Stuard era diventato pallido come un lenzuolo.
Lì per lì non aveva riconosciuto quell'imponente guerriero in armatura, anzi aveva notato che indossava degli stemmi solamnici evidenti, pertanto aveva pensato che non poteva trovarsi in una situazione così tanto tragica. Quando però aveva notato gli occhi arancioni, l’elmo piatto, l’armatura consunta, vecchia di secoli e soprattutto il terribile gelo e la paura irrefrenabile che la sua sola presenza emanava, aveva collegato chi potesse essere quel guerriero: un famigerato e terribile cavaliere della morte! Un cavaliere maledetto, che aveva ripudiato l’ordine, ed era stato punito con la più terribile delle maledizioni per un solamnico: la perdita del proprio onore e della propria dignità, diventando per l’eternità una parodia di sé stesso, un non morto, una creatura senza speranza, senza dio e senza futuro.
Il giovane cercò di rimanere calmo: quell’essere non poteva essere ucciso, né sconfitto, nemmeno con la sua antica spada incantata, ma, a sentire Dorian, il "Guardiano" non doveva averlo evocato dalla sua mente per trucidarlo con le armi, ma per distruggerlo dall’interno.
Tuttavia come poteva combaciare quella creatura con la sua più grande paura? A malapena era riuscito a riconoscere chi fosse! Aveva letto da bambino di questi cavalieri maledetti, più unici che rari, che erano certamente terribili, ma che non potevano rappresentare il suo peggior timore, visto che non si sapeva praticamente nulla su di loro.
Stuard indietreggiò istintivamente, quando i lenti passi del cavaliere della morte lo portarono un po’ troppo vicino a lui. Il giovane chiuse gli occhi: doveva riuscire a staccarli da quella figura imponente e terrificante o non ce l’avrebbe fatta a superare il terrore che gli veniva su dallo stomaco solo per essere al suo cospetto.
Perché la sua mente aveva creato quella proiezione allora? Cosa poteva significare? Doveva riuscire a pensare.
Probabilmente rappresentava la sua paura di fallire come cavaliere, di non essere degno di indossare l’armatura e di non meritare il cognome di suo nonno: l’eroe solamnico, un esempio per tutti. Forse temere di non essere adeguato poteva essere certamente una spiegazione possibile, ma Stuard sentiva nel suo cuore che c’era dell’altro, che questa era solo un’interpretazione superficiale.
Quando il cavaliere della morte si avvicinò ad appena tre metri da lui, Stuard avvertì un freddo e una paura innaturali, tanto che istintivamente mise mano alla spada. Il cavaliere oscuro, in risposta a quel gesto, scostò di lato il mantello liso e sciatto e, con un unico movimento fluido, sguainò la sua con un suono di acciaio stridente. La lama era completamente bianca e da essa salivano vapori di gelo che già da quella distanza riuscivano a intirizzirgli le ossa.
La cosa più difficile per Stuard fu riuscire a non concentrarsi sul suo avversario: doveva staccarsi dalla situazione contingente e riflettere sul significato di quella prova. Il cavaliere non esisteva, era un prodotto della sua mente, ed era lì per un motivo. Se voleva sopravvivere, doveva scoprire quale fosse.
Quasi intuendo per osmosi il corso dei suoi pensieri, il cavaliere della morte si rivolse al giovane guerriero e disse:
“Sai chi sono io?”
La sua voce d’oltretomba arrivò alle orecchie di Stuart come mille specchi rotti, ma lui non cedette al fastidio e al dolore. Cercando di rimanere calmo rispose:
“Tu rappresenti la mia paura di fallire come cavaliere. Non ti conosco, ma so che sei un cavaliere della morte, quindi sei un guerriero senza pace, né onore!”
Il non morto si fermò e per un attimo Stuart riacquistò un po’ di forze, che aveva perduto ad ogni passo che quell’invincibile avversario aveva implacabilmente fatto verso di lui. Tuttavia fu solo per un attimo, perché poi egli riprese ad avanzare, gettandolo nello sconforto più totale.
“No.”
