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Capitolo 7 - L’enclave sotto attacco!
- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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Il giorno della partenza si avvicinava sempre di più, ed Escol si divideva tra offrire la propria spada in difesa dei bastioni al fianco di Stee ed Alarien, e la sua famiglia, diventata molto più ansiosa e possessiva da quando aveva saputo che a breve sarebbe di nuovo andato in missione. Soprattutto Liss, che non gli si scrollava letteralmente di dosso, quando la sera tornava a casa dalla scuola. Capitava molto spesso che Escol dovesse portarla in camera sua a braccia, visto che lei amava accoccolarsi ed addormentarsi sul suo petto, costringendolo a raccontarle delle storie sulle sue passate avventure. A parte la preoccupazione per gli assalti sempre più frequenti, questi furono momenti tutto sommato sereni per il giovane Berge. La mattina prima della partenza, un elfo si recò a casa sua molto presto, dicendogli che era atteso al palazzo di Volker. Così, dopo aver fatto colazione, il figlio del Duca salutò come ogni giorno la sua famiglia e si avviò verso il Tempio. Qui, venne accolto da Aelion e scoprì che era stato proprio lui a convocarlo. Aveva infatti un dono da consegnargli! Il chierico lo scortò in una stanza poco distante, sorretta da colonne in marmo bianco e le cui pareti erano finemente ornate con frequenti bassorilievi, che illustravano scene di guerra di un ormai perduto passato. Al centro della sala, su un tavolo di legno di faggio perfettamente intagliato, Aelion mostrò due oggetti coperti da un panno. Morso dalla curiosità, Escol si apprestò a vedere cosa fossero e grande fu la meraviglia quando scoprì che il primo fagotto nascondeva un’armatura di chiara fattura elfica, ma magistralmente adattata alle sue misure. Oltre alla stupefacente bellezza che possedeva, non era difficile immaginare che essa donasse anche delle incredibili proprietà magiche a chi la indossava. L’altro panno, più piccolo del precedente, celava alla vista “Enwel”, la sua mistica spada “di famiglia”, che, a detta dell’elfo, adesso “era stata da lui liberata” dall’ultima “mancanza” che possedeva. Ora il suo legittimo proprietario avrebbe potuto conoscere finalmente anche il suo segreto più intimo, la sua ultima virtù, quella più profonda ed insondabile! Tuttavia Aelion non ebbe il tempo di approfondire la questione con Escol, perché il suono di tre corni scossero le fondamenta di tutto il palazzo reale, arrivando a risuonare chiaramente anche nel Tempio! I “tre suoni del corno” significavano il pericolo più grande per l’Enclave degli elfi, perché avvertivano che le legioni imperiali erano riuscite a sfondare il secondo perimetro, ed ora sciamavano libere di uccidere per la cittadella! In decenni di assedio non era mai successo, ma Escol sapeva che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che accadesse. Aelion ci mise qualche secondo per rendersene conto, si guardava intorno quasi smarrito, confuso. Quando capì, quando realizzò veramente, sgranò gli occhi, ed uscì di corsa dalla stanza. Escol osservò a lungo la sua silente arma azzurrina e soprattutto l’argentea armatura. Decise che non poteva esistere momento migliore di quello per indossarla ed usarla. Fortunatamente un paggio, vedendolo un po' in difficoltà, era accorso in suo aiuto, ed insieme erano riusciti a “montarla” sul suo corpo massiccio in pochi minuti. Poi Escol mise sulla testa l’elmo, ed iniziò a correre spada in pugno verso l’esterno. Lì fuori sembrava che chiunque fosse impazzito! Elfi che sciamavano verso ovest, altri verso nord, profughi umani accompagnati urlanti nel Tempio, alcuni feriti, altri disperati perché le loro famiglie erano rimaste indietro. Preso dal panico, iniziò a correre verso casa sua, pregando che non fosse troppo tardi per salvare i suoi cari. Notò subito che solamente i “quartieri degli uomini” erano stati presi d’assalto, poiché i legionari imperiali avevano