Quando il secondo pescatore cadde colpito da un altro dardo sibilante, Kail si gettò immediatamente a terra.
Le frecce infuocate giocavano a favore di coloro che stavano in fondo alla nave, che avevano certamente una visuale più chiara data dal riverbero della fiamma sul legno umido, pertanto il mezzelfo sapeva che era solo una questione di tempo prima che una quadrella lo colpisse probabilmente a morte.
Chiunque avesse ideato quel piano era un genio!
Tutto quello che poteva sperare di fare era cercare di rimanere più basso possibile e aspettare un’occasione propizia. Occasione che fortunatamente per lui non tardò ad arrivare: Dorian infatti, allo scuro dei fatti, si attenne al piano originale e fece scendere dal cielo una pioggia battente che durò si per pochi minuti, ma che bastò a spegnere i fuochi e le luci e a concedere così a Kail la sua opportunità. Il mezzelfo non perse un secondo: si alzò in piedi e corse, lame in pugno, in direzione della prua della nave.
Trovò subito uno dei due assalitori, un brutto ceffo che lo notò troppo tardi sbucare dalle ombre della notte. Kail gli tagliò la gola prima che finisse di ricaricare la sua micidiale balestra. L’altro però riuscì a conficcargli un dardo nella coscia prima di soccombere sotto le sue mortali lame elfiche. Il mezzelfo si accasciò dolorante, mentre la pioggia lavava via il sangue dalla gamba offesa. Ansando e gemendo, Kail si strappò un lembo del mantello e ne fece un laccio stretto per fermare l’emorragia. Poi si appoggiò all’arco per tirarsi su.
Quando si rimise in piedi però capì che i pericoli per lui non erano finiti: un uomo incappucciato, con l’arco teso e una freccia incoccata che puntava dritta alla sua testa, stava in equilibrio perfetto sullo stretto davanzale davanti al ponte della nave, proprio nei pressi dove spiccava il grande timone. La pioggia continuava a battere e le nubi plumbee tingevano di chiaroscuri quella scena che Kail visse a rallentatore. Il mezzelfo si domandò come sarebbe stato morire, aspettandosi di esalare l’ultimo respiro entro pochissimi attimi, ma l’arciere tentennò, fino a ad abbassare l’arco. Si scoprì poi il viso, mostrando chiaramente le sue vere fattezze: si trattava di un elfo selvaggio. Un elfo Kagonesti per l’esattezza. Essendo per metà elfo silvano, Kail lo capì dai tatuaggi che aveva sul volto: dei ghirigori ritorti tipici della sua razza. Rimasero occhi negli occhi per alcuni secondi, poi l’elfo sparì tra le ombre della notte.
Sospirando per l’ansia e la fatica di reggersi in piedi, Kail andò a vedere se l’altro uomo che era salito sulla nave con lui fosse ancora vivo e per fortuna lo era: aveva subito solo una brutta ferita al braccio, ma niente di particolarmente grave. Insieme, aprirono la porta che dava alla stiva, facendo uscire ondate di vapori malsani. Alcune persone erano morte sulle scale che davano all’uscita, nel disperato tentativo di salvarsi la vita. Kail contò ben dodici persone decedute laggiù, ma per fortuna il mercante e due delle sue guardie del corpo erano ancora vive. Probabilmente grazie al fatto che meno di mezzora prima aveva frantumato l’oblò, permettendo all’aria pulita della sera di filtrare all’interno dell’imbarcazione.
Grazie al supporto dei marinai sul molo, riuscirono a portare sulla banchina i sopravvissuti e i cadaveri, ma Kail era furibondo: tredici persone erano morte su quella dannata nave quella sera e a lui poco importava che quell’elfo l’avesse risparmiato. Gliel’avrebbe fatta pagare cara a quel maledetto assassino!
Stuard aiutò Morduk a riaversi.
