Il gruppo si svegliò presto al mattino e ringraziò gli dei per averlo fatto. Ci misero meno a lasciare quella topaia di stanza che ad aprire gli occhi e mettersi in piedi.
Stuard andò subito a pagare l’oste, mentre Estellen notò alcuni nani seduti tristemente da una parte. Kail invece uscì a grandi passi dalla locanda, schifato dai cadaveri della sera prima che ancora giacevano straziati sul pavimento.
L’oste stava sistemando la testa mozzata dell’orco dentro una strana sostanza gelatinosa per impagliarla e appenderla da qualche parte e Stuard, davvero disgustato, si sbrigò a saldarlo e ad uscire anche lui da quella cloaca di taverna.
Estellen era riuscita a scambiare due parole con quei nani e le sue sensazioni trovarono conferma. Essi infatti facevano parte di una delegazione di nani che tutti gli anni si recavano in pellegrinaggio alla “forgia di Reorx”, nel nord del Blodhelm, per portare omaggio al dio della forgia. Purtroppo era intervenuto un evento nefasto, che aveva riguardato gli orchi e il loro leader spirituale, che lì per lì Estellen non afferrò bene, ma che in qualche modo aveva vanificato il loro viaggio. Poi Stuard l’aveva richiamata, intimandole di non allontanarsi troppo da lui e Kail e la giovane aveva abbandonato la discussione.
Nel frattempo Kail aveva dato un’occhiata in giro, notando che la piccola città era tutto sommato ben organizzata: c’erano quattro macellerie, tre forni, due armerie e almeno due grandi negozi di “tutto per la casa”. Il problema era il caos che si creava per le strade. I mercanti infatti si fermavano in mezzo la via maestra e mettevano le merci su dei carretti appositi, senza alcun controllo da parte della milizia cittadina. Questo causava spesso una bolgia allucinante, discussioni a non finire e amputazioni e morti occasionali.
Insomma mentre camminavano verso il “palazzo reale”, notarono che in fondo le cose potevano anche funzionare a Langtree, se ci fosse stato più controllo e quindi più guardie e soprattutto meno residenti criminali. Infatti la maggior parte di quelli che stanziavano in città erano dei tipacci inenarrabili, giunti qui, in un luogo disperato, perché anch’essi erano disperati. Chi altri infatti avrebbe voluto vivere in un postaccio del genere?
Comunque gli edifici in legno non erano fatiscenti o almeno non troppo e il gruppo poté notare quanto quella città rispecchiasse il nome di chi la comandava: Ivor, il barone pazzo.
La strada principale deviò poi verso destra, mostrando un’area più pulita e ordinata della precedente. Il palazzo del barone si stagliava davanti a loro a meno di cinquanta metri, circondata da una serie di costruzioni di pregevole fattura. Forse quelle erano le abitazioni dei ricchi di Langtree, pensò Kail: d’altronde qualcuno aveva dovuto pur finanziarne la costruzione e la manutenzione.
L’edificio che colpì però maggiormente l’attenzione dei nostri eroi fu uno che portava delle strane insegne. Aveva la forma di un tempio, ma poco sopra l’entrata, aveva una specie di arazzo verticale di colore giallo, che mostrava un occhio umano inscritto all’interno. Kail bisbigliò che quella doveva essere la chiesa dei falsi dei, dei “Cercatori” e si raccomandò ad Estellen di non agire in maniera sconsiderata. La giovane domandò al mezzelfo di definirle la parola “sconsiderata”, ma prima che lui potesse risponderle, la porta della chiesa si aprì, rivelando un uomo ferito che si appoggiava alla moglie e a suo figlio per camminare. Intanto quella era la prima donna che avevano visto durante la permanenza a Langtree e ciò avallava la teoria che questa doveva essere la parte “in” della città, dove ci potevano abitare anche delle famiglie e persone più o meno normali. Inoltre sembrava che l’uomo avesse una gamba praticamente in cancrena e si lamentava moltissimo per il dolore.
Tuttavia non fu quello il punto di cui i nostri eroi si inorridirono di più, ma fu quando sull’uscio si mostrò un uomo calvo, sulla sessantina, vestito con una tonaca gialla che aveva un occhio disegnato sul davanti, che si pronunciò a voce alta in direzione di quei disperati. Egli li avvertì che la prossima seduta sarebbe andata meglio (quel giorno gli dei non erano in ascolto) e gli rammentò di portare i soldi per ottenere l’aiuto richiesto.
Estellen fumava dalla rabbia, riuscì solo a dire a mezza bocca a Kail che quella era una cosa “sconsiderata”. Truffare la gente malata per ottenere soldi. Non poteva tolleralo! Solo la grande pazienza di Stuard, che ben la conosceva, riuscì a riportarla alla ragione. Quindi decisero di parlare con il Barone, ottenere il lasciapassare e la scorta per Vantal e poi tornare in quel tempio della menzogna per fare quello che andava fatto. Estellen ci mise un po’ a calmarsi, ma poi accettò il consiglio del compagno.
Quindi, a passo veloce, arrivarono al palazzo del barone.
Stuard dovette bussare due volte prima che un ciambellano avvinazzato già di prima mattina si degnasse di accoglierli dentro il palazzo. Disse di chiamarsi Lafty e di essere al servizio del barone. Stuard presentò se stesso e la sua casata e il corpulento ciambellano si mostrò compiaciuto di avere un simile ospite nella casa del barone. Certo, erano le sette del mattino e a quell’ora la gente normale dormiva, ma d’altro canto Stuard era un cavaliere e probabilmente la Misura imponeva di svegliarsi presto la mattina.
Rafty salutò con finta deferenza Estellen e fece una faccia abbastanza schifata quando fece entrare Kail.
Fece poi da scorta ai suoi ospiti in una piccola sala d’aspetto. Poi bussò ad una grande porta di legno.
Estellen rimase compiaciuta da un forte odore di pane caldo che si levava dalle cucine. Aveva molta fame.
Lafty alla fine entrò e si vide riversare addosso tutta l’ira del barone, che evidentemente non stava per niente dormendo. Quando però il ciambellano spiegò che alla porta c’erano ospiti importanti, il barone, in vestaglia e pantofole, cercò di darsi un tono e li invitò ad entrare.
La stanza in questione avrebbe dovuto essere una sala tattica, per cui era ampia e spaziosa, ma era chiaro che ormai aveva perso la funzione originaria. C’era un po’ di disordine, ma niente in confronto alla locanda che si erano lasciati alle spalle.
Kail notò che su uno dei divani c’era una coperta ed un cuscino, chiaro segno che il barone aveva dormito qui la notte passata. Inoltre il mezzelfo notò anche qualcos’altro: vicino alla finestra c’era un treppiede con un dipinto appoggiato sopra. Tuttavia erano troppo lontani per capire che tipo di raffigurazione il barone avesse impresso sulla tela.
Il dignitario si mise seduto dietro la scrivania, continuando a sforzarsi di essere presentabile, poi incoraggiò i nostri eroi ad avvicinarsi e parlare con lui.