sfondato dai bastioni ovest ad essi adiacenti. Le difese più “deboli” a detta di Stee. Eppure non aveva sentito rumori di arieti, trabucchi o altre armi d’assedio, né ne aveva visto alcuno fino alla sera prima, quando era andato a difenderne i confini. Il giovane guerriero si unì di corsa ad un gruppo di una ventina di elfi che sembravano ripiegare, soli, smarriti e senza guida. Li raccolse attorno a sé, li spronò e ordinò loro di seguirlo. Freneticamente giunsero presto nell’area dove abitavano gli umani e notò subito che gli invasori avevano approntato delle barricate improvvisate per impedire di andare oltre quel punto: piccoli carri, mobilie che avevano trascinato fuori dalle case e tutto ciò che era sufficientemente ingombrante, era stato sistemato per rallentare l’intervento delle forze di difesa. Tuttavia, niente poteva spaventarlo o dissuaderlo, niente poteva fermarlo quando c’era di mezzo la sua famiglia! Come un cavallo in corsa, il figlio del Duca passò oltre, superando gli ostacoli e con l’aiuto del fuoco amico e dopo aver eliminato un paio di coscritti, si ritrovò abbastanza facilmente dall'altra parte. I suoi avversari cadevano come fuscelli, abbattuti dalla sua furia e dalla sua spada. I loro colpi sembravano rimbalzare sulla sua armatura incantata. Fu allora che gli elfi capirono davvero di che pasta era fatto “il Terrore d’Argento”! Con rinnovato entusiasmo, attorno al loro leader implacabile, gli elfi moltiplicarono le loro forze e le luci magiche dell’Enclave presto si oscurarono per la quantità enorme di frecce che si abbatterono sui nemici che lentamente arretravano. I loro scudi non potevano nulla contro quel fiume in piena, che si schiantava ad ondate su di loro. Ad un certo punto, anche Slanter e i nani si unirono al figlio del Duca, trascinati nella pugna dalle sue terribili urla di guerra. Escol gridava ordini ed uccideva, la sua spada elfica sfrigolava sulla carne, tagliando gole e trafiggendo i suoi avversari senza pietà: era una vera macchina di morte che camminava impavida. Una sentenza per i suoi nemici. Presto le tre linee di difesa, approntate dagli invasori, vennero spazzate via, ed ora il giovane Berge riusciva finalmente a vedere casa sua. Iniziò a correre freneticamente, pensando che il cuore gli si sarebbe spaccato in due nel petto. Arrivò trafelato e notò che la porta era spalancata e divelta e alcuni cadaveri di coscritti giacevano riversi sul vialetto, carbonizzati o sfregiati dalla magia. Sfinito dal terrore, Escol entrò. Gridò il nome di Liss, di Keira e di Malcom, ma fu la voce di Wizimir a rispondergli. Seduto nell’ombra, lo stregone era quasi invisibile. In un angolo, Keira teneva stretta Liss: in mano aveva una spada, ed in faccia lo sguardo truce di chi non sembrava affatto una contadina. Grazie ai Paradine il mago le aveva difese. Ma dov’era Malcom? Keira spiegò che gli invasori erano entrati in qualche modo direttamente dalla porta principale e che i più coraggiosi tra gli uomini si erano uniti alle ronde elfiche per arginare il primo urto. Quello peggiore. Escol non attese un secondo in più. “Promettimi che mi riporterai mio marito, Escol!” Disse Keira prima che lui uscisse. Da sopra la spalla Escol annuì, ma non pronunciò alcuna parola. Ebbe una brutta sensazione. Si limitò a raccomandarsi con Wizimir e ad ordinare a Slanter di lasciare un paio di nani a difesa della casa. Poi si fiondò di corsa verso le porte ovest della città. Circa una sessantina di civili, umani perlopiù, giacevano straziati sul cortile che dava alla porta. Escol dovette quasi calpestarli per raggiungere gli elfi, che stavano tentando di tenere botta e sigillare in qualche modo il portone. Non aveva tempo per disperarsi adesso. Arrivò come un toro in carica, ed insieme ai nani. riuscirono a bloccare finalmente l’entrata e a respingere il nemico. Anche Stee era lì con loro. “Che è successo, generale?”