Estellen domandò a Zop un po’ di privacy, in maniera che lei ed i suoi amici potessero discutere della sua proposta senza interferenze. Il ranger annuì e con un fischio richiamò la sua squadra, portando tutti una decina di metri lontano da dove si erano sistemati i nostri eroi.
Morduk rimase in piedi, sbuffando ed ansando nervosamente: era chiaro che quella situazione lo stava mettendo in forte disagio e avrebbe preferito combattere piuttosto che sottostare alle melliflue richieste di cacciatori di taglie come quelli. Tuttavia aveva abbastanza pelo imbiancato sul petto da capire anche lui che il problema non sarebbe finito con loro: presto sarebbe arrivato un altro gruppo e poi un altro e un altro ancora, finché quel dannato documento non fosse stato recuperato o loro uccisi. Questo avrebbe potuto compromettere la missione della dama bianca e anche la sua presso le rovine dove erano accampati gli orchi. Il team di quel Zop perlomeno stava offrendo loro una soluzione definitiva al problema: consegnando la pergamena, anche se Descent avesse avuto un sospetto sul fatto che Estellen e i suoi amici fossero sopravvissuti, non avrebbe impiegato ingenti somme di denaro per stanare quattro persone che vagavano per le terre selvagge. In fondo aveva recuperato i suoi soldi e questo gli sarebbe quasi certamente bastato. Per ora.
Il punto su cui avrebbero dovuto riflettere era che avevano sbagliato loro a fidarsi di una persona troppo ricca per essere onesta tanto da mantenere la parola data. Quello era un uomo avido e ambizioso, uno che aveva voluto solo mettere le mani sul bastone di Heinrich. Era stato molto ingenuo credere che non avrebbe agito in quel modo, che non li avesse perseguitati per riprendersi i suoi sporchi soldi, ed ora ne stavano pagando le conseguenze.
Alla fine della conversazione, tutti sembravano allineati che cedere la pergamena a Zop fosse la scelta più conveniente e saggia al momento e fidarsi della sua parola per il futuro, rappresentava l’unica pallida speranza di riavere indietro un giorno i loro denari: d’altronde, se Meridian o i piccoli gemelli tenebrosi avessero voluto ucciderli e portar via loro il documento con la forza, ci avrebbero già provato!
Estellen richiamò dunque con la consueta dolcezza il capobanda, che nel frattempo si era seduto su una roccia a fumare la sua pipa. Nerea invece, poco distante da lui, stava suonando qualche melodia aggraziata con il suo flauto, intrattenendo i suoi due esili amici vestiti di nero, mentre il mezzorco scrutava fieramente l’orizzonte per evitare di esser preso di nuovo di sorpresa da Leon e i suoi uomini. La giovane portavoce di Paladine sfilò dunque la pergamena dalla sua borsa e la passò a Zop, il quale la ripose dentro una custodia tubolare che aveva a tracolla. Poi annuì e promise che quel documento sarebbe tornato nelle sue mani, prima o poi.
Kail ed Estellen domandarono come avrebbe sperato di riprendersi la pergamena dalle grinfie del mago, una volta che gliel’avesse consegnata: a quel punto sarebbe stato molto probabile che Descent la distruggesse sul posto senza perdere nemmeno un secondo. Zop sorrise astutamente e disse loro di non preoccuparsi: avevano mezzi infallibili per quel genere di cose. Nessuno fece ulteriori domande in merito, ma Stuard introdusse però l’argomento che riguardava il luogo e il momento in cui si sarebbero dovuti rincontrare e a tale scopo propose Palanthas. Zop inarcò un sopracciglio, preoccupato, poi però si rilassò quando il cavaliere aggiunse la primavera come momento giusto in cui rivedersi. Il ranger accolse allora quel periodo e quel luogo come possibili e spiegò che, se non avesse potuto recarsi lui di persona a Palanthas con il documento in mano, avrebbe mandato uno dei suoi uomini. A quel punto il patto fu sigillato con una calorosa stretta di mano tra Estellen e Zop.
