La notte passò serenamente.
Nonostante non ci fossero pericoli in giro, Kail stabilì comunque dei turni di guardia, cadenzati come al solito. Theros provò a fargli notare che non c’era nulla che potesse minacciarli in quella foresta sacra, ma evidentemente il mezzelfo percepiva qualcosa nell’aria che non gli piaceva e preferiva rimanere all’erta.
L’indomani mattina Kail, Theros e il vecchio nano furono pronti all’alba, ma Estellen tornò dal regno dei sogni solo qualche ora più tardi e Stuard ancor più tardi di lei. I suoi amici avevano già levato il campo quando il cavaliere riuscì a prendere coscienza di chi fosse e cosa dovesse fare, poi si alzò traballante e insieme agli altri uscirono finalmente dalla foresta. Estellen non ricordava una volta, nemmeno da ragazzina, di avere tanto male alle gambe come in quel momento: perfino fare un passo era doloroso. Tuttavia si fece forza e non perse mai il sorriso, a chiunque, con gli occhi, intuiva ne abbisognasse.
Dopo un paio d’ore si ritrovarono ai piedi della collina antistante i picchi di Baleph, la catena montuosa che tagliava in due l’isola di Christine. Tosto, Kail indicò la via da seguire attorno al colle e dopo poco più di un’ora, il gruppo mise i piedi di nuovo innanzi al grigio maniero.
Di giorno esso appariva meno maestoso di quanto se l’erano immaginato di notte. La struttura centrale era pressoché intatta, ma le quattro torri dell’edificio erano chiaramente piene di crolli, ed erose dalle intemperie. I vessilli del cavalierato non volteggiavano più sui solidi minareti o le svettanti guglie dell'edificio e anche intorno ad esso, c'erano parecchi ruderi e vari pezzi di pietra spezzata.
Inoltre il vento era una caratteristica che non si era affatto mitigata negli ultimi tre giorni: più si avvicinavano al cancello d’entrata e più una forza invisibile e sibilante sembrava tentasse di tenerli lontani.
Stuard alzò fieramente il mento e con coraggio puntò il nero portone, arrugginito e cigolante dai cardini. Scavalcando macerie e altri pochi impedimenti minori, il cavaliere si ritrovò nel cortile interno e con la luce del sole poté finalmente osservare meglio la reale condizione del maniero.
Si intravedeva una piccola balconata a nord, che riparava probabilmente un’importante entrata semi nascosta, mentre ad est e ad ovest spiccavano molte altre porte, ma in diversi punti accompagnate da visibili crolli e sicuramente la maggior parte occluse e rese inaccessibili da tonnellate di roccia. Al centro del cortile spiccavano i resti di una fontana, che Estellen aveva già notato quando era stata lì tre sere prima. Quello che però la giovane non aveva visto era però una piccola statua ai lati della stessa. Frantumata in vari punti, essa era sparsa lì per terra, parzialmente seppellita dalla vegetazione che nel frattempo aveva ricoperto ogni cosa.
All’improvviso, il genio dell’aria si manifestò di nuovo e questa volta furono in due ad affrontarlo, poiché Stuard decise di rimanere al fianco di Estellen. Gli altri si fecero indietro e seguirono Flint, molto incuriosito dai pezzi della statua poco distante.
Stuard coraggiosamente si rivolse all’elementale, dicendogli con orgoglio di essersi sottoposto all’ordalia e che Kiri – Jolith l’aveva infine scelto. Baleph, d’altro canto continuò a vorticare come se nulla fosse: il suo corpo era fatto di vento e il suo volto della stessa sostanza della tempesta. Evocando una voce che sembrava apparire da dietro i nostri eroi, disse:
“Invero, percepisco la presenza di Kiri Jolith in te, cavaliere. Dopo tanti e tanti secoli. Poni dunque la tua domanda. Tutti i cavalieri ne hanno una e il mio secondo compito è quello di risponderti.”
Stuard si guardò intensamente con Estellen. Erano tantissime le domande che aveva potenzialmente da porre a Baleph, sommo genio dell’aria. Domande sul cavalierato, sulla guerra, su quell’isola con quei posti così strani dove nani e cavalieri condividevano una piccola comunità sacra. Tuttavia aveva paura di bruciarsi. Di essere troppo precipitoso. Balbettando qualcosa di vagamente intellegibile, mostrò all’elementale tutta la sua insicurezza sulla questione. Il genio si mosse appena, poi notando che anche Lindaara taceva, aggiunse:
“Se preferisci prima esplorare il maniero o ricevere il “Battesimo” è tuo diritto farlo. Scegli con cautela la tua domanda, poiché non ne avrai una seconda da farmi.”