. Domandò il figlio del Duca, cercando di riprendere fiato. Stee si limitò a mostrare una scena assurda: un nano che aveva assassinato un elfo alle spalle, proprio nei pressi del portone! Il cadavere del nano era stato ucciso poi dalle guardie, ma intanto egli aveva avuto il tempo di aprire le porte, permettendo ad un centinaio di coscritti di sciamare ed uccidere chiunque per il quartiere degli umani. Tradimento dunque! Tutti si voltarono verso Slanter e i suoi nani, che sembravano sinceramente scioccati. Poi però Escol esaminò meglio il cadavere: quello non era un vero nano, ma un “Mutaforma”! Il suo sangue infatti era verde e molto più rarefatto. Solo qualcuno che apparteneva a questa razza infida, possedeva queste caratteristiche fisiche e magiche. Escol, chiamò un elfo e gli domandò di allarmare Wizimir, per fargli controllare meglio la salma del nano, ed avere celere conferma dei suoi sospetti. Slanter non riusciva a farsene una ragione, ma la spiegazione restava semplice: uno dei suoi era stato sostituito da uno di questi “sosia” che servivano l’imperatore maledetto. Delle spie perfette, che spesso Arios utilizzava per capire chi gli fosse davvero fedele e chi tramava contro di lui. Chissà da quanto quel “Mutaforma” si era unito al suo popolo, per spiare, osservare, riferire ogni cosa al suo padrone. Escol mise una mano sulla spalla del nano per rassicurarlo e gli disse di controllare per scrupolo tutta la sua gente: un piccolo graffio sulla mano sarebbe stato sufficiente per scoprire la verità. Poi, mestamente, insieme ad alcuni volontari, si diresse al mare di cadaveri che giaceva nel cortile, ed iniziò la macabra ricerca del corpo di Malcom. Ogni tanto ne spuntava uno ancora vivo e questo alimentò in lui una tenue speranza. Tuttavia, ogni velleità di riportarlo a casa dalla sua famiglia venne spezzata quando, voltando un corpo di un uomo armato solo di roncola, notò il suo sguardo vuoto e spento. Poi il ventre squarciato. Un brivido gli scosse la spina dorsale. Escol Berge, il terribile “Terrore d’Argento”, colui che aveva affrontato l’imperatore maledetto, cadde sulle ginocchia e si abbandonò al pianto, abbracciando l’uomo, il padre e il fratello maggiore, che l’aveva salvato, accudito e protetto per un anno intero. Solo quando il cortile fu ripulito, Stee gli toccò la spalla, riportandolo alla realtà. Escol si alzò a fatica: non aveva più lacrime da versare. Diede disposizioni affinché il corpo di quell’uomo fosse ricostruito degnamente, affinché la moglie e la figlia potessero regalargli l’ultimo saluto e poi si diresse a casa. Avrebbe preferito affrontare di nuovo Arios che Keira e Liss! Wizimir le aveva lasciate da poco per andare a controllare il corpo del nano, per cui Escol poté affrontare le due donne da solo. Quando apprese la notizia, Liss svenne per il dolore tra le sue braccia, mentre Keira ebbe una reazione inaspettata, che lasciò Escol senza parole. Lo sguardo di ghiaccio, si levò il grembiule e, da dentro un baule poco distante, gli mostrò una vecchia armatura Nordhmenn. La sua! Sussurrò che aveva sposato Malcom per amore e sempre per amore aveva giurato di abbandonare la via della violenza e degli spargimenti di sangue. Ma ora suo marito era morto e lei non conosceva altra via per contrastare quel dolore lacerante. Molti anni prima era stata un soldato e anche di alto rango e ora avrebbe vendicato la morte dell’unico uomo che aveva mai amato. Il figlio del Duca non parlò molto, la implorò solo di perdonarlo per essere arrivato tardi e di pensare a Liss: doveva proteggerla, non poteva lasciarla da sola per dar sfogo a chissà quale solitaria vendetta. Il volto di Keira, sempre sorridente e pieno di luce, ora era scuro e tirato. Aveva una bellezza diversa: sembrava lui quando aveva perso ogni cosa, molti mesi prima. La donna sfiorava l’armatura e tirò fuori una spada, il cui fodero era magnificamente rifinito. Poi si alzò, strinse forte i pugni e si voltò a guardarlo. Gli puntò un dito sul petto e disse. “Sai di chi è la colpa di questo ennesimo, barbaro omicidio, vero?”