Il giorno della partenza si avvicinava sempre di più, ed Escol si divideva tra offrire la propria spada in difesa dei bastioni al fianco di Stee ed Alarien, e la sua famiglia, diventata molto più ansiosa e possessiva da quando aveva saputo che a breve sarebbe di nuovo andato in missione. Soprattutto Liss, che non gli si scrollava letteralmente di dosso, quando la sera tornava a casa dalla scuola. Capitava molto spesso che Escol dovesse portarla in camera sua a braccia, visto che lei amava accoccolarsi ed addormentarsi sul suo petto, costringendolo a raccontarle delle storie sulle sue passate avventure. A parte la preoccupazione per gli assalti sempre più frequenti, questi furono momenti tutto sommato sereni per il giovane Berge. La mattina prima della partenza, un elfo si recò a casa sua molto presto, dicendogli che era atteso al palazzo di Volker. Così, dopo aver fatto colazione, il figlio del Duca salutò come ogni giorno la sua famiglia e si avviò verso il Tempio. Qui, venne accolto da Aelion e scoprì che era stato proprio lui a convocarlo. Aveva infatti un dono da consegnargli! Il chierico lo scortò in una stanza poco distante, sorretta da colonne in marmo bianco e le cui pareti erano finemente ornate con frequenti bassorilievi, che illustravano scene di guerra di un ormai perduto passato. Al centro della sala, su un tavolo di legno di faggio perfettamente intagliato, Aelion mostrò due oggetti coperti da un panno. Morso dalla curiosità, Escol si apprestò a vedere cosa fossero e grande fu la meraviglia quando scoprì che il primo fagotto nascondeva un’armatura di chiara fattura elfica, ma magistralmente adattata alle sue misure. Oltre alla stupefacente bellezza che possedeva, non era difficile immaginare che essa donasse anche delle incredibili proprietà magiche a chi la indossava. L’altro panno, più piccolo del precedente, celava alla vista “Enwel”, la sua mistica spada “di famiglia”, che, a detta dell’elfo, adesso “era stata da lui liberata” dall’ultima “mancanza” che possedeva. Ora il suo legittimo proprietario avrebbe potuto conoscere finalmente anche il suo segreto più intimo, la sua ultima virtù, quella più profonda ed insondabile! Tuttavia Aelion non ebbe il tempo di approfondire la questione con Escol, perché il suono di tre corni scossero le fondamenta di tutto il palazzo reale, arrivando a risuonare chiaramente anche nel Tempio! I “tre suoni del corno” significavano il pericolo più grande per l’Enclave degli elfi, perché avvertivano che le legioni imperiali erano riuscite a sfondare il secondo perimetro, ed ora sciamavano libere di uccidere per la cittadella! In decenni di assedio non era mai successo, ma Escol sapeva che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che accadesse. Aelion ci mise qualche secondo per rendersene conto, si guardava intorno quasi smarrito, confuso. Quando capì, quando realizzò veramente, sgranò gli occhi, ed uscì di corsa dalla stanza. Escol osservò a lungo la sua silente arma azzurrina e soprattutto l’argentea armatura. Decise che non poteva esistere momento migliore di quello per indossarla ed usarla. Fortunatamente un paggio, vedendolo un po' in difficoltà, era accorso in suo aiuto, ed insieme erano riusciti a “montarla” sul suo corpo massiccio in pochi minuti. Poi Escol mise sulla testa l’elmo, ed iniziò a correre spada in pugno verso l’esterno. Lì fuori sembrava che chiunque fosse impazzito! Elfi che sciamavano verso ovest, altri verso nord, profughi umani accompagnati urlanti nel Tempio, alcuni feriti, altri disperati perché le loro famiglie erano rimaste indietro. Preso dal panico, iniziò a correre verso casa sua, pregando che non fosse troppo tardi per salvare i suoi cari. Notò subito che solamente i “quartieri degli uomini” erano stati presi d’assalto, poiché i legionari imperiali avevano sfondato dai bastioni ovest ad essi adiacenti. Le difese più “deboli” a detta di Stee. Eppure non aveva sentito rumori di arieti, trabucchi o