L’esplosione di luce lasciò Kail stordito e confuso. Barcollava e si sforzava con tutte le forze di rimanere lucido, cosciente. Gli sembrava che qualcuno gli stesse parlando, qualcuno di sconosciuto con una voce bassa e profonda, ma era troppo rintronato per capire le sue parole. Quando riuscì a mettere a fuoco chi avesse davanti, fu come se il tempo avesse ricominciato a fluire solo in quel momento, smorzandogli il fiato per lo stupore. Innanzi a lui c’era un grosso minotauro dal pelo fulvo, che brandiva una possente clava. Voci urlanti che incitavano al sangue e alla violenza lo acclamavano invasate, provenienti da un pubblico esaltato ed assiepato intorno ad una gigantesca arena ove lui adesso si trovava.
“La mia abituale fortuna”.
Pensò il mezzelfo sconsolato tra sé e sé.
“Kail, che ti prende? Difenditi e combatti o saranno guai per noi!”
Gli disse il minotauro, agitando davanti al suo naso la nodosa clava. Il mezzelfo si voltò e notò con orrore che solo due dei suoi compagni erano con lui in quel gigantesco Colosseo: Flint e Theros.
Dov'erano finiti gli altri?
L’ergothiano tentava di riprendersi anch’egli da un’esperienza evidentemente simile alla sua e stava affrontando un grosso guerriero, cupo e determinato, mentre il vecchio nano fronteggiava un mezzelfo con una strana cicatrice sulla guancia destra, più simile ad un marchio che ad uno sfregio. Con lo sguardo corrucciato, Kail tornò a voltarsi verso il minotauro e fece appena in tempo a schivare un colpo poderoso della sua mazza, che non l’avrebbe ucciso ma gli avrebbe fatto parecchio male. Capì che le persone che stavano combattendo erano schiavi, come lo era lui e i suoi amici, e probabilmente quella era un’arena che aveva la funzione di intrattenere la gente sugli spalti, alcuni dei quali ricchi e danarosi, che scommettevano sulla vittoria di un gladiatore o di un altro.
Scuotendo preoccupato la testa, il mezzelfo si domandò come diavolo avrebbero fatto a riunirsi con gli altri e a raggiungere il “Tempio di Mishakal”, ammesso che in quel luogo e tempo dove era finito ce ne fosse stato davvero uno. D’altronde, Berigthor non era certo famoso per la sua correttezza e bontà d’animo.
Estellen fu abbagliata da un lampo intenso che la lasciò frastornata per qualche secondo e prima che potesse tornare in sé, Paladine le inviò una visione che aggiunse ancor più confusione nella sua mente: i monti Khalkist, normalmente innocui, stavano vomitando fuoco, fiamme e lava. Colonne di fumo salivano verso il cielo minacciose e i contadini e gli allevatori, che vivevano da quelle parti, presi completamente alla sprovvista, fuggivano in preda al panico e allo stupore. In molti erano morti e stavano morendo a causa di quell’insolito fenomeno.
Quando la portavoce di Paladine riprese il controllo sulle proprie facoltà e sui propri sensi, pian piano realizzò che una voce calda e sbarazzina, che non aveva mai sentito prima, si stava sincerando sulla sua salute:
“Tutto bene Lindaara?”
Estellen con un po’ di difficoltà mise a fuoco il volto di quella ragazza sconosciuta. Tuttavia, solo una donna su tutta Krynn la poteva chiamare con il suo vero nome: Ailin, sua sorella alla “Settima Porta”. La portavoce di Paladine a fatica annuì, poi provò a condividere con lei la sua missione sacra e il suo scopo, addirittura critico per la guerra che si stava combattendo nel suo tempo.
La giovane si rese conto quasi immediatamente dove fosse finita, perché si trovava all’interno di una grande sala di preghiera, con icone sacre riguardanti Paladine in ogni dove. Inoltre, ciò che stonava in quel luogo di culto era l’opulenza. Uno sfrenato ed immotivato bisogno di ostentare ricchezze e beni materiali, che mal si sposava con la politica da sempre promossa dal culto del drago di platino. Una smorfia di disgusto si dipinse sul volto di Estellen quando infine notò la statua di un uomo, con tanto di corona e scettro, che spiccava accanto all’effige sacra di Paladine. Mettendo quasi la rappresentazione del dio in secondo piano rispetto alla sua. Rammentando bene l’esperienza vissuta con la creatura “mangia roccia” e con il drago Cromantico, non fu difficile realizzare quindi dove il congegno di Berigthor li avesse spediti e soprattutto quando.
