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Il marchio maledetto di Moebius.

Scritto da Mike Steinberg
Categoria: La Guerra Delle Lance
Pubblicato: 07 Ottobre 2025
Visite: 25

Quando il mezzelfo pensò di essersi ripreso a sufficienza, si avvicinò con decisione ad Aric ed Estellen. In un angolo, in disparte sulla piattaforma, Stuard manteneva un bieco cipiglio: conosceva ormai bene Kail e non gli piaceva affatto l’espressione disperata che aveva stampata sul viso. Pareva troppo latrice di scelte infauste.
D’altro canto, lo scout aveva idee contrastanti nella testa e doveva per forza metterle in ordine o le decisioni che avrebbe preso nelle prossime ore, avrebbero rischiato di compromettere le successive fasi della loro missione. Per un breve momento il mezzelfo incontrò gli occhi di Stuard e seppe immediatamente che il cavaliere non condivideva quello che entro pochi secondi avrebbe chiesto alla sua amica e allo stregone. Ignorando il suo disappunto, il ranger domandò ai suoi amici se avessero potuto fare qualcosa per eliminare la maledizione che Moebius aveva presumibilmente scagliato su suo nonno. Almeno secondo quanto Demetrius aveva raccontato loro: esisteva anche la possibilità infatti, nemmeno troppo remota, che avesse avuto ragione sua moglie Arielle a considerarle soltanto vaneggiamenti di una mente sfinita e troppo provata dalle vicissitudini nefaste che aveva subito nella sua vita.
Tuttavia Kail non voleva tralasciare alcun particolare: ciò che Demetrius aveva evidenziato durante il suo monologo, erano forze che non nessuno poteva permettersi di trascurare, tantomeno lui. Anche a costo di creare malumori più o meno manifesti all’interno del gruppo.
Il primo ad agire fu Aric.
Il mago domandò a Demetrius e a sua moglie se poteva dare un’occhiata più approfondita al marchio che aveva sulla schiena. Ovviamente nessuno si oppose. Quelle persone si accompagnavano ad Eiliana Starbreeze, una vera beniamina per il popolo silvano e certamente dovevano sapere quello che facevano. Infatti, bastò un semplicissimo incantesimo rivelatore, per mostrare allo sconcertato stregone che quel marchio era in realtà una vera e propria “parola di potere”, espressa nel linguaggio antico e dimenticato dei dragoni! Purtroppo si trattava di un sortilegio malvagio: una maledizione potente e crudele.
Tuttavia non era tutto: quel simbolo esprimeva sì una condanna per chi lo portava, ma anche un “vincolo” indelebile con un'altra anima. Una specie di "connessione diretta" con qualcun altro.
Lo stregone corrucciò la fronte. Quello non era un semplice "incantamento", ma un vero e proprio "ordito di magia". Un complesso rituale arcano, che nascondeva molti incantesimi uno dentro l’altro. Come una matriosca enorme e stratificata, troppo potente affinché lui potesse smascherarla nella sua interezza, ma di sicuro abbastanza evidente da lasciar intuire che quell’incisione diabolica legasse in maniera indissolubile il destino di "due persone". Una era Demetrius e l’altra, volendo accogliere come veritiere le parole del nonno di Kail a proposito della sentenza che aveva lanciato Moebius, doveva essere il figlio “mezzo drago” dello stesso! In pratica, il fratellastro di Kail!
Aric stringeva la staffa demoniaca come se cercasse sostegno, consapevole che c’era molto di più dietro quelle poche informazioni che era stato in grado di ricavare. Importanti si, ma insufficienti. Come se qualcuno le avesse messe lì come uno specchietto per le allodole.
Tuttavia il bastone taceva. Il mago sapeva bene che "esso" non amava i dragoni e le loro infide magie. Forse perché erano molto simili alle sue, chi poteva saperlo? Fatto stava che non ebbe aiuti di alcun genere dal suo malefico compagno di viaggio e, voltandosi sconsolato verso il mezzelfo, gli disse solo che, come tutti gli scongiuri sufficientemente potenti, un esorcismo all’altezza di quella maledizione avrebbe potuto sradicare quel simbolo nefasto sulle spalle dell’elfo. Lo stregone mise però tutti in guardia: essendo "esso" strettamente collegato ad un altro uguale, cancellarlo avrebbe potuto significare uccidere Demetrius sul colpo.
