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Capitolo 6 - Un oscuro segreto custodito nelle miniere.
- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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Nanàin guidò con sicurezza la compagnia attraverso il primo livello della massiccia struttura, spiegando che queste antiche miniere, appartenute al suo popolo da sempre, un tempo erano ancor più maestose ed imponenti. Escol si guardava attorno incredulo: si era aspettato delle caverne piene di fuliggine e polvere e invece stava camminando in una enorme e stratificata città sotterranea. L’eco dei loro passi e delle loro parole rimbombavano sorde, rimbalzando più volte sulle solide pareti di granito lavorato. La voce del nano era ferma, mentre raccontava aneddoti appartenuti ad un ormai perduto passato. Aneddoti sull’enorme importanza strategica ed economica di questo posto, ed il figlio del Duca poté riscontrare in effetti che non si stava certo muovendo in rabberciati corridoi o cunicoli scavati malamente nella roccia. Questo era un vero e proprio avamposto nanico sotterraneo, un capolavoro costruito con la proverbiale praticità tipica del popolo basso, ma che non disdegnava anche un’architettura a tratti elaborata e non trascurata nei dettagli. Mano a mano che si inoltravano più all’interno della montagna, iniziarono a sentir spicconare quà e là sempre più forte, come un frastuono perpetuo di sottofondo: il classico tintinnio metallico dell’acciaio sulla roccia, ma nessuno riuscì a rendersi conto bene da dove provenisse, né tantomeno dove potessero trovarsi i minatori. Escol girava di continuo la testa a destra e a sinistra perplesso: nonostante i rumori costanti la miniera sembrava vuota, ma Nanàin procedeva spedito, come chi sapeva quel che faceva e dove dovesse andare. Il figlio del Duca gli domandò ad un certo punto come mai non c’erano minatori su questo piano e il nano prontamente rispose che essi lavoravano ormai quasi esclusivamente al secondo livello, dove c’erano le vene più imponenti da cui estrarre il ferro e soprattutto l’oro necessari all’impero. Quella miniera infatti rappresentava la principale riserva aurea di Arios! Tuttavia, nonostante tutti loro sapessero bene quanto costasse mantenere in piedi una macchina bellica come quella dell’imperatore maledetto, il perché egli avesse dislocato qui, ferma, un’intera coorte imperiale (circa cinquecento uomini addestratissimi) solo per difenderne i confini, pareva più un’eccentrica assurdità. Sembrava a tutti una scelta esasperata, quasi folle, persino per uno come Arios. Dopo aver attraversato tutto il primo piano, Nanàin mise in guardia la compagnia: di certo scendendo al secondo livello, avrebbero potuto incontrare molto più facilmente ronde di mercenari. Lui avrebbe fatto il possibile per prendere la via più sicura, ma avvertì tutti di tenersi comunque pronti per uno o più scontri con gli aguzzini del suo popolo. Infatti, scesi ad un livello più profondo delle miniere, non solo lo scalpiccio dei picconi si fece più presente ed incessante, ma nel bel mezzo di un corridoio scarsamente illuminato, ad un certo punto, videro distintamente tre fiaccole che si avvicinavano sempre più a loro. Cinque mercenari stavano sfortunatamente tornando in superficie per chiedere il cambio. Escol provò ad evitare lo scontro, ma la presenza di Krispin e Stee tra le loro fila non poteva certo essere nascosta. Le domande dei mercenari diventarono sempre più intimidatorie e alla fine la battaglia fu inevitabile. Fortunatamente il maestro d’armi era un guerriero formidabile e riuscì ad abbattere ben tre di loro. Escol e i nani invece, ebbero la meglio sui restanti due. La compagnia fece sparire velocemente i