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Capitolo 4 - Il ritorno di Celador.
- Scritto da Jack Warren
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Escol si trovava nelle sue stanze, all’interno della casa della sua famiglia adottiva, quando un messo elfico lo richiamò riferendogli che uno strano messaggero era giunto da lontano per vederlo e che avrebbe dovuto subito recarsi presso il Tempio ad incontrarlo. Un po confuso, il figlio del Duca indossò qualcosa di decente e seguì l’elfo, che pazientemente era rimasto ad aspettarlo fuori dalla casa di Malcom. I due attraversarono l'enclave elfica, che si rivelò essere sorprendentemente grande, più simile ad una piccola cittadella, ed anche se costantemente sotto assedio, riusciva a garantire a chi ospitava: rifugio, cibo e una vita degna di esser vissuta. Escol arrivò al Tempio e subito incontrò Volker che lo accolse con cortesia e un pizzico di trepidazione. Poi gli presentò il viaggiatore, che tosto si girò verso di lui, scoprendosi il volto e lasciando il giovane Berge strabiliato. Si trattava di Celador, fratello di Elwen! Escol rimase senza parole! Celador si era fatto mezzo mondo, aveva affrontato mille rischi e pericoli per giungere da lui. Ora però era curioso di scoprire il perché. Il fratello di Elwen non lo fece attendere: si scoprì la pesante cappa e gli mostrò, sfilandola da sotto, un’arma che lui ben conosceva: la spada della sua famiglia! La sua spada! Il figlio del Duca rimase a bocca aperta per diversi secondi. Guardava la lucente lama ricurva e poi il volto dell’elfo, a stento riuscì a domandargli come diavolo poteva essere possibile. Celador spiegò molto semplicemente che quella era da sempre la spada della sua casata. Una spada magica che, quando perduta o smarrita dal suo possessore, tornava sempre nella stanza segreta dove Escol l’aveva presa. Quindi, quando lui l’aveva scagliata contro l’imperatore maledetto, con il chiaro intento di ucciderlo, non era rimasta nelle sue sale dimenticata per sempre, magari insozzata dal tocco nefasto di Arios, ma era tornata a casa sua, seguendo un fortissimo e magico legame di sangue. Come qualcuno che si era perso tra i vicoli di una sconosciuta città, che preferiva ritornare sulla via maestra per raccapezzarsi un poco di più sulla direzione giusta da prendere. Escol lo guardò intensamente prima di tornare a brandirla. Il suo cuore esplodeva di gioia. Poi ringraziò Celador e lo invitò ad unirsi al suo gruppo, che molto presto sarebbe partito per una missione importante nelle miniere a sud. Il fratello di Enwel gli sorrise cortese, ma commentò che dopo la morte di Eledras, egli era stato invitato dal suo popolo a sostituirlo perlomeno nei suoi compiti istituzionali. Si sbrigò a spiegare che nessuno sarebbe mai riuscito a sostituirne il valore inestimabile dal punto di vista mistico o legato alla sua infinita saggezza, ma aggiunse che lui si sarebbe impegnato al massimo perlomeno per colmare parzialmente l’enorme voragine che egli aveva lasciato a livello di rappresentanza politica e istituzionale. Escol annuì e si fece andar bene quella risposta, poi si rivolse al comandante Volker, riferendogli che aveva intenzione di partire l’indomani mattina alle prime luci dell’alba. Confrontandosi poi con il capitano Krispin. spiegò che aveva necessità di un’armatura per l’occasione. Qualcosa che non desse troppo nell’occhio. Colui che comandava sul Tempio assecondò la sua richiesta, spiegando che avrebbe fornito all’intera squadra delle armature imperiali, scudo ed elmo. Quindi il figlio del Duca chiamò a raccolta il capitano Krispin, Stee, Eofaulf, Alarien e la loro guida: il nano Slanter, avvisandoli che sarebbero partiti l’indomani di buona lena. Nessuno obiettò, anche se il nano rimaneva piuttosto perplesso sull’itinerario che avrebbero dovuto compiere. Poi Escol si ritirò nelle sue stanze, parlò brevemente di ciò che avrebbe dovuto fare con la sua famiglia (salvare i nani dalla schiavitù e dalla sofferenza) e poi iniziò a sistemare il suo equipaggiamento. Nessuno dei suoi cari aggiunse nulla, anche se gli occhi preoccupati di Liss parlavano da soli. La mattina presto, il figlio del Duca si svegliò, indossò la sua armatura, si legò bene la spada al fianco, afferrò lo scudo e l’elmo e poi raggiunse i suoi compagni fuori dal Tempio. Krispin si mise in testa al gruppo, dirigendosi verso la parte più periferica della città. Qui raggiunse un’apertura che dava a dei sotterranei, delle catacombe per la precisione. Un intricato e contorto dedalo di vie e viottoli tutti uguali, che si intersecavano continuamente per chilometri e che solo in pochi conoscevano e in cui sapevano destreggiarsi. Escol prese a segnare ogni muro con un coltello (la prudenza non era mai