I suoi compagni tacquero, assorbendo a fatica quell’ultima informazione. Eppure ebbero la sensazione che il giovane stregone avrebbe potuto fare di più per districarsi meglio in quella delicata situazione, ma si stava trattenendo e forse, in quel contesto specifico, anche a ragione.
Quando fu il turno di Estellen esaminare la “parola di potere”, lei ne percepì distintamente il male ancor prima di imporre la sua volontà su di esso. Confermò pertanto che le parole di Demetrius non potevano essere così tanto deliranti: una maledizione del genere, non poteva esser frutto di un incantatore o un sacerdote oscuro alle prime armi: quello era un potente, ma anche "intricato ordito" all’interno “della trama” stessa del creato, che i suoi occhi turchesi, imbevuti della grazia divina, riuscivano a scorgere solamente in parte.
Solo una volta qualcuno era riuscito ad ingannarla in quel modo: a Silvanesti, dentro la “Torre delle Stelle”. Solo Cyan Bloodbane ci era riuscito. Ecco perché la giovane chierica iniziò a sudare dal nervoso e a preoccuparsi per il destino di Demetrius e in generale di tutta la famiglia Londelle, compreso il suo amico Kail. “Percepiva”, quasi nell’aria, che tutto ciò che era stato raccontato dal vecchio elfo poco prima era vero: c’era lo zampino del drago verde dietro quel marchio infame! E “dentro di esso” c’era molto di più del “vincolo” che era riuscito a scorgere Aric grazie al suo incantesimo rivelatore. Era come una fitta e complessa ragnatela di significati, gli uni collegati agli altri. Non tanto come una maestosa matriosca come il mago aveva pensato, cioè sincronicamente, quanto piuttosto come la lana più volte stratificata che componeva i ricami di sua madre, valeva a dire diacronicamente, di cui perfino lei riusciva a scorgere solo i fili più superficiali. Quelli che “Lui” voleva che loro vedessro.
Assottigliando gli occhi, Estellen fu seriamente tentata di esorcizzare lo stesso quel maleficio, quasi per reazione rabbiosa, se non fosse che, in caso avesse avuto ragione, nell’eventualità cioè ci fosse stata la mente diabolica che sospettava dietro quel simbolo infausto, probabilmente le conseguenze per tutti sarebbero state ben più gravi del perdere il solo Demetrius. Se avesse avuto la sicurezza di donargli la pace, di mandarlo nelle aule maestose di Paladine, oltre la “settima porta”, attraverso il suo scongiuro, forse avrebbe potuto proporre quella soluzione come soddisfacente. Prima di tutto per Kail. Poi per Arielle stessa. Non poteva guarire la follia del vecchio elfo, se di follia si parlava, ma forse poteva donargli una dipartita serena, ripulendo la sua anima dalla lordura cui era stata sottoposta dal terribile Moebius.
Ma era troppo rischioso.
Il mezzelfo continuava ad insistere che il suo fratellastro avrebbe potuto anche non essere ciò che le parole di Moebius avevano lasciato intendere. Forse egli era davvero il “salvatore” del popolo elfico, ma Estellen conosceva bene la verità. Il figlio di Cyan Bloodbane era malvagio, profondamente malvagio. Come suo padre. Era la sua natura, il suo destino, il suo retaggio. Affrontarlo senza avere la possibilità di sconfiggerlo, significava perdere ancor prima di iniziare a contendere con lui. Una persona saggia dunque avrebbe tentato l’esorcismo comunnque. Se fosse andato bene, infatti e Demetrius fosse sopravvissuto, tanto meglio. In caso contrario, gli avrebbe donato la pace e avrebbe reso vulnerabile il loro nemico. Perché di questo si parlava: quel “mezzo drago” era loro nemico! Tutti lo sapevano in quella stanza, ma nessuno aveva il coragggio di ammetterlo apertamente per non ferire i sentimenti di Kail.
Tuttavia non era per questo che Estellen sospese la volontà di praticare il rituale di purificazione. Lo fece perché non voleva sottovalutare per la seconda volta il grande dragone verde. Una creatura che per millenni aveva tenuto sotto scacco un intero popolo. Con il suo odio, la sua gretta volontà di soggiogarlo e infine di distruggerlo. Qualcuno che aveva osato sfidare E’li nella sua stessa casa, nel suo stesso tempio e c’era riuscito. Cambiando la natura stessa dei rituali delle sue sacerdotesse, lentamente, metodicamente. Un essere diabolico, che aveva modificato perfino la storia sacra dei silvani: i famosi “dodici passi di E’li”. Avrebbe potuto scommettere qualunque cosa, che Arielle stessa ancora non sapesse che fossero in realtà tredici, quelli che il suo dio aveva compiuto all’interno del fiume benedetto! Egli era riuscito a rendere quasi tutti i rituali in onore di Paladine/E’li inutili o addirittura controproducenti in alcuni casi.