cadaveri, per poi entrare nelle cave poco distanti e liberare i minatori oppressi. Circa ottanta nani, sporchi, stanchi e sfregiati dal marchio di Arios, ascoltarono attoniti ed increduli le parole di Nanàin e Slanter, che li avvisarono che i loro congiunti erano stati salvati dagli umani e dagli elfi e condotti con la magia ad un rifugio sicuro. Mentre i nani condividevano le informazioni, Escol notò che Krispin, aveva preso a tossire, ed aveva delle strane venature nerastre che gli erano spuntate sulle braccia e sul viso. “Un grande male si cela quaggiù. Dobbiamo indagare, Escol… dobbiamo conoscere la verità.” Bisbigliò Krispin, con un fil di voce. Il mago non seppe spiegare ciò che gli stava capitando, cosa fosse quella strana ed inquietante “reazione allergica” che gli era apparsa sulla pelle, ma riteneva che potesse dipendere da una potente fonte magica oscura, che si nascondeva nelle viscere della miniera. Quando i nani rivelarono che alcuni loro compagni erano stati condotti di sotto, al terzo livello, in una sezione off limits per tutti, persino per gli uomini di Arios, Escol domandò se vi fossero volontari per andare a controllare. Venti nani prontamente ripresero in mano i picconi e si unirono alla compagnia, mentre agli altri, guidati da Nanàin, risalirono in superficie obbedendo al comando di Escol. Il giovane guerriero disse chiaramente al vecchio nano quello che già aveva dichiarato di sopra ad Eofaulf ed Alarien: se le cose si fossero messe male, dovevano voltare le spalle e fuggire sulla collina, con o senza di loro o nani al seguito. Dovevano sopravvivere e raggiungere le loro famiglie o il loro sacrificio sarebbe stato vano. Nanàin non pareva troppo convinto, ma obbedì comunque agli ordini del figlio del Duca. Prima di farlo però gli rivelò un dettaglio che fece rabbrividire il giovane guerriero: nessuno dei nani che erano stati condotti al terzo livello era mai tornato indietro! Per il popolo basso, finire laggiù era come subire una condanna a morte. Escol sospirò e sguainò con coraggio Enwel, invitando chiunque non fosse convinto ad andare con lui nelle viscere della montagna, a seguire i sessanta malconci nani che lentamente sarebbero risaliti in superficie. Ovviamente nessuno abbandonò il suo fianco, così Escol imboccò senza aggiungere una parola la via per raggiungere il terzo livello delle miniere. Il condotto era stato scavato nella roccia molto più approssimativamente rispetto al resto della miniera, segno inequivocabile che era stato creato dai nani molto più di recente e terminava in una gigantesca, mastodontica caverna. Essa era talmente grande che poteva tranquillamente contenere una piccola città al suo interno. All'inizio Escol pensò al peggio, temendo che una gargantuesca creatura, forse una viverna o peggio, un drago, potesse aver fatto di questo luogo la sua tana, ma qui sotto c’era solo un enorme albero frondoso! Quando lo vide, Krispin trasalì: i suoi occhi erano quasi diventati del tutto bianchi, consumati come il resto del suo corpo. I rami dell’albero toccavano l’altissimo soffitto e le sue radici si inoltravano prepotentemente nel terreno per metri e metri. Escol si voltò verso il mago, che balbettando riuscì solo a dire che si trattava di un Nemeton: gli alberi incantati, da cui gli elfi traevano la loro magia! La sua circonferenza era ampia come venti uomini che si tenevano per mano in cerchio. Tuttavia non era quella la cosa più sconcertante: un elfo semi decomposto giaceva come assorbito all’interno della sua corteccia e quando il figlio del Duca, sconcertato come rare volte in vita sua, si avvicinò per osservarlo meglio, scoprì che si trattava di Helix, nientemeno che il figlio scomparso di Eledras! Istintivamente Escol fece