. Escol sembrava una statua di sale. “Sai quello che devi fare allora. Devi fermarlo. Una volta per tutte!” Ancora una volta Escol annuì, ma non aggiunse nulla. Si limitò a portare Liss in camera sua e a raggiungere a grandi passi il Tempio, con la testa che gli scoppiava per il dolore e la tristezza. Da quelle parti incontrò Aelion che, insieme ad altri guaritori, avevano predisposto un campo medico di fortuna, riuscendo a salvare molte vite. Il chierico aveva numerose ecchimosi e ferite su tutto il corpo, ma niente di serio per fortuna. Insieme, trovarono Volker, che accolse il consiglio di Escol di riunire i vertici “dell’Enclave degli elfi”, ed ascoltare ciò che aveva da dire sulla tragedia che si era recentemente abbattuta sulla cittadella. Il capitano ci mise meno di mezz’ora a riunire i suoi luogotenenti più fidati. Il figlio del Duca prese subito la parola, spiegando cosa fosse successo davvero e sulla possibilità più che fondata che alcuni “Mutaforma” si trovassero attualmente ancora dentro la loro città. Dopo aver esaminato il cadavere, Wizimir confermò la “teoria” di Escol su questi infami “sosia”: spietate ed invisibili spie dell’imperatore maledetto, che erano riuscite con uno stratagemma astuto ad intrufolarsi nella loro cittadella. Aggiunse che era impossibile conoscerne il numero preciso. Subito, un allarmatissimo Volker, diede l’ordine che tutti subissero la “via del sangue” per tentare almeno di arginare il problema. Tutti quanti, perfino i presenti nella stanza del consiglio. Compreso il generale Stee. Il primo a ferirsi fu proprio Escol e a mostrare il suo sangue rosso, poi a seguire tutti gli altri. Non ultimo, Galdor, capo della “Guardia Nera”: una cerchia ristretta di guerrieri elfi che indossavano una strana e particolare eburnea armatura. Il loro unico scopo era servire ed accudire l'albero di Mellothon ivi nascosto: il più antico e potente albero magico degli elfi! Escol aveva avuto il sospetto che in questo enclave fosse nascosto un “oggetto di grande potere” che Arios voleva a tutti i costi. All'inizio aveva pensato a qualcosa che fosse legato al “Fondatore”, forse addirittura a lui stesso e probabilmente, almeno in parte aveva ragione, ma il più “potente albero magico degli elfi” rappresentava certamente un maggiore deterrente per Arios, per non spazzar via l’ultimo “Enclave degli elfi” dalla faccia di Eord. Quanto infatti sarebbe diventato potente l’imperatore maledetto, con ben due alberi corrotti di Mellothon al suo servizio? Sarebbe diventato inarrestabile! Quando il rituale del sangue finì e tutti in quella stanza ne uscirono puliti, Escol domandò a Volker se poteva avere in dono da lui un seme dell’albero sacro. Come estrema difesa, da portare con sé nel suo viaggio, come aveva fatto prima di lui Eledras nelle terre selvagge. Il figlio del Duca conosceva molto bene le virtù di quel seme. Sapeva che l’avrebbe protetto dalla magia elfica, ma non era quello il solo scopo che aveva in mente per esso. Tuttavia nessuno poteva fornirgli quel “regalo inestimabile” se non l’albero stesso. Pertanto Escol fu accompagnato in un luogo segreto del palazzo, dove risiedeva un immenso giardino, con elfi che sciamavano di continuo attorno ad esso, ed al centro di quell’Eden fiorito, un enorme e maestoso albero! Al suo confronto, quello di Eledras e anche quello di Arios, trovato nelle miniere, impallidivano per dimensioni e potere. Il giovane guerriero rimase senza parole. Riuscì solo a sorridere guardandolo risplendere, mentre tutto il dolore di quella tremenda giornata scivolava via dal suo cuore affranto come neve al sole. Gli elfi lo guardavano avvicinarsi al mistico albero con un misto di stupore e fastidio, ma quando il figlio del Duca si inginocchiò e gli sussurrò il suo piano, sfiorando dolcemente con la mano il tronco, esso gli concesse la grazia! Un seme dorato di Mellothon apparve per magia nel suo palmo aperto, lasciandolo esterrefatto e sbalordito ma anche contento, perché l’albero aveva ritenuto degni i suoi progetti futuri. E questo era un bene.
Capitolo 7 - Distacchi dolorosi.
