Kail aveva la vista annebbiata e uno strano e orribile sapore in bocca di ferro e bile. La sua amica Estellen l’aveva salvato di nuovo, curando le sue ferite. Tuttavia questa volta era stato diverso: le sue lacerazioni gli erano state inflitte più nello spirito che nel corpo e, dovendo scegliere, ora che ne aveva saggiato la differenza, avrebbe preferito mille volte esser stato colpito nelle membra piuttosto che nell’anima.
Comunque, con grande sforzo alla fine il mezzelfo riuscì a mettere a fuoco il campo di battaglia.
C’erano una decina di cadaveri umani intorno a lui, quello del minotauro Thrak, assassinato da Zurgo e poi più in fondo l’altro minotauro Morduk e il suo amico Stuard, stancamente appoggiati con la schiena al tavolaccio riverso davanti al portone di legno, feriti ma per fortuna ancora vivi. Vedendo che Estellen non era nella stanza e preoccupandosi per la sua sorte, Kail gettò una voce al cavaliere.
Il giovane si riebbe anche lui con difficoltà e confermò che nemmeno lui poteva vedere Estellen dalla sua posizione, pertanto suggerì con terrore che la sacerdotessa fosse entrata da sola nella tana dell’orco.
Kail fece una smorfia di disappunto, tentando di rimettersi in piedi. Nonostante lo sforzo ciclopico, ricadde miseramente a terra, esausto.
Stuard ammirò comunque lo sforzo del compagno, ma non l’aveva mai visto così mal messo: sembrava che qualcuno l’avesse svuotato di ogni briciola di energia. Fece dunque un grosso respiro e si tirò su, notando che la sua spada era a qualche metro da lui. Ogni passo che faceva fu un’agonia per il cavaliere, tanto che il braccio sinistro tornò a sanguinargli copiosamente e alcune ferite che Estellen aveva sanato si riaprirono per lo sforzo. Riuscì comunque a tenere duro e a raccogliere la spada, che utilizzò come bastone improvvisato per sorreggersi. Stuard provò a scuotere il minotauro, ma vedendo che era privo di sensi, lo lasciò perdere e si girò verso il suo amico Kail.
Il mezzelfo, consapevole che non ce l’avrebbe mai fatta a tirarsi in piedi da solo, cominciò a strisciare, fino ad arrivare ai piedi del cavaliere. Stuard lo osservò e quasi si commosse per il coraggio dimostrato dal suo amico, quindi si chinò e lo tirò su. Insieme poi si voltarono verso il portone socchiuso, si guardarono intensamente per un breve attimo e poi entrarono nella tana di Garshek.
Estellen si era sincerata di aver lasciato i suoi amici in buone condizioni, poi aveva dischiuso la porta, che si aprì con un suono sinistro, riaccostandola poi alle sue spalle. Era una stanza molto grande, essendo un tempo adibita ai concili di guerra, ma per il resto sembrava davvero una vera e propria sala degli orrori.
Intanto c’era un tanfo orribile: una mistura di decomposizione e rifiuti organici che saturavano l’intero ambiente. Poi il pavimento era tappezzato di cadaveri, uomini della sua banda o di quella di Kiridian che probabilmente l’orco aveva fatto a pezzi solo perché latori di cattive notizie. La luce nella sala era soffusa, ovattata, alimentata solo da poche torce, ed un paio di lampade ad olio e creava dei giochi d’ombre sui muri piuttosto inquietanti e spaventosi.
Nella stanza degli orrori erano stati messi dei divisori, tende lacere e sporche, tenute tese da dei picchetti e da sottili ma robuste corde, unite strettamente tra loro, che cercavano di simulare alla bene e meglio un tipico accampamento di orchi. Estellen rimase quasi sconvolta da quello scenario orrendo e ripugnante e quasi ci ripensò ad andare avanti da sola. Tuttavia con la coda dell’occhio notò una gigantesca ombra allungata quasi alla fine della sala, sulla parete nord est. Questa sagoma scura si muoveva appena, ma stava evidentemente rivolgendo qualche mugugno in una lingua strana e gutturale a qualcuno o qualcosa sotto di essa. Deglutendo per il nervoso e la paura, la giovane sacerdotessa si fece avanti per cercare di capirci qualcosa in più.