un passo indietro per lo stupore e lo sdegno, mentre Krispin addirittura annaspò per respirare: quell’albero miracoloso era stato maledetto, corrotto da qualcuno così malvagio e potente, che in pochissimi su Eord avrebbero potuto solamente sperare di purificarlo da quell’oscurità esacerbante. Di certo non lui. Incredibilmente Helix aprì lentamente gli occhi e quando parlò, Escol rabbrividì nel profondo della sua anima e a quel punto tutto gli fu chiaro: “Ci rivediamo finalmente, Escol di Berge.” Disse una voce profonda e cavernosa. Una voce che Escol conosceva molto bene, perché era la voce dell’imperatore maledetto! Lui e i suoi amici avevano appena scoperto una delle fonti del suo immenso potere e compreso il vero motivo per cui una sua intera coorte era stata dislocata qui solo per proteggere la zona. Il figlio del Duca, assolutamente sorpreso da questa rivelazione, cercò di tenere botta ad Arios, che però non sembrava avesse intenzione di minacciarlo od ucciderlo. Anzi. Sembrava volesse piuttosto convertirlo alla sua oscura e tetra volontà, sfruttando subdole leve emotive, come quella di suo padre, ancora tenuto in catene nelle sue segrete, ed Hilda, anche lei prigioniera in un luogo senza tempo, ed ancora in vita solo grazie all’elementale del fuoco che la proteggeva. Tuttavia Escol non cedette alle malcelate lusinghe di Arios, anzi si oppose fermamente a qualunque possibile conciliazione tra di loro. A quel punto l’imperatore commentò che allora sarebbe stato sufficiente che lui si fosse tenuto lontano dai suoi affari, per far sì che Egli avrebbe fatto altrettanto. Escol ribatté che non desiderava affatto uno scontro diretto: troppa gente l’aveva tradito l’ultima volta che ci aveva provato, ed aveva perso ogni cosa, pertanto non avrebbe fatto più lo stesso errore, ma di certo non sarebbe rimasto in disparte ad osservare le sue malefatte. Avrebbe vigilato sui suoi loschi e malvagi affari, pronto a sabotarne gli intenti ogni volta che avesse potuto. Prendendone atto, Arios concluse quella breve chiacchierata sentenziando che se lui non fosse diventato generale delle sue legioni e se non aveva intenzione di ritrarre i remi in barca, suo padre non gli sarebbe servito più a nulla, tantomeno Hilda, che non poteva sperare di rimanere in eterno nelle grazie dell’elementale. Fu però l’ultima cosa che l’imperatore riferì per bocca di Helix a far trasalire Escol: egli gli disse che la mezzelfa portava in grembo suo figlio! Di fatto, il nuovo primogenito della famiglia Mohdi! Visti i presupposti, diventava dunque imperativo per lui uccidere Hilda e suo figlio. L’elfo tornò a chiudere gli occhi e a rintanarsi nell’albero, lasciando Escol senza parole per diversi minuti. Il giovane guerriero avrebbe preferito una coltellata che una notizia del genere. All’inizio egli non credette alle parole di Arios, ma poi cambiò idea. Perché mentirgli infatti? Questa rivelazione spiegava inoltre tante cose, tra cui le due visioni che aveva avuto alcuni giorni prima. Visioni di lui che combatteva Arios, insieme ad Enwel e Hilda e di un’altra persona che lo faceva invece al posto suo, sempre spalleggiato dalle due donne, ma che sembravano molto più in là con gli anni. Escol iniziò a pensare che potesse trattarsi proprio di suo figlio non ancora nato. Una cosa davvero pazzesca! Il figlio del Duca fu riportato alla realtà dalle flebili parole di Krispin. Il mago sosteneva che con un albero di Nemeton così vicino a lui, anche se corrotto forse irreparabilmente, avrebbe potuto aprire un secondo portale. Egli avrebbe utilizzato solo una piccolissima parte del suo potere, una che Arios non aveva ancora depravato: la cosa era pericolosa, ma possibile. Intravedendo una via d’uscita, Escol non