Caramon si fermò qualche secondo a prendere fiato. Lui ed i suoi amici si trovavano adesso in cima alla torre nera e anche se molte delle finestre erano state sbarrate, da alcune era invece possibile ammirare un magnifico scorcio sulla città splendente. Una vista gloriosa ed incantevole, che presto però sarebbe stata cancellata dall’arroganza del Gran Sacerdote. L’omone indicò una porta, mentre ancora i suoi compagni stavano piegando la schiena per la lunga scalata che si era appena conclusa. Quando finalmente ebbe avuto la certezza che tutti si erano ripresi, Caramon spalancò la nuda porta di legno ed entrò come una furia nel laboratorio del gemello. Raistlin era molto diverso dal fratello: decisamente meno prestante fisicamente e, sebbene suo gemello, all’apparenza più avanti con l’età. Tuttavia, aveva uno sguardo molto più acuto di Caramon e mostrava sempre un bieco cipiglio che rendeva grazie alle sue vesti da mago, nere come la pece. Accanto a lui c’era una donna dai capelli corvini e gli occhi buoni e gentili, che Kail identificò subito come una sacerdotessa di Paladine. La giovane si alzò di scatto quando il gigante fece irruzione nella stanza, puntando un dito accusatore nei confronti del fratello. “Tu. Tu mi hai lasciato nell’arena a morire… che tu sia mille volte maledetto!” La donna, che scoprirono presto si chiamasse Crysania, saltò letteralmente al collo di Caramon, oltremodo felice di rivederlo sano e salvo. Il suo gemello invece fece schioccare le labbra con sdegno e replicò prontamente: “Questo non è vero, fratello. Mi servirai ancora quando torneremo nel nostro tempo, ma ti ringrazio per essere venuto qui, evitandomi il fastidio di venirti a prendere.” Caramon balbettò qualche frase incomprensibile, che esprimeva insieme disgusto e rabbia, ma non ebbe il tempo di replicare con una frase di senso compiuto. Infatti, Raistlin aveva gettato una rapida occhiata indagatrice sui compagni del fratello e poi, assottigliando lo sguardo, aveva bisbigliato severo: “Tu chi sei?” L’arcimago si era rivolto inequivocabilmente al nano. “Non puoi essere certo Flint: il nano è morto anni fa.” Gli sguardi di tutti nella stanza si posero immediatamente su di lui. “Non importa chi sono. Sto cercando Fistandantilus.” Replicò asciutto Flint. Lo sguardo di Raistlin si indurì ancor di più. Afferrò il suo bastone incantato, appartenuto al grande mago Magius e, con aria minacciosa incalzò: “Fistandantilus è morto. Io sono adesso il maestro del passato, del presente e del futuro.” Il nano fece spallucce, come se la cosa non lo toccasse minimamente. “Interessante. Sicché tu avresti ucciso l’arcimago e preso il suo posto?” Questa volta però Raistlin non rispose, limitandosi a puntare il bastone verso di lui come fosse un’arma pronta ad esplodere. “Lo dirò un’ultima volta. Tu chi sei?”. Nel frattempo, Caramon aveva sfoderato il pugnale e si stava avvicinando al gemello di soppiatto, approfittando del momento di confusione. “Io sono Berigthor, il Cromatico e se tu sei il nuovo signore della Torre, devi possedere un “Globo dei Draghi” nel tuo laboratorio. Vorrei che tu me lo mostrassi. Solo per un attimo…” Passò un solo secondo intenso, prima che Raistlin inquadrasse meglio la situazione. Sgranando infine gli occhi, l’arcimago affermò preoccupato: “Tu provieni da un altro tempo e sei nella forma di un nano. Quindi intendi cambiare il futuro! Dobbiamo andare via da qui, subito!” Raistlin si era girato verso Crysania e non aveva visto il gemello avvicinarsi di nascosto col chiaro intento di pugnalarlo. Poco prima che potesse affondare la lama nel fianco del fratello, Crysania, che invece aveva notato i suoi movimenti e capito le sue intenzioni, aveva invocato il potere di Paladine su Caramon, abbagliandolo con la sua luce divina. Dopo l’urlo di confusione e stupore del guerriero, nella stanza si sentì poi solo il cadenzato cantilenare di Raistlin, che operò un incantesimo per fuggire immediatamente da quel laboratorio e forse proprio da quel tempo che a loro non apparteneva. Quando gli occhi smisero di dolere e Kail ed i suoi amici ripresero a vedere normalmente, Raistlin, Caramon e Crysania