I primi giorni dopo il risveglio furono atroci per Escol: il suo corpo doveva riprendersi dai terribili traumi subiti, ma anche dalla lunga inattività che l’aveva portato a rimanere immobile e a letto per quasi tre lunghi mesi. Sia Malcom che Keira avevano iniziato a fidarsi del tutto di lui e il giovane Nordhmenn stava provando a ricambiare la loro cortesia e il loro affetto come poteva. Non era ancora in grado di compiere pesanti lavori manuali, ma si prodigava comunque a coadiuvare Liss nei lavori di casa. La giovane sembrava mostrare una particolare simpatia per lui e di questo Escol se ne rese conto quasi da subito. Sentì il peso di questa responsabilità. Liss non era di molto più piccola di Kail e continuava a palesare, in più di un’occasione, la stessa sfrontatezza ed ardore del suo allievo purtroppo defunto. Era stata lei ad aiutarlo a ripulirsi un po’, assistendolo nell’accorciarsi la barba e i capelli ormai diventati un pò troppo lunghi e trasandati. Liss gli mostrò, passandoci delicatamente sopra il dito, che le cicatrici si stavano velocemente richiudendo e questo le sembrava davvero incredibile. Con gioia commentò che presto ben pochi segni sarebbero rimasti a deturpare il suo bel viso: sarebbero bastati solo una manciata di altri giorni e tutto sarebbe passato. La sua vicinanza fu una vera benedizione per Escol. Liss era un vero raggio di sole. Forse proprio quel raggio di sole che l’aveva svegliato la settimana prima e stava provando ad insegnargli di nuovo che la vita era una cosa sacra e preziosa e che non bisognava mai sprecarne un attimo invano. Uno di quei giorni, il figlio del Duca aveva apparecchiato e messo sul fuoco una pentola con un buono stufato e quando la giovinetta era tornata da scuola, si recò subito da lui entusiasta. “Oggi a lezione ho imparato una cosa importante. La vuoi sapere anche tu?” Liss guardò Escol furbescamente, con gli occhi verdi spalancati,entusiasti, mentre si tirava dietro di sé una sedia. Escol sorrise ed annuì. “Ho imparato che “Escol” è il nome del figlio del Duca di Berge. Mi sa tanto che tu sia proprio quell’Escol, non è vero?” Il giovane Nordhmenn si fermò per un breve attimo dal girare e rigirare il mestolo nel pentolone ribollente, poi scrollò le spalle, commentando pacato che in molti del loro popolo portavano quel nome e lui non era che uno tra quelli. Poco convinta delle sue argomentazioni, Liss scivolò via dalla sedia e si avvicinò di qualche metro a lui. Poi disse: “Domani verrà a trovarti Aisen, il cerusico del villaggio. Sarà contento di vedere che finalmente inizi a guarire. A dire il vero, adesso… perfino un pò troppo velocemente…” Escol le sorrise di nuovo, colpito dall’entusiasmo contagioso della giovane. Poi le disse di andare nelle sue stanze, sistemare i libri  e prepararsi per il ritorno imminente dei suoi genitori dai campi. Liss obbedì, sgambettando fuori dalle cucine. Escol quasi spezzò il mestolo per la tensione nervosa. Non sapeva spiegare il perché, ma era come se ritenesse in cuor suo che Escol Berge, il figlio del Duca di Berge, fosse morto il giorno stesso dell’attacco alla cittadella. Insieme a Kail, a Vala, ad Eledras e a suo padre, condotto nella capitale e sicuramente già giustiziato in pubblica piazza davanti a tutti da Arios “il maledetto”, come monito per chi volesse riprovare a minacciare in futuro la sua autorità. Eppure, più ripensava a tutta la sua ordalia, da quando aveva lasciato il maniero Berge a quando era stato abbandonato al suo destino dall’Efreet, non era Arios l’uomo che odiava più di ogni altro. Solo Andor e il ricordo di ciò che aveva fatto