troppa), ma dopo diverse ore di cammino la lama del pugnale si era quasi rotta a furia di graffiare le pareti, tante se n’erano lasciate alle spalle! Finalmente arrivarono ad un vicolo cieco, che però il capitano indicò come via d’uscita. Aggrottando le sopracciglia, Escol cercava di capire cosa l’elfo volesse suggerire. Poi Krispin, dopo aver estratto un medaglione e mormorato alcune incomprensibili frasi, attraversò il muro a passo deciso come fosse fatto di burro e tutti gli altri, un pò perplessi, lo seguirono da presso. Il velo della magia di occultamento fu dunque squarciato, portando la compagnia all’interno della caverna dove giorni prima era stata salvata la famiglia di Escol. Il giovane Nordhmenn rimase stupito da quanto questo incantesimo di camuffamento della realtà sembrasse reale, ma tastando la parete resto’ ancora piu’ stupefatto: dopo il loro passaggio essa era tornata tosto ad essere di solida roccia! Da quel punto in poi Slanter prese la testa del gruppo ed iniziò a guidarli tra le colline circostanti, attraverso irti sentieri e scartando abilmente potenziali sguardi indiscreti di eventuali, sporadici esploratori imperiali. Ben presto si trovarono fuori dall’occhio del ciclone e poterono accamparsi per la notte, relativamente sicuri di non esser seguiti. Escol fece come sempre il primo turno di guardia e tutto filò liscio senza problemi. Tuttavia, quando fu sostituito da Eofaulf e poté finalmente dormire un po', un sogno o forse una visione inquietante lo tennero invece sveglio e vigile per diversi minuti. Si trattava di una specie di “deja vu” dello scontro che aveva avuto con l’imperatore, sei mesi prima. Arios giaceva seduto sul suo trono di alabastro, sopra l’erta scalinata che Escol conosceva molto bene. Il figlio del Duca si trovava sui gradini che conducevano allo scranno dell’imperatore maledetto e in una mano brandiva Enwel. Ai suoi lati, c’erano Hilda ed Enwel. Tuttavia esistevano dei dettagli strani che egli aveva notato nel sogno: l’uomo che brandiva la spada non era davvero lui, ma qualcun altro! Aveva il suo aspetto, questo si, ma il figlio del Duca aveva la certezza che, al di là di quello, si trattava di un’altra persona. Inoltre coloro che accompagnavano quell’uomo, sebbeno fossero proprio le sue amiche, erano parecchio più avanti con gli anni .Sembravano almeno vent’anni più anziane! Escol si svegliò con la luce del sole che riscaldava il suo volto e si aspettò di alzarsi più stanco di prima, ma fortunatamente non fu così. Si destò riposato come mai rammentava di esser stato da quel maledetto giorno in cui si era scontrato con Arios! Pieno di energie, si preparò per affrontare un altro duro giorno di marcia. Anche quest'ultimo passò però senza problemi e quando il gruppo trovò un riparo per la notte, di nuovo il giovane Berge tornò a fare lo stesso sogno della sera prima. Solo adesso con qualche significativa differenza. Arios era sempre nello stesso punto e lui stava sempre salendo verso di lui per quella maledetta scalinata. Solo che ora Escol era certo che fosse proprio lui e non qualcun altro! Inoltre, invece di impugnare Enwel, aveva tra le mani un enorme spadone rosso come il sangue! Al suo fianco c’erano ancora le sue compagne, ma erano giovani. Perlomeno Hilda era giovane: Enwel era un’elfa, quindi la sua vera età rimaneva un mistero. Tuttavia presumeva che anche la sacerdotessa del “Fondatore” fosse più giovane di almeno venti anni. La gigantesca spada che agitava innanzi a sé doveva essere certamente la famosa e letale spada, forgiata dai Wraith in un’epoca ormai dimenticata, che riusciva ad uccidere persino i Paradine! Anche questa volta Escol si svegliò in perfetta forma, riposato e tranquillo. Questi due sogni si alternavano di continuo ogni quattro giorni con altri due sogni, che presumibilmente rappresentavano l’esito degli scontri precedenti. Come finale del primo sogno, tutti risultavano morti dopo lo scontro. Compreso Arios. Il finale dell’altro invece, raccontava di Arios letteralmente tagliato in due dalla poderosa lama cremisi, con tutti gli altri invece sopravvissuti alla terribile battaglia. Escol decise di non parlare ancora di questi suoi sogni o visioni con nessuno dei suoi amici. Poi quando il settimo giorno di marcia iniziò, Slanter mise tutti di fronte ad una scelta: proseguire per il mortale sentiero che attraversava le montagne, oppure entrare alle miniere direttamente da sud. Escol non pensava di affrontare di nuovo questo argomento, ma il nano pareva terrorizzato e quindi decise che valeva la pena aprire di nuovo il discorso durante il bivacco che antecedeva la partenza per la fase due della missione. Questa infatti poteva essere una decisione che poteva condizionare la vita e la morte dell’intero gruppo.