erano spariti, lasciando tutti perplessi e confusi. Il primo a riprendersi fu il nano, che iniziò a rovistare in ogni dove alla ricerca probabilmente del “Globo dei Draghi” che tanto agognava. Kail tentò di parlare con lui, ma Flint sembrava invasato: i suoi occhi erano colmi di una cupidigia senza freni. Dopo qualche minuto, su una mensola, dove molti volumi dalla copertina blu notte erano stati ordinatamente sistemati uno accanto all’altro, il nano rinvenne un oggetto coperto da un panno scuro. Afferrandolo con religiosa cura, Flint lo depose delicatamente sul tavolo del laboratorio e poi rimosse il pezzo di stoffa che lo velava. Kail sgranò gli occhi alla vista di un vero e autentico “Gobo dei Draghi”! Il vecchio nano aveva lo sguardo estasiato e allo stesso tempo crudele di chi possedeva un’ambizione senza pari. Quando le sue nodose mani si strinsero attorno alla sfera di cristallo, i suoi occhi si volsero immediatamente all’insù, come in preda ad un shock improvviso. Il corpo di Flint si inarcò poi all’indietro e successivamente si afflosciò a terra come uno straccio bagnato. Theros si mosse immediatamente per soccorrerlo, mentre Kail rimase invece fermo ad osservare l’artefatto. Sembrava come se un’ombra più scura delle altre adesso vorticasse all’interno del cristallo, terrorizzando quelle già presenti dentro di esso. Il mezzelfo intuì che parte della forza spirituale di Berigthor ora giaceva dentro la piccola sfera ialina e lentamente, pian piano, cominciava anche ad intuirne il perché. A Kail tornarono in mente infatti le parole di Raistlin a proposito della volontà del Cromatico di cambiare il futuro e farlo in questo preciso momento storico, poteva avere solo una spiegazione: avvertire sé stesso, in questo tempo, di ciò che gli sarebbe capitato se, nello scontro imminente con il Prismatico, avesse scoperto a lui il fianco. Sarebbe stato ucciso, di una morte lenta e dolorosa e sarebbe morto e per niente, perché Takhisis non si sarebbe preoccupato di lui. Se fosse riuscito nel suo intento, la guerra che si stava combattendo nel futuro avrebbe visto arrivare un nuovo protagonista, una scheggia impazzita di proporzioni cosmiche, che avrebbe potuto far pendere la bilancia pesantemente dalla parte delle forze della regina oscura. Non si poteva rischiare. Quindi fece un bel respiro e scaraventò il fragile artefatto per terra, sperando che questo bastasse ad inibire i piani di Berigthor. Sempre che non avesse già fatto in tempo, in quei brevi istanti, ad avvertire il suo alter ego ovviamente. Flint si stava per fortuna rialzando e tutti e tre stavano per uscire finalmente da quella maledetta torre, quando il medaglione di Kail prese a vibrare ferocemente, mentre passavano vicino ad un piccolo baule in un angolo della stanza. Morso dalla curiosità, il mezzelfo si chinò e lo aprì, scoprendo che il lo scuro ciondolo che portava al collo stava reagendo in maniera inquietantemente forte alla presenza di una terribile maschera dalle sembianze di un lupo. O forse di un demone. Ricordando alcuni frammenti relativi alla maledizione che gravava sulla sua testa, Kail afferrò la maschera, la avvolse in un panno e la nascose sotto l’armatura di cuoio da gladiatore. Secondo Keegal e Dorian, la storia non poteva essere cambiata, a meno di interventi divini mirati. Tuttavia ora c’era un nano con loro e la sua natura caotica poteva far si che quell’oggetto, altrimenti condannato a essere dimenticato per via del Cataclisma imminente, non svanisse nel nulla, ma tornasse con lui avanti nel tempo, dove avrebbe potuto studiarlo e capire qualcosa in più sull’oscuro maleficio che sua madre gli aveva trasmesso quando era appena nato. Estellen rimase qualche minuto imbambolata ad osservare la sorella scendere le scale della torre più alta del “Tempio di Paladine”, poi mestamente iniziò a dirigersi fuori dall’edificio, diretta al “Tempio di Mishakal”. Sperava vivamente che sia Stuard che Kail la raggiungessero quanto prima, laddove ardeva la “Fiamma Blu” della dea, così da ricevere la benedizione che tanto agognavano e poi tornare finalmente al proprio tempo. La giovane sacerdotessa pregò