riuscivano a scatenare in lui una rabbia, una tale furia omicida, da esser capace di compiere una vera carneficina. Andor, Bedde o come diavolo si chiamava, l’aveva manipolato da quando era un bambino. Si era finto per decenni chi non era, ingraziandosi i favori di tutti quelli che odiavano Arios, non solo i suoi e quelli di suo padre, ma anche quelli di elfi, nani ed esiliati. Compreso Astarte. Era un viscido, infame traditore. “L’imperatore maledetto” almeno era semplicemente ciò che era e sarebbe sempre stato: la sciagura di Eord e nient'altro. Malcom e Keira tornarono a casa pochi minuti dopo e ringraziarono il figlio del Duca per aver preparato loro il pranzo. Escol rispose che era un piacere per lui rendersi utile in qualche modo. Ben presto sarebbe stato meglio e avrebbe potuto contribuire al fabbisogno della casa in maniera molto più corposa. Keira lo ringraziò per i suoi propositi, ma lo invitò a procedere con calma: era indubbiamente vero che la sua ripresa nell’ultima settimana aveva superato ogni più rosea aspettativa, ma era sempre meglio non sfidare la benevolenza dei Paradine. Quando si sarebbe sentito pronto, avrebbe fatto quello che avrebbe voluto. Per loro, ma soprattutto per sé stesso. Escol annuì, trovando così la tranquillità necessaria per consumare il suo pasto. Verso sera Malcom andò a fargli visita nelle sue stanze e i due parlarono un po' più approfonditamente del passato evidentemente burrascoso del giovane Nordhmenn. Il padre di Liss non cercò di essere invadente, solo pratico. Aveva intuito che il suo ospite non poteva essere un semplice soldato della ribellione, ma qualcuno di valoroso, di importante e, non essendo certo un sostenitore dell’imperatore, anche per questo aveva deciso di aiutarlo. Quando vide il suo volto, anche se deturpato dalle ferite e dal sangue, aveva capito subito che quel giovane era di nobile lignaggio e che non poteva permettere di lasciarlo morire da solo, come un cane, senza provare a salvarlo. Tuttavia, invitò Escol ad essere cauto con Aisen. Non perché il vecchio cerusico fosse un servo infido dell’imperatore, ma perché lui aveva la responsabilità di proteggere la propria famiglia. Il figlio del Duca lo guardò e il suo sguardo intenso lo trafisse come una lancia. Poi bisbigliò amaramente tra i denti che avrebbe preferito di gran lunga restituire la vita che lui gli aveva donato, piuttosto che lasciare che la sua famiglia potesse soffrire a causa delle sue azioni. Pertanto invitò lui Keira e Liss, di chiamarlo con il suo secondo nome in presenza del cerusico o di altri estranei: Theodor, un nome altrettanto altisonante. Escol sorrise astutamente e Malcom ricambiò increspando le labbra, intuendo subito il riferimento a “Escol Berge”, del ducato dei Berge. Gli era sembrato ovvio che Liss avesse parlato con suo padre di ciò che aveva imparato a scuola. I due si strinsero la mano e poco più tardi condivisero la cena, frugale ma dignitosa. Aisen arrivò dal villaggio alla fattoria poco dopo l’alba. Liss lo accolse in casa, baciò Escol su una guancia e poi uscì per andare di corsa a scuola. Escol invitò Aisen ad entrare nelle sue stanze, un po’ imbarazzato. Anche il cerusico era un Nordhmenn, anche se il suo cipiglio lo rendeva un tipo meno semplice da capire rispetto a Malcom. L’anziano guaritore ordinò ad Escol di sdraiarsi sul letto, sfilò dalla borsa alcuni strumenti e poi lo visitò. Quando tolse i bendaggi, notò che le ferite nell’ultima settimana si erano completamente richiuse! Nessuna di esse sanguinava più e perfino sul volto, sulle guance e sugli zigomi, erano assai pochi ormai i solchi