stellen arrancò letteralmente per tutto il percorso, attraverso l’intricato dedalo di sotterranei edificati dagli avi di re Wilhem. Nonostante la tremenda fiacchezza però, si ostinava a seguire i suoi amici, i quali, anche loro, non se la passavano troppo bene. Stuard era ferito e tremava dal freddo, visto che l’acido l’aveva privato delle sue vesti dal tronco in su, mentre Kail, che reggeva la torcia sfilata da un supporto lungo il corridoio, aveva la schiena in fiamme e solo qualche brandello di camicia ancora a coprirne il dorso dolorante. Per ultimo chiudeva il re, con in braccio la bambina, che seguiva i nostri eroi con cupa determinazione e l’animo affranto.
Dopo l’ennesima svolta e affidandosi per la direzione all’aria che distorceva la fiamma sulla torcia, il mezzelfo trovò finalmente il punto d’arrivo della loro fuga attraverso le segrete.
Il passaggio infatti li condusse all’interno di una enorme caverna dalle pareti in granito, la cui cavità frontale però era stata sigillata secoli prima in maniera artificiale, con mattoni e calce. Ora però quel muro divisorio era stato abbattuto con pale e picconi e dall’altra parte si poteva intravedere uno strano riverbero arancione su uno sfondo scuro come la pece. Il gruppo si avvicinò cautamente all’apertura, riuscendo così ad assistere ad uno spettacolo incredibile.
Lì davanti a loro infatti, a poche decine di metri, sorgeva la città antica di Vantal, che doveva essere sicuramente antecedente addirittura a quella che era stata ricostruita dalla stirpe di re Wilhem, 300 anni prima. Il cataclisma infatti ne aveva fatta sprofondare evidentemente un’ampia parte sottoterra e qui adesso giacevano silenziose e dimenticate le vestigia di quell’antica civiltà orchesca.
Il dettaglio davvero incredibile stava nel fatto che la città era parzialmente illuminata! Wilhem infatti fece notare dei curiosi funghi luminosi, che crescevano sulle rocce umide e che rifrangevano la luce assorbita da una fonte originaria in qualche assurdo e inesplicabile modo.
L’effetto che veniva fuori era molto simile a quello che avrebbero osservato se si fossero soffermati a guardare di notte un antico borgo di Palanthas, durante la festa delle mille torce. Migliaia di piccole lucine donavano un fascino davvero unico alla città morta e, avvicinandosi ai suoi ruderi dimenticati, poterono notare molti dettagli suggestivi. Intanto le case avevano un tocco molto più tribale di quelle in superficie: parevano più capanne dal tetto schiacciato che richiamavano la forma delle antiche palafitte e i resti delle guglie e dei minareti dei templi davano l’impressione di essere stati in origine molto più esotici ed imponenti di quelli conservati e ricostruiti nella città nuova.
Kail notò alcuni topi squittire nel buio dei silenziosi vicoli e dirigersi sinuosi e quasi invisibili verso la parte est della città morta, ed il suo amuleto aveva tremato diverse rapide volte, come se volesse avvertirlo di qualche magica forza in atto, appena avevano deciso di seguire i ratti. Tuttavia qui sotto c’erano molte cose strane e non se ne preoccupò molto. Il mezzelfo era invece molto angosciato per la sua amica. Più si inoltravano verso il centro della città infatti e più Estellen soffriva pene inaudite. Qualunque cosa ci fosse lì intorno, da qualche parte, era potente. Potente ed oscura.
Ad un certo punto la situazione si fece insostenibile per lei: inciampò sui suoi piedi e cadde a terra, annaspando per respirare.
Forse seguire i topi non era stata una buona idea, pensò tra sé il mezzelfo. Sembrava infatti che proprio in quella direzione, verso est, ci fosse ancor più oscurità, tanto che Estellen per la prima volta in vita sua, sentiva Paladine sfocato, distante. Dunque la presenza di Takhisis doveva essere fortissima in quella direzione!
Kail stava quasi dicendo a Stuard, che nel frattempo stava cercando di sostenere l’amica meglio che potesse, di deviare verso un’altra parte della città, quando la sua vista superiore gli fece notare un bagliore molto forte a meno di trenta metri di distanza. Passò dunque la torcia al cavaliere e disse a tutti di rimanere nascosti finché non fosse tornato. Poi si mosse tra i ruderi e le costruzioni fatiscenti come pochi altri riuscivano a fare, fino a trovare un punto che gli permettesse di vedere cosa fosse quel baluginio che aveva intravisto da lontano.