Paladine con tutte le forze affinché concedesse al suo amico Gnosh la possibilità di venire con loro. Non sarebbe mai riuscita a perdonarsi se fosse stata costretta a lasciarlo indietro, in balia del Cataclisma. Inoltre lo gnomo aveva anche il problema che riguardava la sua natura, quindi il pericolo che egli potesse inavvertitamente cambiare il futuro, cosa che la preoccupava non poco. Persa nei suoi mille pensieri, la giovane sacerdotessa di Paladine non si accorse nemmeno quando varcò l’uscita del Tempio, sfiorando le migliaia di persone che sciamavano dentro e fuori, inconsapevoli della tragica calamità che si sarebbe abbattuta su Istar entro poche ore. Estellen percorse un viottolo lastricato e poi un altro e un altro ancora, tutti che costeggiavano il grande Tempio su base quadrata dedicato al suo dio: esso era senza dubbio il cuore di Istar! Quindi arrivò a destinazione, fermandosi ad osservare meglio quella struttura almeno dieci volte più piccola e con almeno dieci volte in meno rifiniture, statue e altri generi di inutili abbellimenti e facezie varie. Inutile dire che lo apprezzò molto di più. Con fare fiero, varcò l’ampia cancellata in ferro battuto e si inoltrò attraverso lo spazioso cortile centrale, ove una splendida fontana raffigurante una donna sorridente con le mai rivolte al cielo, spiccava al centro di esso. In alto, sugli otto pinnacoli dell’edificio, si potevano chiaramente notare i vessilli con il sacro simbolo della dea: l’infinito su campo blu e bianco. Estellen si fermò per un secondo a percepire, chiudendo gli occhi, il vento sulla sua pelle che muoveva quei fieri vessilli: una brezza tiepida che sottolineava la presenza di Mishakal in quel luogo rendendolo benedetto e pensò che era davvero un spreco imperdonabile dover rinunciare a così tanta bellezza, alla carezza delicata della dea sulle guance. Quel vento che soffiava alto rappresentava inoltre il “Suo” speciale tocco sui suoi fedeli e la triste consapevolezza che l’intero mondo ne sarebbe presto stato privato la faceva davvero infuriare! Quindi, tra rabbia e mestizia, la giovane riprese il suo cammino e notò da subito un dettaglio assai strano: tutte le sacerdotesse del tempio le mostravano una riverenza esagerata. Anzi, “non dovuta”, visto che era lei che stava all’interno della loro casa. Perfino quelle di rango elevato come il suo chinavano il capo quando la incrociavano. Estellen rispose con un sorriso sincero ad ogni saluto devoto nei suoi confronti, ma in cuor suo era cosciente che quell’atteggiamento era sbagliato e faceva parte di uno scorretto modo di vivere i diversi gradi di consapevolezza spirituale che si raggiungevano all’interno di un tempio come quello. La riverenza, la devozione, dovevano essere sentimenti da mostrare solo nei confronti degli dei. Tra i mortali, quelli più avanti avrebbero dovuto solamente aiutare quelli più indietro e da questi ultimi non avrebbero dovuto essere idolatrati o ammirati fanaticamente, ma solo riconosciuti come più preparati e quindi rispettati per questo. Scuotendo la testa la dama bianca si fermò. Aveva da poco superato la zampillante fontana. Decise quindi di intercettare una giovane sacerdotessa della dea per chiederle aiuto: anche sul punto di morte si poteva imparare ed insegnare qualcosa. La giovane adepta di Mishakal che aveva risposto al suo richiamo aveva la sua stessa età, più o meno, ma sicuramente ne sapeva molto più di lei sulle questioni ecclesiastiche e soprattutto su come era strutturato quell’edificio. Estellen infatti le domandò se poteva accompagnarla presso la “Fiamma Blu”: l’altare sempre ardente che rappresentava la benevolenza della dea nei confronti dei suoi figli e magari scambiare due chiacchiere con lei. La ragazza, dapprima un po’ impacciata per via della insolita richiesta di un’alta sacerdotessa di Paladine, alla fine acconsentì con piacere di scortarla a destinazione e a sostenere un sereno confronto con lei. Estellen sostenne con estrema convinzione che non c’era nessuna differenza tra di loro: le storie che il Gran Sacerdote le aveva inculcato non erano vere, Paladine e Mishakal erano due divinità, peraltro