Estellen cercava disperatamente di mettere a fuoco chi fosse quella minuta figura abbigliata con abiti scuri che le si stava avvicinando a grandi passi. Portava un cappuccio sul volto e mostrava fieramente il suo simbolo sacro: il sigillo maledetto di Takhisis!
La giovane portavoce di Paladine non arretrò di un millimetro, anzi, afferrò il suo medaglione e, sorridendo leggermente, sentì la confortevole presenza del suo dio accanto a sé e l’assoluta consapevolezza che niente e nessuno avrebbe potuto farle del male. Quella esile e scura figura che ora aveva davanti era alta quanto lei e, dal modo in cui aveva le mani curate, doveva essere quasi certamente una donna. Estellen puntò i suoi occhi violetti su di lei e attese. Aveva ancora il medaglione di Paladine in mano e il lieve sorriso sulle labbra. In cuor suo pensò che il “Guardiano” avrebbe dovuto fare molto di più se avesse voluto spaventarla con un semplice servo del male.
Quando però la donna si scostò il cappuccio e mostrò le sue fattezze, Estellen perse un po’ delle sue sicurezze e il suo accennato sorriso le si spense pian piano sulle labbra. Davanti a lei infatti c’era la copia perfetta di sé stessa. Era come se la giovane si stesse guardando allo specchio!
Le uniche differenze con la sua copia stavano in alcuni dettagli estetici, come la cura dei suoi capelli, raccolti perfettamente in una crocchia molto elaborata, il meticoloso riguardo verso le sue unghie, sottili, affusolate e smaltate, le sue dita ingioiellate e le mani perfette, la cui pelle era morbida e profumata come quella di un bambino e infine il pesante trucco, che rendeva il suo viso forse un po’ più duro rispetto al suo. Portava inoltre un profumo dolciastro molto intenso, che ogni secondo in più che passava le dava alla testa e le spezzava il respiro.
Le due Estellen si studiarono per qualche secondo, poi quella oscura, visibilmente più nervosa, si avvicinò ancora di qualche passo e piantò un dito sul torace della sacerdotessa di Paladine dicendo:
“Tu, ipocrita che non sei altro! Vai in giro a parlare di amore, di dedizione e della fedeltà al tuo dio, ma sei la prima a disobbedire alle sue regole, quando ci sono di mezzo i tuoi interessi…”
Estellen fece un passo indietro e spalancò la bocca per lo stupore. Non si era aspettata certo una simile reazione da parte della sua copia, ma quelle parole, così astiose e pungenti, ebbero l’effetto di turbarla. Avrebbe forse preferito se avesse provato a pugnalarla. La copia continuò quindi ad incalzarla.
“Tu non sarai mai degna di servire il tuo dio adeguatamente. La tua fede è soltanto un atto di convenienza. Sei consapevole che Paladine non approverebbe se tu aprissi quel portale? E se fossi costretta a farlo? E se da questo dipendesse la vita di coloro che ami, che cosa faresti, li lasceresti morire? Li guarderesti esalare l’ultimo respiro, mentre implorano il tuo aiuto? Te lo dico io: no, li salveresti, ad ogni costo e anche contro la volontà del tuo dio! Sei solo una falsa e una bugiarda! Almeno io servo solo me stessa, i miei principi e i miei sacri scopi e la dea oscura è felice di concedermi i suoi favori, perché Lei incoraggia l’individualità e l’ambizione. Queste qualità sono alla base di ogni successo!”
Estellen abbassò gli occhi, la sua mano tremò sopra il sigillo di Paladine. Poi rialzò fieramente la testa e rispose:
“Meglio essere un servo imperfetto del dio della luce, che un perfetto accolito, solitario e arrogante come te, della dea dell’oscurità”.
La conversazione andò avanti. Estellen cercava di ribattere alle accuse ficcanti della sua nemesi rimanendo calma, ma sentiva in cuor suo che su alcune cose la sua copia aveva ragione. D’altronde loro due erano la stessa persona!
Lei aveva mancato nei confronti di Paladine ed aveva ottenuto il perdono del dio. Tuttavia lei stessa si era davvero perdonata per quella mancanza? A quanto pareva no, visto che il “Guardiano” aveva tirato fuori proprio la sua nemesi dal suo inconscio per metterla alla prova. Vedersi con le vesti scure e il medaglione di Takhisis, ostentando la sua bellezza in maniera così aggressiva e narcisistica, le faceva venire in mente quanto l’ambizione e l’individualismo portassero pericolosamente vicino al male.
Quando un fedele sbagliava, Paladine lo perdonava attraverso i suoi sacerdoti. Era questo il compito del dio e dei suoi servi più vicini: proteggere i suoi accoliti, a volte anche da sé stessi. Ma quando sbagliava un sacerdote, un portavoce del dio, chi aveva la facoltà di assolverlo veramente? Il dio, certo, ma non poteva bastare. Solo colui che aveva commesso l’errore, solo lui stesso, nel profondo della propria anima, avrebbe potuto davvero estirpare il suo senso di colpa attraverso l’espiazione. Questo creava una pericolosa contraddizione dentro il proprio animo, che adesso Estellen cominciava a riconoscere e a capire. Era l’antico dubbio che attanagliava tutti i potenti, o meglio, tutti “i miserevoli potenti”: la difficile scelta tra libertà o necessità. Cos’era veramente giusto per un servo del dio? Quello che il dio riteneva importante e imprescindibile, oppure ciò che il suo seguace, all’interno dei miseri contorni della sua mortale esistenza, riteneva invece importante ed imprescindibile?