Capitolo 4 - Il talento di Liss.
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Il giovane Berge decise di raggiungere Volker per parlargli della missione e della necessità di partire il prima possibile. Il “Fondatore” verteva infatti in condizioni disperate e Enwel non era ancora “completa” per sostituirlo. Dovevano sbrigarsi dunque. Tuttavia, quando raggiunse la sala principale, il comandante rispose alzando una mano mentre ascoltava le sue richieste. Escol tacque, corrucciando lo sguardo. Volker ammiccò e gli disse che le avrebbe accolte con piacere, ma c’era prima “una cosa” che egli doveva vedere prima di partire e “questa cosa” non si sarebbe manifestata prima di tre giorni. Il figlio del Duca cercò di approfondire la questione, ma Volker rispose sinceramente che non sapeva a cosa Lucas Mohdi si riferisse, quando gli aveva chiesto di riportargli quelle parole. Il “Fondatore” non aveva aggiunto altro sull’argomento e lui non aveva domandato ulteriori spiegazioni. Aveva solo detto che, se fosse sprofondato prematuramente nel suo sonno, avrebbe dovuto avvertire il “Duca di Berge” di attendere tre giorni prima di lasciare l’Enclave e questo era tutto. Escol si girò e richiamò l’attenzione dei suoi compagni, che nel frattempo erano tornati tutti quanti in questa ala del Tempio. Domandò quindi a tutti se accettavano la possibilità di rimandare la partenza di qualche giorno e se fossero davvero convinti di imbarcarsi in questa nuova avventura. Slanter commentò per primo che alcuni giorni in più o in meno non facevano alcuna differenza per lui: l’importante sarebbe stato andare a salvare la sua famiglia. Il generale Stee, laconicamente si limitò ad annuire: dove sarebbe andato Escol, lui l’avrebbe seguito! Cos’erano inoltre tre giorni in più per un mezzelfo? Alarien ovviamente acconsentì, anzi si stupì un poco che l’amico gli avesse semplicemente posto la domanda. Erano compagni d’armi da molto tempo e lei sarebbe rimasta al suo fianco persino senza il suo consenso. Infine Eofaulf al suo solito fece spallucce, asserendo che sarebbe stato perlomeno incoerente tirarsi indietro ora, quando era stato proprio lui ad averlo cercato, trovato e messo di nuovo nei guai con l’impero. Quindi Escol si voltò verso il comandante degli elfi, ed acconsentì a rimandare la partenza di tre giorni. Nel frattempo ne avrebbe approfittato per fare delle cose che riteneva necessario svolgere il prima possibile. Salutò dunque Volker ed i suoi compagni e tornò nella camera che gli era stata assegnata dai suoi ospiti dalle orecchie a punta. Essa era una stanza semplice, ma ben arredata. C’era un letto a baldacchino, uno studiolo e soprattutto un catino con acqua calda. Tutto quello che gli serviva insomma. Il giovane guerriero finalmente riuscì a farsi un bagno, a radersi e a indossare abiti puliti. Quindi lasciò la camera e si diresse nel quartiere dei rifugiati. Grazie ad alcune esaustive indicazioni, trovò abbastanza facilmente l’abitazione di Malcom. Erroneamente si poteva pensare che questo quartiere fosse in condizioni difficili e disagiate, ma non era così. Le case erano state costruite in marmo, quindi erano molto solide. Non erano molto grandi, ma all’apparenza sembravano confortevoli. Di certo erano pulite e ordinate. Il giovane guerriero bussò alla porta e ad aprire fu Keira. La donna Nordhmenn, ancora bellissima anche se provata dalla dura vita nei campi, ci mise un po’ a riconoscerlo, visto il cambiamento che aveva fatto, ma quando capì che si trattava del suo Escol, gli sorrise e gli saltò letteralmente al collo. Il figlio del Duca la strinse forte, fino a sollevarla da terra. Era così felice di rivederla! Poi la voce profonda di Malcom esplose da dietro una stanza, domandando chi fosse alla porta. Quando l’uomo scoprì che si trattava del suo