Estellen si staccò da Demetrius quasi infastidita e prese ad osservarlo meglio. Osservò quell’elfo cieco che dipingeva e si meravigliò parecchio per questo miracolo. Certo, gli elfi vivevano per parecchi secoli e Demetrius aveva perso la vista poco più di cinquanta anni prima: un’inezia per uno della sua razza. Magari egli era stato un pittore per tutta la vita e adesso poteva tranquillamente mettere su tela qualche soggetto che aveva riprodotto mille volte, avendo come riferimento solamente l’immagine che di esso aveva fissato nella mente. Notò il fitto bosco, raffigurato con precisione sconcertante e le due figure che, nel quadro, correvano felici su un prato fiorito al fine di abbracciarsi.
Due elfi: un uomo e una donna. Una scena semplice, che anche un cieco, con l’esperienza di Demetrius, avrebbe potuto di fatto riprodurre. Eppure c’era qualcosa che non le quadrava. Magari era una sensazione (quale ideale di felicità poteva esprimere un vecchio elfo che aveva sofferto quanto aveva fatto lui?), ma secondo il suo parere non era possibile dipingere in quel modo senza l’uso della vista. Al di la del soggetto, tutti quei particolari, quei colori, quei chiaroscuri. Le sembrava impossibile.
Aric provò a spiegarle che molte persone, che avevano contratto degli handicap in tarda età, avevano sopperito attraverso gli altri sensi alle loro lacune e che, nel caso di Demetrius, stavano parlando di un elfo molto anziano. Una creatura secolare, che "quell’immagine felice" poteva benissimo averla impressa nella mente da decenni. Eppure pareva che niente riuscisse a convincerla, nemmeno l’intervento di Kail, che aveva sposato l’interpretazione del mago. Secondo lei c’era ancora qualcosa che non tornava: “sentiva” che quel “dono” che gli era rimasto non era lì per “caso” o semplicemente perché Demetrius aveva dipinto per tutta la vita. Quel “dono” gli era rimasto per altri motivi. Motivi oscuri forse, che andavano svelati e compresi prima di prendere una posizione precisa su ciò che farne di lui. Pertanto si arrese e rispettò la volontà unanime di lasciare le cose come stavano, per il momento.
Meglio non toccare niente prima di apprendere maggiori informazioni!
Tutti annuirono attorno a lei, anche se Aric candidamente fece notare che se se ne fossero andati senza prendere una posizione, se avessero proseguito oltre Silvamori senza intervenire, avrebbero potuto perdere definitivamente l’occasione per indebolire il loro nemico. Per quanto il mezzelfo sbuffasse ogni volta che ci si rivolgeva al figlio di Cyan in quel modo, su questo sembravano tutti d’accordo. Inoltre l’intera compagnia sapeva benissimo che il cavaliere non avrebbe mai permesso di rischiare la vita di Demetrius impunemente, senza prima avere un piano. Magari alla fine avrebbe lasciato lo stesso fare ad Estellen quell’esorcismo, ma non glielo avrebbe mai perdonato se qualcosa fosse andato storto.
In quella breve pausa, Eiliana condusse tutti sulla pedana esterna, nel tentativo di riportare l'attenzione dei suoi amici su problemi tanto impellenti quanto ugualmente gravosi.
“Allora amici miei, come intendete tornare nel continente solamnico? Avete già delle idee?”
Azzardò la nobile elfa.
Kail attese qualche secondo prima di risponderle. Aveva la voce impastata dal nervoso e dall’ansia. Conoscere i suoi nonni era stata una vera benedizione, ma rimanere sospesi in quel modo circa il loro destino lo lacerava dall’interno. Comunque il mezzelfo illustrò lo stesso e molto bene le tappe da percorrere, dove la prossima e più vicina sarebbe stata Pontigoth, città portuale dalla quale avrebbero sperato di pagare qualcuno per ottenere un passaggio via nave fino alla Solamnia.
Eiliana gli sorrise, facendogli notare che per arrivare a Pontigoth avrebbero dovuto prima affrontare l’inferno. Perché questo era la città di Daltigoth: un vero inferno! Pertanto disse a tutti di incontrarsi tra un’ora nella vicina casa del borgomastro per discutere meglio di strategie.
