Mano a mano che il corridoio saliva su, verso l’alto, la temperatura cominciò ad aumentare, mentre il velo di paura e angoscia, che aveva accompagnato i nostri eroi fino al momento in cui “Holy” era intervenuto a salvarli, iniziò a scemare fino a scomparire del tutto.
Nonostante non ci fossero torce ad illuminare quell’erta pendenza, tutto sembrava ridondare di un riverbero luminoso, soffice e delicato, che permeava i muri stessi del corridoio. Estellen sorrise: poche volte, durante i suoi estenuanti mesi di pellegrinaggio in lungo e in largo per tutto l’Ansalon, aveva percepito la presenza di Paladine così vicina a lei. Sembrava come se stesse per entrare in casa sua: una dimora finalmente sicura, ove chiunque, puro di cuore, sarebbe stato in salvo e protetto finché avesse desiderato.
Quando il budello di roccia terminò e la compagnia fece accesso nell’edificio, non riuscì letteralmente a credere ai propri occhi.
Dire che ciò che videro, nel loro primo impatto con esso, fosse stato semplicemente “magnificente”, significava sminuirne il reale valore. Intrinseco ed estrinseco: soprattutto per i cavalieri e per gli uomini di fede, fu un’esperienza assolutamente estatica!
Sebbene fosse chiaramente una “costruzione” legata a Paladine, l’architettura era, a questo livello, di altrettanto evidente "fattezza nanica". Tutti dedussero subito, infatti, che questa stupefacente “opera muraria” non si sarebbe esaurita con quel piano, poiché c’erano delle scale a chiocciola in bella mostra che conducevano sicuramente ad altri vani superiori, ad altre meraviglie. La compagnia probabilmente si trovava adesso alla base di una struttura, evidentemente gigantesca, che scoprirono solo in seguito si chiamasse: “Livello del Cuore”.
Fiere ed elaborate colonne svettavano eleganti verso l’alto soffitto, distante dal suolo circa trenta metri, sorreggendolo solidamente già da molti secoli. La pavimentazione era di pietra scura, forse granito, a lastroni squadrati, mentre le pareti in pietra lavica erano ancora lisce e perfette come una volta. Non c’erano arazzi, né orpelli di alcun genere e ogni cosa sembrava immobile, sospesa nel tempo, come se un “cronomante” dispettoso avesse tessuto un potente incantesimo di stasi.
Due curiose statue sembravano i suoi guardiani.
Due leoni di pietra, ma con la testa di drago, parevano vegliare su questo luogo taciturno, introducendo al vero gioiello del “livello del Cuore”, l’incredibile "miracolo" che esso custodiva: la “Sacra Forgia”! Molteplici incudini costellavano come sedie l’intero spazio di questo ampio piano, chiaro segno di cosa si facesse quaggiù secoli prima.
Kail osservò candidamente che non aveva mai sentito parlare di statue simili, nell’iconografia classica che egli conosceva relativa al “Drago di Platino” e questa volta né Estellen e né Flint seppero rassicurare il mezzelfo in merito alla sua curiosità. Entrambi erano pressoché convinti però che si trattasse di esemplari più unici che rari, scolpiti probabilmente da una mano o da una volontà “divina”.
Stuard aguzzò meglio la vista e notò che “questo Tempio” non si esauriva solamente con ciò che avevano potuto osservare finora, ma che, oltre quelle due grandi statue gemelle, si intravedeva anche qualche altra cosa, qualcosa di ancor più importante e dal valore davvero inestimabile. Forse addirittura ciò che rappresentava il “Cuore” di tutta quella "sacralità". Il giovane cavaliere non resistette un secondo in più a quella immensa curiosità e si spinse qualche metro innanzi, fin quasi a superare le statue sentinelle.
Prima che potesse varcare l’immaginaria linea che esse difendevano, prima una e poi l’altra presero vita e, volgendo tosto i musi affusolati verso Stuard, esclamarono con voce solenne:
“Chiunque osi varcare questo limite, soggiace al volere di Paladine: ogni velo o menzogna cesserà di esistere. Ogni cosa rivelerà il proprio cuore.”