figlioccio, restò a bocca aperta, corse da lui e si unì all’abbraccio. La gioia di essersi finalmente rivisti aumentò ancora quando Liss sbucò dalla sua cameretta e finì addosso a tutti! La giovane piangeva per la contentezza. Escol la accarezzò dolcemente, poi raccontò ai suoi cari cosa gli fosse successo in quei giorni. Gli narrò di Stee e della sua liberazione dai ceppi imperiali, di Slanter e dell’entrata segreta all’Enclave degli elfi. Soprattutto gli riferì i suoi piani futuri: egli sarebbe dovuto partire molto presto per una missione di salvataggio, ma presto sarebbe tornato a riabbracciarli. Malcom affermò con le lacrime agli occhi quanto fosse stata bella l’accoglienza ricevuta dagli elfi! Essi gli avevano persino trovato un lavoro, con cui potersi sdebitare per tanta generosità. Avevano un po’ di nostalgia di casa, ma sapevano bene che per adesso non avrebbero potuto tornare laggiù e avevano scoperto in questa sistemazione, che i loro ospiti avevano trovato per loro, una degna sostituta. Escol sorrise amaro, ben conoscendo la sensazione di sentirsi ospite in terra straniera. Eppure quella famiglia affrontava quella sfida con dignità e coraggio e lui non li avrebbe mai abbandonati. Finché sarebbe rimasto vivo, si sarebbe preso cura di loro. Poi domandò a Liss come si stava trovando qui all’Enclave degli elfi. Se aveva ripreso ad andare a scuola, se aveva fatto nuove amicizie ecc… Liss rispose che andava in una scuola elfica adesso, che era un po’ strana e che gli altri ragazzi che aveva conosciuto erano tutti gentili e disponibili con lei. Inoltre ultimamente era andato a trovarli nella sua classe un elfo vestito in maniera buffa, che tutti dicevano fosse un grande stregone. Malcom alzò gli occhi al cielo, ma non interruppe la figlia. Questo mago aveva esaminato tutti i bambini, trovando in lei un talento insperato per la magia. Escol sgranò gli occhi compiaciuto. Poi Liss terminò il suo monologo, ricco di dettagli spesso inutili, dicendo che l’incantatore le aveva domandato se fosse interessata ad imparare a controllare il suo talento, ma che lei non aveva ancora dato una risposta definitiva. Il figlio del Duca commentò che quello era un argomento importante, che però non doveva condizionare la sua esistenza. Se non avesse voluto intraprendere quella via, semplicemente non doveva farlo. Era una strada irta e difficile, che avrebbe potuto offrirle mille soddisfazioni, ma avrebbe imposto anche mille sacrifici. Tuttavia, come maga, avrebbe imparato a difendersi da sola e a proteggere la sua famiglia se fosse stato necessario. Insomma doveva pensarci bene, molto bene. Sembrava che Liss però avesse adesso già deciso, ascoltando le poche parole che uscirono dalle labbra di Escol. Non ci fu niente che lui, suo padre o sua madre potessero aggiungere o togliere alla sua scelta. Sorridendo, il figlio del Duca, che ben la conosceva, aggiunse che se era davvero questo ciò che voleva, doveva prima incontrare una persona. Un mago di sua conoscenza. L’unico di cui davvero di fidava. Liss le domandò subito se fosse un mago buono. “No, non lo è…” Rispose il giovane Nordhmenn sinceramente. “Ma nemmeno malvagio. Uno stregone è al di la di queste cose, Liss… fa semplicemente ciò che è necessario. Senza i limiti che la moralità comune impone. Vuoi incontrarlo dunque?" Liss annuì. Escol girò la testa verso suo padre e sua madre, che, prendendosi per mano, annuirono e sorrisero. Quindi il giovane porse il braccio alla piccola Liss e insieme uscirono dalla casa. Il giovane guerriero riferì solo che sarebbero tornati presto e domandò alla sua famiglia se potesse lasciare la sua camera nei quartieri alti, per trasferirsi lì con loro. “Questa è e rimarrà sempre casa tua, Escol.” Sentenziò Malcom serio. Sorridendo, il ragazzo annuì e diede appuntamento ai suoi cari