Quando sbirciò da dietro la tenda, tutti i suoi timori vennero confermati. Anzi la situazione si dimostrò ben peggiore di quella che si era immaginata.
Seduto a gambe incrociate su un sudicio giaciglio stanziava un orco enorme e non più giovanissimo. Nella destra stringeva un’ascia dall’aspetto bizzarro, nell’altra teneva per la testa una bambina che non doveva avere più di otto anni. La piccola era sospesa da terra e l’orco la mostrava come trofeo ad un uomo che, lì per lì, Estellen non aveva riconosciuto, essendo riverso sul pavimento e ricoperto di sangue. Tuttavia, osservandolo meglio, si accorse che quell’uomo era proprio il capitano Trenèt, sfigurato da una battaglia che doveva averlo condannato a morte. La sacerdotessa di Paladine sgranò gli occhi quando udì chiaramente l’orco esprimersi in lingua comune e dire:
“Capitano Trenèt, quando preferisci morire? Prima o dopo che la testa di tua figlia esploda come una zucca vuota?”
Sghignazzò poi Garshek, stringendo la presa sul piccolo e fragile cranio della bambina. Estellen fu invasa da un’ondata d’odio improvviso: accantonando ogni tipo di prudenza, si mostrò all’orco e disse:
“Lasciala.”
Nel frattempo Trenèt cercò di raggiungere la spada, allungando la mano più che poteva, ma non ci riuscì: le sue dita sfiorarono solo l’aria. Nonostante il sangue che aveva in bocca, il capitano sussurrò comunque all’orco di lasciar stare sua figlia e di prendersela con lui. Garshek lo ignorò, preferendo spostare la sua attenzione su Estellen.
“E tu chi sei? Un mago dal tuo aspetto. Ma sai che sei davvero bellissima?”.
Aggiunse con tono lascivo. Di nuovo Estellen, disgustata, si limitò ad ordinare a Garshek di lasciar andare la bambina, immediatamente. L’orco sogghignò e rispose con tono distaccato:
“Dov’è Zurgo? Dov’è mio figlio?”.
Estellen spiegò cosa fosse successo fuori dalla stanza.
“Se Zurgo è morto come dici tu, allora si vede che non era degno di stare al mio fianco…”.
Tagliò corto Garshek, mentre osservava con bramosia le forme di Estellen, passandosi la nera lingua sulle labbra in maniera scostumata. Poi si alzò in tutta la sua imponenza, strinse a sé l’ascia e disse:
“Vuoi che lasci la piccola umana? Ti accontento subito…”.
Sorridendo sadicamente, scagliò dunque la bambina da un lato come una bambola di pezza, muovendosi subito dopo verso Estellen. La piccola finì contro una parete e la giovane inorridì di fronte a tanta brutalità e cattiveria. L’orco avanzò ancora di qualche passo, salendo con entrambi i piedi sulla schiena di Trenèt, che emise un rantolo spezzato prima di chiudere gli occhi forse per sempre.
“Non sono mai stato con una maga umana… una volta mi hanno venduto un’elfa, ma quei mucchi d’ossa ambulanti mi si rompono sempre tra le mani… con te succederà la stessa cosa, ma la tua razza è più resistente, durerai sicuramente di più…”.
Estellen tornò a guardare l’orco, gli occhi uniti a formare una linea sottile e minacciosa. L’odio e la rabbia nei confronti di quell’abominio erano senza pari. Avrebbe voluto che bruciasse, che un fulmine lo disintegrasse in quel preciso momento, ma qualcosa riusciva a respingere le sue invocazioni. Garshek intuì i suoi pensieri e commentò:
“Vedi quest’arma? E’ magica e mi difenderà dai tuoi incantesimi. Arrenditi e sottomettiti e forse vivrai fino a domani…”
Estellen non si mosse indietro di un passo, alzando invece istintivamente il bastone. Temendo un assalto di qualche tipo, a quel punto Garshek attaccò, sferrando un potentissimo fendente con la sua ascia incantata, che si abbattè violentemente sulla sacerdotessa di Paladine. Il colpo poderoso l’avrebbe certamente tagliata in due, ma una barriera invisibile respinse la sua enorme ascia, costringendo Garshek ad indietreggiare di almeno un metro. Tuttavia anche per Estellen quel rinculo aveva portato qualche conseguenza nefasta, infatti provò un violento capogiro che la portò a doversi reggere al bastone per non finire in terra.
