Il siparietto che si era creato attorno al piccolo falò, riguardava adesso Lord Kanthor e i suoi uomini. Sembrava infatti che non fossero solo il freddo terribile e gli spaventosi non – morti a minacciare la vitalità ed il morale della loro brigata, ma anche un credo fondamentale vigente tra i cavalieri di Solamnia: il culto dei morti! Per quanto potesse forse sembrare inopportuno, vista la situazione, quello era un argomento importantissimo, quasi imprescindibile per chi era un cavaliere e figlio di cavalieri. Uno di quelli che non poteva esser ignorato, a qualunque dei “Tre Ordini” si appartenesse.
“Mio signore, non possiamo lasciare qui i corpi dei nostri compagni…”
Disse un soldato, mentre cercava invano di scaldarsi le mani guantate, soffiando aria calda su di esse.
“E’ vero mio signore, potrebbe accoglierli un destino ben peggiore della morte. Hanno diritto ad una degna sepoltura…”
Sosteneva un altro, spostando il peso del corpo nervosamente da un piede all’altro. Di questo avviso sembrava anche Stuard, che, pur non essendo stato molto loquace in merito, pareva sostenere questa linea di pensiero.
Kail, più pratico, suggerì invece di andare avanti e terminare la missione, magari trovando anche il modo di estirpare la maledizione che aleggiava da decenni su questo corridoio. Ci sarebbe stato poi modo e tempo per tornare indietro, recuperare i cadaveri e, con l’aiuto di apposite slitte e senza avere improbabili draghi bianchi che alitassero sui loro colli, riprendere la via del castello per seppellirli in sicurezza e con tutti gli onori. Ovviamente il mezzelfo non si oppose alla possibilità che alcuni di quei cavalieri potessero preferire invece tornare subito indietro con i loro compagni caduti, sottolineò soltanto il fatto che lui e i suoi amici avrebbero continuato comunque ad andare avanti, con o senza di loro.
Estellen preferì tacere sulla questione, ritenendola troppo delicata, mentre Aric si limitò a fare una o due battute sarcastiche su quanto fosse senza alcun senso per loro tornare indietro arrivati a quel punto, solo per seppellire dei “gusci vuoti” che non sarebbero andati da nessuna parte. Fortunatamente nessuno diede peso più di tanto alle sue caustiche parole.
Lord Kanthor Broadblade ascoltò il parere di tutti, in silenzio. Poi alzò le mani per quietare i bisbigli dei suoi sottoposti e disse:
“Capisco i vostri sentimenti miei cavalieri ed amici, che condivido. Ma non possiamo fermarci ora. Quanto manca secondo voi a raggiungere il nostro obiettivo, Sir Kail?”
Lo scout non si attardò a rispondere: essendosi confrontato poco prima con il nano, aveva stimato l’arrivo a destinazione più o meno in dieci/dodici ore di cammino. Non – morti o altre calamità simili permettendo. Considerando dunque che adesso in superficie era sera, riteneva che alle prime ore del mattino successivo sarebbero arrivati proprio sotto “Foghaven Vale”. Il punto preciso in cui sarebbero finiti però, lo ignorava del tutto. Broadblade annuì, poi continuò.
“Pertanto lasceremo i nostri amati compagni qui, per ora… verremo a prenderli più tardi, dopo aver trovato la fine del condotto e liberato il passaggio dalla maledizione…”
I soldati si guardarono un po’ perplessi, ma nessuno di loro ebbe sufficiente coraggio di chiedere al loro comandante come avesse intenzione di farlo. Inoltre Theros pose un’altra spigolosa domanda, forse ancor più importante di quella appena taciuta dai cavalieri:
“E invece come pensate di liberare questo maledetto passaggio dalle spire del drago bianco, mio signore?”
Lord Kanthor schioccò le labbra e si mosse verso il fuoco, protendendo le mani gelate verso di esso.