per cena. Non fu facile arrivare da Wizimir, sopravvivendo alle chiacchiere di una adolescente. Tuttavia Escol ci riuscì, cercando sempre di rimanere cortese con lei e di rispondere alle sue numerose domande. Quando però arrivò alla “camera della meditazione” e le presentò Wizimir, Liss quasi si nascose dietro di lui. L’aspetto malandato ed inquietante dello stregone, non aiutò affatto a sciogliere il ghiaccio tra di loro. Il figlio del Duca spiegò rapidamente al suo amico mago ciò che desiderava da lui. Gli chiese di esaminare quella ragazza, tenendo conto che era forse la persona a cui teneva di più al mondo. I maghi elfici avevano individuato in lei un candidato fenomenale per apprendere le vie della magia, ma lui voleva prima un suo giudizio personale. Wizimir acconsentì alla richiesta dell’amico. Quindi Escol spiegò a Liss cosa avrebbe dovuto fare e di rispondere sinceramente a tutte le domande che quell’uomo le avrebbe fatto. Lui sarebbe tornato a prenderla tra meno di mezz'ora. Così Escol si allontanò, mentre Wizimir faceva segno con la mano a Liss di entrare nella camera, dove egli stava levitando prima di essere interrotto. Il figlio del Duca ne approfittò per fare l’ultima cosa che aveva in mente prima di partire. Raggiunse Elwen e le domandò un favore. La sacerdotessa elfa lo guardava un po’ perplessa, cercando di capire il senso della sua richiesta. Escol infatti le aveva domandato se poteva mettersi al collo, solo per qualche istante, il suo “legame indissolubile”. “L’eletta” non lo riconobbe nemmeno, sembrava non avesse memoria né di esso, né di cosa rappresentasse per loro due. Fu una situazione molto triste per il giovane Nordhmenn. L’elfa alla fine acconsentì, solo perché il ragazzo umano gliel’aveva chiesto e perché lei non vedeva nulla in quel gesto che potesse nuocere ai suoi doveri nei confronti del “Fondatore”. Escol le posizionò lentamente il gioiello sul cuore. Era così difficile stare vicino a lei! Era così dannatamente uguale ad Enwel! Quando si assestò, il monile rimandò una fluorescenza verde inaspettata, che provocò in lei un respiro strozzato. D’improvviso i suoi occhi divennero azzurri e il suo sguardo si addolcì e si riempì d’amore verso di lui. Durò solo qualche secondo, ma fu il dono più bello che Escol avesse mai ricevuto, da quando lei le aveva regalato la propria anima, concentrandola in quel manufatto che ancora portava con sé. Poi gli occhi di lei tornarono verdi, ed iniziò a guardarsi intorno, per capire cosa fosse successo. Escol sorrise, le tolse il ciondolo dal collo e la ringraziò per il suo aiuto. “L’eletta” annuì, poi tornò ai suoi compiti, regalando la sua completa attenzione al vecchio sul feretro, come se nulla fosse successo. Stringendo forte il monile nella mano, il figlio del Duca giurò di trovare presto una soluzione per questo problema. Non poteva vivere sapendo che la sua amata stava soffrendo per proteggerlo, quando avrebbe potuto avere una vita piena e importante per innumerevoli persone. Non avrebbe ottenuto risposte da Lucas in quello stato, non fu difficile capirlo da solo, pertanto uscì a grandi passi dalla stanza e tornò a riprendere Liss. Wizimir confermò che la ragazza aveva un grande talento e acconsentì alla successiva domanda che si era aspettato gli avrebbe poi posto il suo amico. L’avrebbe addestrata, se lei avesse voluto. Il figlio del Duca ringraziò lo stregone per la sua disponibilità e stabilì con Liss che avrebbe avuto il permesso di imparare da lui, solo se avesse messo davanti i suoi doveri nei confronti della scuola e della famiglia. La piccola annuì, felice e al contempo spaventata per il percorso che gli si parava davanti. Un percorso difficile, ma che l’avrebbe portata a grandi soddisfazioni. Escol ne era certo.
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