“Sarebbe preferibile vederci lì per parlarne un po’ più approfonditamente, poi capiremo se il reggente Belthanos avallerà le nostre eventuali richieste di assistenza…”
Detto questo, la bellissima elfa si voltò e con perizia e velocità si calò giù dalla scala di corda fino a raggiungere il livello del suolo. In pochi secondi era già sparita dalla vista dell’intera compagnia. Prima di seguirla, Stuard volle prima controllare la mappa e farsi un’idea di ciò che lo aspettava.
Una volta attraversata del tutto la foresta, partendo da Silvamori e passando per i due capisaldi degli elfi selvaggi, Sun e Rain, dove avrebbero potuto sperare di fare rifornimento per il viaggio, c’erano solo due soluzioni. O prendere il passo tra le montagne, oppure tentare di oltrepassarle. Aggirarle sarebbe stato semplicemente impraticabile, perché ci avrebbero messo settimane, mesi forse e non c’era abbastanza tempo. La strada diretta, attraverso il valico, li avrebbe invece portati a destinazione in meno di sette giorni. Certo, sarebbero dovuti passare per la città, opzione che Eiliana descriveva come terrificante. L’altra via era scavalcare le montagne, percorso molto più arduo e lungo, che li avrebbe condotti a Pontigoth in almeno tre settimane. Tanto, ma forse non troppo.
Il cavaliere non vedeva altre vie oltre a quelle. Un po’ sconfortato, rimise la mappa nello zaino e attese che Kail finisse di parlare con sua nonna Arielle.
Il mezzelfo le stava offrendo il diario di sua madre, invitandola così a leggerlo e a confrontare ciò che Eyne le aveva detto, nel corso degli anni in cui le aveva fatto visite clandestine, con quello che aveva scritto sui suoi appunti. Avrebbe notato delle inquietanti incongruenze. Ovviamente Arielle accettò il dono di buon grado, promettendo di leggerlo con attenzione e poi riferirgli ciò che ne aveva dedotto. I punti controversi riguardavano principalmente il medaglione. Nello specifico, sulle circostanze in cui Eyne ne venne in possesso. Arielle sapeva che era stato un elfo scuro a darglielo, almeno così sua figlia le aveva riferito, ma sul diario si parlava che era stato un “dono di Takhisis”, quando Eyne era andata in pellegrinaggio a Neraka per prendere i suoi voti. Inoltre nel diario si parlava di un potente rituale di resurrezione, che Eyne aveva intenzione di fare su Decius, il suo amato marito ormai defunto, nel quale il medaglione avrebbe dovuto rappresentare "il quarto elemento essenziale su cinque" per realizzarlo. Perché dunque privarsene per darlo a Kail, se esso serviva a questo scopo? La sua funzione non era in realtà quella di proteggerla dal drago verde?
Aric non poté non sentire quella conversazione, ed un brivido freddo gli gelò la spina dorsale. In quel momento infatti rammentò bene le ultime parole che Demetrius aveva pronunciato, prima di tornare al suo silenzio forzato.
“… ed io sapevo che Eyne era stata ingannata non una, ma due volte, poiché nel mio cuore sentivo che “l’incubo con le ali” e “la dea oscura” erano d’accordo su questo terrificante ordito!”
Silenziosamente, lo stregone si immerse in solitarie riflessioni, che davvero tutti si auguravano gettassero un po’ di luce su quella spinosa e complicata situazione.

Il Maniero Uth Breannar.

