Caramon si mise alla testa del gruppo e puntò dritto alla torre nera, che ormai era perfettamente visibile dalla posizione che avevano raggiunto.
L’omone stava facendo il possibile per scivolare attraverso i vicoli della città dando il meno possibile nell’occhio, ma nonostante tutto il suo impegno, era assai difficile non notarlo, viste la mole e la stazza che aveva. Inoltre in quella città non c’erano vicoli malfamati o strade occultate da utilizzare in quei casi, pertanto, dopo la seconda volta che erano riusciti a sgattaiolare non visti da una strada all’altra per puro miracolo, Kail si offrì per fare lui da apripista. Ovviamente Caramon acconsentì e le cose in effetti funzionarono meglio fino a ridosso del boschetto che circondava la torre della magia.
Caramon spiegò che era già stato all’interno della torre, quindi sapeva dove dover cercare suo fratello, ma passare il boschetto senza nessuna mistica protezione poteva essere quasi impossibile. Quindi nuovamente avvertì i suoi compagni che se avessero voluto abbandonare quella missione, lui certamente non li avrebbe mal giudicati. Nessuno voleva cedere ovviamente, ma quando scoprirono quali incredibili virtù avesse l’invisibile incantamento che difendeva la torre da visitatori indesiderati, perfino Caramon ritenne che non ci fosse alcuna possibilità di accedervi senza il permesso diretto del suo signore. Il bosco infatti aveva la capacità di far dimenticare, a chi si intrufolava di soppiatto, non invitato, il motivo stesso per cui vi fosse entrato. Theros aveva messo infatti solo un piede dentro e già gli effetti della magia si potevano vedere su di lui: ci vollero un paio di minuti infatti prima che l’ergothiano tornasse in sé e riprendesse il controllo sulla propria volontà. Afflitto, Caramon dovette arrendersi e ammettere la sconfitta.
Tuttavia, prima che lo sconforto si diffondesse troppo, qualcuno tra loro non si mostrò d’accordo con l’omone. Con uno strano cipiglio, ed un atteggiamento che certo non sembrava il suo, Flint infatti esclamò:
“Non preoccupatevi, state accanto a me e la magia del boschetto non vi farà nulla.”
All’inizio Caramon pensava che il vecchio nano scherzasse, ma quando il mezzelfo gli fece notare che colui che aveva parlato non era propriamente Flint, dopo avergli raccontato di Berightor e della loro vera missione, del loro viaggio nel tempo e del “Tempio di Mishakal”, Caramon si convinse a lasciar provare il nano. In fondo, la storia della sua esperienza ad Istar non era certo meno assurda di quella raccontata dal mezzelfo!
I suoi amici dunque circondarono Flint, non mollandolo di un centimetro, ed in effetti pareva che l’incantesimo di confusione non riuscisse più ad attecchire su di loro. Era come se intorno al burbero nano vi fosse un alone protettivo che teneva lontana la magia. Dopo un breve girovagare, arrivarono ad una cancellata di ferro, che si aprì con un cigolio sinistro e ad un piccolo cortile interno che conduceva alla porta d’entrata della sinistra torre. Caramon fece un ampio respiro, mise la mano sul pugnale, ed iniziò a salire i 700 scalini che conducevano al vertice della torre, laddove avrebbe trovato e pugnalato a morte suo fratello gemello.
“I segnali sono chiari: devo prepararmi per il mio discorso. I tempi sono maturi. Sono finalmente maturi! Oggi ascenderò a divinità!”
Estellen ed Ailin fissavano l’estasiato Gran Sacerdote incredule. Com’era possibile non capire quanto stava succedendo? Potevano arrivare a comprendere che le loro menti, forgiate dentro una fucina divina, avevano maggiori facoltà intuitive e razionali rispetto a quelle dei mortali, ma quella di quell’uomo rappresentava la più becera ottusità che la specie umana potesse mai realizzare. Riusciva a vedere sogni di gloria per sé stesso anche di fronte all’evidenza di una catastrofe senza precedenti in arrivo.
Quante volte gli dei avrebbero dovuto provare a farlo rinsavire? “Non sarebbero bastati nemmeno mille tentativi”, fu la conclusione di entrambe e la cosa faceva sprofondare in una tristezza disarmante.
Quando il cavaliere della rosa entrò trafelato nella grande sala di preghiera per sincerarsi che tutti stessero bene, Ailin ed Estellen ne approfittarono per salutare con un lieve inchino il capo della chiesa, che nemmeno sembrava notarle più, tutto preso ad auto compiacersi, ed uscirono velocemente dalla stanza. Tuttavia Ailin si fermò un secondo a dire due parole al cavaliere della rosa, nuovamente tornato al suo posto di guardia.