altre armi d’assedio, né ne aveva visto alcuno fino alla sera prima, quando era andato a difenderne i confini. Il giovane guerriero si unì di corsa ad un gruppo di una ventina di elfi che sembravano ripiegare, soli, smarriti e senza guida. Li raccolse attorno a sé, li spronò e ordinò loro di seguirlo. Freneticamente giunsero presto nell’area dove abitavano gli umani e notò subito che gli invasori avevano approntato delle barricate improvvisate per impedire di andare oltre quel punto: piccoli carri, mobilie che avevano trascinato fuori dalle case e tutto ciò che era sufficientemente ingombrante, era stato sistemato per rallentare l’intervento delle forze di difesa. Tuttavia, niente poteva spaventarlo o dissuaderlo, niente poteva fermarlo quando c’era di mezzo la sua famiglia! Come un cavallo in corsa, il figlio del Duca passò oltre, superando gli ostacoli e con l’aiuto del fuoco amico e dopo aver eliminato un paio di coscritti, si ritrovò abbastanza facilmente dall'altra parte. I suoi avversari cadevano come fuscelli, abbattuti dalla sua furia e dalla sua spada. I loro colpi sembravano rimbalzare sulla sua armatura incantata. Fu allora che gli elfi capirono davvero di che pasta era fatto “il Terrore d’Argento”! Con rinnovato entusiasmo, attorno al loro leader implacabile, gli elfi moltiplicarono le loro forze e le luci magiche dell’Enclave presto si oscurarono per la quantità enorme di frecce che si abbatterono sui nemici che lentamente arretravano. I loro scudi non potevano nulla contro quel fiume in piena, che si schiantava ad ondate su di loro. Ad un certo punto, anche Slanter e i nani si unirono al figlio del Duca, trascinati nella pugna dalle sue terribili urla di guerra. Escol gridava ordini ed uccideva, la sua spada elfica sfrigolava sulla carne, tagliando gole e trafiggendo i suoi avversari senza pietà: era una vera macchina di morte che camminava impavida. Una sentenza per i suoi nemici. Presto le tre linee di difesa, approntate dagli invasori, vennero spazzate via, ed ora il giovane Berge riusciva finalmente a vedere casa sua. Iniziò a correre freneticamente, pensando che il cuore gli si sarebbe spaccato in due nel petto. Arrivò trafelato e notò che la porta era spalancata e divelta e alcuni cadaveri di coscritti giacevano riversi sul vialetto, carbonizzati o sfregiati dalla magia. Sfinito dal terrore, Escol entrò. Gridò il nome di Liss, di Keira e di Malcom, ma fu la voce di Wizimir a rispondergli. Seduto nell’ombra, lo stregone era quasi invisibile. In un angolo, Keira teneva stretta Liss: in mano aveva una spada, ed in faccia lo sguardo truce di chi non sembrava affatto una contadina. Grazie ai Paradine il mago le aveva difese. Ma dov’era Malcom? Keira spiegò che gli invasori erano entrati in qualche modo direttamente dalla porta principale e che i più coraggiosi tra gli uomini si erano uniti alle ronde elfiche per arginare il primo urto. Quello peggiore. Escol non attese un secondo in più. “Promettimi che mi riporterai mio marito, Escol!” Disse Keira prima che lui uscisse. Da sopra la spalla Escol annuì, ma non pronunciò alcuna parola. Ebbe una brutta sensazione. Si limitò a raccomandarsi con Wizimir e ad ordinare a Slanter di lasciare un paio di nani a difesa della casa. Poi si fiondò di corsa verso le porte ovest della città. Circa una sessantina di civili, umani perlopiù, giacevano straziati sul cortile che dava alla porta. Escol dovette quasi calpestarli per raggiungere gli elfi, che stavano tentando di tenere botta e sigillare in qualche modo il portone. Non aveva tempo per disperarsi adesso. Arrivò come un toro in carica, ed insieme ai nani. riuscirono a bloccare finalmente l’entrata e a respingere il nemico. Anche Stee era lì con loro. “Che è successo, generale?”