Scritto da Mike Steinberg
Categoria: Le Origini Di Kail
Pubblicato: 07 Ottobre 2025
Visite: 31

Kail ne aveva approfittato per stendere un po’ le gambe, perché il combattimento e il viaggio di ritorno alla “Ghiandaia Verde” l’avevano decisamente sfiancato. Galeth era rimasto di sotto, nella sala comune, a bere birra, mentre Jole, dopo un attimo di esitazione quando l’aveva visto sorridere sull’uscio della sua camera mentre la allattava, aveva accompagnato di corsa Erstellen nella stanza della madre per cambiarla. Non sapeva spiegare il perché, ma sembrava che quella ragazzina fosse diversa dal solito da quando si stava occupando della piccola e questo al mezzelfo fece un enorme piacere. Jole aveva di sicuro qualche problema a socializzare, per questo, quando poteva, era solito portarle un dono quando passava di qui. Una bambola, un monile luccicante, un animale di legno intagliato dall’abile mano di un nano, insomma una di quelle cose che si potevano trovare nei mercati o sulle bancarelle dei paesi che visitava. Si svegliò pensando di aver appena appoggiata la testa sul cuscino, ma si rese conto che erano passate tre ore da quando era tornato in camera sua. Pertanto si equipaggiò in tutta fretta e scese di corsa nella sala comune. Sebbene non fosse ancora ora di pranzo, la locanda era già viva e gremita di persone e questo mise Kail in grande agitazione. Trovò Galeth al suo solito tavolo, appisolato sui gomiti. Davanti al guerriero, cinque boccali vuoti. “Andiamo bene, di prima mattina …” Pensò tra sé lo scout mentre lo scrollava per una spalla. Galeth si ridestò con uno scatto istintivo. Poi si passò le mani callose sul viso nel tentativo improbabile di riprendersi. Kail attese pazientemente qualche secondo, poi domandò in maniera diretta al mercenario se fosse pronto a partire e a seguirlo nella sua missione, oppure se aveva deciso per una soluzione più cauta e quindi di lasciar cadere la cosa. Il guerriero, come era suo solito, pretese di conoscere prima qualche dettaglio in più, vista l’ampiezza e la durata dell’incarico e il mezzelfo ovviamente scelse la via della verità. Il viaggio sarebbe stato lungo e difficile, ma non era privo di certezze. Avevano a disposizione i diari di Anteus e il suo itinerario. Avrebbero fatto il possibile per seguirlo alla lettera, cercando di ricostruire tutto il suo cammino, sperando di rivelare la portata di ciò che aveva scoperto e magari realizzare anche cosa gli fosse capitato. Lungo il percorso avrebbero cercato qualche alleato tra quelli che l’avevano aiutato ad arrivare fin sotto Pax Tharkas e magari avere dalle loro voci dirette un quadro più preciso dei segreti che aveva portato alla luce. Sullo sfondo, Kail aggiunse, poteva esserci una guerra, che le forze oscure stavano preparando in gran segreto a sud, contro la Solamnia e la gente libera di Krynn. Galeth chiamò Piotr dietro al bancone, facendogli segno che voleva un’altra birra. Poi commentò così: “Ora è tutto più chiaro. Facciamo così mezzelfo: mi hai pagato più di quello che avevamo pattuito. Pertanto ti accompagnerò fino a Port O’Call… ho alcuni amici laggiù che potrebbero aiutarti ad imbarcarti per l’Abanasinia senza spellarti vivo. Quando saremo al porto ti darò la mia risposta…” Galeth non fece nemmeno appoggiare il boccale sul tavolo, strappandolo letteralmente dalle mani del giovane cameriere e portandolo subito alle labbra. Kail annuì e commentò che avrebbe capito se lui si fosse infine tirato indietro: si trattava di una missione anomala, potenzialmente mortale e praticamente non pagata, visto che l’accordo era che avrebbero diviso a metà tutti i beni che avrebbero trovato lungo il tragitto. Tuttavia Galeth scosse la testa e disse: “Non mi spaventa questa impresa … nel nostro lavoro, ogni incarico, anche il più stupido, è comunque pericoloso. Così come non mi dispiacerebbe lasciare questa zona per qualche mese … o anno. Quello che non so, è se voglio davvero lavorare per le finalità personali dei cavalieri che ti hanno commissionato questa ricerca. Non mi interessano le loro guerre e i loro intrighi. Non hanno mai alzato un dito in mio favore, perché dovrei farlo io per loro?” Kail lo guardò intensamente, ma non replicò. Si limitò ad annuire e a spiegare che prima di procedere verso sud, avrebbero dovuto raggiungere di nuovo il “passo dell’orso”, perché lui doveva assolutamente