La sfera di luce sospesa a mezzaria, che aveva avvolto nelle sue spire Kail, si depositò dolcemente sul terreno. Pian piano si assestò, come facevano gli uccelli quando si posavano sugli altii rami degli alberi. Nel giro di qualche secondo la luce intensa come un sole sfumò via, rivelando di nuovo la sagoma in carne ed ossa di Estellen.
La ragazza sembrava frastornata e confusa: faticava quasi a capire dove fosse e cosa fosse successo. Ogni volta che traslava con il suo alter ego divino, la assalivano con prepotenza disorientamento e afasia: prima o poi avrebbe avuto la necessità di riuscire a padroneggiare queste due fasi o avrebbe rischiato di rimanere incastrata tra l’umano e il divino. A metà strada tra materiale e spirituale: un rischio di cui la sua amica Ailin le aveva più volte rammentato di non correre. Estellen guardò il “Wight” e per un momento rabbrividì, al solo pensiero di poter finire in un modo simile. Doveva stare attenta.
Il mezzelfo invece era stato letteralmente sradicato da sotto il terriccio e poi lasciato cadere a terra a peso morto. Quindi ora giaceva al suolo, riverso su un fianco. Immobile. Sir Owen gemeva, sforzandosi di offrire il suo contributo nell’andare a vedere se lo scout fosse ancora vivo, ma invano: le gambe non rispondevano ai suoi comandi e la schiena gli doleva come mai ricordasse prima. Sofferente, a malincuore dovette desistere, allungando le gambe in cerca di un po’ di sollievo.
L’unico che poteva agire liberamente era dunque il cavaliere. Con uno sforzo sovrumano, Stuard riuscì a svellere l’ultima zolla che opprimeva la sua gamba sinistra e con un agile balzo uscì finalmente dalla sua prigione di terra, in cui il “Wight” l’aveva quasi seppellito. Il suo primo pensiero fu nei confronti di Estellen. Il paladino si precipitò subito dall’amica e la sorresse teneramente. Poi lei lo guardò e i suoi occhi violetti gli sorrisero, colmi di gratitudine. Più per la premura che per l’atto in sé. Stuard si rasserenò quando notò la sua espressione, stanca ma soddisfatta e la abbracciò fraternamente quando lei le sussurrò un semplice: “ciao”. Quindi la fece sedere su un sasso poco distante e, deglutendo per l’ansia, andò a vedere quale sorte era toccata invece all’amico dalle orecchie a punta.
Mentre cautamente si avvicinava a lui, sentimenti e pensieri contrastanti lo assalirono e quasi si vergognò di aver teso l’orecchio a quell’angolo della sua coscienza che gli suggeriva che forse sarebbe stato meglio che il mezzelfo fosse morto. Quando però si chinò, mano sulla spada e scoprì che egli era ancora vivo, non poté evitare di esalare un sospiro di sollievo.
Kail era sopravvissuto e respirava regolarmente!
Chissà come mai aveva sempre sostenuto che sarebbe senza dubbio morto se si fosse sfilato dal collo quel dannato gioiello, nero come la pece. Forse Estellen l’aveva protetto? O forse questo dogma valeva per sé stesso e non per gli altri? Scrollando le spalle, Stuard lo tirò fuori dalla buca di terra ove ancora era sprofondato per metà e lo trascinò per le braccia vicino alla sua amica.
La portavoce di Paladine gli pulì la terra dal viso, poi pronunciò una singola parola e il mezzelfo aprì gli occhi. Tutte le orrende venature, la pelle biancastra e l’aspetto in generale minaccioso e terribile, erano per fortuna svanite. Ora c’era solo Kail.
Lo scout cercò di mettere a fuoco cosa fosse successo, ma descrisse il suo stato psicologico ed emotivo attuale come quello di chi si fosse svegliato da un sonno lunghissimo e pieno di sogni per lo più incomprensibili. Generalmente egli ricordava ogni singolo fatto di quando cadeva preda della magia del medaglione, delle atrocità che era costretto a commettere attraverso di esso. Era questa la vera maledizione! Tuttavia questa volta stentava a mettere a fuoco ciò che era accaduto dopo la sua trasformazione. Notando le frecce sparse per la radura, un po’ troppo inquietantemente vicine ai suoi compagni, immaginava che c’era andato giù pesante, ma non rammentava alcuna azione specifica. Fortunatamente per lui.
