Il primo ad arrivare alla forgia fu Theros, che non riusciva a capacitarsi che l’intero meccanismo, che regolava il funzionamento di tutta la fucina, si fosse finalmente attivato. Quel diavolo di un nano ce l’aveva fatta! Tuttavia per lui fu difficile perfino complimentarsi con Flint, dato l’incredibile frastuono che rimbombava su ogni cosa. Dopo aver teso l’orecchio verso di lui diverse volte, alla fine il vecchio fabbro prese l’ergothiano per un braccio e lo trascinò via, portandolo seco nella stanza nascosta ove era contenuto il mitico “metallo dei draghi”.
Con l’intera compagnia al seguito, Flint finalmente poté spiegare cosa fosse successo.
In poche parole, già da qualche ora lui e Theros avevano ipotizzato varie soluzioni per attivare la fucina, ma quella che avevano ritenuto più probabile prevedeva di inserire alcune strane "barre di ferro seghettate", che avevano trovato in bella mostra, lunghe circa un metro e spesse due centimetri, all’interno di alcune fessure che avevano notato alla base di cinque vani comunicanti, che precedevano la forgia vera e propria. La prima fessura, quella che secondo loro avrebbe dato inizio a tutto il procedimento meccanico, spiccava evidente nella stanza della polla, dove ristagnava proprio il “metallo dei draghi”. I due fabbri ritenevano e a quanto pareva non a torto, che il metallo sarebbe dovuto travasare da un vano all’altro, nella quantità giusta per riempire alla fine gli stampi, attraverso un sistema di “piccole dighe divisorie” o “canaline”, appena visibili all’interno degli stessi vani comunicanti.
Uno dei problemi iniziali che avevano riscontrato però, era che c’erano in realtà sei pertugi metallici, perché scoprirono che anche la forgia contava uno di questi fori sagomati, mentre i bracci metallici erano in tutto solo cinque. Questa disparità degli attrezzi aveva confuso i due fabbri, che non riuscivano a capire come avrebbero dovuto approcciare al problema.
Ragionando però sul movimento che il materiale grezzo avrebbe dovuto compiere, Flint determinò che il primo passaggio sarebbe dovuto partire per forza dalla polla. E così fece il fatidico passo: inserì il braccio metallico nell’apposito orifizio e lo incastrò, collegando la parte seghettata alla forma molto particolare del foro d’entrata. Esse combaciavano perfettamente e si assestarono con un sonoro “clack”! Quando il nano spostò la leva, all’inizio verso destra, l’intero macchinario iniziò a vibrare e a borbottare ferocemente. Tutto il “complesso” sembrò reagire a quell’azione, rispondendo allo stimolo "all’unisono".
Tuttavia, il vero cambiamento accadde nella polla del “metallo dei draghi”. L’intera superficie ristagnante infatti, iniziò a schiacciarsi sulla parte destra della piscina, assottigliandosi grazie alla “diga di ferro” che spuntò dalla base della stessa, reindirizzando circa l’ottanta percento del metallo nel secondo vano, sito qualche metro più avanti. Di fatto, quindi, il nano aveva all’inizio solo deciso di trovare riscontro se la loro intuizione fosse stata giusta o meno, ed inserendo la leva e tirandola, scoprì che si, essa era assolutamente corretta perché l’intero meccanismo si era attivato.
Ora però non capiva come avrebbe dovuto procedere oltre.
Mancava una leva tanto per cominciare, per bloccare il flusso di metallo nella fucina e inoltre non capiva a cosa servisse tirarla verso sinistra, visto che non sembrava succedere niente. Aric suggerì quindi di recarsi al vano più avanti ed inserire la seconda leva nel foro, per vedere cosa sarebbe accaduto al metallo. Dovevano andare necessariamente per tentativi all’inizio, immagazzinare altre informazioni, prima di provare a capire come avrebbero dovuto comportarsi con la totalità dei dettagli di quella gigantesca fucina.
Flint dunque afferrò un’altra barra di ferro e la incastrò nel foro presente nel secondo vano, poi spostò la leva ancora verso destra. Il metallo iniziò ad incanalarsi verso destra, come nella polla, attraverso una seconda, più piccola “diga di ferro”, ma il mago questa volta ordinò di mettere subito la barra in posizione centrale. In questo modo la “diga di ferro” rientrò verso il basso e il metallo tornò a ristagnare nel vano.
Capirono dunque che i movimenti previsti non erano due, bensì tre e questo dettaglio non era affatto trascurabile.
Kail suggerì poi di tornare a spostare la leva verso destra e il metallo ricominciò immediatamente a defluire e ad assottigliarsi, grazie allo spartiacque che era stato nuovamente evocato e a scendere lentamente, a grumi, nel vano successivo: il terzo.