ci pensò su due volte: ordinò a Stee di andare a richiamare tutti in superficie e di fare in fretta, poi assistette l’elfo nell’evocare un nuovo portale nella caverna. Dopo pochi minuti il mezzelfo fece ritorno, portando con sé i nani, Eofaulf ed Alarien, ma anche cattive notizie: l’accampamento era in fibrillazione e presto sarebbero arrivati qui sotto sciami di legionari e mercenari malintenzionati. Escol iniziò ad urlare ai nani di varcare il portale e quando anche l’ultimo di loro passò dall’altra parte, invitò i suoi amici ad andare con loro. Anche se riluttanti, essi obbedirono. Rimasero nella caverna solo lui e Krispin. Il mago sembrava consumato, incapace di muoversi, stremato, ma Escol non voleva abbandonarlo, nemmeno quando i primi soldati dell’imperatore maledetto fecero capolino nella caverna. L’elfo gli fece segno di non perdere tempo con lui e di fuggire via, oltre il varco ancora aperto ma sempre più tentennante. Il figlio del Duca non avrebbe però mai lasciato indietro un compagno, pertanto, sfidando la sorte, lo prese in braccio e proprio quando Krispin staccò la mano dall’albero, proprio un attimo prima che il mistico passaggio si chiudesse, saltò oltre e riuscì a portarlo con sé al rifugio. Quando Escol mise piede nell’avamposto, con gli occhi di tutti addosso e portando seco il corpo esanime di Krispin, piangeva disperato. Il coraggio dell’elfo aveva salvato la compagnia e i nani, ma lui aveva perso un amico valoroso quel giorno e questo non riusciva proprio a sopportarlo.
Capitolo 6 - La baraccopoli dei nani.
- Scritto da Jack Warren
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Il gruppo di Escol si radunò in una’ampia radura, appena fuori il grande bosco adiacente al territorio di caccia di quello strano ed insolito popolo guerriero che li aveva braccati ed inseguiti per ore. Fu una corsa a perdifiato tra rovi e cespugli, durante la quale nessuno di loro si concesse nemmeno un minuto per riposare o cercare rifugio. Era troppo rischioso. I tamburi suonavano incessantemente e, malgrado avessero un certo vantaggio sui loro inseguitori, la sensazione di essere costantemente in pericolo e col fiato sul collo durò fino a quando il limitare della foresta era stato valicato. Il figlio del Duca aveva pensato di sfruttare a proprio vantaggio tutta quella ferocia e quella costanza, utilizzando quella stessa gente dalla scura pelle, così selvaggia e combattiva, per aprirsi un varco tra le linee nemiche creando un diversivo e seminando il caos, ma non era stato possibile. Infatti, una volta superata la grossa macchia di alberi, i tamburi sferzanti si erano immediatamente sopiti e lo scalpiccio ininterrotto attorno a loro, di passi e di ramoscelli spezzati, si era arrestato d’improvviso. Erano rimasti solo silenzio ed ombre. La compagnia dunque decise di sfruttare quella calma apparente perlomeno per riposare. Erano talmente sfiniti che, nonostante fosse ormai l’alba, dormirono quasi fino alla sera seguente. Tra un pisolino ed un altro, Escol ne approfittò per studiare da sopra la collina cosa li avrebbe attesi a valle, giù, tra le montagne e ciò che vide non gli piacque nemmeno un pò. Oltre ad un’immensa distesa di tende di legionari imperiali, che avrebbe impedito sicuramente il passaggio di una fiumana di nani in fuga a sud, notò che anche il fronte nord era presidiato molto bene. Un imponente avamposto, costruito su antiche rovine naniche, sorgeva ad ovest, ed ospitava, secondo Slanter, almeno centocinquanta mercenari. Insomma: “un piano b” non era assolutamente applicabile, se qualcosa con la magia fosse andato storto. Inoltre, davanti l’entrata delle miniere, proprio al di sotto della parete nord della montagna, stanziavano sempre almeno due