Il piccolo drappello composto da quattro cavalli e cinque cavalieri aggirarono la locanda da nord ovest, poiché il capitano aveva insistito di non prendere la strada principale per non incappare in qualche ronda degli uomini dell’ormai defunto signore della guerra Kiridian. I loro sguardi erano cupi e bassi e, chi più chi meno, sentivano che il loro futuro era davvero appeso ad un filo. Perfino Estellen era consapevole che forse stavano osando troppo questa volta. Tuttavia andavano avanti, spinti solo dalla loro determinazione e dal loro coraggio.
Trenèt e Jorad aprivano la via, mentre i nostri eroi seguivano dappresso.
Ad un certo punto il loro cammino li portò a sfiorare una piccola macchia di alberi, a meno di un centinaio di metri dall’inizio del molo che li avrebbe portati al rifugio di Garshek. Qui, i sensi sviluppati del mezzelfo avevano percepito un odore insolito: un odore molto forte di sudore e cuoio, che aveva già sentito prima quando avevano trovato la nave piena di orchi e minotauri morti in mezzo al Mare Nuovo (New Sea).
Un odore bestiale.
Anche i cavalli cominciarono a innervosirsi e Kail diede l’ordine a tutti di fermarsi. Sia Trenèt che Jorad faticarono a tenere buoni i loro destrieri, che scalciavano e ansavano, nervosi. Giusto il tempo di placarli appena, che una potente voce baritonale squarciò i contorni della piccola macchia di alberi, annunciando due enormi ombre che stavano spuntando dai rovi.
“Trenèt!!”
Echeggiò tra le fronde, possente, la voce.
Stuard pensò che poteva trattarsi di Garshek o qualche altro orco che aveva intenzione di ammazzarli, ma rimase a bocca aperta quando scoprì a chi appartenesse davvero.
Due giganteschi minotauri emersero dalla macchia, fieri ed imponenti come solevano essere chi apparteneva alla loro razza. Uno dei due era veramente un titano: alto almeno due metri e mezzo, aveva un corno spezzato e una cicatrice che gli segnava il volto all’altezza dell’occhio sinistro. Non doveva più essere giovanissimo, ma era davvero possente e massiccio come nessuno dei minotauri che avevano visto sulla Perechon o sulla Tychoon. La sua ascia bipenne doveva pesare quanto Estellen. L’altro invece era visibilmente più giovane, meno alto e imponente del più anziano, ma ugualmente un fascio di muscoli ambulante. Quando li vide, Trenèt rimase a bocca aperta.
“Morduk…”.
Bisbigliò tra i denti. Poi si riprese dallo stupore e aggiunse:
“Morduk, che ci fai in città? Mi pare che mi avessi chiaramente detto di lasciarti in pace e che non ti interessassero le faccenda degli umani e degli orchi…”
Terminò il capitano scendendo da cavallo.
“Sono venuto perché sono stato chiamato…”.
Esclamò Morduk girandosi verso l’altro minotauro, che fece un passo avanti e si presentò affermando di chiamarsi Thrak. Sempre più confuso, Trenèt si rivolse di nuovo al minotauro più anziano.
“E come ti ha trovato? Sei qui da almeno dieci anni e io so solo che vivi in una caverna sotto il porto: nessuno conosce la tua tana…”.
Morduk schioccò le labbra e replicò:
“Thrak conosce il mio odore, perché suo padre ed io prestavamo servizio sulla stessa nave, prima che la tempesta ci spazzasse via ed io approdassi su queste sponde infami…”.
Lo sguardo del capitano passò sul minotauro più piccolo: non era certo di capire bene come funzionavano i talenti di quella strana e possente razza.
“E’ stato facile per lui trovarmi, ed io non potevo che intervenire, se il figlio di Thork chiede … attraverso Thrak … il mio aiuto. Egli dice che ha contratto un debito d’onore con voi milady e un debito d’onore, per noi minotauri, dura tutta la vita. Alle volte anche oltre…”.
Continuò Morduk, rivolgendosi ad Estellen, che seppur sedendo su un poderoso destriero, risultava comunque più in basso di lui.
“Vi abbiamo mancato due volte, milady. La prima a Langtree, l’altra a Vantal. Khorkh e i nostri compagni si stanno dirigendo verso sud… probabilmente li incontreremo alla città della rugiada del mattino (city of the morning dew). Io sono passato a Shrentak solo per scrupolo, sperando fino all’ultimo che non vi foste recati qui. Poi ho sentito un odore familiare e con Morduk siamo venuti a cercarvi…”
Continuò Thrak, rivolgendosi sempre alla sacerdotessa di Paladine.
Trenèt venne subito al punto, spiegando a Morduk e Thrak cosa avevano intenzione di fare e cosa era appena successo alla taverna.
“In sette contro la banda di Garshek è comunque più che un’impresa folle: non posso chiedervi di fare questo per me. Ma sappiate che io andrò comunque, qualunque cosa succeda… se solo potessimo contare su qualche altro alleato…”.
Sottolineò il capitano con estrema sincerità. Morduk ribadì che non stava seguendo lui, per quanto fosse l’unico umano a Shrentak che aveva imparato a tollerare. Lui seguiva la volontà di Khorkh e il suo debito d’onore nei confronti di Estellen. Il figlio del suo vecchio amico aveva chiesto il suo aiuto e lui aveva risposto: non importava quanto l’impresa fosse folle: un debito d’onore andava onorato. Sempre.
