“Stuard, non ti è permesso di parlare con le sacerdotesse di rango così alto. Capisco che sei giovane, ma…”
Il giovane cavaliere non fece terminare la frase al suo più anziano collega, poiché la vista di Estellen che scendeva le scale gli aveva quasi fatto salire le lacrime agli occhi. Non era più solo, perso in chissà quale angolo remoto nello spazio e nel tempo: adesso erano di nuovo insieme e la speranza si era riaccesa, più vivida che mai.
Stessa cosa valeva per Estellen. Quando notò il suo migliore amico che le stava venendo a grandi passi incontro, piantò Ailin sul posto e scese a perdifiato le scale per raggiungerlo. I due non si abbracciarono per non dare nell’occhio, ma non riuscirono a non afferrarsi le mani per la gioia di essersi ritrovati.
I due amici si aggiornarono poi sulle loro recenti esperienze e considerazioni, confidando l’un l’altro la preoccupazione di non sapere che fine avessero fatto gli altri. Stuard propose di darsi appuntamento al “Tempio di Mishakal” prima di sera, quando Estellen ammise che secondo lei il Cataclisma era assai vicino per la perduta città di Istar. Il discorso che il Gran Sacerdote avrebbe pronunciato sulla scalinata del tempio infatti, sarebbe avvenuta all’imbrunire e dopo di quello, il nulla. Meglio sbrigarsi quindi.
Ognuno avrebbe fatto il possibile per non cambiare niente di quello che sarebbe dovuto accadere e si sarebbero rivisti entro poche ore, giusto il tempo di ottenere la benedizione della dea e filarsela via a gambe levate da quel posto condannato. I due quindi si separarono, tornando ciascuno dal proprio accompagnatore.
“Chi era quel bel ragazzo Lindaara? Lo conosci da tanto?”
Affermò maliziosamente Ailin.
“Ti prego di non fare sciocchezze però: l’ultima volta che mi hanno raccontato di essere rimasta più del dovuto tra i mortali, ho spezzato il cuore contro la mia volontà a più di una persona. Mai legarsi a qualcuno, perché poi diventa straziante doverci rinunciare. Immagina se avessi una famiglia, dei figli. Come potresti riuscire a tornare a casa?”
Le parole di Ailin si piantarono nel cuore di Estellen come tanti pugnali affilati. Probabilmente sua sorella aveva ragione, ma come sarebbe riuscita però ad abbandonare Ulther, i suoi amici e la sua famiglia? Non era in grado nemmeno di immaginarlo. Seguì dunque ed in silenzio Ailin attraverso i corridoi del tempio, pieno zeppo di amenità, cose preziose e materiali, che non avevano proprio niente a che fare con Paladine e si suoi insegnamenti.
Schiena contro schiena, i sei gladiatori si prepararono ad affrontare quattro terribili tigri affamate, utilizzando solamente una spada corta ed un piccolo scudo per difendersi. Una delle tigri aggredì subito Theros, ma con un’abile mossa, Kail riuscì a distrarla in tempo e a permettere all’ergothiano di afferrarla per la gola con il braccio d’argento. Gli artigli della tigre si piantarono nelle carni del fabbro, ma la poderosa stretta dell’argentino braccio le spezzarono tosto il collo.
Flint, poco distante, provava a fare il possibile per tenere lontana l’altra belva e Kail fu lesto anche con lui ad offrire il proprio supporto. Ferito ma ancora vivo, il mezzelfo emerse da sotto la pesante carcassa del felino, dopo averlo squartato aprendogli il ventre dabbasso. Con l’aiuto del nano erano riusciti invero a farcela, ma Flint ne era uscito conciato davvero male.
Quando i tre amici si voltarono per vedere cosa fosse capitato a Caramon e gli altri, si resero conto che a loro non era andata altrettanto bene. Feriti, stanchi e ricoperti di sangue, storditi dal frastuono delle urla degli spettatori invasati, Kail e gli altri si mossero ugualmente per aiutarli, ma sfortunatamente qualcosa di ben peggiore di quattro tigri sarebbe arrivata pochi istanti dopo.