“Non ne ho idea, mastro fabbro. Tuttavia, abbiamo solo la testimonianza di questo mago a riguardo, congelato qui oltre dieci anni fa. Molte cose potrebbero esser cambiate nel frattempo… non dobbiamo cedere alla disperazione, ma avere fiducia. Fiducia nei nostri mezzi e nella volontà di Paladine…”
Le parole del cavaliere della spada erano state come sempre molto convincenti, ma nel profondo del proprio cuore, nessuno dei suoi uomini riuscì a crederci veramente: la fede era un sentimento che ormai quasi tutti avevano smarrito in quell’inferno di ghiaccio e morte. In ogni caso, nessuno osò contrastare la sua volontà e chiunque attorno a quel falò, dopo qualche secondo di silenzio, iniziò a prepararsi per riprendere il viaggio.
Aric era piuttosto perplesso sul da farsi. Di certo non aveva voglia di finire una seconda volta tra le grinfie di un maledetto lucertolone dei ghiacci, ma iniziava a pensare che tornare indietro, verso il castello, poteva non essere la soluzione migliore. Soprattutto alla luce di quello che stava per capitargli. Kail infatti, incuriositosi per uno strano bagliore che la sua vista elfica aveva notato per un fugace istante tra le rocce e la brina, era andato a controllare, ed aveva rinvenuto, molto vicino al punto in cui la gabbia di ghiaccio dello stregone si era infranta, un curioso oggetto.
Si trattava all’apparenza di una semplice clessidra, come quelle che erano spesso presenti negli studi dei maghi, ma dal modo in cui il mezzelfo la stava osservando, Aric iniziava a credere che nascondesse ben più profondi segreti. Pertanto si avvicinò, chiedendogli spiegazioni.
Kail ammise subito di esser molto sorpreso di aver trovato un oggetto simile proprio in quell’ignoto passaggio sigillato da secoli, soprattutto perché quel genere di artefatto l’aveva già visto prima, sebbene funzionante. Si trattava di un “nodo del cronomante”, almeno così l’avevano definito prima Dorian e poi Keegal, due stregoni appartenenti alla congrega dei “Guardiani del Tempo”: qualunque cosa "questa definizione" volesse significare. Quel gingillo aveva salvato le loro vite in almeno due occasioni, richiamando sul posto il "cronomante" più vicino a quel momento storico specifico, indicandogli in quel modo che un suo collega aveva chiesto il suo ausilio per coloro che avevano risvegliato il suo potere.
Aric ascoltava con attenzione le parole del mezzelfo, ma francamente aveva trovato poche informazioni utili che potessero aiutarlo a capire che cosa gli fosse successo laggiù circa dieci anni prima. Tuttavia, era innegabile che quelle strane persone ne sapessero più di lui su certi argomenti, tra l’altro per lui molto interessanti e che forse disfarsene troppo presto poteva rappresentare una soluzione al momento sbagliata.
Aric annuì ai suoi stessi ragionamenti, poi domandò a Kail se poteva mostrargli un momento la clessidra. Ovviamente lo scout acconsentì.
L’artefatto era rotto e logorato dal passare inesorabile del tempo, ma un mago che si rispettava riusciva a cogliere dettagli utili anche da oggetti infranti e apparentemente privi di utilità, grazie alla sua arte. Rigirandolo tosto tra le dita, lo stregone chiuse gli occhi e si concentrò, salmodiando poi tra i denti un incantesimo rivelatore.
Comprendere ciò che aveva visto un oggetto anche se mistico non era mai semplice, ma la giusta magia l’avrebbe certamente aiutato ad ottenere qualche piccolo particolare su ciò che era capitato a chi aveva maneggiato per ultimo quella clessidra. Quando riaprì gli occhi, Aric vide disegnarsi nella sua mente delle immagini. Immagini confuse di uno stregone come lui, che sfilava velocemente quella stessa clessidra da dentro una tasca nascosta della sua veste, posizionandola nello stesso punto ove era stata trovata da Kail, per poi fuggire via spaventato a morte. Il mago dovette concentrarsi ancor di più per capire cosa l’avesse atterrito in quel modo, ma quando lo scoprì, condivise appieno il terrore del suo collega: un drago infatti aveva appena fatto capolino dall’oscurità una decina di metri più avanti e si stava avvicinando velocemente e minacciosamente al suo collega!