Stuard gli descrisse cosa era successo, quello che aveva combinato e in risposta a cosa e Kail si vergognò profondamente delle sue azioni, anche se inconsapevoli. Soprattutto nei confronti di Estellen e di Sir Owen: dal racconto del cavaliereinfatti, c’era mancato davvero poco che li uccidesse entrambi. Ovviamente Kail si scusò con tutti e due, che però compresero perfettamente che la colpa non era stata sua, ma dell’oscuro gioiello che sua madre gli aveva lasciato come fardello ed eredità.
Kail si tirò su e notò subito ove il suo ciondolo di ossidiana era caduto. Per cui gli si avvicinò, ci chinò per raccoglierlo e, stando bene attento a non sfiorarlo nemmeno, si apprestò a confinarlo all’interno di un sacchetto di stoffa che aveva nello zaino. Chissà come era stato possibile che la maledizione si fosse attivata in quello strano modo. Era bastato un incantesimo del “Wight” per indurlo a mutare irreversibilmente, senza che potesse opporre la benché minima resistenza. Mai aveva sperimentato un’esperienza simile, di abbamdono così definitivo. Era stato come cadere da un’altezza vertiginosa e non sperimentare mai il momento del contatto con un fondo. Come precipitare per sempre, senza fine.
Certo, era anche vero che mai aveva subito un incantesimo oscuro così potente. Forse che la natura malevola di questa magia specifica, poteva esser correlata in qualche modo con quella del medaglione?
Improbabile, ma non impossibile.
Eppure egli aveva sempre saputo che esso reagiva quando si trovava nelle vicinanze di creature dalla natura caotica e malvagia che intendevano minacciarlo. Forse che si era sempre sbagliato in merito al suo funzionamento, al segreto della sua attivazione? In effetti anche quando si era scontrato con i filibustieri a Shrentak, ed aveva subito l’orrenda trasformazione, non c’erano né goblin e né orchi tra le loro fila. Solo un mezzorco che stava combattendo con Stuard. E allora come diavolo operava quell’aggeggio infernale? Che scopo aveva veramente?
Mentre rifletteva su questi particolari, vide qualcosa riflesso all’interno dello scuro ovale d’ossidiana: come qualcuno che cercasse di uscire dalla pietra e di manifestarsi a lui. Preso di sorpresa, Kail sgranò gli occhi e lasciò andare il medaglione, spaventato. Il ciondolo finì a terra. Poi iniziò a muoversi e ad agitarsi sinistramente da solo. Infine un’immagine definita, ma traslucida, si manifestò davanti agli occhi di tutti i presenti, esterrefatti.
Si trattava di una donna, vestita con abiti scuri come la notte. Ella si tolse il cappuccio, mostrando delle orecchie a punta inequivocabilmente elfiche. Poi si voltò e Kail ebbe un tuffo al cuore. Il mezzelfo non aveva mai visto sua madre, ma quando era stato a Silvanesti, aveva potuto notare diversi suoi ritratti, ed erano tutti dannatamente simili a quell’immagine di luce che adesso aveva davanti.
Il mezzelfo sapeva bene che quella non poteva essere davvero sua madre, ma solo uno dei suoi lontani ricordi, un lascito impresso all’interno del ciondolo con la magia. Un messaggio destinato a lui, che aveva portato con sé per tutti questi anni inconsapevolmente. Eppure sembrava talmente reale, talmente presente, che per un attimo allungò la mano verso di lei, come se si aspettasse una sua reazione fisica. Fissando un punto che non era quello dove lui la stava guardando a bocca aperta, Eyne iniziò un monologo tanto lungo quanto ricco di incredibili illuminazioni.
