La prima cosa che Stuard realizzò quando aprì gli occhi, fu che la droga che avevano usato per sopraffarlo era davvero eccellente. Nonostante tutti i suoi sforzi infatti, riusciva a malapena a muoversi.
Il suo primo pensiero andò come sempre ad Estellen, che anche lei stava cercando disperatamente di riprendersi, ma invano. Kail invece giaceva immobile poco distante, mentre di Flint e Theros non vi era alcuna traccia.
La rabbia e la preoccupazione per i suoi amici iniziarono a salire nel cervello e nel cuore del cavaliere, che, con immenso sforzo, provò perlomeno a mettersi seduto sul pavimento di pietra. Udiva delle voci ovattate vicino, ma ancora non riusciva a mettere a fuoco le parole per comprenderle correttamente. Era consapevole solo che si trattava di due persone che stavano litigando animatamente su un tema importante e c’era da scommettere che quel tema riguardasse proprio loro!
Il giovane cavaliere non si rassegnava a dover credere che Sir Owen avesse potuto drogarli ed imprigionarli dentro quella che pareva una larga cella quadrata, probabilmente mai utilizzata prima (dunque Kail aveva avuto ragione riguardo un nascosto seminterrato sotto la casa padronale). Eppure le cose stavano proprio così e non riusciva davvero a sopportare che un cavaliere, così caro a Lord Gunthar, potesse agire così vigliaccamente.
Stuard si strofinò violentemente il viso nel tentativo di riprendere il controllo sui propri sensi, ed in effetti si rese conto che, più passava il tempo, più le cose andavano meglio. Avrebbe solo voluto capire il senso di quell’intenso vociare che gli vorticava intorno senza sosta, causandogli un gran mal di testa.
Girando poi per puro caso il capo da un lato, notò che qualcuno aveva sistemato su una rozza sporgenza di pietra una brocca d’acqua e tre bicchieri.
“Quanta premura…” Pensò tra sé.
Pregando quindi Kiri – Jolith di dargli la forza necessaria per raggiungerli, si affannò prima a mettersi sulle ginocchia e poi, quasi strisciando, a riempirne uno per Estellen e uno per sé stesso. La sua giovane amica bevve avidamente (quella droga metteva una strana arsura), poi cercò con gli occhi di capire, dal volto dell’amico che le teneva sollevata la testa, se fossero in pericolo di vita. Realizzò subito che Stuard ne sapesse quanto lei sull’argomento: probabilmente avrebbero dovuto pazientare qualche altro secondo per rendersene conto. Infatti, pian piano, le voci, da attutite e scure, si fecero sempre più chiare e sottili, rivelando finalmente alcuni contenuti, francamente poco piacevoli, dell'animata discussione tra i due uomini oltre le sbarre.
“Che ci fanno questi pagliacci ancora vivi, Owen??”
Urlò ad un certo punto una delle due voci.
“Ti avevo dato delle istruzioni precise: ucciderli immediatamente. Perché non hai ancora ottemperato?”
A parlare era stato un uomo paffuto, vestito con una livrea gialla, che palesava un occhio aperto ricamato sopra. Si trattava quasi certamente del prete cercatore di cui il governatore aveva un ritratto appeso fuori dalla stanza. Gli occhi e gli orecchi di Estellen e Stuard bruciavano e dolevano, ma i due amici non avevano dubbi: il prelato stava inveendo contro Sir Owen in malo modo!
La giovane sacerdotessa di Paladine, non aveva mai visto degli occhi malevoli come quelli di Strauss. Nemmeno in Drackart. Nemmeno in Ariakas stesso. Il suo era un odio sconfinato. L’odio di chi sapeva di essere un ingannatore, un vile approfittatore delle debolezze della gente, invidioso di chi invece rappresentava davvero la purezza e il verbo degli dei. Con indicibile livore, l’opulento prete gridò, rivolgendo un dito accusatore verso i nostri eroi:
“Questi… questi sono gli assassini dell’alto prelato Roderick! Meritano di morire subito!”
Sir Owen schioccò le labbra in segno di disappunto. Non tanto per via degli insulti ricevuti da Strauss, quanto per quello che egli aveva appena detto sui suoi ospiti e soprattutto per l’esortazione ricevuta ad ucciderli senza pietà, né riprensamenti.
“Se pensate che io farò il lavoro sporco per voi, Strauss, avete capito male. Io non sono un assassino…”
Rispose il cavaliere, disgustato. Non servivano certo le capacità paranormali di Estellen per cogliere appieno il disprezzo genuino di Sir Owen per il prelato, tuttavia egli non gli si opponeva in maniera netta e totale come ci si sarebbe aspettati che facesse. Qualunque cavaliere l’avrebbe fatto come minimo arrestare dopo quelle parole così ingiuriose nei suoi confronti.