lasciare la bambina ai suoi tutori. Sarebbe stato meglio dunque che, giunti in quel punto, si fossero momentaneamente divisi per ritrovarsi poi a Knollwood un paio di giorni dopo. Era preferibile infatti che lui non sapesse niente di più su questa faccenda, per la sicurezza della piccola, ma anche della sua. Galeth annuì e si alzò, lasciando tintinnare delle monete d’argento sul tavolo. “Ti aspetto alle stalle allora.” Sentenziò, mentre si avviava verso l’uscita. Kail lo seguì con gli occhi per qualche secondo, poi tornò di sopra. Sulle scale incontrò Margareth, che aveva appena rifatto i letti nelle stanze. La donna lo intercettò e prima che potesse dirle qualcosa, lo invitò a seguirla. Aveva una piccola chiave in mano. Si diresse verso una delle ultime stanze, le più luminose della locanda. Aprì e fece accomodare il mezzelfo. Sul letto, dentro la sua cesta di vimini, c’era Erstellen. Kail si avvicinò e sorrise quando la vide così placida e rilassata. Poi si voltò verso Margareth. “Ho preparato delle stoffe che ti saranno molto utili per il viaggio. Ho lavato il suo biberon e ti ho preparato latte e acqua per nutrirla. Stai tranquillo: nessuno saprà mai niente da me sulla piccola e se è vero che sparirai dalla circolazione per qualche mese, è molto probabile che non correremo alcun rischio.” La donna teneva le mani unite sul grembo e parlava con una voce solenne, molto determinata. Kail non sapeva come ringraziarla e quando le disse che avrebbe voluto pagarla per i suoi sforzi, la donna negò decisamente con il capo. “Quella bambina è stata una benedizione per noi. Da anni non vedevo Jole così contenta, le ha perfino parlato, sai? Era dalla morte del padre che non lo faceva…” Margareth si asciugò una lacrima dal viso. Kail invece corrucciò la fronte: non era a conoscenza di questo terribile segreto. “Mio marito Jonas è stato ucciso sei anni fa dai banditi sulla via per i Monti Garnet. Era un mercante e viaggiava spesso. Una vera tragedia … per me, ma soprattutto per lei.” Kail abbassò il capo, pregando la donna di accettare almeno qualche moneta, ma Margareth non ne volle sapere. “Sono io che dovrei pagarti, Kail. Jole è la cosa più importante che ho e vederla contenta, anche se solo per pochi giorni, non ha avuto prezzo! Grazie. Grazie di cuore.” L’abbracciò d’istinto e i due rimasero per qualche secondo stretti l’uno all’altra. Poi Kail si sistemò Erstellen nella fasciatura, afferrò lo zaino che gli aveva passato Margareth e raggiunse il più velocemente possibile la stalla. Aghnes era stata strigliata e nutrita e non si oppose a partire immediatamente. Così, insieme a Galeth, iniziarono di nuovo a cavalcare verso il “passo dell’orso”, lasciandosi alle spalle delle persone buone che l’avevano aiutato con il cuore. Durante le pause forzate per assistere Erstellen, Galeth si mostrò piuttosto nervoso: era vero che sarebbero passati almeno due giorni prima che il “Corvo Rosso” avrebbe potuto prendere delle contromisure a quello che era successo ai suoi scagnozzi, ma il guerriero non si fidava, diventando guardingo ed intrattabile. Mentre scivolavano verso il basso, Kail eliminò ogni traccia dei segni che Galeth aveva lasciato per lui sui sassi lungo la gola, in modo tale da incontrare ancor meno problemi in futuro. Arrivati oltre il “passo dell’orso” i due compagni si fermarono e, come avevano convenuto, si separarono, dandosi appuntamento alla taverna del “Tasso Argentato” di Knollwood un paio di giorni dopo. Kail cavalcò per altre tre ore, controllando lo stato di Erstellen ogni cinque minuti. Ormai era diventato paranoico sulle condizioni della piccola. D’altronde lei non piangeva mai e quindi egli non riusciva a capire se qualcosa non andava. Decise di fare tutta una tirata, saltando di un’ora il pasto previsto per la bimba. Quando intravide il maniero Uth Breannar era ormai sera. La prima cosa che lo colpì, quando tagliò per il villaggio sottostante, fu che il feudo doveva essere in festa visto come erano agghindate le case e le strade. C’erano carri di mercanti ovunque e anche una piccola carovana di saltimbanchi. Si, decisamente c’era un clima festoso presso la tenuta Uth Breannar! Kail raggiunse la rocca sulla collina senza troppe difficoltà. Aveva visto delle ronde da lontano, ma nessuno evidentemente l’aveva notato dirigersi verso il maniero. Tuttavia, raggiunto il ponte