unite in matrimonio, che non erano e non dovevano mai essere messe in competizione. Non c’era “quella più forte” e “quello più debole” e viceversa, ma due genitori che amavano allo stesso modo i loro figli e che cercavano, con strumenti diversi, di crescerli nel migliore dei modi. Alle volte punendoli anche, se questo poteva servire a migliorarli. Nacque così una bella conversazione, con la giovane sacerdotessa di Mishakal che, messa così a proprio agio da Estellen, alla fine si sciolse rivelando una grande preparazione e competenza dei testi sacri. Le due donne alla fine si trovarono d’accordo e Estellen sperò vivamente che se un giorno avesse avuto un figlio o una figlia, avrebbe potuto studiare e diventare proprio come quella giovane seguace della dea. Forte e preparata, forgiata da anni di studio: una cosa che lei non aveva purtroppo mai avuto l’opportunità di fare. Poco prima di lasciarla andare alle sue mansioni, la portavoce di Paladine le chiese un ultimo favore: nei pressi del Tempio sarebbero presto arrivati alcuni suoi amici: un cavaliere, un mezzelfo, un nano e un ergothiano. Qualora li avesse notati, le domandò se poteva mandarli da lei, qui, al centro dell’edificio, innanzi la “Fiamma Blu”. La giovane adepta vestita di blu sorrise ed annuì, accettando con piacere l’incarico. Le due sacerdotesse dunque si salutarono, ed Estellen rimase sola, sola davanti il sacro braciere e notò subito che qualcosa non andava in esso. Inoltre, qualcuno di estremamente inatteso sembrava aspettarla da diverso tempo lì accanto. Stuard venne disarmato e condotto al maniero di Lord Soth insieme alla moglie e al figlio del signore del feudo. La sua arma era stata sì confiscata, ma egli non era stato legato o imbavagliato come un prigioniero qualunque: questi dettagli li avrebbe decisi il cavaliere della rosa, così come della sua vita. Arrivati al maneggio, il giovane cavaliere fu fatto scendere da cavallo e condotto innanzi al signore del maniero, in attesa sull’uscio. Con la mano ferma sulla spada e il mantello che era accarezzato dal vento, Lord Soth sembrava una statua: perfetta rappresentazione della decadenza dei cavalieri di Solamnia di quel tempo. Sir Caradoc andò a fare rapporto, spiegandogli cosa fosse successo nel bosco e lo sguardo del cavaliere della rosa si indurì a tal punto che sembrava fosse prossimo a sguainare la spada e ad ucciderli tutti e tre seduta stante. Serrando la mascella, egli ordinò al suo luogotenente di portare dentro l’edificio sua moglie e suo figlio, mentre egli si avvicinava a Stuard, squadrandolo da testa a piedi. “E così disubbidisci agli ordini. Non è una cosa inusuale per te, vero Sir Stuard? Tuttavia temo che tu sia andato molto oltre questa volta. Da come l’hai difesa, sembra infatti che abbiamo trovato l’amante di mia moglie…” Il giovane cavaliere ovviamente negò fermamente quella infamante accusa, ma ormai Soth era esploso e la sua ira era diventata talmente palpabile, che gli altri cavalieri si tenevano tutti ben lontani da lui. “Non ti credo! Adesso verrai con me, voglio che tu assista alle conseguenze della tua infamia e che lei ammetta il suo tradimento, la sua ignobile onta!” Urlò il cavaliere della rosa, furibondo. Stuard notò che un velo di follia soggiaceva come una patina opaca nei suoi occhi. Come un’ombra liquida che gli annebbiava la mente invece che la vista. Il giovane cavaliere provò a difendersi, ma sapeva che era tutto inutile: niente avrebbe fatto cambiar idea ad un uomo così superbo! Due cavalieri lo afferrarono dunque per le braccia e lo portarono dentro il maniero, nell’ampia sala da pranzo riscaldata dal fuoco. Isolde e suo figlio giacevano tremanti su una panca di legno, guardati a vista da un altro cavaliere. “Ecco il tuo amante!” Gridò Soth alla moglie, indicando Stuart! “Ammetti la tua colpa e avrai salva la vita!” Concluse il cavaliere della rosa, come se avesse offerto ad Isolde un segno inequivocabile della sua magnanimità. Tuttavia l’elfa non aveva nessuna intenzione di ammettere ciò che non aveva fatto. Inoltre, farlo ad un assassino, che aveva appena fatto uccidere una sua buona amica nel bosco, era davvero