Il grosso minotauro aveva il pelo un po’ bruciacchiato, ma nessuna ustione grave. Altrettanto non si poteva dire di alcuni dei soldati sotto il suo comando. Ne vide diversi completamente avvolti dalle fiamme, urlanti e agonizzanti e il cavaliere si maledì per essere caduto così facilmente in una trappola così classica. Disperato, Stuard non poté fare nulla se non guardare, separato dai suoi uomini dall’imponente cerchio di fuoco. Freneticamente e più volte cercò un passaggio che lo portasse ad aggirare le mortali lingue di fiamme, ma proprio mentre si prodigava per trovare una via, un uomo urlante uscì spada alla mano, inveendo contro di lui e minacciandolo di morte!
Stuard capì che erano due gli uomini che avevano ordito quella trappola infernale, poiché l’altro, più distante, stava per l’appunto gridando al compare di attenersi al piano, di ritirarsi, ma non ci fu niente da fare: con la bava alla bocca, l’uomo stava mulinando una rozza spada davanti ai suoi occhi e il cavaliere dovette difendersi da qualcuno che evidentemente doveva davvero odiarlo a morte. Morduk imbracciò la sua pesante ascia e cominciò a rincorrere l’altro uomo che invece stava fuggendo dall’accampamento. Stuard ci mise pochi secondi a disarmare e stordire il suo assalitore e quando lo guardò meglio, lo riconobbe subito: si trattava del gaglioffo che aveva arrestato e consegnato a Trenét poco fuori Shrentak qualche giorno prima e quindi comprese le motivazioni del rancore che quel farabutto doveva provare per lui.
Dopo pochi minuti anche Morduk tornò indietro, con l’ascia bipenne sporca di sangue. Stuard non gli chiese spiegazioni, ben sapendo che il minotauro non era stato clemente quanto lui con l’altro assalitore. Poi insieme trovarono il modo di aggirare il cerchio di fuoco, raggiungendo finalmente i soldati nella radura.
Cinque uomini se l’erano cavata con bruciature da poco conto, altre due avevano ustioni un po’ più gravi, mentre tre uomini erano morti in maniera atroce, arsi vivi. Cupo in volto e determinato ancor di più a sterminare del tutto Oleg e la sua masnada di canaglie a piede libero, il cavaliere ordinò ai soldati di risalire a cavallo e di tornare dal re.
Nel suo cuore sapeva che era sbagliato, ma desiderava ardentemente la vendetta. Vendetta per quei poveri ragazzi che avevano perso la vita in maniera così orribile.
Estellen smise di respirare: la vista del carro infuocato, che puntava verso di lei ed il posto di guardia, le tolsero il fiato dalla gola e la privarono di ogni entusiasmo per aver salvato il re dal soffocamento. Aveva pochi, pochissimi istanti per agire e come spesso avveniva in situazioni estreme come questa, il panico l’assalì completamente. Non c’era alcuna via di fuga, inoltre se lei se ne fossa andata, chiunque dentro la casa del borgomastro sarebbe certamente morto.
Disperata, Estellen reagì d’istinto.
Invocando il potere di Paladine dentro di lei, andò incontro al mortale carro infuocato. I suoi occhi violetti emanavano striature azzurrine e sembrava camminare nell’aria. Poi aprì il palmo della mano, richiudendolo poi di scatto. Il carro fu inglobato dentro un fascio di energia azzurra e scomparve dalla vista di tutti. Anche dei due lestofanti che, increduli, erano rimasti a bocca aperta ad osservare l’ultimo miracolo operato da Estellen.
L’atrio era vuoto fortunatamente, poiché i soldati rimasti all’esterno si erano allontanati mettendosi al sicuro, perché quando la giovane uscì levitando e parlò, la sua potente voce penetrò solamente nelle menti dei due malviventi e di nessun altro, come un coltello faceva con il burro. Uno dei due era proprio Oleg, che crollò in ginocchio piangente come un bambino. L’altro fuggì terrorizzato e comprese quel giorno quanto terribile potesse essere l’ira di Paladine, poiché la voce di Estellen gli arrestò il cuore, facendolo capitolare vicino la cancellata.