Disse la prima.
“Niente che sia stato concepito con scopi malvagi può varcare questo limite. Proseguire oltre rappresenta un rischio però solo per i cuori impuri.”
Aggiunse la seconda.
Per nulla impaurito o sorpreso, Stuard annuì, come se avesse segretamente compreso il reale significato di quelle imperiose parole e impavidamente oltrepassò le statue. Così come i cavalieri di Solamnia e anche il vecchio nano. Quando però Estellen e Theros si fecero avanti, la compagnia comprese appieno che quegli ammonimenti non erano affatto ornamentali. La portavoce di Paladine iniziò infatti a risplendere di luce azzurra come mai aveva fatto finora, mentre il braccio d’argento dell'ergothiano si rivelò per ciò che era davvero: uno strumento divino, concepito per costruire artefatti divini. Una bianca luce iniziò infatti a propagarsi da esso fin quasi ad accecare tutti i presenti. Poi, lentamente, scemò, fino a diventare tollerabile per chi si fermava ad osservare stupefatto cotanta meraviglia.
Oltre a questo miracolo, che tolse ogni dubbio a chi fosse ancora perplesso sulle reali capacità e sul destino dell'eburneo e gigantesco fabbro, un altro strabiliante fenomeno accadde all’interno del suo zaino. Quando Theros, estasiato, estrasse via il martello di Kharas, i nostri eroi notarono che anch’esso aveva subito una incredibile trasformazione! Da un semplice, piccolo e corto martello da fabbro, quale sempre era sembrato che fosse, adesso aveva aumentato di gran lunga dimensioni ed aspetto e una miriade di rune avevano iniziato a farcirlo integralmente, conferendogli un’aura potente e mistica.
Theros lo girò e rigirò tra le mani, più volte, continuamente. Poi improvvisamente sembrò adombrarsi e bisbigliò, rivolgendosi al mezzelfo poco distante:
“Cosa sarebbe successo, Kail, se quando fui catturato dal nemico sotto Welmet, gli orchi avessero capito cosa fosse davvero questo martello? A cosa servisse? Tutto sarebbe andato perduto…”
Il mezzelfo lo guardò intensamente, ben comprendendo il peso della immensa responsabilità che gravava sull'anima dell'amico. Poi annuì, commentando con saggezza che spesso il destino dei “grandi piani”, “dei grandi disegni”, architettati dalle menti più eccelse, venivano in realtà determinati da piccole azioni quotidiane, piccoli dettagli, come girare a destra piuttosto che a sinistra o, per l’appunto, requisire uno zaino o meno, come in quel caso. Inutile angosciarsi quindi: ciò che davvero contava era aver raggiunto questo risultato finale davvero incredibile: null'altro che la conseguenza della sua tenacia e della sua forza di volontà! Theros fece spallucce senza aggiungere altro e insieme a Flint si diresse a nord, verso la parte inesplorata e appena visibile della grande fucina.
Prima di seguirli, Estellen si aspettò che anche Sir Platus venisse in qualche modo “giudicato” da Paladine per le sue menzogne, per aver mentito sul fatto che in realtà fosse una donna sotto mentite spoglie. Eppure niente accadde al suo passaggio tra le statue. Forse c’era qualcosa nella storia di Silverglove, qualche dettaglio importante, che lei non conosceva e che aveva permesso così al cavaliere di sfuggire al severo giudizio del dio del bene, chi poteva saperlo a parte "Lui"? Chinando la testa e pentendosi per aver messo in dubbio, anche se solo per un breve attimo, le capacità di discernimento di Paladine, si mise ad esplorare anche lei l’edificio.
Nessuno lì per lì fece caso ad Aric e Kail, che invece preferirono rimanere in disparte, visto gli oggetti oscuri che recavano seco. Sperando che il resto del gruppo facesse presto il suo giro di ricognizione, i due compagni trovarono un sostegno per le loro stanche membra e finalmente ripresero fiato.