Prima di andarsene, il ranger garantì che la gilda dei mercenari non li avrebbe più cercati. Tuttavia consigliò di rimanere all’erta riguardo Leon e la sua squadra: lui avrebbe fatto di tutto per evitare che quegli spietati cacciatori di taglie tornassero a infastidirli, ma suggerì comunque di rimanere vigili perché, come avevano ampiamente visto, sapevano essere decisamente pericolosi ed imprevedibili. Poi l’intera squadra si ritirò, dirigendosi ai cavalli. Zop e Nerea montavano uno snello pezzato, mentre Meridian, Theo e Garfex, un gigantesco cavallo da guerra brunito.
Prima di salire a cavallo dietro al fratello, il piccolo figuro vestito di nero di nome Theo si avvicinò ad Estellen e le mostrò un pugnale, che guarda un po’ il caso era proprio quello che le aveva regalato Ulther. La giovane lo ringraziò, probabilmente doveva averlo perso nella concitazione della battaglia, poi però, ascoltando le parole di Nerea, si fece un’idea diversa. Molto diversa e su diverse cose.
“Bravissimo Theo, non si prendono in prestito le cose degli altri. Sono davvero fiera di te!”
Sentenziò il bardo dai capelli rossi, elargendogli poi un caloroso sorriso condiscendente. Estellen rimise a posto il suo amato pugnale e seguì con gli occhi quel piccolo uomo salire sul poderoso destriero dietro al fratello, ed il mezzorco.
Mentre li osservava allontanarsi pensò che forse quelle due esili creature non erano due uomini poco cresciuti o dei precoci adolescenti, ma appartenenti ad un’altra razza, di cui aveva molto più che un’idea vaga. Stessa cosa valeva per gli altri due contro i quali avevano combattuto qualche ora prima: secondo lei c’era un legame forte tra quei quattro piccoli combattenti, ma ovviamente non poteva immaginare quale. Avrebbe avuto piacere ad approfondire certe curiosità che erano rimaste sospese, ma era l’alba e anche loro dovevano muoversi. D’altronde, molti erano i misteri rimasti irrisolti durante la loro ultima esperienza: le morti strane degli elfi per esempio o il famigerato “Magister” e i suoi biechi e intoccabili distributori del “Mead”, la gilda dei mercenari e i loschi traffici di schiavi che era palese si perpetrassero fuori e dentro la città – nave, ma come Stuard fece ben notare: non era quello il momento giusto per pensarci, ora dovevano tutti concentrarsi sulla loro prossima missione, di un passo più vicina alla loro meta finale.
Kail condusse dunque il gruppo attraverso territori aspri e brulli, inoltrandosi ancor di più nelle terre selvagge. A due ore circa dall’imbrunire però, Estellen chiese di fermarsi, poiché non ce la faceva più. Consumarono dunque un veloce pasto, scambiarono due parole conviviali tra loro riguardo il loro passato, le loro famiglie e il loro prossimo futuro e andarono a subito a coricarsi.
Kail fece il primo turno di guardia e tutto filò liscio e senza intoppi, ma quando toccò a Stuard, accadde qualcosa di veramente inaspettato. Il cavaliere infatti fu attratto da un forte bagliore dietro una grande roccia poco distante. Curioso, andò a controllare e lì la vide. Una forma fatta solo di luce gli andò incontro, ma ad ogni passo che si avvicinava assumeva fattezze sempre più umane. Dopo qualche secondo il volto scolpito e determinato di Deneva era lì davanti a Stuard, a fissarlo con i suoi profondi e saggi occhi argentini e neri. Era interamente vestita di nero, ma portava uno scialle argenteo che le scendeva lungo il corpo fino alle gambe. I suoi capelli neri, miste a rade ciocche d’argento le ricadevano sulle spalle come soffici gomitoli di seta e la sua bellezza era chiaramente inumana.