levatoio, dovette per forza fermarsi. “Alt! Fatevi riconoscere per favore.” Due cavalieri della corona, stanziati di guardia, si mossero aggressivi ma non ostili verso di lui. Kail serrò il cavallo. Mostrò il viso, scostandosi via il cappuccio. Poi si presentò come Kail Uth Mohdi e porse loro la lettera di Lord Astarte indirizzata a Lord Gerald. I due cavalieri controllarono il sigillo, poi gli dissero di scendere da cavallo e seguirli da presso. Il mezzelfo fece come gli era stato detto. Arrivati nel cortile interno, Kail notò che c’erano festoni e ghirlande appese ovunque anche nel maniero, ma non domandò il perché per discrezione. Uno dei due cavalieri scortò poi il suo destriero nella stalla e Kail salutò Aghnes sussurrandole di pazientare solo qualche ora. L’altro invece lo accompagnò all’interno del maschio centrale. Inizialmente al primo piano, poi, dopo aver parlottato con un altro cavaliere suo pari, fino al piano di sopra. La cosa che apparve subito strana al mezzelfo fu che incontrò pochi soldati di guardia, ma tantissimi inservienti, soprattutto donne. Ma che stava succedendo lì dentro? Ulthar, così si chiamava la sua scorta, gli fece strada fino al secondo piano, fermandosi infine innanzi una robusta porta chiusa in legno massello. Lo stemma del drago su sfondo giallo e nero spiccava evidente.  Bussò e dall’altra parte una voce esplose potente: “Chi è? Ho già detto che non voglio essere disturbato!” Ulthar aprì e timidamente disse: “Mio signore, c’è qui un emissario di Lord Astarte. Ha avanzato richiesta di conferire con voi. Pare sia urgente!” Il volto del cavaliere della rosa mutò completamente. Da stizzito ed esasperato, sembrò rilassarsi, come qualcuno che finalmente poteva fare qualcosa alla sua portata. “Bene. Fallo entrare.” Commentò rude ma soddisfatto Lord Gerald, alzandosi in piedi come imponeva la Misura. Mentre scivolava indietro, Ulthar gli sussurrò un “in bocca al lupo”, che solo l’udito fine di Kail avrebbe potuto sentire. Il mezzelfo ghignò divertito. Poi fece due passi avanti, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle. Si inchinò e disse: “Mio signore, vengo da parte di Lord Astarte. Egli ha bisogno urgente del vostro aiuto.” Poi avanzò ancora e gli porse la lettera col sigillo. Kail non conosceva il contenuto della lettera, poiché la Misura non gli concedeva quella licenza e anche se non si sentiva un cavaliere, non sarebbe stato rispettoso nei confronti di Astarte sbirciare quanto vi era scritto. Quindi osservò attentamente la reazione del signore del maniero per sperare di intuirne perlomeno la portata. Lord Gerald Uth Breannar era stato un grande guerriero. Alto quasi due metri, possente e coraggioso, si era guadagnato il suo titolo dopo numerose imprese sul campo. Ed ora, alla soglia dei sessanta anni, sembrava ancora molto più propenso a gestire affari di guerra, piuttosto che quelli di normale amministrazione del suo maniero. Aveva iniziato a leggere con attenzione e sguardo determinato, come chi doveva soppesare quanti soldati posizionare sul campo di battaglia. Tuttavia, man mano che andava avanti iniziò a sgranare gli occhi, fino a cadere seduto come se qualcuno l’avesse appena sconfitto in singolar tenzone, disarmandolo con facilità e umiliandolo pubblicamente. Poi alzò lentamente gli occhi sgomenti verso Kail e disse: “Che diavolo vorrebbe da me Astarte? Che mi prendessi cura di una … di una neonata … che … lui pensa sia nientepopodimeno che la figlia di Paladine? Andiamo ragazzo, non può dire sul serio. E poi dove sarebbe ora questa bambina, sentiamo …” Kail aprì il mantello e mostrò la piccola Erstellen al grande guerriero. Lord Gerald per poco non morì d’infarto dietro la sedia. Ebbe un sussulto talmente forte, che sembrò avesse visto un drago! “Ma quella … quella bambina … è … è vera …” Pazientemente, Kail annuì. “Vera e anche molto affamata milord …” Rispose, abbozzando un sorriso sardonico. “Ma perché tutti mi vogliono coinvolgere in storie di neonati e bambini? Prima mia nuora, adesso Astarte …” Commentò Gerald, quasi disperandosi. “Mio signore, sarebbe il caso chiamare qualcuno che fosse in grado di ottemperare ai bisogni della bimba. Inoltre, è inutile che vi ricordi ciò che già sapete: nessuno dovrà conoscere le circostanze della sua nascita, né la sua vera identità … o tutto ciò che abbiamo fatto e faremo in futuro per