Purtroppo però a questo punto sorgeva un grosso problema: se ad ogni passaggio si fosse perso circa il venti percento del materiale disponibile, non ce ne sarebbe stato abbastanza per quando esso avrebbe dovuto calare negli stampi della fucina, direttamente dal quinto vano.
Questo era uno dei motivi per cui Flint era così perplesso.
Anche Kail sembrava confuso, ma per fortuna Aric venne in loro soccorso. Il metallo che andava “perso” ad ogni passaggio, non era il venti percento del totale, ma il venti percento dell’ottanta percento, poi il venti percento del sessanta, eccetera. Quindi ce ne sarebbe stato a sufficienza per calibrare ogni stampo. Il vero problema era che c’erano solo cinque barre e non sei per poterlo gestire alla fine del circuito.
Estellen allora suggerì che, forse, una volta che le barre fossero state tutte messe al loro posto e il “metallo dei draghi” avesse infine raggiunto la fucina, sarebbe stato possibile sfilare una delle barre precedenti, ed inserirla nell’ultimo foro della fucina, che avrebbe regolato il flusso degli stampi.
Ma quale andava sfilata?
Aric e Kail si arrovellarono per capire quale fosse la scelta migliore, mentre Stuard ed Estellen iniziarono ad occuparsi di un altro problema collaterale: il “mantice” che doveva alimentare la forgia, con il suo soffio costante e persistente.
Ne trovarono uno in effetti, ma era talmente grande e pesante che era impossibile pensare di spostarlo con la sola forza fisica. Notando alcuni simboli runici impressi sulla sua poderosa struttura, Estellen intuì che la parte spirituale del meccanismo doveva per forza riguardare questo aspetto. D’altronde, il “Soffio di Paladine” a cos’altro avrebbe potuto rimandare? Sfiorando con le dita i simboli arcani, ed invocando a gran voce il nome del suo dio, Estellen notò le rune brillare e a quel punto domandò a Stuard di provare ad innescare il suo movimento sussultorio, per vedere se adesso fosse stato magari più leggero da manovrare e quindi da utilizzare. Al cavaliere fu sufficiente spingere la parte superiore del mantice verso il basso per permettere allo strumento di soffiare aria da solo e con una potenza di alimentazione all’apparenza illimitata. Stuard, con l’aiuto dei cavalieri, trascinò poi il mantice nella posizione giusta innanzi alla fucina, ed attese dunque che il mezzelfo e lo stregone venissero a capo dell’ultima fase riguardo il meccanismo dei vani comunicanti.
Intanto i due compagni avevano chiesto a Flint di spostare prima tutte le leve verso sinistra, per capire cosa sarebbe successo: il “metallo dei draghi” fu drenato dai vani immediatamente, sparendo attraverso piccoli fori sotto le polle e tornando alla vasca originale. Una volta capito questo, il nano tornò a riposizionare le barre verso destra, poi Kail, seguendo il consiglio di Estellen, sfilò la barra di ferro dal supporto nella camera del “metallo dei draghi” e la inserì nel sesto foro: quello nascosto nella fucina. Quindi la lasciò nella posizione centrale.
Attivandola verso destra, per far arrivare il materiale grezzo e poi disattivandola nella posizione centrale, quando non serviva più, la fucina avrebbe avuto il metallo sufficiente e il tempo necessario per riempire ogni stampo a comando. Terminato il lavoro, spostando poi tutte e cinque la leve a sinistra, il metallo rimanente sarebbe tornato alla posizione originale nella stanza nascosta da cui tutto iniziava.
Il gioco si era quindi concluso!
Ora però si trattava di accendere la forgia. Nessuno dei presenti poteva pensare che potesse bastare un semplice fuoco per sostenere quel tipo di fucina e fondere quel tipo di metallo. In quel momento Estellen realizzò che Fizban avesse avuto motivi più che validi per averla spedita indietro nel tempo ad Ishtar a recuperare la “Fiamma Blu” di Mishakal! Essa avrebbe dovuto certamente riaccendere il braciere di Solanthus, indicando in questo modo alle forze del bene il momento esatto per compattarsi e scatenare la controffensiva nei confronti dei "signori dei draghi". Tuttavia, se ne avesse preso solamente un frammento, giusto quello che serviva per accendere quella forgia, che era chiamata non per caso: “Sacra Forgia”, non pensava che avrebbe fatto torto a nessuno e soprattutto era sicura che lo stesso Fizban avrebbe approvato.