guardie, che non potevano essere aggirate, ma dovevano per forza essere eliminate in fretta per entrare. Tuttavia, erano i “più o meno” dieci o quindici mercenari che pattugliavano la baraccopoli dei nani lì vicino, che lo preoccupavano di più. Slanter infatti rivelò che laggiù vivevano le famiglie degli schiavi impiegati nelle miniere, tra cui probabilmente anche i suoi stessi parenti. Krispin scuoteva la testa affranto: il suo potere era appena sufficiente per aprire un portale: pensare di poterne evocare un secondo dentro le miniere era escluso. Quindi si trattava di scegliere se salvare i nani nelle baracche, oppure gli schiavi che lavoravano nelle miniere. Escol si incupì. Conosceva molto bene la cocciutaggine dei nani, perché lui più di chiunque altro era loro amico: nessuno delle loro famiglie si sarebbe lasciata portare via di lì, se prima non avessero avuto la certezza che i loro cari avrebbero seguito la stessa sorte. Era davvero una decisione difficile da prendere. Il gruppo ne approfittò intanto per sbocconcellare qualcosa, aspettando che il figlio del Duca stabilisse cosa fare in merito e quindi passasse a sviluppare un piano d’azione, ma Escol era caduto in un silenzio inquietante. Poi Alarien, che era di guardia, allertò il gruppo che qualcuno si stava avvicinando! Si trattava di un anziano nano, che subito si apprestò ad alzare le mani in segno di resa. Egli era andato nella foresta per raccogliere un po' di cibo per la sua gente. Quando notò Slanter, rimase a bocca aperta, incredulo. Lo riconobbe subito e i due si abbracciarono affettuosamente. Il nano si chiamava Nanàin, ed era uno degli anziani del villaggio. Escol gli spiegò subito le intenzioni della compagnia, aggiungendo che tra loro c’era un mago che poteva portare in un rifugio elfico, attraverso un portale mistico, tutti i nani dislocati nella baraccopoli. Tuttavia, commentò anche che per i minatori l’estrazione sarebbe stata più difficile, perché solo un unico varco incantato poteva essere aperto a tale scopo. Nanàin all’inizio scosse la testa: reazione che Escol aveva previsto, ma quando il figlio del Duca si alzò dalla roccia su cui era seduto e con sguardo truce aveva esclamato: “Non temere, buon nano: andremo a salvare anche i minatori, ma avrò bisogno del tuo aiuto. Li faremo uscire di lì in un’altra maniera.", Nanàin gli aveva creduto. Stranamente, anche senza potergli mostrare i doni preziosi che aveva ricevuto come segno di amicizia dai principi dei nani, doni che aveva perduto dopo la battaglia con Arios, il vecchio nano sapeva che quel ragazzo non mentiva. Bastò guardare in profondità nei suoi occhi intensi e determinati per credere fermamente che stava dicendo il vero. Pertanto si radunarono e ascoltarono il piano di Escol. Nanàin sarebbe tornato alla baraccopoli e avrebbe radunato tutti nella sala delle assemblee, mentre Stee, Alarien ed Eofaulf, si sarebbero occupati delle ronde che sciamavano per l’accampamento. Infine, lui, Krispin e Slanter, sarebbero entrati di soppiatto nella baraccopoli e avrebbero raggiunto subito la sala delle assemblee. Il mago doveva essere protetto ad ogni costo, ed Escol quindi non voleva assolutamente rischiare la sua incolumità: questo era il motivo per cui egli sarebbe andato con lui, per proteggerlo con la sua stessa vita se fosse stato necessario. Il gruppo annuì e ciascuno iniziò a prepararsi per svolgere al meglio il compito che gli era stato assegnato. Quindi, subito dopo la mezzanotte, Nanàin si mosse e raggiunse la baraccopoli per mettere in allerta la sua gente. Dopo poco meno di un’ora, il gruppo, protetto da un solido incantesimo di invisibilità di Krispin, raggiunse senza problemi il limitare della baraccopoli, per poi dividersi e