Come mai Sir Owen non lo aveva sbattuto in gattabuia? Cosa poteva esserci sotto? A questo pensava Kail, che era certamente quello meglio messo dei tre, grazie al suo sangue per metà elfico. Egli aveva scelto di apparire incosciente, ed aveva seguito quasi per intero la conversazione tra i due, trovando anch’egli il comportamento del governatore assai strano. C’era qualcosa che non capiva: una sorta di attrazione e repulsione a tratti davvero inspiegabile.
“Siete solo un vile, Owen… devo forse ricordarvi che vi tengo in pugno? Ho detto di ucciderli, immediatamente. Soprattutto lei, quella cagna spregevole!”
Proprio nel momento in cui il mezzelfo, dopo l’ennesima frase sboccata di Strauss, sembrava aver intuito qualcosa in più dello strano rapporto tra Sir Owen e l’opulento prelato, Stuard aveva deciso di verificare se il suo amico dalle orecchie a punta stava bene oppure no. Ovviamente il cavaliere non poteva sapere che l’immobilità di Kail altro non era che un’astuta strategia, ma quando il mezzelfo gli fece intendere di essere vivo e vegeto, provò a non rovinare ulteriormente i piani dell’amico, fingendo di controllargli il battito per poi lasciarlo perdere.
Quando però Stuard udì quell’insulto così greve nei confronti di Estellen, afferrò d’istinto il bicchiere di legno e lo scagliò contro il prelato, ringhiando di rabbia. Strauss spalancò la bocca quando notò che il giovane cavaliere era già in piedi e ringraziò gli dei che egli era stato spogliato della sua armatura e delle sue armi. Vigliaccamente, si nascose dietro la massiccia figura del governatore, che sogghignò sfacciatamente, deridendolo senza pudore.
Purtroppo Stuard barcollò e tornò presto in ginocchio. Pian piano però gli stavano tornando i pensieri razionali e le parole: qualche altro minuto e si sarebbe ripreso quasi del tutto, ne era certo.
Estellen invece, sgranando gli occhi per l’incivile oltraggio ricevuto, socchiuse gli occhi minacciosa, sfinita per l’ennesimo comportamento miserabile da parte del falso prete. Levò dunque una mano nella sua direzione, particolare che non sfuggì affatto a Sir Owen e pregò Paladine di fiaccare la favella di quell’uomo davvero spregevole. Tuttavia, le sembrò come se quella droga avesse reciso il legame tra lei ed il suo dio, che ancora percepiva ma che non riusciva ad udire come prima. La cosa le parve però davvero strana: niente di terreno poteva mettersi tra lei e Paladine. Niente poteva disunire il loro vincolo. Guardando Stuard atterrita, cercò conforto e magari una spiegazione sensata dall’amico. Tuttavia il cavaliere non fece in tempo a fare o dire nulla in proposito, perché una voce, calda e melliflua, proveniente da sopra le scale, aveva preso ad echeggiare e rimbalzare sulle pareti intorno a loro.
“E’ inutile che ricordiate al cavaliere quello che sa già da solo, Strauss. Egli è perfettamente a conoscenza di essere costretto ad obbedirvi. Tuttavia, per adesso non morirà nessuno… ”
Tutti, perfino Kail, che si tirò su e si avvicinò dunque ai suoi amici, furono curiosi di capire chi fosse questo nuovo arrivato che, dal tono e dai modi, doveva essere un pezzo forte sulla scacchiera del complotto ordito contro di loro.
“E… ah, mia signora… abbiamo preso una piccola precauzione nei vostri confronti, che ci è costato davvero tanto, ma tanto sangue.”
A parlare era stato Doug: il miliziano che Sir Terence aveva schernito, e, poco tempo dopo, colui che aveva portato il brandy drogato ai nostri eroi! Tirando fuori un piccolo specchio dal panciotto, Doug mostrò ad Estellen un oggetto più unico che raro che lei ed i suoi amici rammentavano molto bene. Si trattava proprio della stessa runa che Reckart aveva messo sopra la loro cella, quando erano stati imprigionati a Vantal. Adesso come allora, il simbolo arcano brillava sopra le teste dei nostri eroi.
“Abbiamo recuperato questo piccolo gioiello proprio per voi, milady… conosciamo bene le vostre capacità e con questa runa ci aspettiamo davvero caldamente di riuscire ad inibirle. Ma non temete: nessuno vi ucciderà oggi.”
Sentenziò il miliziano, che a questo punto tutti capirono che era qualcuno di molto, ma molto più importante rispetto al ruolo che stava recitando nella tenuta Glendower.
Kail spalancò la bocca per lo stupore.
Quell’uomo, che ovviamente nemmeno si chiamava Doug, era certamente un infiltrato della “gilda dei ladri” di Palanthas: avrebbe potuto scommetterci sopra il suo “Gioiello delle Stelle”! Intanto perché ricalcava perfettamente il loro modo di fare, parlare ed agire. Inoltre, solo la gilda di Palanthas poteva sapere della runa, ed avere una chance di recuperarla nella casa stessa del re di Vantal!
Le cose dunque si facevano interessanti, viste dal di fuori. L’unico problema era che invece loro c’erano dentro fino al collo.