- Scritto da Jack Warren
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Escol era rimasto a parlare con Völker per molto tempo, tanto che ad un certo punto Wizimir l’aveva salutato, ed era rientrato zoppicando nella sua scuola di magia. Il figlio del Duca aveva domandato al capitano dell’Enclave un’armatura benedetta dai Paradine e anche un ulteriore esame mistico, per apprendere quale fosse l’ultimo sconosciuto incantesimo presente sulla sua magnifica spada elfica. Ogni dettaglio del genere poteva fare la differenza in un viaggio difficile come sarebbe stato il suo. Inoltre, il giovane guerriero aveva richiesto al comandante anche un guaritore: una preziosa risorsa che lo accompagnasse e lo sostenesse nel periglio e nello sconforto. Su questo argomento i due avevano parlato a lungo, anche dopo che Alden si era tristemente allontanato perché non ritenuto idoneo. D’altronde la questione era davvero delicata: la scelta del gruppo era fondamentale per il buon esito di una missione importante come quella che si stava accingendo a fare, ma rifiutare tutti i suoi vecchi compagni d’avventura non era semplice da spiegare per il figlio del Duca. Come poteva trasmettere a qualcuno la profonda delusione provata con Andor? L’ansia per un tradimento che poteva celarsi dietro ogni angolo? Piovuto dal cielo per mano dei suoi stessi cari? C’era troppo in ballo adesso, c’era suo figlio: l’ultima speranza di Eord! Il capitano dell’Elnclave elfico alla fine comprese le sue ragioni e dunque Escol poté tornare finalmente a casa. Ad accoglierlo fu Keira, moglie di Malcom e madre di Liss, la sua figlioccia. La donna pareva rifiorita in questo breve periodo di permanenza tra gli elfi e la sua bellezza non passò inosservata al giovane guerriero. Gli parlò del marito, che era entrato a lavorare nella gilda dei mercanti e soprattutto della figlia, che sicuramente sarebbe stata entusiasta di rivederlo. Escol sorrise e le parlò a sua volta dei suoi piani futuri, di ripartire molto presto per una nuova missione, pericolosa, ma che poteva aiutare ad ottenere una speranza in più nella lotta contro Arios. Ora però voleva solo farsi un bagno caldo e riposare. Keira annuì e finalmente Escol poté lavarsi e dormire qualche ora. Era tardo pomeriggio quando riaprì stancamente gli occhi. Si vestì velocemente, con abiti sobri ma comodi, ed uscì. Alla donna, che gli sorrideva benevola sull’uscio, disse solo che sarebbe rientrato per cena. Poi si inchinò leggermente e la ringraziò. Per prima cosa doveva trovare Slanter. Lui sarebbe stato il suo battitore attraverso le terre impervie a sud dell’impero, visto che c’erano ben poche persone che conoscevano quel territorio meglio di lui. Escol recuperò un pò d’informazioni sull’accampamento dei nani e non faticò affatto a trovarlo. Lo scalpiccio dei martelli e il rumore della forgia già si facevano sentire appena dopo poche ore il loro salvataggio (!) e il giovane guerriero sorrise al pensiero di quando nelle “Terre Selvagge” era diventato un beniamino di questa fiera e burbera gente. Era incredibile la loro capacità di adattamento e di organizzazione: non demordevano mai, non si arrendevano mai. Si piegavano, ma mai spezzavano. Davvero un gran popolo. Trovare Slanter fu ancor meno difficile: i nani l’avevano eletto “sindaco della comunità nanica” e questo fatto, un po bislacco a dire il vero, mise subito il figlio del Duca di buon umore. “Slanter sindaco”. Scosse la testa ghignando. Alla fine trovò la sua casa e anche due guardie all’entrata armate di ascia. Tuttavia esse lo scortarono subito dentro, visti gli urlacci di Slanter, che l’aveva scorto dalla finestra ancor prima che avesse parlato con loro. I due si salutarono con affetto e il giovane guerriero non disdegnò di prenderlo in giro per la recente carica di cui il nano era stato investito. Slanter sbuffò, asserendo che egli avrebbe voluto tutto fuorché rimanere chiuso lì dentro, a svolgere quel ruolo noioso ed inutile e quando Escol gli propose di andare con lui ai