Aggiunse poi la creatura, facendo il saluto solamnico e puntando la lama maledetta verso di lui. Il giovane rispose al saluto meccanicamente e capì proprio in quel momento che la sua vita era davvero appesa ad un filo.
Poi assottigliò gli occhi, rifiutando la sconfitta e notò la sua armatura così deturpata, i suoi modi bruschi, altezzosi e per niente fieri e fu illuminato da una rivelazione improvvisa. Rivelazione che ovviamente il cavaliere della morte espresse simultaneamente in parole.
“Io rappresento il cavalierato: un ordine basato su precetti vecchi di anni, di secoli e che hanno quasi distrutto il mondo! Io non ti concederò di uscire di qui, non ti permetterò di diventare un cavaliere. I dogmi del cavalierato, la sua morale ipocrita e malsana, hanno portato al cataclisma e quasi alla fine del mondo. Krynn non ha bisogno di un altro cavaliere. Io non lo permetterò!”
I suoi occhi arancioni inchiodarono Stuard sul posto, tuttavia il giovane, dopo quelle parole, aveva cominciato a far scorrere fluidi i pensieri: iniziò per esempio a contemplare i motivi che l’avevano spinto a fuggire dal maniero Uth Breannar per seguire Estellen. Fu consapevole che nessuno l’avrebbe fatto diventare un cavaliere per il suo valore, per il suo coraggio, ed il suo onore. Aveva disubbidito ad un superiore e la Misura imponeva che, avesse salvato pure il mondo, non gli sarebbe stato accordato di centrare il suo obiettivo. Pensò a sua sorella, che aveva più coraggio e valore di lui e suo fratello messi insieme, ma essendo donna, non sarebbe mai potuta diventare cavaliere e le centinaia di altre piccole ingiustizie che la Misura imponeva per poter essere considerati dei "veri solamnici" e comprese quanto lavoro avrebbero dovuto fare i giovani cavalieri per approcciare al nuovo mondo che sarebbe arrivato quando e se la Regina Oscura fosse stata ricacciata nell’inferno da cui proveniva.
Rialzando fieramente gli occhi, Stuard disse alla creatura che rappresentava la sua stessa visione del cavalierato, che quello che contava non era la Misura, ma il cuore giusto di un cavaliere, il suo spirito puro, ed il suo valore ed onore senza macchia. Aggiunse che tutti dovevano poter diventare cavalieri, se esistevano tutte queste condizioni e sentì un senso di pace quando pronunciò con fermezza quelle parole.
Tuttavia il non morto non si arrestava e lui fu costretto ad indietreggiare ancora, finché, sfinito, non riusciva più ad avere la lucidità di riflettere su cosa mancasse ancora per completare il suo discorso, perversamente rivolto a sé stesso.
Cosa ci poteva essere ancor più di questo?
Fu in quel momento, quando tutte le speranze sembravano cadere e la disperazione era ad un passo dal ghermirlo, che udì una voce nella sua testa. Una voce calda e rassicurante: una voce che aveva la capacità di renderlo invincibile.
“Ricordati che sei stato scelto, io ti ho scelto. Non cedere ora, tu puoi vincere la tua paura accettando le conseguenze delle tue scelte. Molte cose che dici sono vere, ma il significato, il fulcro di un cavaliere giace da ben altra parte. Arriva nel suo cuore, ma inizia sul dorso del suo drago. Solo in questo modo il male sarà di nuovo scacciato da Krynn!”
Era la voce di Deneva.
Il cavaliere, la lancia e il drago. Era tutto lì.
I cavalieri di Solamnia non erano stati creati da Vinas Solamnus soltanto per andare a cavallo, difendere i deboli e i bisognosi, ma per creare un legame indissolubile con il proprio Drago e, attraverso le Dragonlance, ricacciare il male indietro, fino a farlo sparire dentro l’oscurità che lo aveva generato.
Per un attimo gli occhi azzurri di Stuard divennero nero e argento e come per incanto i suoi demoni smisero di tormentarlo.
Il cavaliere della morte sparì e lui si ritrovò di nuovo in mezzo al corridoio, con i suoi amici accanto.