Quello era il “Tempio di Paladine” e lei si trovava ad Istar, più di tre secoli indietro nel tempo!
Tuttavia questa volta, osservando lo sguardo perplesso e corrucciato di Ailin, continuare ad insistere sulla verità forse non rappresentava la strada migliore da seguire per raggiungere i suoi obiettivi, che erano adesso trovare al più presto i suoi amici e raggiungere il “Tempio di Mishakal” per ricevere la benedizione della dea. Forse sarebbe stato meglio nasconderle i fatti relativi al suo viaggio indietro nel tempo e concentrarsi su cose che Ailin avrebbe potuto capire senza troppo sforzo. Non poteva esserne certa, ma aveva la sensazione che il tempo non era dalla sua parte, quindi sarebbe stato meglio non rischiare.
Stuard dovette reggersi ad una mensola di marmo per non finire a terra. Il baluginio improvviso l’aveva accecato ed intontito per qualche secondo, finché una voce maschile, confortante e preoccupata, non lo riportò pian piano alla realtà. L’uomo che aveva davanti era una cavaliere, abbigliato con un’armatura scintillante, ma certamente desueta. Ne aveva vista una simile, rovinata e scolorita, nel maniero di Serdin Mar - Thasal. Un cimelio, certamente affascinante, ma poco utile in battaglia. Quella che indossava l’uomo che lo stava sorreggendo invece, era tutt’altro che inutile. Luccicante e maestosa, sembrava una protezione quasi impenetrabile per quanto imponente e ben rifinita.
Stuard giustificò quel mancamento asserendo che non aveva ancora mangiato dal giorno prima e se l’era cavata, ma il fatto che si trovasse da solo, in compagnia di uno sconosciuto, che peraltro invece sembrava conoscerlo benissimo, non aiutava affatto a farlo sentire più tranquillo.
Il giovane cavaliere si avvicinò poi a delle enormi finestre adornate in oro e argento. Scostò i preziosi drappi di raffinata seta e gemme rare, ed osservò la meravigliosa città che si dipanava al di fuori dall'edificio in cui si trovava. Ogni singola struttura era stata edificata utilizzando i materiali più pregiati: bianchi marmi, ceramica lavorata finemente e levigata ossidiana, erano solo alcuni di quelli con cui erano state realizzate le alte guglie, i pinnacoli splendenti e i fulgidi minareti che immediatamente notò in un primo sguardo d’insieme. Sembrava davvero una città dalle mille e una notte.
Il cavaliere più anziano continuava a fissarlo perplesso, quindi Stuard si voltò finalmente verso di lui: doveva avere più o meno l’età di Ulther. Sorridendo, annuì. Il baffuto cavaliere gli sorrise di rimando e gli diede una comprensiva pacca sulla schiena. Poi riprese a camminare lungo il marmoreo corridoio.
“Andiamo Sir Stuard, siamo già in ritardo. Non so se faremo in tempo a tornare per il discorso del Gran Sacerdote... credo che ci perderemo un bello spettacolo oggi. Non sei d’accordo?”
Stuard decise di non porre domande scomode in quel momento, ribattendo che si fossero sbrigati, forse sarebbero riusciti tornare in tempo. Se solo avesse saputo che diavolo avrebbero dovuto fare e chi fosse il "Gran Sacerdote"!
Kail decise di assecondare le intenzioni del minotauro: la gente sugli spalti stava urlando il proprio disappunto per la scarsità dello spettacolo mostrato fino a quel momento e, rumoreggiando delusa, faceva presagire nulla di buono all'orizzonte. Pertanto utilizzò la sua corta spada per stuzzicare finalmente il suo avversario, arrivando a versare il primo sangue. Un boato di approvazione salì improvvisamente dalla platea in estasi. Il mezzelfo arretrò, preparandosi al contrattacco. Con la coda dell’occhio, notò però che Flint aveva preso a guardare sconvolto il grosso e cupo guerriero, che stava fronteggiando Theros, continuando ripetutamente a chiamarlo per nome:
“Caramon, sei tu? Sei proprio tu?”