Pertanto, la portavoce di Paladine richiamò nel palmo della mano la fiammella azzurra della dea della guarigione, poi con due dita ne afferrò una piccolissima porzione e la soffiò delicatamente dentro la fucina. Come si faceva con i “denti di leone”. La fiamma divampò immediatamente, riempiendo la forgia di un riverbero intenso e bluastro. Stuard attivò il mantice in quel momento e ben presto il “metallo dei draghi” fu pronto ad ardere e ad essere incanalato negli stampi, da cui poi Theros avrebbe modellato la “Dragonlance” attraverso il portentoso martello di Kharas!
Era sera quando i nostri eroi riuscirono a concedersi un po’ di riposo e a mangiare qualcosa al tiepido tepore della forgia finalmente accesa. Prima di riposare qualche ora per poi riunirsi per decidere cosa fare con il “sangue di Takhisis” e come fare per uscire dalla valle, senza essere immediatamente trucidati dagli orchi, Theros si avvicinò a Stuard e compagni.
Aveva un bieco cipiglio stampato sul volto.
Stuard gli domandò subito cosa c’era che non gli tornasse: l’aveva notato mentre armeggiava con gli stampi e con il martello di Kharas, che era esploso in un brillamento divino quando l’aveva impugnato con il braccio d’argento. L’aveva visto felice e pensava davvero che tutto sarebbe andato per il meglio, ma evidentemente si sbagliava.
Sconsolato, il fabbro bisbigliò affranto:
“Anche se ora la fucina è accesa, ed il “braccio d’argento” con il “martello di Kharas” si sono finalmente riuniti in un tuttuno, credo manchi ancora qualcosa per forgiare la vera “Dragonlance”. Gli attrezzi sono adeguati, cavaliere, ma il fabbro che dovrà impugnarli ancora non lo è… so che vi sembrerà strano, mio signore, ma è quello che avverto nel mio cuore. Ho davvero paura che fallirò...”
Estellen provò a portare conforto all’amico, ma Stuard capì subito che non era del coraggio che Theros stava parlando: non era quello che gli mancava. Infatti, rammentava bene che Fizban aveva dato loro tre compiti specifici: recuperare la “Fiamma blu di Mishakal”, trovare il “Soffio di Paladine” nella forgia e scegliere tra “Battesimo e Magia” sull’isola di Cristyne. I primi due obiettivi erno stati centrati a quanto pareva, ma forse ciò che ancora mancava era il terzo. Erano stati loro a scegliere il “Battesimo”, pensando in seguito che fosse un traguardo a cui avrebbe dovuto accedere Stuard dopo esser divenuto paladino di Kiri – Jolith, ma sembrava evidente che si erano sbagliati. O perlomeno che non era quello che aveva chiesto di fare Fizban. Lo stravagante “mago” aveva esplicitamente detto che loro avrebbero dovuto proteggere Theros e Flint a costo della vita, scortandoli attraverso un processo di crescita e consapevolezza spirituale, per poter arrivare infine a renderli entrambi degni di forgiare la “Dragonlance”.
Quel “Battesimo”, che il cavaliere aveva ottenuto dunque, doveva servire per Theros, non per lui. Stuard comprese questo in silenzio, da solo. Si sfilò dunque il ciondolo di legno dal collo, che Flint aveva sapientemente intagliato per lui e nel quale Baleph aveva impresso il suo marchio e lo mise intorno a quello dell’ergothiano.
Con le lacrime agli occhi, intuendo la portata di ciò a cui il cavaliere stava rinunciando, affinché egli potesse portare a termine il suo compito, Theros balbettò commosso:
“Vi ringrazio, Sir Stuard, dell’immenso sacrificio che avete fatto per me. Spero di poter ripagare la vostra fiducia, lavorando sulla “Dragonlance” e forgiando la speranza per il mondo intero. Grazie anche a voi tutti, miei compagni di viaggio, per avermi protetto e difeso anche quando ogni tipo di possibile futuro sembrava appassire davanti ai nostri occhi. Spero di rivedervi tutti molto presto …”
Theros abbracciò con calore Stuard e Kail, inchinandosi poi al cospetto di Estellen, che lo benedì con un bacio sulla fronte.
Il compito dei nostri eroi con l’eburneo ergothiano terminò così, ed egli lasciò la compagnia, come già era successo in passato con “Marduk il minotauro” e con “l’elfa Eiliana”, orfana di un altro amico e compagno di viaggio, ma felice di aver centrato forse l’obiettivo più importante da quando avevano abbandonato “castel Uth Breannar”, ormai sei mesi prima!
La Sacra Forgia e il Soffio di Paladine.
- Dettagli
- Scritto da Mike Steinberg
- Categoria: Krynn
- Visite: 126