Il solo fatto di trovarsi in quel luogo sacro invece, permise al resto della compagnia di riprendersi dalle ferite e dalla stanchezza ad un ritmo sorprendente. A differenza del mago e del mezzelfo, che ancora sembravano arrancare, il resto dei nostri eroi parevano sentirsi subito meglio e di nuovo pieni di energie e di entusiasmo.
Oltre le piccole incudini, il gruppo strabuzzò gli occhi innanzi alla “Grande Forgia”!
Flint quasi svenne, mentre Theros non riusciva a credere ai propri occhi: quella era davvero la "grande incudine", ove il leggendario Duncan Iroweaver forgiò la “Dragonlance” di Huma! Sia Estellen che Stuard rammentarono tosto e molto bene di averla già vista prima: al “Tempio di Reorx”, nelle terre selvagge, molti mesi indietro nel tempo. Sembrava fosse passato un secolo, forse addirittura un’intera vita, ma ora erano davvero lì. Pareva incredibile, ma ce l’avevano fatta: quello era il luogo dove la speranza sarebbe rinata, dove la guerra, che Takhisis aveva tanto a lungo cercato e poi scatenato sui popoli liberi di Krynn, sarebbe potuta adesso esser combattuta ad armi pari e perfino vinta, se avessero avuto fede.
Dopo qualche minuto di religioso silenzio, Lord Kanthor mandò una voce a tutti: lì vicino sorgeva una grande polla d’acqua naturale, come una piscina, che lì per lì lasciò i cavalieri di stucco. Tuttavia Estellen azzardò subito l’ipotesi che l’acqua potesse servire nel processo di forgiatura a raffreddare il metallo, prima di dare ad esso una forma definita negli stampi ed infine sull’incudine, ipotesi che venne confermata con un sorriso compiaciuto sia da Theros che da Flint.
L’ergothiano pregò però che oltre all’acqua fossero disponibili anche i "materiali giusti" per poter forgiare le “Dragonlance”. Materiali di cui lui non aveva assolutamente idea di che natura fossero. Aveva portato qualcosa con sé dall’accampamento ergothiano di Sancrist: oro e platino, argento e rame, ma erano andati tutti perduti durante il tumultuoso viaggio che lo aveva condotto lì. Pertanto era un po’ preoccupato di non avere le materie prime per poter svolgere al meglio il suo lavoro.
Tuttavia, quando Stuard lo richiamò, poco distante, all’interno di una specie di camera separata e nascosta, tutto si rivelò nella mente del fabbro, riempiendosi di gloriosi propositi. Dentro questa “stanza” infatti c’era una polla più piccola della precedente, ma piena di un liquido denso, del colore dell’oro ma leggermente più scuro, che emanava una lucentezza il cui aggettivo migliore per definirla, pareva a tutti fosse: "sacra”. Stuard allungò una mano tremante verso di essa e la sfiorò con le dita, rendendosi conto che non era affatto calda, anzi, all’opposto, sembrava piuttosto fredda, immobile e e per niente gorgogliante di ardente vita. Tuttavia questo dettaglio non ne sminuiva certo la bellezza o il portento. Infatti si trattava del mitico e rarissimo “Metallo dei Draghi”: il metallo con cui si potevano forgiare le vere “Dragonlance” e pochissime altre armi benedette dal potere incalcolabile!
Dopo qualche momento di comprensibile stupore da parte di tutti i presenti, Flint sussurrò tra i denti che far avvampare quel metallo sarebbe stata impresa assai ardua, se non impossibile. Si sarebbe resa necessaria la fiamma di un sole o una di potenza mistica inimmaginabile per alimentare un materiale così “speciale”. Estellen sorrise al nano, rispondendo che ciò che egli cercava era il famoso “Soffio di Paladine”. Solo attraverso di esso sarebbero riusciti ad accendere la “Sacra Forgia”, come Fizban le aveva ben spiegato. Capire cosa fosse, dove trovarlo e come usarlo correttamente, era però tutto un altro discorso.