Insisteva il vecchio e testardo nano, interrompendo immediatamente la lotta con il suo avversario mezzelfo.
L’omone si voltò verso di lui, ma non sembrava lo riconoscesse. Quando egli gli rivelò di essere Flint, il suo amico di una vita, Caramon assottigliò gli occhi e rispose che un nano di nome Flint, suo amico da sempre, era morto molti anni prima. Aggiunse stizzito che invece lui non l’aveva mai visto prima. Né lui, né l’uomo dal braccio d’argento. Tuttavia sembrava invece stranamente conoscere Kail. Quando però il nano gli rivelò alcuni dettagli della sua vita privata, che solo il vero Flint poteva conoscere, Caramon iniziò ad urlare in direzione della tribuna dove i ricchi scommettevano sui propri lottatori, inveendo contro il fratello che continuava a torturarlo con giochetti mentali stupidi e senza alcuna utilità.
Il combattimento fu sospeso ancora una volta dunque, con enorme disappunto del pubblico pagante e a quel punto le grate a nord e a sud dell’arena vennero alzate, rivelando due "comandanti" per cancello (così almeno li chiamarono i compagni di Caramon), che tenevano a guinzaglio ognuno di loro una tigre dall’aria feroce e poco nutrita.
Il silenzio calò pian piano all’interno del Colosseo e uno dei comandanti ordinò ai gladiatori di combattere fino alla morte oppure essere sbranati dalle tigri. Questo avrebbero dovuto fare per rialzare il livello dello spettacolo, ormai giunto secondo loro ad un punto troppo basso per essere risollevato con un normale combattimento al primo sangue.
Caramon ascoltò velocemente la posizione di tutti, soprattutto quella di Kail, che sentenziò che non avrebbe mai ucciso nessuno per accontentare i desideri di qualche sciocco nobile del posto. Lui non era uno schiavo e mai lo sarebbe stato. Le sue parole furono ben accolte da tutti, che si strinsero uno accanto all’altro, attendendo, ben compatti, l’attacco delle belve.
Quando le tigri furono liberate però, il sangue iniziò a schizzare e a spargersi copioso sul riarso terreno e Kail non fu più tanto sicuro di uscirne vivo con quelle armi a disposizione.
Quando Estellen riferì ad Ailin della visione mandatale da Paladine, tornò a concentrarsi evidentemente su qualcosa che sua sorella poteva capire, rispetto a viaggi nel tempo e a sacre missioni, infatti le replicò subito di raccontarle tutto, ogni singolo dettaglio. La giovane portavoce di Paladine era sicura che sua sorella non potesse comprendere la complessa situazione in cui era invischiata e preferì riportare la conversazione su argomenti che l’amica invece potesse ben intendere e quindi offrire il suo contributo. Ailin le parlò infatti delle dodici piaghe.
Tredici con quella dei monti Kalkhist.
Visioni che Paladine aveva mandato ad entrambe per tentare di convincere il Gran Sacerdote di Istar di finirla con la sua crociata contro chiunque e qualunque cosa non rispondesse ai propri canoni di bontà e giustizia. Inutile dire che egli aveva sempre fatto orecchie da mercante durante gli ultimi mesi riguardo le loro raccomandazioni, i loro avvisi. Entrambe temevano il "tredicesimo segno", perché sia Ailin che Lindaara sapevano bene che quello sarebbe stato l’ultimo. Conoscevano perfettamente il complesso significato del numero tredici nella cabala degli dei e quello rappresentava certamente l’ultimo tentativo di Paladine di salvare Istar e i suoi condannati abitanti.
“Abbiamo fatto ciò che abbiamo potuto Lindaara. Abbiamo mostrato al Re Sacerdote le 12 piaghe che si sono verificate per tutto Krynn nelle scorse settimane. E’ evidente che non si può inculcare nella mente degli uomini né il buon senso, né il timore e il dovere verso gli dei. Cosa vorresti fare dunque? Provarci ancora? Parlare con lui per la tredicesima volta? Sai che tanto non ci ascolterà.”