confini del mondo, nemmeno lo lasciò finire. Accettò senza battere ciglio. A quanto pareva, tutto era meglio di quell’agio e di quell’ozio deprimenti. Il giovane guerriero gli spiegò che la missione era molto difficile, soprattutto dopo esser entrati nella “terra di nessuno”: una fascia di terra, anche piuttosto estesa, esattamente al di sotto del territorio Asura. Tuttavia Slanter non si lasciò intimidire, ed accettò di nuovo, senza esitare, il compito che gli era stato assegnato. Escol annuì e gli diede appuntamento a sette giorni dopo. Così il figlio del Duca lasciò il quartiere dei nani e si recò di nuovo nei pressi del tempio, iniziando a chiedere informazioni su Stee. Gli elfi gli dissero che il generale era ai bastioni ovest a dare manforte ai soldati. Superato il primo anello di cinta, la situazione sembrò drasticamente cambiare agli occhi di Escol: da una apparentemente di calma e prosperità, si passava a questa, nel giro di pochi metri, dove i soldati si trascinavano, stanchi, provati, ed in alcuni casi anche feriti. Trovare il mezzelfo non fu comunque difficile. Escol lo avvicinò e lo ringraziò per l’aiuto che stava offrendo agli elfi, ma il generale sembrava quasi non sentirlo. Era come se la sua mente fosse da qualche altra parte, presa in cupi ed imperscrutabili pensieri. Ovviamente il giovane Berge cercò di capire cosa ci fosse che non andava nella testa e nel cuore di Stee, ed egli sostanzialmente rispose che le cose stavano peggiorando drasticamente all’Enclave. Le legioni imperiali sembravano più aggressive ed agguerrite rispetto a prima e anche più numerose. Forse i fatti accaduti alle miniere avevano spinto Arios a voler distruggere la cittadella? Più volte si era chiesto perché l’imperatore maledetto aveva lasciato questo ultimo avamposto di ribelli in piedi e solo dopo il tradimento di Andor l’aveva capito. “Egli”, aveva alimentato la speranza, affinché il suo mentore lo portasse insieme a Kail direttamente da lui, in modo tale da eliminare tutti i suoi nemici in un unico, definitivo colpo. E quasi ci era riuscito. Umani, elfi e nani, la famosa “coalizione” delle “Terre Selvagge”, erano stati abbattuti dalle sue legioni, Kail era stato assassinato e lui, solo grazie all’intervento del “Fondatore”, si era salvato a stento. Un piano geniale, ordito minuziosamente per almeno quindici anni. Ma adesso perché esitare ancora? Escol abbassò gli occhi: l’avamposto aveva i giorni contati e Stee lo sapeva molto bene. Il figlio del Duca gli posò una mano sulla spalla, chiedendogli se voleva unirsi a lui per una nuova, importante missione. Se avessero avuto successo, forse si sarebbero aperti nuovi scenari per Eord. Compreso per questa ultima “Enclave degli Elfi”. Ovviamente il mezzelfo annuì prontamente. Niente l’avrebbe tenuto lontano da quel ragazzo. Non solo. Quando il giovane guerriero gli parlò della “terra di nessuno”, Stee gli confidò che in passato aveva visitato quei luoghi remoti, in cerca di un avversario che fosse stato in grado di ucciderlo. La sua famosa “missione della vita”. Il suo più recondito segreto. Riferì di creature simili a felini, “i cacciatori”, in grado di tenergli testa e quasi di sopraffarlo. Solo per poco era sopravvissuto ad uno scontro diretto con alcuni di loro. Queste parole non incoraggiarono molto il giovane Berge: Stee era per distacco il miglior guerriero di tutta Eord, ed il fatto che si fosse sentito in difficoltà affrontando quel popolo guerriero faceva pensare. Tuttavia, la consapevolezza che il mezzelfo fosse già andato in quei territori sconosciuti, gli diede la speranza o forse l’illusione, di sapere dove andare una volta giunti lì. Escol si accomiatò, con la promessa di venire a combattere qui, sui bastioni, nei giorni seguenti, ed avvertendo inoltre il generale che sarebbero partiti la settimana successiva. Stee non disse nulla, non si mosse, rimanendo a fissare un orizzonte che non poteva vedere. Il figlio del Duca scosse la testa affranto e tornò a casa, lasciando il mezzelfo da