rimasti visibili. “Tutto ciò ha dell’incredibile, giovane Nordhmenn…” Bisbigliò il cerusico, controllando una strana escrescenza che Escol aveva sul petto, esattamente nel punto ove il ciondolo di Enwel presumeva fosse andato in mille pezzi. Il figlio del Duca gli afferrò la mano rugosa e lo invitò con lo sguardo a non andare oltre con quel tipo di esame. Mettendo le mani avanti Aisen gli sorrise. Poi domandò: “Come devo chiamarti, milord?” Escol scelse il nome “Theodor”, come stabilito con Malcom la sera prima. Notando che Aisen sembrava non soddisfatto pienamente del loro incontro, il figlio del Duca azzardò a chiedergli se avesse qualcos’altro da dirgli. Anzi, lo pregò di parlare liberamente. Il cerusico si schiarì la voce, un pò impastata, poi disse: “Sono stato un cerusico imperiale e posso vantare di avere molta esperienza sul campo. Ho visto ogni tipo di ferita, ma le vostre, mio signore…. le vostre erano di un tipo sconosciuto. Vi ho tolto personalmente centinaia di piccole schegge di metallo dal corpo, salvando la vostra vita. Potreste pertanto soddisfare questa mia curiosità personale? Sempre che non vi arrechi offesa, ovviamente, Sir Theodor…” Escol lo guardò di sottecchi. Poi raccontò di un cruento scontro, di poco antecedente alla grande battaglia combattuta nelle piane di Stamstan e di un potente mago imperiale, che, grazie ad un incantesimo particolarmente letale, fece andare letteralmente in frantumi la sua armatura. Lasciandolo solo, nella boscaglia, a trascinarsi in fin di vita. Il cerusico ammise che, per quanto possibile, il suo racconto restava alquanto improbabile, ma bastava comunque ad inquadrare la portata delle cose che il giovane aveva visto e vissuto. Detto questo Aisen si alzò, aggiungendo che sarebbe tornato da lui adesso ogni due settimane, ma sospettava che, al ritmo in cui stava guarendo, la prossima volta che si fossero visti, sarebbe stata l’ultima. La profezia del cerusico si avverò in tempi ancor più ristretti. La settimana successiva, Escol in iniziò a fare delle lunghe camminate, spesso accompagnato da Liss. Egli tornava due volte al giorno, prima dell’alba e dopo il tramonto, nel luogo ove era stato condotto dall’Efreet, nella speranza di ritrovare qualcosa di suo in mezzo alle foglie e al fango. Era forse un esercizio inutile, che annoiava ogni volta a morte Liss, ma Escol continuava a recarsi lì e a sperare in un miracolo. Anche ritrovare il suo pugnale o il suo vecchio spadone, sarebbe stata una grazia incredibile da parte dei Paradine. Tuttavia, nonostante la loro dedizione e minuziosa ricerca tra cespugli e alberi, non riuscirono a rinvenire alcunché. Eppure, il figlio del Duca, ogni giorno che passava e recuperava una piccola parte della sua antica forza, sentiva dentro di sé che quello sforzo, costante e impegnativo, gli era utile. Utile per credere di nuovo in qualcosa, per ritrovare la speranza perduta. Una sera, di ritorno dal duro lavoro nei campi, si imbatté negli occhi verdi di Liss che attendeva lui e la sua famiglia sull’uscio di casa. Erano occhi colmi d’affetto e lui capì che forse aveva trovato in quella casa di contadini ciò che aveva smarrito nella sala del trono dell’imperatore. Lui, un nobile, figlio del Duca di Berge e feroce “Guerriero dell’Ordine”, aveva trovato la pace in quel rifugio, d’amore e condivisione. Con lo sguardo perso nei campi, pensò che avrebbe dovuto prepararsi al peggio, perché la pace non era per gente come lui. Doveva trovare un modo per poter difendere quel tesoro inestimabile. Per sé stesso e per quella famiglia, aveva bisogno di acciaio. Di tanto acciaio.