’Asur rispose con sincerità, come al solito. Egli aveva visitato i suoi “progenitori” (!), per scopi che il figlio del Duca non volle approfondire in quel momento. Tuttavia, il fatto stesso che l’avesse fatto, apriva scenari inquietanti per il “dopo Arios”. Probabilmente avrebbe dovuto correre ai ripari molto presto: se le parole di Atreus erano vere e non aveva molti dubbi su questo, gli “Antichi senza nome”, parlando con lui, avevano appena rotto un patto, stipulato millenni prima con i Paradine e i Vanir, che avrebbe fatto sprofondare di nuovo Eord nel “Caos” e nella “distruzione assoluti”! Escol cercò di dissimulare la tensione e la preoccupazione, cambiando discorso. Gli raccontò di ciò che aveva trovato nel maniero e chiese ad Atreus innanzi tutto se era stato lui a compiere quel massacro. Atreus ammise di aver distrutto l’Ordine e di aver assassinato il Gran Maestro, ma che non aveva affatto ucciso tutti i membri dell’Ordine. Quella era stata una deduzione che aveva fatto lui. Perciò la storia era vera solo in parte: l’Asur aveva di fatto mandato in rovina l’Ordine stesso, ma non aveva però ucciso nessuno, a parte Edric. Quindi chi era stato l’artefice di tutte quelle morti? Adesso fu il turno di Atreus di ghignare sinistramente. Egli non ebbe problemi ad ammettere che fu Arios a commissionargli quel genocidio, ma in maniera più subdola di quello che le leggende narravano. Fu un oggetto magico di grandissimo potere, appartenente alla sesta scuola, di cui lui non sapeva assolutamente nulla, a sbaragliare le difese mistiche del castello e a portare la “follia nella rocca”! Questo oggetto infatti, ebbe la capacità singolare e terribile, di spingere i membri dell’Ordine ad uccidersi a vicenda, coinvolgendoli tutti in una furia omicida feroce e senza freni! Eppure Atreus dubitava nel suo profondo che questo fosse tutto. Sospettava infatti che qualcuno di loro avesse tradito l’Ordine! Non era stato facile per lui infiltrarsi segretamente nel maniero, camuffandosi in maniera adeguata, utilizzando la sua potente magia, ma se doveva proprio esprimersi con la massima sincerità, non era stato nemmeno così difficile come aveva immaginato. Ecco perché si era fatto quell’idea. Escol non ebbe problemi a rispondergli che non era tanto il fatto che lui si fosse alleato con Arios per distruggere l’Ordine che lo stupiva, quanto che anche questa spiegazione, “l’oggetto magico che aveva creato una follia generale”, non lo convinceva affatto. Dalla posizione dei corpi infatti, non c’erano affatto segni evidenti che i membri dell’Ordine si fossero combattuti l’un l’altro. La maggior parte dei cadaveri, se non tutti, erano sparpagliati, distanti gli uni dagli altri, tanto che aveva pensato che gli assalitori avessero portato via i loro morti. Se due guerrieri si affrontavano a singolar tenzone, lui poteva dirlo perché era un soldato, e uno dei due cadeva, avrebbe potuto dedurre l’intero esito del combattimento solo guardando la posizione di quel corpo. Lì le persone erano state assassinate! Velocemente, in maniera scientifica e calcolata. Poteva garantirglielo. Atreus sembrò incuriosito da questo parere “tecnico” e ammise che Arios avrebbe potuto nascondergli tranquillamente la verità, anzi, che era molto probabile che l’avesse fatto. Al posto suo, egli avrebbe perfino cercato il modo di eliminarlo dalla circolazione, dopo che avesse svolto il suo compito. Ecco perché pensava ad un tradimento interno. Escol nuovamente annuì, poi lo salutò, con l’augurio di non incontrarsi da nemici la prossima volta. Stranamente, anche l’Asur se lo augurò. In qualche assurdo e strano modo, tra i due si era creato una sorta di “legame” che Escol non seppe spiegare in futuro. Ora però c’era pensare al presente: lui e i suoi amici avrebbero preso la strada più diretta per la capitale: dieci giorni, forse quindici, di difficile cammino, che li avrebbe portati nelle braccia di un vero e proprio diavolo. Si augurò vivamente di avere la forza di affrontare quell’ultima sfida con la giusta intensità e motivazione o sarebbe stata la fine. Per tutti. Per tutto.
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