Gli sorrise teneramente e gli sussurrò di andare a casa, di tornare dalla sua famiglia, perché ogni momento diventava prezioso per lui da adesso in poi. Il cavaliere corrucciò la fronte, ma poi fece come Ailin gli aveva suggerito. Nonostante fosse una grave negligenza, non riuscì a trattenere l’istinto di fare come gli era stato consigliato. Estellen approvò quell’atto di pietà da parte di sua sorella, poi insieme scesero le scale di prezioso marmo che entro qualche ora sarebbe sprofondato sul fondale marino.
Ailin sembrava pensierosa, assorta, tanto che Estellen ad un certo punto, interruppe l’imbarazzante silenzio che si era creato tra le due, domandandole a cosa stesse pensando. Ailin la guardò di sfuggita, solo per un breve attimo. Poi si fermò, si voltò verso di lei e disse:
“In che modo vuoi perdere questa forma mortale Lindaara?”
Estellen si stupì per un attimo intenso per quella domanda così inaspettata. Poi Ailin continuò.
“Vogliamo farlo insieme, sorella?”
Estellen riusciva a capire che per la sorella era più facile a vivere una vita intera e poi accettare la morte dopo aver compiuto la sua missione, ma lei non riusciva a farlo con lo stesso cinismo e naturalezza. La sua vicinanza costante a Paladine, nelle ultime sue incarnazioni, l’aveva resa rispettosa della vita e dotata di un grande istinto di sopravvivenza, molto simile a quello degli umani.
Le rispose che si sentiva onorata di una tale proposta, ma voleva raggiungere il “Tempio di Mishakal” prima di abbandonarsi alla fine. Il suo compito, per quanto la riguardava, non era ancora finito su quell’isola. Ailin annuì senza aggiungere una parola. Le afferrò teneramente il volto e le baciò poi la fronte, benedicendola. Estellen sorrise e fece per lei altrettanto. Poi le due sorelle si salutarono, dandosi appuntamento nella loro casa alla “Settima Porta”.
Ailin fu la prima a scendere e ad accettare quel doloroso distacco, poi Estellen la seguì sospirando per la tristezza.
Una voce calda e potente richiamò tutti i cavalieri in riga. Si trattava del comandante Caradoc: primo cavaliere di Lord Soth! I dodici cavalieri erano stati invitati a disporsi uno di fronte l’altro in due file da sei.
Alcuni minuti prima Stuard aveva notato che Sir Balinor si era allontanato per scambiare due parole proprio con Sir Caradoc e lui ne aveva approfittato per dare un’occhiata al maniero e a quei cavalieri suoi colleghi. Tutti mostravano una devozione quasi reverenziale nei confronti del loro signore, devozione che si avvicinava terribilmente all’adorazione. La parola di Soth era legge per loro. “Un approccio molto pericoloso”, pensò Stuard tra sé.
Appena Sir Balinor si dispose davanti a lui, una figura alta e massiccia varcò l’uscio del maniero, avvicinandosi a grandi passi a loro. Portava un’armatura a dire il vero leggermente brunita, come se fosse un po’ scolorita, aveva una spada lunga al fianco e un lungo mantello nero. Il suo volto era fiero e squadrato. Gli occhi erano neri e i capelli, lunghi e fluenti, lo erano ancor di più. La sua voce era come un tuono e Stuard, rammentando bene il potere che aveva avuto quella voce nella sua testa, non poté che deglutire per la paura ed il nervoso.
Quell’uomo non sembrava un mostro, ma presto lo sarebbe diventato.
“Mia moglie Isolde è fuggita dal maniero. Come sospettavo c’è un traditore tra di noi. Uno che ha aiutato mia moglie e mio figlio a scappare. Come se questa fosse una prigione e non la loro casa. Come se io fossi il suo carceriere e non il suo devoto marito. Voglio che me li riportiate, vivi. Ero quasi caduto nella sua trappola, ma le sacerdotesse mi hanno fortunatamente aperto gli occhi: non è il Gran Sacerdote il nostro nemico, cavalieri… ma Isolde. Isolde Denissa e il suo amante traditore!”
Il giovane cavaliere rimaneva sull’attenti, lo sguardo rivolto verso Sir Balinor. Non si azzardò a proferire parola, ma c’era qualcosa che non gli quadrava. Perché fuggire dalla propria casa, se si era davvero amati e rispettati come Lord Soth voleva far credere ai suoi uomini?
“Sir Caradoc vi darà le istruzioni necessarie per iniziare la caccia!”
