Morduk sbuffava e ansava, camminando nervosamente avanti e indietro lungo il perimetro del costone di roccia sul quale i nostri eroi si erano rintanati. L’attesa fu snervante per tutti, ma in special modo per il grosso e non più giovane minotauro, che temeva non solo per la vita di Kail, ma anche per l’incolumità dei suoi consanguinei, potenzialmente tenuti prigionieri nel campo degli orchi. Se infatti il mezzelfo fosse stato troppo avventato, a tal punto da esser scoperto, non ci sarebbe stata più alcuna chance di liberarli. Perlomeno di liberarli vivi.
Inoltre gli accampamenti degli orchi non si trovavano poi così distanti tra di loro: in fondo si trattava di rovine di antiche città dei loro avi, forse addirittura di una sola che era stata davvero enorme, edificata in questa zona in tempi immemori e poi distrutta dal volgere degli eoni. Per chi conosceva gli insidiosi passaggi tra le rocce quindi, molto comuni nelle terre selvagge, con meno di due giorni di cammino si poteva arrivare da uno all’altro senza troppe difficoltà. Pertanto, se qualcosa fosse andata storto, avrebbero probabilmente perso l’effetto sorpresa anche con gli altri accampamenti e questo avrebbe potuto compromettere seriamente la sua missione e il suo impegno con Khorkh.
Stuard provò a calmare il minotauro, a spiegargli che Kail sapeva ciò che faceva e che dovevano pazientare, ma solo Estellen riuscì in qualche modo a placarne un poco le ansie. La giovane sacerdotessa di Paladine infatti fece leva sul senso dell’onore dell’amico dalle lunghe corna, chiedendogli fiducia e disponibilità a cooperare con loro. Alla fine Morduk si acquietò, ma sia il cavaliere che la dama bianca sapevano molto bene che sarebbe stato solo una questione di tempo prima che il focoso temperamento di Morduk fosse riemerso e che l'implacabile uomo - toro avesse dato di nuovo in escandescenza.
Quando Stuard si alzò di scatto, facendo notare a tutti le urla e gli schiamazzi che si udivano da lontano fu troppo tardi.
Morduk digrignò i denti, sbiascicando solo un veloce “Ve l’avevo detto…”, mentre Estellen ebbe il tempo solo di radunare le sue poche cose e rincorrere i suoi amici lungo il crinale che affacciava all’accampamento degli orchi. Mentre correvano all’impazzata, sentivano lo schiocco delle lame che cozzavano tra di loro e grida stridule e gutturali che si alternavano caoticamente, in quella che pochi secondi dopo si rivelò una vera e propria carneficina.
Il campo degli orchi era stato allestito attorno ai ruderi di un’antica città, di cui oggi era rimasto ben poco, a parte alcuni sassi e pezzi di muro erosi dal tempo. Al centro del campo era stato acceso un grande fuoco circolare, mentre a sud e a nord dell’accampamento si notavano chiaramente delle tende, una per gli orchi e l’altra per i prigionieri elfi. Non c’era alcuna traccia di minotauri per fortuna. Ad est potevano intravedersi dei grossi e capienti carri, con annessi probabilmente dei possenti cavalli e dei copiosi rifornimenti, mentre ad ovest era stata scavata una rozza fossa, nella quale Estellen riuscì a scorgere con orrore dei cadaveri buttati dentro alla rinfusa, tra cui anche bambini elfi.
Tuttavia l’infame crudeltà degli orchi e l’orrendo massacro perpetrato, non furono le cose più raccapriccianti che i nostri eroi scorsero dalla loro posizione rialzata. La cosa peggiore fu vedere il loro amico Kail in preda alla frenesia di sangue scaturita dal suo medaglione maledetto, fare a pezzi chiunque avesse davanti: orchi ed elfi che fossero. La scena fu talmente brutale, che perfino Morduk ebbe difficoltà ad agire.
Cautamente, i tre amici discesero alfine il crinale sul versante ovest e si avvicinarono alle tende dei prigionieri. Gli elfi nascosti all’interno di esse erano talmente inorriditi, che Estellen dovette sforzarsi oltremodo per convincerli a seguire Stuard fuori dall’accampamento. Il cavaliere incitò tutti a darsi una mossa e a seguirlo, scortandoli quasi a spintoni sul crinale.
Nel frattempo Morduk andò a controllare il campo e laggiù, in mezzo a tutti quei resti sparpagliati, scoprì l’orrore vero. Elfi ed orchi giacevano in terra mutilati, smembrati, da una furia omicida oltre ogni misura e paragone, tanto che il minotauro dovette concedere il dono della morte a più di qualcuno che era ancora a terra agonizzante.
Estellen invece, coraggiosamente, decise di seguire il mezzelfo, il quale era da poco entrato nella tenda degli orchi e stava evidentemente squartando senza alcuna pietà chiunque incrociasse il suo sguardo dissennato, ma quando udì le urla di femmine e bambini orchi, chiuse gli occhi per l’immensa pena e per la dolorosa tragedia che si stava consumando in quel campo.
Alla fine Kail o quello che una volta era stato lui, uscì dalla tenda. Era completamente zuppo di sangue, irriconoscibile quasi per l’incredibile trasformazione cui il medaglione di sua madre l’aveva sottoposto. I suoi occhi giallastri erano fessurati ed obliqui, la pelle e i capelli erano diventati bianchissimi, mentre vene come funi d’acciaio spiccavano su tutto il suo corpo, conferendogli un aspetto davvero terribile e spaventoso. Quando il mezzelfo la notò, alzò le sue due lame in segno di sfida e aumentò il passo verso di lei con fare bellicoso. Estellen chiuse gli occhi, alzò la mano destra e disse:
“Fermati Kail, torna in te. La luce di Paladine rischiari la tua mente e benedica la tua anima. Ora!”
Il mezzelfo tentennò, scuotendo la testa come una fiera confusa e disorientata, poi lasciò andare le armi e crollò a terra, rendendosi finalmente conto cosa avesse fatto. Guardando quel genocidio, indifferente a razze, sesso o età, seppe che forse la sua anima questa volta era davvero compromessa e quando Estellen gli si avvicinò per risanare le sue ferite, egli le sussurrò disperato:
“Se dovessi perdermi del tutto nell’oscurità, uccidimi. Ti prego. Tu sei l’unica che potrebbe riuscire a farlo.”
Così si concluse l’ultimo atto del martirio di Black – Stain.