solo. Finalmente qui poté riabbracciare Malcom e Liss! Fu uno dei rari momenti di pura felicità per il giovane Berge, che ormai considerava quella famiglia di contadini come sua a tutti gli effetti. Mise al corrente tutti della missione imminente, della sua pericolosità, ma anche di quanto fosse importante portarla a termine e la sua figlioccia soprattutto non la prese molto bene. I due restarono un po' a parlare dopo cena, ed Escol le spiegò quanto sarebbe stato essenziale che lei imparasse la magia e diventasse una maga potente il prima possibile. Troppe persone dipendevano da questo suo risultato, tra cui suo padre e sua madre, ma anche lui stesso. Egli lo “vedeva” chiaramente, impresso a fuoco nel suo futuro. Poi il figlio del Duca la accompagnò in camera sua, la baciò teneramente sulla fronte e finalmente andò a dormire. Il mattino arrivò forse troppo presto, ma Escol si svegliò riposato come non ricordava da diverse settimane ormai. Si alzò, preparò la colazione a tutti e poi domandò a Keira e Morgan se poteva avere il loro permesso di accompagnare Liss a scuola quella mattina. Ovviamente i genitori acconsentirono. Arrivati a destinazione, il figlio del Duca salutò con un cenno del capo la sua figlioccia, ed incontrò tosto Wizimir. Aveva necessità di capire dal mago, quando la sua “collega” sarebbe stata “disponibile” ad unirsi a lui. Lo stregone gli mostrò un sorriso che pareva più un ghigno, dicendo che Valyn si sarebbe aggregata al suo gruppo al momento opportuno. Aggiunse che non avrebbe dovuto preoccuparsi: lei lo avrebbe trovato e l’avrebbe fatto con facilità. Inoltre l’Asur aveva giurato di essergli fedele per tutta la durata della missione e questo doveva bastargli. Ed in effetti ad Escol bastò. Ringraziò l’amico per l’aiuto, ma gli domandò se poteva fargli dono di un’altra clessidra magica, per poterlo contattare in caso di necessità durante il viaggio. Fidarsi era bene, ma non fidarsi era sempre meglio. Wizimir ottemperò con piacere. Poi il figlio del Duca si voltò e lasciò l’edificio a grandi passi. Tornò al tempio e domandò di Eofaulf ed Alarien. Ora c’era la questione più spinosa da sistemare: avvertire i due compagni di mille avventure che stavolta loro non sarebbero andati con lui. Fortunatamente essi avevano deciso di vivere insieme: all’inizio Escol aveva sperato in una situazione romantica tra i due, ma poi capì che avevano scelto di rimanere insieme perché si sentivano entrambi degli emarginati. Lontani dalle loro famiglie, dai loro clan, dalle loro terre, si sentivano inutili e soli. Quando aprì la porta di casa, Eofaulf lo abbracciò come se avesse visto suo fratello, ed erano passati appena due giorni dal loro ritorno dalle miniere dei nani! Ad Escol gli si spezzò il cuore. Alarien arrivò poco dopo. Arco in mano e faretra vuota, l’elfa aveva appena smontato dal turno di guardia sui bastioni ovest. Ovviamente, si era offerta di aiutare. Non era ferita, ma visibilmente stanca. Anche loro due si abbracciarono per diversi intensi secondi. Escol chiuse gli occhi e respirò a fondo il suo odore. Alarien profumava di fiori di campo e violette anche quando era sudata e malandata come in quel momento. Ormai conosceva ogni cosa di lei. E di Eofaulf. Il figlio del Duca sospirò, prese fiato e coraggio, ed espose ai due amici le sue intenzioni per la prossima missione: liberare Hilda dalle catene di Arios, in un territorio inesplorato e pericoloso. E soprattutto che loro questa volta ne sarebbero rimasti fuori. Entrambi la presero malissimo! Eofaulf abbassò lentamente la testa contrito, quasi frastornato. Alarien invece quasi gli mise le mani addosso. Hilda era anche una loro amica, come poteva chiedergli di rimanere in disparte? Tuttavia Escol, da buon diplomatico qual’era, spiegò che la missione richiedeva poche persone, una conoscenza profonda del territorio imperiale e della “terra di nessuno”, dei loro terribili abitanti e dei pericoli che essa nascondeva, ma soprattutto di avventurieri che lui si poteva permettere il lusso