. Domandò il figlio del Duca, cercando di riprendere fiato. Stee si limitò a mostrare una scena assurda: un nano che aveva assassinato un elfo alle spalle, proprio nei pressi del portone! Il cadavere del nano era stato ucciso poi dalle guardie, ma intanto egli aveva avuto il tempo di aprire le porte, permettendo ad un centinaio di coscritti di sciamare ed uccidere chiunque per il quartiere degli umani. Tradimento dunque! Tutti si voltarono verso Slanter e i suoi nani, che sembravano sinceramente scioccati. Poi però Escol esaminò meglio il cadavere: quello non era un vero nano, ma un “Mutaforma”! Il suo sangue infatti era verde e molto più rarefatto. Solo qualcuno che apparteneva a questa razza infida, possedeva queste caratteristiche fisiche e magiche. Escol, chiamò un elfo e gli domandò di allarmare Wizimir, per fargli controllare meglio la salma del nano, ed avere celere conferma dei suoi sospetti. Slanter non riusciva a farsene una ragione, ma la spiegazione restava semplice: uno dei suoi era stato sostituito da uno di questi “sosia” che servivano l’imperatore maledetto. Delle spie perfette, che spesso Arios utilizzava per capire chi gli fosse davvero fedele e chi tramava contro di lui. Chissà da quanto quel “Mutaforma” si era unito al suo popolo, per spiare, osservare, riferire ogni cosa al suo padrone. Escol mise una mano sulla spalla del nano per rassicurarlo e gli disse di controllare per scrupolo tutta la sua gente: un piccolo graffio sulla mano sarebbe stato sufficiente per scoprire la verità. Poi, mestamente, insieme ad alcuni volontari, si diresse al mare di cadaveri che giaceva nel cortile, ed iniziò la macabra ricerca del corpo di Malcom. Ogni tanto ne spuntava uno ancora vivo e questo alimentò in lui una tenue speranza. Tuttavia, ogni velleità di riportarlo a casa dalla sua famiglia venne spezzata quando, voltando un corpo di un uomo armato solo di roncola, notò il suo sguardo vuoto e spento. Poi il ventre squarciato. Un brivido gli scosse la spina dorsale. Escol Berge, il terribile “Terrore d’Argento”, colui che aveva affrontato l’imperatore maledetto, cadde sulle ginocchia e si abbandonò al pianto, abbracciando l’uomo, il padre e il fratello maggiore, che l’aveva salvato, accudito e protetto per un anno intero. Solo quando il cortile fu ripulito, Stee gli toccò la spalla, riportandolo alla realtà. Escol si alzò a fatica: non aveva più lacrime da versare. Diede disposizioni affinché il corpo di quell’uomo fosse ricostruito degnamente, affinché la moglie e la figlia potessero regalargli l’ultimo saluto e poi si diresse a casa. Avrebbe preferito affrontare di nuovo Arios che Keira e Liss! Wizimir le aveva lasciate da poco per andare a controllare il corpo del nano, per cui Escol poté affrontare le due donne da solo. Quando apprese la notizia, Liss svenne per il dolore tra le sue braccia, mentre Keira ebbe una reazione inaspettata, che lasciò Escol senza parole. Lo sguardo di ghiaccio, si levò il grembiule e, da dentro un baule poco distante, gli mostrò una vecchia armatura Nordhmenn. La sua! Sussurrò che aveva sposato Malcom per amore e sempre per amore aveva giurato di abbandonare la via della violenza e degli spargimenti di sangue. Ma ora suo marito era morto e lei non conosceva altra via per contrastare quel dolore lacerante. Molti anni prima era stata un soldato e anche di alto rango e ora avrebbe vendicato la morte dell’unico uomo che aveva mai amato. Il figlio del Duca non parlò molto, la implorò solo di perdonarlo per essere arrivato tardi e di pensare a Liss: doveva proteggerla, non poteva lasciarla da sola per dar sfogo a chissà quale solitaria vendetta. Il volto di Keira, sempre sorridente e pieno di luce, ora era scuro e tirato. Aveva una bellezza diversa: sembrava lui quando aveva perso ogni cosa, molti mesi prima. La donna sfiorava l’armatura e tirò fuori una spada, il cui fodero era magnificamente rifinito. Poi si alzò, strinse forte i pugni e si voltò a guardarlo. Gli puntò un dito sul petto e disse. “Sai di chi è la colpa di questo ennesimo, barbaro omicidio, vero?”