Aric era sicuro che si trattasse proprio di un drago, poiché riuscì a vederne il riflesso del volto, affusolato e spaventoso come quello dei rettili, attraverso il ghiaccio. Rabbioso e furibondo come molti della sua specie. Aggrottando le sopracciglia, lo stregone cercò di spremere ancor di più il suo incantesimo per raccogliere ogni briciola di informazione in più e in effetti riuscì a notare un’ultima insperata scena, che lo confuse, se ciò fosse stato possibile, ancor di più. Un altro stregone infatti, aveva in seguito raccolto l’artefatto e l’aveva distrutto con un incantesimo potente. In due momenti sicuramente diversi, entrambi postumi alla sua “ibernazione”.
Non era stato dunque il drago a frantumare e rendere inservibile il piccolo oggetto "segna tempo", ma un altro mago! Ma chi? E perché? In ogni caso avrebbe ragionato in seguito sull’intera faccenda: adesso il rischio di rimanere troppo fermo e congelarsi con quel freddo mortale era davvero troppo elevato, per cui restituì la clessidra al mezzelfo e si accodò agli altri.
Il cammino della compagnia fu bruscamente interrotto nemmeno un’ora dopo: notando le condizioni disperate del resto del gruppo, Estellen, anche lei quasi congelata e stremata oltre umana tolleranza, comprese che sarebbero presto morti tutti se non avesse invocato subito l’aiuto di Paladine. Pertanto fece fermare l’intera compagnia e con uno sforzo davvero immenso si concentrò e pregò il suo dio di assisterla: se E’li non l’avesse accontentata, la sua missione e quella di Flint e Theros, sarebbero finite poco più avanti.
Fortunatamente però, la volontà del “Drago di Platino” scese limpida e rapida su di lei e i suoi amici e compagni, che trovarono perlomeno il sollievo di tornare a sentirsi di nuovo le mani e i piedi. Il freddo rimaneva comunque pungente ed intenso, ma perlomeno adesso, stringendo i denti, poteva esser tollerato. Inutile dire in che modo i cavalieri osannarono la figlia di Paladine per questo ennesimo prodigio! Soddisfatta, Estellen si chiuse tremante nel suo mantello e si appoggiò al forte braccio di Stuard.
Proseguirono senza sosta fino al mattino, a una, forse due ore dal punto in cui si pensava quel corridoio infernale dovesse finire. Tuttavia gli incubi per loro non si erano affatto sopiti: nell’ultimo tratto di strada infatti la roccia era stata quasi completamente frantumata e sostituita da una spessa lastra di ghiaccio. Sotto di essa, l’acqua gelida dell’oceano aveva trovato il modo di filtrare attraverso la roccia, ovviamente non a causa di smottamenti naturali, ma per via di “qualcosa” o “qualcuno” abbastanza forte da scavare cunicoli e da permetterle il passaggio.
Quando la luce del bastone di Aric fece una panoramica su ciò che si apriva davanti a loro, i nostri eroi notarono che la superficie ghiacciata non era uniforme, ma presentava dei larghi fori, delle spaccature lungo il percorso. Inoltre, sembrava che scivolare sul ghiaccio, ancora per diversi chilometri, non fosse il pericolo maggiore in quel nuovo ed inquietante scenario: un’ombra scura infatti aveva appena superato la loro posizione, nuotando sott’acqua silenziosa come una promessa di morte.
Quando una mano artigliata aveva afferrato il ghiaccio e si era tirata su da uno di quei fori, rivelando un possente Thanoi, era ormai troppo tardi per fuggire!