La copia divenne quasi isterica nei suoi confronti, quando Estellen arrivò a queste conclusioni, a questo bivio. Poi con voce suadente, degno del peggior sobillatore, aggiunse:
“Tieni, prendi il mio medaglione e avrai salva la vita e quella dei tuoi amici. Non perché questo gesto ti aiuterà ad uscire da questa situazione, ma perché accettandolo dimostrerai di aver capito che soltanto attraverso la libertà possiamo aiutare tutti quelli che vogliamo, senza restrizioni imposte dall’alto. Noi abbiamo il potere di farlo, ma nessuno deve limitare le nostre reali potenzialità: noi soltanto dobbiamo decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, perché siamo noi ad essere qui, ora!”
Estellen osservò attentamente quel disco di ossidiana e i suoi draghi intagliati, che sembravano guizzare e agitarsi dentro di esso. Un cerchio di pietra più scuro della pece. Non le diede fastidio guardarlo, solo lo riteneva quanto più distante da lei potesse esserlo qualunque altra cosa su tutto Krynn.
Pertanto non era prendere o non prendere il medaglione lo scopo di quella prova.
Non poteva esserlo.
Lei sapeva che Paladine era la sua ragione di vita, il suo più grande amore, ma la sua peggior paura era invece quella di non riuscire a perdonarsi quando avrebbe fallito, di perdersi a causa dei suoi amici, della sua fragilità umana, dei suoi sentimenti verso i suoi cari. Accettare quel medaglione non avrebbe significato diventare una serva di Takhisis: questo non sarebbe mai potuto succedere. Avrebbe voluto dire staccarsi da Paladine, come un figlio faceva con la madre e accettare di camminare da sola, accogliendo come verità i sospetti che aveva riguardo la sua vera natura.
E(r)stellen: la creazione.
Quegli stessi sospetti che Kail le aveva alimentato quando aveva parlato delle circostanze del suo ritrovamento, della possibilità, nemmeno troppo remota, di esser stata generata direttamente da Paladine, di essere un miracolo vivente!
Prendersi certamente l’enorme responsabilità di rappresentare il dio della luce sul Krynn finché Egli avesse voluto, ma facendolo seguendo i suoi valori umani e talvolta le sue scelte sbagliate. Avrebbe comportato prendere decisioni autonome: applicare il giusto e lo sbagliato secondo il suo criterio e non quello di Paladine. In questo modo sarebbe stata sempre in pace con la sua coscienza e con il suo dio, che sarebbe stato sempre comprensivo e misericordioso con lei nelle poche volte che avrebbe sbagliato, ma si sarebbe anche avvicinata pericolosamente a figure come era stato il “Re Sacerdote di Ishtar”: il potere assoluto e senza freni che diventava corrotto e che aveva portato al cataclisma. Alla fine di quasi tutto.
L’altra scelta invece era rimanere coerenti con sé stessi, senza copie che la facessero traballare, senza pericolose individualità ad insidiare la sua pace interiore. Se avesse scelto questa strada, avrebbe potuto davvero perdonarsi solamente scegliendo definitivamente “la necessità” e accantonando “la libertà”, la sua umanità e il suo diritto di sbagliare.
Tuttavia avrebbe anche creato un punto limite indissolubile. Un punto limite oltre il quale non sarebbe potuta andare.
Mai più.
La giovane capì in quel momento quanto fosse difficile diventare un sacerdote, quanti anni di studi erano necessari per trovare il proprio equilibrio e perché i grandi chierici dell’antichità trascrivevano le loro preghiere in alcuni prontuari. In questo modo solo coloro che erano davvero pronti, avrebbero potuto accedere allo studio di preghiere più elaborate: avrebbero avuto il tempo di capire, con gli anni, ciò che andava fatto e ciò che invece, a malincuore, no.
Estellen guardò la sua copia e lei annuì. Rimise attorno al collo il medaglione di Takhisis, le voltò le spalle e tornò a ripercorrere il corridoio nel senso inverso, fino a svanire come un’ombra allungata sui muri.
Estellen chiuse gli occhi, sapeva quanto quella scelta le sarebbe pesata in futuro. Avrebbe potuto aiutare i suoi amici come sempre, ma non avrebbe potuto più eccedere oltre il limite concessale dal dio, non perché lui l’avrebbe contrastata se avesse voluto farlo, ma perché lei avrebbe scelto di non farlo. Di non esercitare mai più quegli atti di volontà che andavano contro Paladine e i confini che esistevano tra gli dei della luce, che stabilivano i loro specifici campi d’azione.
Quando Estellen riaprì gli occhi rigati da lacrime sincere, la prima persona che vide fu Stuard.
Entrambi capirono che qualcosa in tutti e due era cambiato definitivamente: Stuard sembrava più maturo, più consapevole, mentre Estellen finalmente in pace.
Una dolorosa pace però. Infatti un angolo della sua mente piangeva, non solo per la serenità finalmente ritrovata, ma anche perché durante il loro lungo viaggio, ci sarebbero state perdite e sofferenze che lei non avrebbe più potuto lenire.