. Escol sembrava una statua di sale. “Sai quello che devi fare allora. Devi fermarlo. Una volta per tutte!” Ancora una volta Escol annuì, ma non aggiunse nulla. Si limitò a portare Liss in camera sua e a raggiungere a grandi passi il Tempio, con la testa che gli scoppiava per il dolore e la tristezza. Da quelle parti incontrò Aelion che, insieme ad altri guaritori, avevano predisposto un campo medico di fortuna, riuscendo a salvare molte vite. Il chierico aveva numerose ecchimosi e ferite su tutto il corpo, ma niente di serio per fortuna. Insieme, trovarono Volker, che accolse il consiglio di Escol di riunire i vertici “dell’Enclave degli elfi”, ed ascoltare ciò che aveva da dire sulla tragedia che si era recentemente abbattuta sulla cittadella. Il capitano ci mise meno di mezz’ora a riunire i suoi luogotenenti più fidati. Il figlio del Duca prese subito la parola, spiegando cosa fosse successo davvero e sulla possibilità più che fondata che alcuni “Mutaforma” si trovassero attualmente ancora dentro la loro città. Dopo aver esaminato il cadavere, Wizimir confermò la “teoria” di Escol su questi infami “sosia”: spietate ed invisibili spie dell’imperatore maledetto, che erano riuscite con uno stratagemma astuto ad intrufolarsi nella loro cittadella. Aggiunse che era impossibile conoscerne il numero preciso. Subito, un allarmatissimo Volker, diede l’ordine che tutti subissero la “via del sangue” per tentare almeno di arginare il problema. Tutti quanti, perfino i presenti nella stanza del consiglio. Compreso il generale Stee. Il primo a ferirsi fu proprio Escol e a mostrare il suo sangue rosso, poi a seguire tutti gli altri. Non ultimo, Galdor, capo della “Guardia Nera”: una cerchia ristretta di guerrieri elfi che indossavano una strana e particolare eburnea armatura. Il loro unico scopo era servire ed accudire l'albero di Mellothon ivi nascosto: il più antico e potente albero magico degli elfi! Escol aveva avuto il sospetto che in questo enclave fosse nascosto un “oggetto di grande potere” che Arios voleva a tutti i costi. All'inizio aveva pensato a qualcosa che fosse legato al “Fondatore”, forse addirittura a lui stesso e probabilmente, almeno in parte aveva ragione, ma il più “potente albero magico degli elfi” rappresentava certamente un maggiore deterrente per Arios, per non spazzar via l’ultimo “Enclave degli elfi” dalla faccia di Eord. Quanto infatti sarebbe diventato potente l’imperatore maledetto, con ben due alberi corrotti di Mellothon al suo servizio? Sarebbe diventato inarrestabile! Quando il rituale del sangue finì e tutti in quella stanza ne uscirono puliti, Escol domandò a Volker se poteva avere in dono da lui un seme dell’albero sacro. Come estrema difesa, da portare con sé nel suo viaggio, come aveva fatto prima di lui Eledras nelle terre selvagge. Il figlio del Duca conosceva molto bene le virtù di quel seme. Sapeva che l’avrebbe protetto dalla magia elfica, ma non era quello il solo scopo che aveva in mente per esso. Tuttavia nessuno poteva fornirgli quel “regalo inestimabile” se non l’albero stesso. Pertanto Escol fu accompagnato in un luogo segreto del palazzo, dove risiedeva un immenso giardino, con elfi che sciamavano di continuo attorno ad esso, ed al centro di quell’Eden fiorito, un enorme e maestoso albero! Al suo confronto, quello di Eledras e anche quello di Arios, trovato nelle miniere, impallidivano per dimensioni e potere. Il giovane guerriero rimase senza parole. Riuscì solo a sorridere guardandolo risplendere, mentre tutto il dolore di quella tremenda giornata scivolava via dal suo cuore affranto come neve al sole. Gli elfi lo guardavano avvicinarsi al mistico albero con un misto di stupore e fastidio, ma quando il figlio del Duca si inginocchiò e gli sussurrò il suo piano, sfiorando dolcemente con la mano il tronco, esso gli concesse la grazia! Un seme dorato di Mellothon apparve per magia nel suo palmo aperto, lasciandolo esterrefatto e sbalordito ma anche contento, perché l’albero aveva ritenuto degni i suoi progetti futuri. E questo era un bene.