Terminò conciso Soth, mentre con un frusciare del mantello, tornava all’interno della sua casa. Il momento successivo, tutti i cavalieri si mossero come uno sciame d’api: sembravano invasati. Come se dovessero difendere il maniero da un’orda di orchi inferociti. In fondo, erano solo una donna e un bambino: potevano avere un’ora, forse due di vantaggio su di loro. Sarebbe bastato un solo cavaliere per riportarli indietro. Perché allora quella battuta di caccia in massa?
Stuard non ebbe tempo di pensare ad altro: i suoi compagni infatti erano già a cavallo e Sir Balinor lo stava aspettando poco fuori il maneggio. Si sarebbero mossi a gruppi di due e avrebbero accerchiato i fuggitivi da ogni lato, tagliando loro ogni via di fuga. Tattica semplice, ma efficace.
Mentre si dirigevano alla foresta, il giovane cavaliere cercò di porre al suo compagno alcune domande, il più possibile vaghe, per inquadrare meglio la situazione riguardo il rapporto tra Lord Soth, sua moglie e suo figlio, domande alle quali a dire il vero Sir Balinor sembrava comunque abbastanza in difficoltà nel riuscire a replicare. Sembrava come se certi argomenti fossero troppo delicati per essere affrontati. Esisteva e serviva solo un giudizio: quello di Lord Soth.
Tuttavia Stuard apprese che Isolde non era il nome di una donna umana, ma apparteneva ad un’elfa. Capì inoltre che si trattava di una sacerdotessa di Paladine, tra l’altro molto in vista e che aveva offerto al loro signore una seconda chance per potersi redimere da una brutta esperienza del passato. Stuard non riuscì però ad approfondire l’argomento, perché Sir Balinor era già sceso da cavallo e aveva preso a correre dentro al bosco. Il giovane cavaliere lo seguiva da presso: sembrava come se il suo compagno già sapesse dove andare. Infatti, dopo aver attraversato una serie di cespugli nel sottobosco, scovò due elfe e un piccolo mezzelfo, seduti sul tronco di un albero, nel tentativo di riprendere fiato.
Quella che sembrava vestita peggio e la meno curata delle due, si alzò subito in piedi e si frappose tra Sir Balinor e l’altra elfa. Il cavaliere intimò alla donna di scansarsi o sarebbe stato costretto a passarla a fil di spada. Stuard si avvicinò al suo compagno cercando di tranquillizzare gli animi. Invitò il cavaliere ad abbassare la spada e cercò di convincere la servitrice elfa a togliersi di lì e a fare in modo che loro potessero riaccompagnare Isolde e suo figlio da Lord Soth. L’elfa però non intendeva spostarsi di un millimetro, ed allora accadde l’impensabile: Sir Balinor, in un impeto di rabbia immotivata, fece vorticare la pesante spada e la abbatté sul suo minuto corpo.
Fortunatamente per lei, Stuard era all’erta e parò con facilità il colpo del cavaliere.
Egli iniziò a urlargli il suo disappunto, additandolo come un traditore! Fu in quel momento che Isolde intervenne e raccontò chi era davvero un traditore in quella triste storia. Non il giovane cavaliere che aveva appena salvato una vita, ma suo marito Soth, che aveva ucciso la moglie e il figlio precedenti, perché non aveva mai accettato di aver procreato un figlio deforme. Sir Balinor gridava ad Isolde di smetterla, ma l’elfa insisteva, vomitando sul marito tutto il suo risentimento. Egli era un assassino, condannato a morte dal consiglio dei cavalieri, tuttavia Paladine gli aveva offerto la redenzione: avrebbe dovuto fermare il Gran Sacerdote per ottenere il perdono. Sarebbe morto, ma sarebbe stato libero dalla terribile onta che l’aveva macchiato per sempre. Tuttavia il suo animo malvagio ormai lo aveva ormai consumato e adesso preferiva credere che era stata lei ad averlo ingannato, ad averlo tradito. Condannando tutti alla morte o peggio.
Sir Balinor camminava avanti ed indietro ansando e smaniando. In un angolo remoto del suo cuore sapeva che l’elfa aveva ragione, eppure non riusciva ugualmente ad opporsi alla volontà di Soth. Dal canto suo Stuard era rimasto stordito da quelle terribili accuse, come se le forze gli fossero state strappate via. Quando vennero a prenderlo gli altri cavalieri per portarlo via, non oppose la minima resistenza, per quanto il racconto di Isolde su Lord Soth l’avesse turbato.
Quando udì il grido straziante della servitrice elfa, passata per le armi dai cavalieri, fu come se avesse ascoltato un eco lontano. Un pezzo della sua anima era certamente morta in quella radura insieme a lei.
I segni dei tempi.
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- Scritto da Mike Steinberg
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