Poi il “Verbo di Paladine”, girò il suo marmoreo volto accusatore verso Oleg, chiedendogli della bambina. Oleg, spaventato a morte, rivelò che la matrice di tutti questi attacchi, qui, al porto e nel bosco, erano stati congegnati da un elfo di nome Attilus. Lui aveva rapito la piccola Margaret. Estellen lo guardò furibonda, le striature azzurrine dei suoi occhi si erano tinte di un rosso cremisi e quando parlò di nuovo, fu come ascoltare il vetro cozzare su una superficie metallica. Oleg si tappò le orecchie, sperando di filtrare quel dolore penetrante nella sua testa. Estellen gli ordinò di riportarle subito Maragaret o la sua ira si sarebbe abbattuta su di lui. Sconvolto, l’uomo fuggì via, sparendo nella notte.
Estellen ci mise un po’ a calmarsi, ma chiunque dei soldati le si fosse avvicinato, veniva risanato da ogni malattia e sofferenza. Così come il re che lei soccorse personalmente e che si ristabilì completamente in pochi secondi. Mentre la giovane stava soccorrendo i feriti più gravi e aiutando a portare fuori i morti, Stuard fece irruzione al posto di guardia e i due amici finalmente si riunirono.
La sola presenza della portavoce di Paladine bastò a lenire i dolori e le ustioni di soldati agli ordini del cavaliere, che purtroppo però non poté far nulla per i molti morti che avevano raggiunto Paladine nell’alto dei cieli. Estellen fece rapporto all’amico raccontando cosa fosse successo alla casa del borgomastro e così fece lui riportando i fatti accaduti nel bosco.
Fortunatamente non ebbero il tempo di restare troppo in ansia per Kail, perché da lì a pochi minuti, anche il mezzelfo arrivò, accompagnato da Dorian. Aveva una brutta ferita alla gamba: un dardo di balestra era infatti ancora conficcato dentro le sue carni, ma ad Estellen bastò fissare la quadrella per estrarla, senza che il suo amico sentisse il minimo dolore o che subisse qualche emorragia. Poi la giovane risanò la sua ferita, imponendo le sue piccole mani sulla ferita pulita.
Kail e Stuard si guardarono perplessi: doveva esser successo qualcosa di terribile per aver liberato i poteri della loro amica in maniera così sfrenata.
Quindi Kail raccontò le sue disavventure al porto e raccontò dell’elfo, che Estellen collegò al nome che gli aveva riferito Oleg: Attilus, l’elfo selvaggio.
Allorchè Baldarre, l’ultimo soldato di Trenét rimasto in vita, prese la parola raccontando la storia dell’elfo Kagonesti.
Venduto dagli orchi a Garshek, insieme alla sorella, fu salvato da Kiridian che ne intravide evidentemente le enormi potenzialità. Baldarre riferì con occhi bassi di come le persone di Shrentak ancora ricordino con orrore le urla terribili di Regina, la sorella di Attilus, echeggiare per le ampie sale del maniero di Lord Darkhan.
Secondo Baldarre, Attilus era stato ingannato: non era nella sua natura rapire bambine e uccidere persone innocenti. Perfino Kiridian doveva moderare le sue richieste quando parlava con il Kagonesti. Trenèt sosteneva addirittura che il braccio destro del defunto signore della guerra si era fatto imprigionare di proposito, proprio per non compiere più azioni riprovevoli come quelle cui era costretto da Kiridan ogni singolo giorno.
I tre amici si guardarono intensamente: forse era vero ciò che Baldarre sosteneva, ma erano morte delle persone e Attilus ne avrebbe dovuto risponderne personalmente. Tuttavia tutti sapevano che non sarebbe stato affatto facile stanarlo e tantomeno catturarlo vivo e la sua vita, la sua sopravvivenza, era legata indissolubilmente a quella di Margaret.
Estellen intuì che sarebbe stato davvero un compito arduo quello che aspettava a lei e ai suoi amici nelle prossime ore.