di perdere. Sembrava cinico, forse brutale, ma così stavano le cose e non sarebbe mai tornato indietro su questa decisione. Ovviamente evitò di citare le sue paure più recondite, che riguardavano Arios, Andor, ed eventuali, possibili tradimenti. Era consapevole di esser diventato paranoico, ma dopo quello che aveva passato, tutto era possibile con quell’essere maledetto, anche che avesse manipolato le loro menti per pugnalarlo alle spalle al momento opportuno! Tuttavia, aggiunse anche che, quando fosse tornato, aveva intenzione di andare a liberare suo padre, ed avrebbe fortemente gradito se, durante la sua assenza, loro potessero pensare ad un piano d’azione per riuscire nell’impresa. Non fu facile, ma alla fine i suoi amici si arresero, augurandogli buona fortuna. Fu davvero un triste commiato. Prima di andare, Alarien gli restituì la maschera, che mille volte l’aveva salvata dagli sguardi indiscreti degli imperiali: sarebbe stata più utile ad altri elfi, che eventualmente, in questa impresa, si sarebbero uniti al suo gruppo. Mestamente, Escol la ringraziò e si diresse nuovamente al “Tempio”. Qui incontrò ancora una volta Völker. Il capitano dell’Avamposto gli presentò Aelion, il chierico dei Paradine che si era offerto di accompagnarlo. I due parlarono un po', ed Escol scoprì che era stato proprio lui a curare Alden, deturpato dalla magia ed a un passo dalla morte, nello scontro con gli uomini di Arios alla “Cittadella”. Inoltre, sarebbe stato ancora lui ad infondere la benevolenza dei Paradine nella sua armatura e dunque, a quel punto, il giovane Berge non ebbe più dubbi sulle capacità mistiche dell’elfo. I due si diedero appuntamento alla settimana successiva. Nemmeno il tempo di accomiatarsi, che un paggio avvertì il figlio del Duca che il “Fondatore” si era svegliato e che voleva parlare con lui. Di corsa, Escol si recò di nuovo nella stanza con la “falsa Enwel” e il feretro che accoglieva il corpo vecchio e rinsecchito del “Fondatore”. L’elfa uscì, lasciandoli tosto da soli. Il vecchio faticava a parlare, ed ammise che quelli sarebbero stati gli ultimi respiri e le ultime parole che avrebbe pronunciato in questa vita. In buona sostanza spiegò che Enwel sarebbe dovuta essere la “prescelta” per sostituirlo, ma data la riluttanza del suo spirito a lasciare il medaglione, “il legame indissolubile”, che ancora proteggeva Escol dall’incantesimo mortale dell'imperatore e a riunirsi al suo corpo, non aveva altra scelta che passare a lui il testimone. Escol sarebbe diventato il nuovo “Fondatore”! Anche se avrebbe dovuto scegliersi un altro “nome” rispetto al suo, uno più opportuno, più adatto alla sua persona. Poi si ferì su un braccio e sparse un pò di sangue sul dorso della mano del figlio del Duca. Escol giurò che quando tutto fosse finito, il ruolo di “Fondatore” sarebbe passato a colei che egli aveva accuratamente scelto per svolgere questo compito: Enwel, la sua amata Enwel. Un giorno il suo spirito, nascosto nel medaglione, si sarebbe riunito al suo corpo e lei avrebbe accettato con gioia questo compito, che era suo per diritto di nascita. Sorridendo appena, il vecchio si accasciò dolcemente e morì. Così finì il cammino su Eord del “Fondatore dell’Ordine”, ma il suo retaggio viveva adesso in Escol, aspettando di poter passare al suo legittimo proprietario: Enwel Nelothien Escol aggrottò le sopracciglia nel sentire le campane che suonavano a morto: dodici rintocchi funebri solenni, che in qualche modo lo riportarono alla realtà. Se Arios riusciva a percepire il “Fondatore”, anche a distanze enormi, perché il vecchio aveva scelto lui come portatore ad interim di questo “ruolo”? C’erano molte persone all’avamposto molto più qualificate di lui e sapendo che il “Fondatore” non faceva mai le cose casualmente, doveva esserci un motivo per questa sua decisione così inaspettata e lui ci avrebbe scommesso la sua lucente spada elfica, che esso era collegato alla prossima, imminente missione.
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