“Figlio mio, se sei riuscito a toglierti il medaglione, sai già quasi tutto. Di Cyan Bloodbane e delle sue astute bugie e della mia inevitabile caduta. Tuttavia c’e qualcosa che forse ancora non sai, che tuo padre non ti ha detto, né avrebbe potuto dirti dopo che ti ha portato via di me. Il motivo per cui ho voluto che tu portassi questo medaglione sempre con te. Prima di fuggire via, ferita e disperata, gli ho urlato che saresti morto se avesse provato a togliertelo. Ho puntato sulla sua superstizione, non mi restava molto altro da fare. In ogni caso, non so come o dove, ma sono convinta che la risposta alle domande che in questo momento ti starai facendo, giacciono all’interno del suo stesso maniero. Durante la mia prigionia, ho quasi ripudiato ogni cosa, perfino l’amore che tuo padre decise di donarmi… ma una cosa solo non rinnegherò mai: il fatto di averti avuto. Mi chiedi se l’ho manipolato? Si l’ho fatto, il mio cuore è morto a Silvanesti, come penso avrai scoperto, ucciso da un maledetto drago verde, ma non avrei mai potuto manipolare te. Quello che ho fatto, l’ho fatto per proteggerti. So che ti sarà stato detto il contrario e forse le circostanze potrebbero lasciarti pensare questo, ma ciò che indossi non è un oggetto maledetto… beh si, lo è, ma è stato pensato per difenderti e non per costringerti ad una vita di rinunce e sofferenza. Finchè non recupererai il “sigillo”, non sarai mai completo e la maledizione del “wurmslayer” proverà sempre a prendere il sopravvento. La sua volontà è troppo forte. Figlio mio, vorrei poterti dire di più, sul suo funzionamento e su come andrebbe utilizzato, ma vedo che fino ad adesso sei stato abbastanza in gamba da sfuggire allo sguardo attento del dragone, quindi potresti riuscire a capirlo da solo. Magari con l’aiuto di un chierico scuro, un antico servitore di Takhisis come me. Sii cauto, Cyan ha piani su di te: queste creature ragionano in termini di anni, di secoli. Non sono come noi. Sono certa che un giorno ci rivedremo, figlio mio. Per adesso, addio.”
L’immagine si consumò all’improvviso, svanendo all’istante dopo aver pronunciato quella struggente frase di commiato.
Il silenzio scese pesante sulla radura.
Poi Kail andò a recuperare il ciondolo, legandoselo stretto alla cintura. Poteva credere o non credere alle parole della madre, ma esse avevano una coerenza più che plausibile. D’altronde, egli aveva conosciuto la versione di Astarte, che era stata a lui riportata a sua volta da suo padre. Tuttavia, cosa ne poteva sapere un cavaliere di maledizioni e di ciondoli oscuri? E se il “Drago Verde” avesse visto qualcosa nel destino di Eyne Londelle? E se quel viaggio che lei aveva intrapreso verso “Dargaard Keep” fosse stato programmato da “Lui” anziché da Takhisis, affinché suo padre la prendesse prigioniera e se ne innamorasse? In fondo, quanti umani avevano amato davvero degli elfi e viceversa? Era successo tra Lord Soth e Isolde e tutti sapevano come fosse finita e certamente anche tra suo padre e sua madre non c’era stato un epilogo migliore. Esistevano certo delle eccezioni, come quella tra Alhana e Sturm, ma aveva quasi la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto anche tra loro due. Umani ed elfi avevano nature troppo differenti. Destini troppo diversi.
La voce di Sir Owen per fortuna squarciò quel silenzio ormai ridondante.
“Quella era vostra madre, Kail?”
Commentò il cavaliere, ormai sommerso da cose davvero incredibili che capitavano sempre a quegli strani avventurieri. Il mezzelfo assentì. Inarcando un sopracciglio, il governatore di Welmet non aggiunse altro, trovando la forza con una smorfia di dolore di rimettersi in piedi. Poi si voltò verso Estellen e domandò:
“Il corpo di Therese è….ancora maledetto, milady?”
Con una pena infinita nel cuore, osservando l’immensa sofferenza di quell’uomo, anche la portavoce di Paladine, sorridendo stancamente, annuì.
Sir Owen si chinò quindi sul povero corpo martoriato di Therese, si sfilò il mantello e avvolse quel fagotto di carne il meglio che gli fu possibile, affinché venisse coperto da sguardi curiosi ed indiscreti. Poi lo sollevò da terra e si avvicinò ai nostri eroi, tutti rimasti immobili econ il cuore gravido per la pena.
“Dobbiamo andare signori. Abbiamo una città da difendere. Ancora non sappiamo nulla di cosa potrebbe aver fatto il gigante alle navi e ai miei uomini. Sbrighiamoci!”
Già, il gigante. Eppure Stuard era convinto che, sconfitto il “Wight”, esso avesse istantaneamente abbandonato Welmet ed il suo piccolo pontile. Era solo una sensazione ovviamente, ma tutto quello che avevano vissuto in quella maledetta radura puzzava terribilmente di trappola.
Il lascito di Eyne Londelle.
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- Scritto da Mike Steinberg
- Categoria: Krynn
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