Ailin condusse Estellen attraverso l’immenso “Tempio di Paladine”, che più che un luogo di culto le era sembrato una “città nella città”, per come era strutturato e per le persone che sciamavano attraverso di esso continuamente, in lungo ed in largo. Le due sorelle attraversarono gli ampi corridoi, i meravigliosi cortili e le marmoree scale che riempivano l’immenso edificio. Da quel che Ailin le aveva detto, il “Tempio di Mishakal” era poco distante da lì, ma era dieci volte più piccolo rispetto a quello dedicato al drago di platino: segno che la dea era appena tollerata dalla chiesa e solo per il fatto di essere la consorte di Paladine.
Più si avvicinavano alla torre centrale, più l’estrema fastosità si rendeva manifesta in ogni scultura, drappo o cornice che si potesse notare lungo il tragitto. Inoltre l’arroganza del Gran Sacerdote regnava incontrastata e suprema in ogni singolo dettaglio di quei muri, arazzi ed opere d’arte, che Estellen riscontrò inoltrandosi in quell’ultimo tratto di strada.
Dopo aver salito l’ennesima ampia scala, un cavaliere della rosa, di guardia ad un portone d’oro massiccio, le fermò per chiedere loro perché volessero incontrare il Gran Sacerdote a poche ore dal suo glorioso discorso. Le due sacerdotesse incrociarono i loro sguardi, poi Ailin disse al cavaliere che avevano urgenza di incontrare il Gran Sacerdote e i motivi di tale incontro dovevano esser riferiti solo a lui. Mostrando i tre anelli che aveva sulla spalla, si presentò come una sacerdotessa di grado elevato e a quel punto il cavaliere non poté far altro che bussare ed annunciare entrambe al capo della chiesa.
Stuard seguì il cavaliere fuori dal tempio, fino alle stalle. Qui, due enormi destrieri da guerra li attendevano pazienti: un pezzato fiero e maestoso e un grosso stallone dal pelo fulvo, ugualmente imponente e in salute.
Stuard stava mettendo un piede nella staffa per issarsi sul dorso di quello fulvo, quando notò un piccolo kender, malnutrito e sporco oltre ogni decenza, sforzarsi di spostare un peso eccessivo per qualcuno della sua stazza. Non aveva nemmeno le scarpe ai piedi. Il giovane cavaliere fece un passo in avanti per aiutarlo, ma il piccolo kender gli lanciò un’occhiata eloquente di non farlo o per lui sarebbe stato peggio. Stuard lo lasciò dunque annaspare, mordendosi un labbro per la rabbia. Il suo collega cavaliere, ormai in sella al suo pezzato aveva notato tutta la scena, ma non aveva detto nulla. Aveva guardato Stuard solo un po’ perplesso. Il giovane cavaliere salì quindi in groppa al suo stallone e senza dire una parola uscì al trotto dalle stalle. Cominciava a capire perché gli dei si erano infuriati con Istar e il suo arrogante Gran Sacerdote!
Sir Balinor (così si chiamava il cavaliere che lo accompagnava), si mise subito alla testa della fila e condusse il suo più giovane collega fuori dalla città.
Stuard si rese conto della posizione precisa del “Tempio di Mishakal” e aspettava solo il momento propizio per sganciarsi da Sir Balinor e tornare all’appuntamento con Estellen: era davvero stufo di quel posto e di quella gente così meschina da tollerare così bene la schiavitù. Inoltre Kail era scomparso e non aveva affatto intenzione di lasciarlo solo, costretto a seguire il destino di questa città decadente ed ormai condannata.
Mentre usciva da Istar, si rese conto però di quanto meravigliosa fosse stata e quale immensa perdita sarebbe diventata per Krynn: templi, biblioteche, centri di addestramento. Era una vera gemma.
Un vero peccato.
Tralasciando una macchia scura che però aveva notato mentre usciva: una nera torre che svettava poco distante dal “Tempio di Paladine”, che gli aveva fatto venire un brivido lungo tutto il braccio. Aveva provato la stessa sensazione quando da piccolo era stato a Palanthas. L’oscura torre della stregoneria, abbandonata e maledetta, nella periferia della città, era infatti molto simile a questa. Il cupo e tetro boschetto di Shoikan aveva rappresentato una vera sfida per lui e per i suoi amici adolescenti, quando aveva giocato con loro a chi riusciva ad avvicinarsi di più alla selva bisbigliante che proteggeva la torre. Qui sembrava una situazione molto simile, il che stonava molto con l'atteggiamento intollerante che il Gran Sacerdote aveva sempre manifestato contro la magia e i maghi in generale. Perché dunque ne tollerava la presenza?