“Vengo per te non con buone notizie, cavaliere. Le forze di Takhisis si sono mosse per tutto Krynn. Il primo generale di Ariakas (!), Lord Verminaard, ha occupato gran parte dei territori dell’Ergoth del sud e dell’Abanasinia. Inoltre girano voci che un altro generale, forse ancor più temibile di lui, una guerriera abile e spietata che risponde al nome di Kithiara Uth Mathar, in sella ad un poderoso drago blu di nome Kellendhros, stia pianificando un attacco alla Torre del Sommo Chierico entro primavera e noi non potremo farcela a contrastare queste minacce senza le armi che ci ha donato Paladine. Ci servono le Dragonlance, cavaliere. Ci servi tu!”
Esordì Deneva, lasciando Stuard a bocca aperta.
Il giovane non si tirò certo indietro, rispondendole impacciato che aveva già conosciuto questo tipo chiamato Ariakas e che si sarebbe prestato molto volentieri ad aiutare i popoli liberi nella cerca di queste antiche armi sacre. Deneva annuì, come se già sapesse del suo incontro con il condottiero delle forze di Takhisis, ma aggiunse tristemente che le gloriose lance che sconfissero la dea dai cinque volti, grazie al coraggio di Huma e del suo drago d’argento, andavano riforgiate da capo e solo una persona al mondo poteva essere in grado di farlo: l’ergothiano conosciuto con il nome di Theros Ironfeld. Prima di poter usare una forgia però, egli avrebbe dovuto recuperare prima un prezioso artefatto che gli avrebbe conferito il potere di infondere la parola e la grazia di Paladine nelle nuove lance. Questo sarebbe stato il suo compito per la vita e lui, Stuard, il coraggioso cavaliere, aveva invece quello di scortarlo e di difenderlo in questo suo sacro compito. Quindi avrebbe dovuto dapprima raggiungere Whitestone e poi seguire il suo destino: lei gli sarebbe stato accanto, come sempre. Stuard annuì e quando Deneva gli sfiorò con le dita il mento, ormai barbuto, lui si destò di soprassalto, facendo cadere lo scudo che stava cercando di sistemare mentre faceva la guardia al campo. Nonostante l’evidenza, il cavaliere sapeva che quello che aveva appena fatto non era stato un semplice sogno: Deneva era davvero andata da lui! Era chiaro quindi che il tempo a disposizione fosse davvero poco e loro avevano davvero un mucchio di cose da fare, una volta tornati da Silvanesti.
L’indomani all’alba, Morduk offrì a tutti una sostanziosa colazione dopo aver terminato il suo turno di guardia e Kail tornò alla testa del gruppo.
Anche quel giorno passò veloce, ma il mezzelfo decise di spingersi un po’ più avanti anche dopo l’imbrunire e fermarsi a poche centinaia di metri dal primo accampamento di orchi, alle rovine di Black Stain. Kail disse a tutti di attenderlo, vigili, ma senz’ansia addosso, poiché come anche Morduk aveva confermato, gli orchi non avrebbero avuto un atteggiamento prudente nel loro territorio. Conoscendo la loro personalità e i loro modi di fare, avrebbero gozzovigliato fino all’alba, per poi ripartire e portare gli schiavi nei luoghi destinati, dove successivamente sarebbero stati venduti.
Il mezzelfo andò dunque in avanscoperta, ma non gli piacque affatto quello che vide in quel campo: elfi straziati e torturati (trattamento probabilmente riservato a quelli in cattive condizioni fisiche), bambini smembrati e divorati poiché, come i feriti, non utili ai loro affari, ed urla e grida disperate ovunque che si fondevano agli schiamazzi e alle risa sguaiate di quelle creature immonde.
Insomma fu uno spettacolo davvero osceno.
Kail serrò i pugni e quando tornò dai suoi amici, asserendo che i minotauri non c’erano in quel campo, tentennò comunque nell’affermare di continuare il loro viaggio fino al prossimo accampamento, visti gli scempi che venivano perpetrati laggiù.
Voleva fargliela davvero pagare a quei mostri maledetti!