A quel punto i cavalieri, compreso Stuard, lasciarono i fabbri al loro lavoro alla fucina, preferendo andare ad ispezionare meglio l’edificio. Avevano infatti notato una scala a chiocciola, appena arrivati dal passaggio sotterraneo, pertanto decisero di salire ancora ed esplorare chissà quali altri segreti, ancora intatti e nascosti, di quell’enorme ed incredibile tempio.
Nel frattempo Aric cercò di farsi dare da Kail un po’ di contesto. Per lui il tempo si era fermato a dieci anni prima, quindi non aveva idea di cosa stesse succedendo fuori di lì, nel mondo esterno. A dire il vero, non aveva idea nemmeno di quello che stava succedendo dentro quel posto, un po’ troppo pieno di cose strane e mistiche.
Dove si trovavano davvero adesso? Perché quelle persone erano state così motivate, nonostante un drago e altre mille avversità avessero minacciato più volte le loro vite, a raggiungere a tutti i costi quel luogo così aulico e antico? Il mezzelfo provò a spigargli che lì fuori c’era una guerra, che loro erano giunti "lì" perché era ragionevole pensare che "lì" avrebbero trovato le armi per poterla combattere e che con “lì” intendeva la “Montagna del Drago”: un posto per l’appunto particolarmente sacro, sito nell’Ergoth del Sud. Aric cercò di mascherare ogni tipo di pensiero compromettente sull’argomento. Prima di essere uno stregone infatti era un uomo di scienza, un erudito, ed uno con la sua conoscenza dei fatti e dei luoghi di Krynn, non poteva non pensare in maniera prepotente che i termini: “guerra”, “Montagna del Drago” e “nessuna paura di un fottuto “wurm dei ghiacci”, rimandassero a qualcosa di dannatamente epico. Qualcosa come forgiare la “Dragonlance” per esempio, grazie a quello strano e ansioso fabbro ergothiano, al suo braccio d’argento lucente e a quel martello incantato, che assomigliava terribilmente, almeno secondo quanto aveva letto anni prima sull'argomento, al “martello di Kharas”. Tutti i pezzi del puzzle portavano quindi in quella direzione, ma quali nemici avrebbero dovuto combattere? Sperava vivamente non fossero i draghi cromatici, visto che quelli metallici avevano giurato di ritirarsi dal mondo ai tempi della “terza guerra dei draghi”. Senza il loro supporto, anche con la vera "Dragonlance" disponibile, ci sarebbero state davvero poche chance di vittoria.
Aric era talmente immerso nei suoi pensieri, che non riuscì nemmeno ad udire le parole di Estellen, che invitava sia lui che Kail a passare oltre le statue e ad assistere alle meraviglie dell’edificio.
La giovane sacerdotessa spiegò che i loro cuori erano puri, pertanto non avrebbero avuto niente da temere dal giudizio di Paladine. Soprattutto Kail, che si era dato a “Lui” anima e corpo nella “Torre delle Stelle” di Silvanesti.
Dal canto suo, il mago, sembrava rimanere cautamente riluttante a seguire il consiglio di quella strana chierica di Paladine. Non tanto per sé stesso, quanto per lei e i suoi nuovi compagni. Infatti, quando pensava di essersi lasciato convincere dalla melodiosa voce di Estellen, che lo spronava a fidarsi di lei, una voce malsana e beffarda gli esplose contemporaneamente nella testa, invitandolo invece a rifletterci molto attentamente e qualche minuto in più:
“Attento a quel che fai, mago. Rivelare il mio vero aspetto potrebbe metterti in difficoltà con alcuni dei tuoi nuovi amici… a me interessa poco, ma tu dovresti pensarci su molto di più e meglio. Non sarò responsabile di niente, se ti succedesse qualcosa di davvero spiacevole, in seguito alla tua incuria, ti avverto...”
Queste poche ma intense, silenziose parole, scossero l’animo di Aric molto di più che l’intera, maestosa, incredibile "opera muraria" della “Montagna del Drago”!