Estellen caparbiamente sottolineò invece che bisognava provarci fino all’ultimo e alla fine Ailin, sospirando, annuì, d’accordo con lei.
Estellen dedusse che si trovava esattamente in quel momento della storia di cui l’ultima incarnazione di Ailin le aveva parlato, quando si erano incontrate fuori da Silvanesti. Anche questa volta aveva servito, fin da quando era nata e fin quando sarebbe morta, il drago di platino, motivo per cui oggi sentiva assolutamente un senso di fastidioso disgusto all’idea di poter servire un altro dio all’infuori di lui. Specialmente se malvagio.
Quando le due amiche sacerdotesse si alzarono e si diressero in gran fretta dal Gran Sacerdote, passarono per diversi sfarzosi corridoi e, oltre all’opulenza e alla scostumata vanagloria dello stesso, evidente in ogni angolo dell’edificio, Estellen notò che anche la schiavitù era permessa nel tempio caro a Paladine. Diversi elfi, mezzelfi, nani e kender infatti, venivano impiegati come sguatteri e servitori, bacchettati e pungolati continuamente dagli zelanti paggi del posto, affinché svolgessero tutti i compiti più umilianti si potesse mai immaginare. I loro sguardi tristi, cupi e dimessi, mal si sposavano con lo scopo per cui quel luogo di culto sarebbe dovuto servire.
Furibonda, Estellen aumentò il passo, ma poco prima di scendere una rampa di scale, il suo bieco cipiglio si attenuò di molto poiché, al piano di sotto, Stuard l’aveva vista e la stava aspettando. Silenziosamente la giovane portavoce di Paladine ringraziò il suo dio per questo dono imprevisto, ma che forse sarebbe stato determinante per il proseguo della sua missione.
Stuard seguì il cavaliere attraverso quello che realizzò essere un tempio. Il “Tempio di Paladine” per l’esattezza, visti i numerosi simboli sacri a lui dedicati, sparsi dappertutto.
L’oro era il metallo più utilizzato per raffigurarlo, ma notò che anche l’argento andava per la maggiore, ma insieme all’effige del dio veniva sempre raffigurato accanto quella di un uomo, con corona e scettro, che sembrava più un suo pari che un suo discepolo. La statua che trovò poi al centro di un cortile era piuttosto emblematica: un drago scolpito nel marmo, la cui ala era messa in modo da sembrar difendere questo uomo, come a rappresentare un messaggio preciso ed inequivocabile: egli era sotto la sua protezione invalicabile!
Il cavaliere inarcò un sopracciglio per tanta arroganza e cercò di seguire contemporaneamente il filo del discorso del suo loquace, più anziano collega. Il cavaliere che apriva la strada, parlava di ordini strani da parte del loro comandante e della loro urgenza di raggiungere il maniero di Dargaard Keep.
Quel nome fece sussultare Stuard, poiché essa era la dimora del cavaliere della morte che mesi prima aveva affrontato nella visione prima di raggiungere il portale per l’abisso sotto Vantal. Una delle peggiori esperienze che il giovane cavaliere ricordasse di aver fatto durante il suo viaggio nelle terre selvagge. Lord Soth sembrava tornare di nuovo nella sua vita dunque, questa volta però non come un’immagine eterea nella sua mente, ma come una presenza fisica vera e propria. Sapeva che si trattava ancora di un uomo e non del non morto che poi sarebbe diventato, tuttavia sapeva anche che la maledizione che l’aveva reso in quel modo, almeno secondo la leggenda, era avvenuta durante il Cataclisma.
Un brivido di tensione e nervosismo crescenti gli passò per tutto il corpo, scuotendolo dal di dentro.
Quando i due cavalieri attraversarono un’ampia e pomposa sala e lo sconforto sembrava aver afferrato il suo cuore, Estellen scese le scale davanti a lui e fu come un raggio di sole per Stuard.
Tra le spire del tempo.
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- Scritto da Mike Steinberg
- Categoria: Krynn
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