Stuard e Balinor superarono tosto la campagna che circondava la città, ed il cavaliere notò la grande miseria che la avvolgeva, in aperto contrasto con la ricchezza sfrenata che invece caratterizzava Istar. Questo dettaglio aumentò non poco la sua già crescente rabbia. Dopo meno di un’ora, Balinor arrestò il cavallo su un’altura, mostrando a Stuard la bellezza di una valle che ospitava un piccolo feudo e un maniero imponente, solido ed essenziale. Il giovane cavaliere capì subito che si trattava dell’abitazione di Lord Soth e della loro mèta, quindi seguì il compagno senza aggiungere altro.
Quando entrarono nel feudo e Stuard poté notare le condizioni di vita della gente del posto, corrucciò un poco lo sguardo: tutti sembravano felici, in salute e ben nutriti. Cosa diavolo poteva essere successo allora al loro signore per trasformarlo in una creatura così malvagia e maledetta?
Di certo non poteva saperlo, ma scommetteva che molto presto l’avrebbe scoperto.
La prima cosa che notò, varcando il cancello di ferro del maniero, fu un certo trambusto tra i cavalieri presenti nel cortile, ed aumentò ancor di più quando una violentissima scossa di terremoto fece piombare tutti nel panico.
Kail ed i suoi amici erano pronti ad aiutare i loro nuovi compagni, quando un terremoto di grande potenza spaccò il terreno e creò un grande spavento nell’arena! La folla sugli spalti iniziò ad urlare e a fuggire via in preda al terrore, calpestandosi e strattonandosi per tentare di uscire per primi e mettersi in salvo. I quattro comandanti erano rientrati dentro il Colosseo, mentre le altre due tigri giacevano morte: una uccisa dalla spada di Caramon, l’altra sprofondata nell’ampia crepa che si era aperta nel terreno, insieme al corpo senza vita di uno dei due compagni del cupo guerriero.
Il minotauro anche giaceva morto poco distante, sventrato dagli artigli di una delle due belve. Caramon era ferito, ma ancora in piedi ed urlò a Kail e gli altri di seguirlo. Bisbigliò una breve preghiera per i suoi compagni caduti e iniziò a correre verso la grata nord, ancora sollevata.
Pronto a tutto, il possente guerriero scivolò silenzioso per i brevi corridoi interni della struttura, fino a giungere in un’ampia sala, ove una gabbia di ferro rinchiudeva una dozzina di gladiatori terrorizzati. Caramon afferrò velocemente la chiave da una parete e liberò tutti dalla loro prigione. Spada in pugno, prese a seguire il flusso che si stava convogliando verso l’uscita principale. A quel punto Kail lo fermò, facendogli notare che se fossero usciti da quella parte, sarebbero probabilmente stati uccisi dalle guardie o riacciuffati e ricondotti subito nell’arena. Caramon annuì e cambiò così il piano, invitandoli nuovamente a fidarsi di lui. Raggiunse velocemente le latrine e si calò nel condotto di scarico. Non fu una passeggiata gradevole, ma ben presto raggiunsero un’uscita e l’aria fresca, poco distanti dall’arena.
I quattro amici, utilizzarono poi un piccolo fiumiciattolo per ripulirsi un po’ dai liquami, poi Kail decise di affrontare Caramon per spiegargli che purtroppo le loro strade si sarebbero dovute separare. L’omone annuì, tirò fuori un coltello e confidò al mezzelfo che era meglio così: infatti egli avrebbe dovuto raggiungere la torre nera, che svettava poco distante, per pugnalare suo fratello nel sonno. Un compito ingrato, che non abbisognava di altri complici.