La strana ascia di Garshek aveva incise delle rune sull’acciaio, dei segni strani e tribali molto caratteristici e dalla sensazione negativa che rimandava, doveva essere un’arma consacrata a qualche divinità malvagia degli orchi. Tutti gli attacchi che Estellen provò a lanciare su Garshek, sembravano infrangersi sulla magia difensiva della sua bipenne e l’orco, sogghignante, si stava preparando ad un secondo e ancor più violento attacco. La giovane stava perdendo terreno e questo Garshek, esperto guerriero, lo aveva capito e stava per approfittarne, ma quando Stuard e Kail apparvero sulla porta, spronandola a credere di più in sé stessa e affermando con fiducia che le loro vite erano adesso nelle sue mani, accadde qualcosa di nuovo dentro di lei, qualcosa a cui purtroppo però la giovane non riusciva ancora a dare un volto.
Nel frattempo il secondo potente fendente dell’orco si abbatté di nuovo su di lei e questa volta la giovane perse per un attimo l’equilibrio, quando il campo di forza respinse indietro Garshek.
Vedendola in difficoltà i suoi amici tentarono il tutto per tutto: aggirandola si frapposero tra lei e il suo avversario, spade alla mano. Estellen sgranò gli occhi e urlò ai suoi amici di togliersi di lì, ma sia Kail che Stuard furono irremovibili.
Vedendo che l’orco stava tornando minacciosamente verso di lei, il terrore puro l’assalì per la sorte che sarebbe presto capitata ai suoi compagni. Disperata e completamente sola, la giovane urlò al cielo tutta la sua frustrazione e fu proprio in quel momento che riuscì a vedere quel volto. Gli occhi cominciarono ad emettere lampi azzurrini, mentre il suo corpo iniziò a levitare privo di peso. Garshek rallentò, ma la sua ascia incantata continuava a proteggerlo, finché Estellen sentenziò imperiosa:
“Io sono il verbo di Paladine. Ti ordino di morire!”
La voce era distorta, chiaramente non sua e nascondeva dentro un potere oltre qualsiasi immaginazione.
L’orco sgranò gli occhi quando vide che la sua arma incantata esplose in mille pezzi e fu ancora più stupito quando i suoi organi interni iniziarono a bruciare. Annaspò, si piegò e poi cadde a terra, morto stecchito.
In questo nuovo stato Estellen percepiva quasi ogni cosa, perfino la vita dentro quella maledetta stanza e seppe che sia Trenèt che sua figlia erano ancora vivi, ma che lei avrebbe avuto il tempo per salvare solo uno di loro due. Ovviamente scese la piccola.
Nonostante diverse fratture e delle brutte ferite alla testa, Margaret respirava ancora e ad Estellen bastò solo accarezzarla e cullarla per qualche secondo per guarirla del tutto.
Kail la guardava e aveva l’impressione che la sua amica avesse raggiunto il suo punto massimo e che adesso lentamente si stesse spegnendo, tornando gradualmente alla normalità. Mentre perdeva potere, comunque elargiva miracoli oltre l’umana comprensione, ma non bastarono a salvare la vita di Trenèt, che ebbe solo un ultimo istante per vedere che sua figlia stava bene tra le braccia di Estellen e trovare la forza di ringraziarla per averle salvato la vita. Poi chiuse gli occhi e non li riaprì più.
Si concluse così il terribile scontro alla rocca di Darkhan, una battaglia terribile ed epica, che i nostri eroi non avrebbero, per motivi diversi, mai dimenticato.
Nella tana di Garshek.
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- Scritto da Mike Steinberg
- Categoria: Krynn
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