Stuard annuì e ringraziò Baleph per averlo tolto da questo impaccio.
“Tu e Lindaara potete passare e raggiungere il sacro braciere. Lei saprà cosa fare. Io verrò con voi per assistervi, qualora abbisognaste del mio intervento.”
Lindaara lo ringraziò chinando leggermente il capo, poi prese Stuard per mano e lo trascinò verso l’apertura a nord del maniero. C’era qualcosa dentro di lei che la spingeva a prendere quella direzione e il cavaliere si guardò molto bene dal dissentire.
Presto si trovarono a camminare lungo un lungo e stretto corridoio. La luce del sole filtrava dal soffitto e dalle pareti piene di buchi e crolli, mentre il pavimento era costellato di macerie, resti di quadri e anche qualche animale morto. Alla fine del corridoio c’era una porta semichiusa in legno, molto semplice e comune, come del resto la maggior parte degli orpelli utilizzati per abbellire questo edificio ormai dimenticato. Oltre la porta trovarono una stanza adibita a cappella, con ancora visibili i sacri simboli del dio bisonte e della fenice blu sulle lisce pareti in marmo bianco.
A dispetto dei segni della decadenza che avevano colpito anche quella stanza, al centro di essa spiccava visibile un braciere in ottone, all’apparenza molto antico ed in perfette condizioni. Più si avvicinavano ad esso e più Lindaara percepiva il potere e la presenza di Kiri – Jolith e Habbakuk, la cui voce aveva ascoltato più di una volta. Guardando dentro il contenitore, la sacerdotessa ed il cavaliere rimasero piuttosto perplessi quando scoprirono che in esso non c’era assolutamente niente. Eppure la giovane donna sussurrò a Stuard di non perdere la fede, poiché quell’oggetto era tanto remoto quanto sacro. Esso infatti era stato usato centinaia di volte per battezzare i nuovi paladini e ogni volta, il dio bisonte e la fenice blu avevano offerto al guerriero sacro un pezzetto della propria scintilla divina. Il tempo non avrebbe potuto lavar via quel potere, quel continuo richiamo celeste.
Gli dei erano lì.
Baleph si mosse appena, ma rimase ancora sull’uscio.
Dunque Estellen mosse i palmi delle mani verso l’alto, poi implorò in una lingua dimenticata il dio bisonte ad ascoltarla. Afferrò poi la sua borraccia e fece scivolare all’interno del braciere d’ottone un po’ d’acqua. Nuovamente pronunciò il nome di Kiri – Jolith, ma prima che potesse immergere le mani nel liquido, ora benedetto, col chiaro intento di battezzare l’amico, l’elementale intervenne con la sua tipica voce cavernosa. Il genio dell’aria fece notare ad Estellen che Stuard non aveva un’armatura consacrata che potesse ospitare la benedizione finale del dio e che, senza di quella, il battesimo non poteva consumarsi.
Nuovamente, il cavaliere ed Estellen incrociarono i loro sguardi. Dove avrebbero potuto trovare un’armatura consacrata dentro quel vecchio maniero logoro ed abbandonato? Pur essendo estremamente improbabile, Stuard osservò che se esisteva una speranza di trovarne una, bisognava cercarla da qualche altra parte, poiché di sicuro in quella cappella vuota e spoglia di sicuro non c’era. Quindi sarebbe stato meglio sospendere anche il “battesimo” per ora e ricongiungersi intanto con i loro amici, sperando che un colpo di fortuna finalmente calasse dal cielo su di loro, spianandogli la strada.
Uscì quindi dalla stanza con Estellen al suo fianco e non ce la fece a non pensare a quel braciere, così diverso dal resto degli altri strumenti sacri trovati nella stanza. Esso era qualcosa di molto più antico rispetto all’intero edificio e si domandò chi l’avesse portato lì e perché. Poi, notando i dettagli di quella cappella, la sua semplicità, la scarsità di oggetti sacri presenti nella struttura (almeno in quella visitata), ebbe come la sensazione che quel posto fosse soltanto un luogo di pellegrinaggio, uno di quelli in cui si rendeva omaggio ad una sacralità arcaica e quasi dimenticata, ma già ai tempi del Cataclisma ancora degna di essere ricordata e riverita.
Affrettando il passo per condividere queste sue riflessioni con Kail e gli altri, il cavaliere, la sacerdotessa e l’elementale, arrivarono di nuovo nel cortile.