Ciò che scorse non lo confortò affatto, anzi lo lasciò senza parole e terrorizzato. A pochi metri da lui infatti c’erano due draconici, di dimensioni diverse, seduti accanto a una pira infuocata che bruciava senza sosta. Accanto alla pira erano stati ammucchiati un cumulo di vestiti, scarpe e ornamenti vari. Poco distante era stata allestita un’enorme recinzione e dentro di essa erano state stipate (Kail non riusciva ad immaginare in che modo) tre uova enormi! Le uova erano alte circa quindici metri e larghe nove, ed avevano alcune differenze sostanziali l’una dall’altra. Il primo uovo era lacerato, squarciato, come se qualcosa già ne fosse uscito dall’interno (e lui immaginava bene cosa). Il secondo aveva un colorito più scuro, quasi brunito al riverbero del fuoco, come se fosse malato, marcio dentro. Il terzo invece sembrava intonso, perfetto. Se i suoi sospetti erano fondati, quelle erano tre autentiche uova di drago e il solo guardarle, causava in lui un senso di soggezione e intimidazione totali.
I suoi occhi lievemente obliqui si posero nuovamente sui draconici e poté notare che essi stavano banchettando con le carni dei cadaveri a cui quegli abiti impilati erano probabilmente appartenuti. Ora aveva avuto la risposta su come venissero smaltiti i corpi dei morti nelle prigioni: arsi sulla pira infuocata o divorati dai draconici! Atterrito da quelle immagini disgustose, Kail sgusciò indietro dai suoi amici.
Nel frattempo Estellen si era ripresa: aveva smesso di vomitare e adesso stava cercando di concentrarsi sul da farsi, perché sapeva che avrebbe dovuto mettercela tutta questa volta se voleva uscirne viva. Quando i nostri eroi videro il volto di Kail, tirato, preoccupato e stravolto, capirono che la fonte di tutto quel disagio, tutta quell’oscurità che Estellen avvertiva intorno a loro, aveva il suo epicentro proprio nel punto che il mezzelfo aveva appena esplorato.
I successivi dieci importantissimi minuti passarono tra ansia e preoccupazione sul da farsi.
Ognuno espresse il suo punto di vista. Stuard, molto pratico, sussurrò che a quest’ora i draconici nelle segrete dovevano aver scoperto la loro fuga e quella del re e che quindi non avevano molto tempo per cincischiare oltre. Certo, era anche lui molto angustiato ed inquieto: senza armatura e feriti com’erano, non avevano molte possibilità contro due draconici armati fino ai denti, ma esisteva un patto tra drago e cavaliere, un patto antico come il mondo e lui, anche se ancora non era stato investito di tale titolo, si sentiva ugualmente di dover onorare quel patto. Estellen, sulla scia dell’amico, al solo sentire nominare “uovo di drago”, mostrò una forte determinazione, perlomeno per verificare lo stato e la condizione delle uova rimaste. Anche se potenzialmente poteva essere molto pericoloso per loro, i draghi metallici erano i primi figli di Paladine, ed era come se in lei si fosse acceso un istinto materno, un senso di protezione, che quasi la costringeva ad intervenire. Kail invece non era molto d’accordo con nessuno dei due amici. Non perché non misconoscesse il valore inestimabile di quelle uova, solo non riusciva a capire l’utilità di un loro intervento. Supponendo infatti di riuscire a prevalere su quei mostri terrificanti, che stavano ancora banchettando con i cadaveri dei prigionieri morti, come avrebbero potuto salvare le uova dal loro triste destino? Pesavano tonnellate, quindi era impossibile spostarle: non avrebbero potuto dunque evitare che Dracart o chi per lui, le costringessero di nuovo a sfornare draconici, corrompendo la forma di vita all’interno, in un modo talmente atroce che lui nemmeno voleva provare ad immaginare. Avrebbero potuto donare alle uova forse una morte veloce, come atto di pietà, ma secondo lui il rischio non valeva la candela: avevano una missione da compiere, null’altro doveva distrarli. Il re e la bambina rimasero in disparte, ma era chiaro che il vecchio cavaliere avrebbe certamente preferito uccidere i draconici, per poi cercare di scoprire cosa si potesse fare per quelle uova, che scivolare oltre con infamia.
Stretto tra incudine e martello, il mezzelfo dovette arrendersi al volere della maggioranza e quindi buttò giù un piano: Stuard avrebbe attaccato frontalmente il primo draconico, mentre lui avrebbe sfruttato le ombre per aggredire l’altro alle spalle. La loro unica speranza era l’effetto sorpresa: attacchi mirati, con l’unico obiettivo di eliminare i draconici entro pochi secondi. Se il combattimento fosse perdurato, quasi certamente sarebbero stati uccisi. Al re fu detto di rimanere di guardia a Estellen e Marianne, che finalmente scoprirono essere il nome della bimba.
I due uomini d’arme si appostarono dunque, ma prima di agire, la giovane portavoce di Paladine pregò il suo dio affinché aiutasse i suoi amici in questo nuovo, imminente, disperato scontro con l’oscurità.
Il grido di battaglia di Stuard echeggiò per tutta la città morta: “Est Sularus oth Mithas”! Queste parole diedero forza e coraggio a tutti intorno a lui.
Privi di protezione e confidando sull’effetto sorpresa, l’impari combattimento ebbe dunque inizio!