fare la propria parte al meglio. Quando Escol arrivò a destinazione, con l’elfo e Slanter, Nanàin aveva già raggruppato tutto il suo fiero popolo: più o meno cento persone, stanche, marchiate a fuoco come animali da soma, ma mai dome. In mezzo a quelle donne, vecchi e bambini, Slanter toccò il cielo con un dito quando ritrovò i suoi cari, miracolosamente incolumi. Le sue lacrime di gioia furono un momento molto toccante, che riscaldarono il cuore di Escol e del mago al suo fianco. Mentre Krispin iniziava a concentrarsi per aprire il portale, il giovane guerriero andò di fuori, ed attese il ritorno dei suoi compagni. Il primo a raggiungerli fu Stee. Dal sangue che aveva sulle mani ed in faccia, il mezzelfo doveva aver fatto il grosso del lavoro. Qualche minuto più tardi, anche Alarien ed Eofaulf si ritrovarono al rendez vous. Dopo aver rassicurato quella gente che i loro cari non sarebbero stati abbandonati (e in questo le intercessioni di Slanter e Nanàin si dimostrarono essenziali), i nani iniziarono ordinatamente ad entrare nel violaceo portale che Krispin nel frattempo aveva evocato. L’elfo stava spingendo i suoi talenti al massimo limite possibile: sembrava chiaro che già nell’aprire un singolo mistico varco, lo sforzo nel collegarsi da così lontano all’albero incantato presente nell’avamposto elfico, lo stava stremando. Tuttavia coraggiosamente tenne botta, ma quando l’ultimo di loro passò dall’altra parte, il mago cadde a terra sfinito. Alarien si occupò subito di lui, mentre Escol raggiunse Slanter e Nanàin, complimentandosi con loro per il coraggio di essere rimasti, anziché seguire al rifugio il proprio popolo. Purtroppo non ci fu molto tempo per rifiatare: presto i mercenari si sarebbero accorti che le loro ronde erano state eliminate e quindi si doveva entrare nelle miniere in fretta. Rimasti di vedetta, Eofaulf ed Alarien recuperarono dai cadaveri di due mercenari, che si stavano avvicinando un po' troppo alla compagnia, le loro tipiche armature. Tosto le indossarono e poi tornarono da Escol per mettere in opera la seconda parte del suo piano. Nanàin guidò la compagnia all’entrata delle miniere, dove due sentinelle però intimarono subito l’alt. Escol, che indossava la divisa di un sottufficiale imperiale, spiegò con voce decisa che erano lì per un’ispezione. Nonostante Krispin e Stee fossero rimasti indietro, ed Alarien indossasse la maschera che modificava i suoi lineamenti rendendoli umani, le sentinelle non cedettero alle intimidazioni del figlio del Duca. Vedendo il piano a rischio, lo spietato mezzelfo decise di eliminarle in fretta: nemmeno un battito di ciglia in più e due affiliati pugnali avevano già trafitto un occhio di entrambi, uccidendoli all’istante. Escol e Slanter trascinarono via i cadaveri, poi, al loro ritorno, il figlio del Duca ordinò ad Alarien ed Eofaulf di rimanere di guardia all’entrata. Indossando le loro armature, erano gli unici che potevano passare inosservati e proteggere la loro fuga, depistando eventuali mercenari che si mostrassero un po' troppo sospettosi. Il resto del gruppo sarebbe entrato nelle miniere, ma tutti sapevano che non c’era molto tempo per agire una volta arrivati laggiù: prima o poi qualche ronda o cambio di guardia avrebbe indagato sul silenzio presente nella baraccopoli, scoprendo che i nani erano spariti e che almeno una dozzina di mercenari erano stati ammazzati brutalmente. Pertanto, finché avrebbero goduto dell’elemento sorpresa sarebbero stati al sicuro, ma per quanto? Forse fino all’alba, ma poi sarebbero rimasti senza via di fuga. Incastrati nelle miniere come topi in trappola. Restavano appena tre ore, per salvare i nani e anche le loro vite.
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