Stimolato da Kail a raccontare i motivi di una siffatta, infausta decisione, egli raccontò dell’oscuro piano del suo gemello di affrontare la regina Takhisis per diventare un dio e Kail ebbe come un deja vu, che riaccese in lui il terrore provato mesi prima. Flint si intromise nella conversazione, dicendo che non avrebbe lasciato il suo amico da solo e a quel punto anche il mezzelfo si convinse che forse non sarebbe stato così sbagliato assistere Caramon nella sua volontà di fermare il suo folle consanguineo. Ricordava bene l’esperienza sotto Vantal e l’incredibile rischio che Krynn aveva corso quel giorno. Valeva forse la pena occuparsi di questa questione prima di raggiungere il “Tempio di Mishakal”. Anche Theros annuì, quindi tutti seguirono Caramon e il suo cupo cipiglio, senza dire più una parola.
Estellen ed Ailin entrarono in una grande sala circolare, illuminata a giorno dalla luce del sole, che filtrava dappertutto attraverso una volta a specchi che circondava tutto il pinnacolo della Torre più alta del tempio.
Qui stanziava un uomo, di spalle e assorto in preghiera. La cosa strana era che Estellen non percepiva alcuna presenza di Paladine qui. Era quindi più che probabile che quell’uomo facesse solo finta di parlare con il suo dio o che la conversazione che stava simulando con lui, in realtà fosse solo un monologo senza alcun riscontro divino. La voce di quell’uomo era calda e potente, ma vuota, senza alcuna intensità spirituale, per uno che rivestiva la sua carica.
Il cavaliere della rosa si schiarì la voce per richiamare la sua attenzione e quando l’uomo si voltò, sia Ailin che Estellen poterono leggere uno sguardo colmo di astio e risentimento nei suoi confronti. Brutti sentimenti che si addolcirono però quando egli le notò accanto a lui. A quel punto un sorriso di condiscendenza si formò sulle sue labbra, mentre si tirava su dall’inginocchiatoio d’oro massiccio sul quale si era appoggiato.
Era un uomo avanti con l’età, ma non propriamente anziano. Aveva gli occhi celesti e i capelli ingrigiti. Portava una tonaca bianca, finemente lavorata e costellata di orpelli in oro e argento. Indossava anelli e collane, una corona ed uno scettro e non mancava di ostentare in ogni mossa che faceva la sua posizione ed il suo rango.
Il cavaliere della rosa, si scusò per la sua intrusione a poche ore dal suo discorso, ma spiegò che le due sacerdotesse superiori del tempio avevano bisogno di conferire con lui. Con un gesto, il Gran Sacerdote congedò il cavaliere, che si ritirò con un inchino profondo. Poi “Egli” si concentrò su di loro.
Ailin domandò subito perdono per aver interrotto la sua conversazione con Paladine, ma c’era una cosa estremamente importante che necessitava urgentemente della sua attenzione. Guardando poi Estellen, lasciò a lei la parola.
La giovane sacerdotessa di Paladine lo fissò intensamente e lesse in lui un’anima fredda, vuota e senza speranza. Era solo un uomo. Semplicemente un uomo. Non il grande sacerdote che aveva imparato ad immaginare sui libri di illustrazione della nonna di Stuard.
Estellen si sofrzò di rimanere concentrata, poi raccontò a quell’uomo la sua visione, cercando di non tralasciare alcun dettaglio. Come Ailin si era aspettata, la risposta del Gran Sacerdote a quell’ennesimo ammonimento, non fu però quello sperato.
“Siete le mie migliori ancelle, le mie migliori sacerdotesse, così dotate, ma sempre così apprensive. Voi parlate di dodici piaghe, tredici adesso, ma io vedo solo tredici conferme. Conferme che Paladine ha voluto mandarmi, per sottolineare quanto lui approvi il mio operato e la mia volontà di rendergli grazia. Attraverso la mia mano egli diventerà l’unico dio degno di adorazione e oggi, sulla scalinata del “Suo” tempio, io dimostrerò a tutti che lui è con me. Al mio fianco, sempre.”
Un vuoto oscuro aggredì le due sacerdotesse, quasi contemporaneamente quando il Gran Sacerdote smise di parlare. Come se la loro scintilla divina fosse stata per un secondo risucchiata via da un potere inimmaginabile.
Poi una scossa sismica di grande violenza investì l’edificio, scuotendolo dalle fondamenta. Entrambe capirono esattamente, in quel preciso momento, che il destino di Istar era ormai segnato!