impensabile. Invece prese la parola per accusare apertamente, davanti a tutti i suoi cavalieri, l’indifendibile scelleratezza di suo marito: un uomo folle, accecato dalla rabbia e dalla gelosia. Un assassino violento, che aveva ucciso già la sua ex moglie e il suo sfortunato figlio, solo perché quella povera creatura era nata malferma. Gli vomitò sopra il suo disprezzo per aver creduto a persone invidiose e dalla lingua biforcuta, piuttosto che a Paladine in persona. Non era ancora troppo tardi per redimersi: la soluzione per salvare la propria anima e la vita di migliaia di persone era ancora alla sua portata: sarebbe bastato tornare ad Istar e fermare il Gran Sacerdote. Tuttavia il silenzio di Soth confermava ciò che pensava di lui, era una testimonianza sicura di tutto ciò che gli aveva appena urlato contro! Il signore del maniero all’inizio non replicò. Sembrava una statua di sale, che stava contemplando ogni singola frase di quell’elfa che ancora era sua moglie. Egli non donò né a lei, né al suo piccolo figlio, che Isolde teneva ancora in braccio, un singolo, compassionevole sguardo. Quando Isolde terminò la sua terribile accusa e le pareti di pietra avevano smesso di amplificare il peso e la violenza delle sue parole, Lord Soth schioccò le labbra si avvicinò minaccioso di qualche passo. Quindi disse: “Non riuscirai a convincermi che la colpa dei tuoi fallimenti è la mia. So che mi hai tradito e so che hai cospirato alle mie spalle. Non c’è speranza per te.” Le sussurrò il cavaliere della rosa, gelido. “No, marito. Per me e mio figlio ci sarà sempre speranza. Per te invece non ce ne sarà alcuna.” Replicò calma Isolde. Accecato dall’ira, il signore del maniero colpì con un manrovescio la fragile sagoma della moglie, che per non lasciar andare suo figlio, perse l’equilibrio, finendo su un braciere che ardeva poco distante da lei. Le fiamme ci misero poco ad attecchire sui suoi vestiti e a consumare il suo minuto corpo. Sotto lo sguardo allibito di Stuard, che cercò di intervenire, senza però riuscirci, minacciato dalle spade degli altri cavalieri. In un ultimo, disperato tentativo di salvare almeno suo figlio, Isolde gridò disperata in preda all’agonia: “Ti prego, lasciami pure morire, ma salva almeno mio figlio. Nostro figlio!” Tuttavia, il cavaliere della rosa, che era rimasto impassibile ad osservare quella terribile situazione, le voltò invece le spalle con indifferenza e si allontanò di qualche passo. A quel punto la voce di Isolde tuonò  nella stanza per la seconda volta, gettando questa volta su di lui una feroce maledizione: «Lord Soth! Che tu sia maledetto! Vivrai una vita per ogni vita che la tua follia ha spezzato oggi» I muri del maniero iniziarono a tremare, i cavalieri a contorcersi e a sgretolarsi davanti agli occhi increduli di Stuard. Dopo pochi istanti di loro era rimasto solo lo scheletro, ma essi continuavano a muoversi, a contorcersi. Erano morti, ma allo stesso tempo non lo erano. A Lord Soth andò certamente peggio: una strana energia arancione infatti gli bruciò il cuore nel petto, facendolo crollare al suolo. Ma quando riaprì gli occhi, essi erano di quello stesso colore, spento e malato. Quel giorno era morto un cavaliere della rosa, ed era nato il cavaliere della rosa nera: il non morto Lord Soth! Un violento terremoto stava per distruggere quel posto e Stuard era rimasto imbambolato, immobile ad osservare i resti fumanti di Isolde e suo figlio, il cavaliere della morte in procinto di svegliarsi e dodici cavalieri scheletrici che si agitavano per terra in preda a spasmi di agonia. Fu proprio uno di loro che lo salvò da un’inevitabile, terribile fine: Sir Balinor o quello che ne restava, gli offrì la propria spada, gli domandò se un giorno fosse riuscito mai a perdonarlo e lo invitò a correre via da quel luogo maledetto finché fosse stato in tempo. Il giovane cavaliere, arma in pugno, uscì di corsa dal maniero, appena prima che esso venisse distrutto dalla furia del maleficio di Isolde. Si recò nel maneggio, recuperò un cavallo, liberò tutti gli altri e galoppò a perdifiato verso il Tempio di Mishakal: il cielo era diventato rosso, rosso sangue!