proteggerla verrà vanificato.” Lord Gerald provò ad aggiungere che tutto ciò che aveva letto nella lettera poteva essere frutto della fantasia di Astarte o addirittura uno scherzo di pessimo gusto, ma Lady Brunilde di Caela in Uth Breannar, intervenne ad interromperlo come un fiume in piena! Spalancando la porta senza troppi preamboli urlò: “Gerald Uth Breannar! Cosa ci fai ancora qui? Tua nuora sta partorendo e tu cincischi in questa stanza polverosa senza assistere alla nascita di tuo nipote? Eh??” Gerald spiegò alla moglie, immobile con le mani sui fianchi, che aveva appena accolto un emissario. Emissario che portava una strana richiesta da parte di Lord Astarte. Lady Brunilde guardò Kail severa, poi spalancò la bocca e portò una mano su di essa incredula. Aveva appena notato Erstellen! “Ma è … è una neonata! Ma siete folle a portarla con voi così? Ha mangiato?” Domandò spicciola. Kail scosse la testa, mostrando lo zaino con tutto il necessario per prepararle il suo latte. “Parleremo dopo delle strane richieste di Lord Astarte! Prima dobbiamo dare da mangiare a questo scricciolo. Datela a me…” Kail le porse la bimba. “E tu…” Continuò poi Brunilde, puntando l’indice contro il marito. “Tu verrai con noi di sotto. Subito!” Gerald sospirò e si alzò, ma prima di seguirla notò con quanta dolcezza lei guardasse quella bimba. Sorrise compiaciuto, con gli occhi che gli brillavano d’amore e si diresse alla porta. Mentre passava, troneggiando sul mezzelfo, sussurrò ghignando: “Non sposarti mai. Dai retta a me.” Kail annuì, condividendo perfettamente quella riflessione, anche se sapeva bene che chi l’aveva pronunciata stava palesemente mentendo. Gabrielle Steelguard era una donna giovane, dai capelli rossi, le lentiggini e gli occhi azzurri come il cielo terso che spesso si vedeva sopra la foresta di Lemish. Moglie di Marcus Uth Breannar, unico erede di Gerald e Brunilde, aveva già partorito due volte. Il primogenito Theodor aveva otto anni, mentre la secondogenita Eleanor ne aveva sei. Quello che stava per arrivare sarebbe stato il loro terzo figlio, o figlia, ma non avevano ancora deciso il nome. Ora Kail riuscì a collegare ogni cosa. I festoni, i saltimbanchi, il gran movimento di nutrici, damigelle e governanti: Gabrielle avrebbe partorito entro poche ore e il feudo Uth Breannar era giustamente in fermento per questo evento. Brunilde mostrò Erstellen alla nuora, che esplose in un sorriso raggiante. Poi fermò una dama di compagnia di Gabrielle e le domandò se poteva occuparsi subito di lei. La bimba aveva fame. Quando la vide, la fedele ancella Brigida Crotius, la guardò con un’espressione che Kail aveva notato raramente negli occhi degli umani. Non era semplice contentezza o piacere di vederla, accudirla o coccolarla, ma vero e proprio amore. Amore a prima vista! Un po’ confusa, la giovane donna si allontanò con lo zaino di Kail, raggiungendo a passo svelto le cucine per ottemperare a quella richiesta. All’interno della stanza c’erano anche Marcus, Theodor ed Eleanor, tutti intorno al letto della moglie e della madre. Marcus domandò sorridendo a Gabrielle se fosse pronta a crescere il loro ultimo figlio o figlia, chiedendole cosa sperasse per lui, se fosse maschio e cosa invece, se fosse femmina. Tuttavia il piccolo Theodor la anticipò, dicendole che avrebbe dovuto fargli un fratellino, in maniera tale che egli avrebbe potuto aiutarlo a diventare un grande guerriero come il loro nonno. Kail intuì che Marcus non era come suo padre, non aveva il suo piglio da stratega e guerriero. Qualità che probabilmente aveva invece ereditato suo nipote Theodor. Marcus abbassò gli occhi un po’ tristemente, dettaglio che nessun altro aveva notato a parte lui ed Eleanor. La bambina restava silenziosa, ma notava ogni cosa: segno di grande intelligenza. Non si incupì per il dispiacere del padre, né si indispettì per l’uscita infelice del fratello. Ne prese semplicemente atto.  Era davvero un peccato che il cavalierato non ammetteva le donne tra le sue fila: avrebbe scommesso che quella ragazzina sarebbe diventata un soldato valoroso e sagace al pari di suo nonno e anche di più, se solo gliel’avessero permesso. In tutto questo, fuori dalla stanza, appoggiato alla balaustra, Lord Gerald Uth Breannar sbuffava, pregando che quello strazio finisse il prima possibile.

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