Trenèt annuì poi lasciò che i minotauri ed i nostri eroi scambiassero qualche parola: allontanandosi di qualche metro, si immerse nei suoi pensieri. Il capitano non aveva iniziato certo a credere che anche con due minotauri nella sua squadra, il compito di riprendersi la sua famiglia fosse diventato facile, ma adesso vedeva finalmente un barlume di speranza all’orizzonte: d'altronde, Paladine l’aveva appena benedetto! Tornò dunque in mezzo a loro e disse:
“Ho un’idea, ma è molto pericolosa: potremmo andare a parlare con quel che rimane della banda di Kiridan… a quest’ora dovrebbero essere tornati nel loro covo nella foresta. Se spingiamo i giusti tasti, ci sono discrete possibilità che si uniranno a noi. Seguitemi!”
Nonostante le mille perplessità, Kail si fece convincere dal punto di vista del capitano. D’altronde era logico: se avessero voluto una minima possibilità di spuntarla, avevano bisogno di rinforzi e si sapeva bene che “i nemici dei miei nemici sono i miei amici”.
Il capitano seguì un angusto sentiero nel sottobosco, finché cominciarono a intravedersi dei ruderi di un’antica città spuntare qua e la, probabilmente del periodo antecedente al cataclisma. Trenét si fermò poco più avanti, in prossimità di un vero e proprio antico insediamento ormai distrutto dal tempo e dal clima impietoso, quando un freccia si piantò sul terreno a meno di un metro dal suo cavallo. Un arciere di vedetta poteva essere intravisto appollaiato su un albero.
“Vai a chiamare Oleg. Digli che Trenèt gli vuole parlare. Subito!”.
L’arciere valutò per qualche secondo le parole del capitano, poi fece come gli era stato ordinato.
“Oleg! Sono Trenèt! Tuo fratello Kiridian è morto, così come tutti gli altri che si trovavano alla locanda. Re Wilhelm è tornato saldo sul trono e Vantal presto sarà a conoscenza dei vostri traffici e della vostra deprecabile linea di condotta. Sarete presto tutti arrestati, processati ed impiccati… ma potrei offrirti una via d’uscita da questa affilata spada che soggiace sulle vostre teste. Ti interessa ascoltarmi o preferisci combattere?”.
Trenèt era stato volutamente teatrale, ma il suo tono solenne non lasciava adito a fraintendimenti.
“Ti ascolto…”.
Rispose Oleg, ancora ben nascosto tra i cespugli.
“Stiamo andando da Garshek a ripulire finalmente questa fogna di città. Unitevi a noi. Chi riuscirà a sopravvivere otterrà la grazia: avete la mia parola. Cosa ne pensi?”.
Il capitano giocò il tutto per tutto. Sapeva che le sue parole correvano sul filo di un rasoio, ma era disperato e il tempo disponibile stava finendo.
“Vuoi uccidere Garshek con solo sette uomini al seguito? Suvvia non credermi uno sciocco. Hai ucciso mio fratello e solo per questo dovrei ringraziarti ed accettare il tuo invito, ma voglio la mia fetta di potere a Shrentak….”
Ci fu una pausa intensa, poi Oleg riprese a parlare.
“So perché stai chiedendo il mio aiuto Trenét, non sono uno stupido: tua moglie e tua figlia sono nelle mani dell’orco e tu non hai tempo di aspettare la cavalleria di Vantal. Altrimenti avresti aspettato qualche giorno e ci avresti messo un cappio attorno al collo comunque. Quindi questa è la mia controproposta: vi aiuteremo, ma chi sopravvivrà, si accaparrerà tutti i profitti sul contrabbando … ed io…. prenderò il posto di Kiridian e Garshek, come unico vero signore della guerra di Shrentak. Pensaci Trenet, ma non troppo, perché il tempo stringe…”
Il capitano assorbì ogni parola del suo interlocutore, poi alzò il capo e domandò il parere dei nostri eroi, di Jorad e perfino dei minotauri: voleva che questa importante decisione fosse condivisa da tutti. In buona sostanza convennero tutti, perfino il cavaliere, che non c’era altra soluzione che accettare, se si voleva mantenere una piccolissima speranza di successo. Trenét fu particolarmente colpito dalle parole di Stuard, ma non negativamente. Anzi, auspicò che i giovani cavalieri portassero un vento di freschezza tra le rigide ed obsolete regole della Misura.
“D’accordo, accettiamo le tue condizioni…”
Esclamò alfine Trenèt.
“Bene, sono contento che sei stato ragionevole… ragazzi usciamo, il capitano adesso è un nostro alleato e non dobbiamo più temere di venire arrestati!”
Sogghignò Oleg, allargando le braccia in un plateale gesto derisorio. Morduk grugnò da un lato e Kail pensò che non fosse affatto una buona idea farlo arrabbiare prima del tempo.
In pochi minuti i due gruppi si riunirono e procedettero tutti insieme e con passo sicuro verso l’anello nord del porto.
Giunti sulla banchina, una pioggia torrenziale si abbatté su di loro e Kail si domandò se questo sarebbe stato un vantaggio tattico per loro che avrebbero attaccato o per gli altri che avrebbero difeso le posizioni. Lungo il molo scorsero tre navi attraccate: tre navi mercantili armate fino ai denti. Inoltre le case che viaggiavano parallele al molo erano state sbarrate dall’esterno, ma alcune di esse ancora erano certamente abitate. La visibilità era scarsa, ma man mano che procedevano sulla banchina, potevano intravedere delle barricate improvvisate, con casse e barili, cosa che insospettì non poco il capitano. Nemmeno il tempo di gridare di ritirarsi dietro qualche riparo, che un dardo di balestra colpì uno degli uomini di Oleg, ammazzandolo sul colpo.
Garshek li stava aspettando, attendendosi probabilmente una ritorsione da parte del capitano! Così era cominciata, pensò Trenèt, che si augurò solamente che, alla fine, sua moglie e sua figlia fossero tirate fuori dalle grinfie di Garshek sane e salve.