Il cavaliere si avvicinò al cadavere e vedendo che la sua mano destra era protesa in avanti come se volesse arpionare il terreno, controllò se magari sotto la pesante manica potesse celarsi qualche invisibile segreto.
In effetti, con sommo stupore di tutti, un rozzo coltello da cucina giaceva nascosto sotto il suo polso, semi immerso in un consistente strato di fango: l’ennesima stranezza di un’indagine che non voleva smettere di regalare novità e improvvisi colpi di scena. Infatti al di sotto della lunga e stretta lama erano stati siglati dei segni ben delineati, come se Martin, vista la sua fine imminente, avesse voluto comunicare ai posteri un ultimo messaggio rivelatore. Magari proprio un sagace indizio che li portasse dritti a chi l’aveva costretto a uccidere due persone e a farsi trovare davanti a quella maledetta scarpata per essere ucciso a sua volta.
Dopo aver esaminato con cura il corpo di Martin, Estellen dichiarò che dal blu intenso che circondava le iridi del giovane paggio, egli doveva aver ricevuto una dose massiccia di “mead” meno di dodici ore prima. Supposizione che Stuard poté confermare dopo pochi istanti, quando rinvenne una fiaschetta vuota per metà, contenente il prezioso e psicotropo intruglio. Oltre alla fiaschetta, il cavaliere trovò soltanto un fazzoletto con lo stemma dei Crownguard nelle tasche dello sventurato servitore di Sir Derek.
Mentre Kail ed Estellen riflettevano su quegli intagli sul terreno, all’apparenza privi di senso, Gideon stava per risalire la scarpata, ma si era improvvisamente fermato perché attratto da qualcosa che aveva carpito la sua attenzione e che lo spinse evidentemente a tornare indietro. Soprassedendo sulle stranezze dell’elfo, i due amici convennero che si trattava quasi certamente di due lettere, forse proprio le iniziali dell’assassino, chi poteva saperlo, ma non riuscivano a capire con certezza quali fossero. Una K e una G? O una C e una N? Non era affatto chiaro. Quello che invece sembrava chiaro per tutti, fu che Martin aveva strisciato per alcuni metri, poi si era arrestato, non si sapeva bene perché e quindi aveva inciso sul terreno quei due caratteri prima di spirare.
Grattandosi il filo di barba che ormai si allungava sempre di più, Kail corrugò la fronte. Poi fece il giro del cadavere, mettendosi di fronte ad esso. Sollevò di nuovo la sua mano e scoprì che i due caratteri erano davvero due lettere e risultavano adesso evidenti viste al contrario: una K e una C! Ma perché Martin avrebbe dovuto incidere quelle due iniziali capovolte? Quale poteva essere lo scopo?
“Semplice,”
arguì Stuard.
“… non c’è alcun motivo o scopo, perché mi sembra chiaro che non sia stato lui a farle, ma qualcun altro nel verso in cui ti trovi.”
Prima di cedere all’arguta spiegazione del compagno, Kail perse qualche minuto insieme all’elfo per scovare delle tracce lì intorno. Gideon sembrava particolarmente perplesso e immerso nei propri pensieri dopo esser tornato insieme al gruppo, ma com’era caratteristica della sua razza si concentrò subito sul lavoro da fare. Insieme al mezzelfo cercarono di scoprire se l’assassino poteva esser sceso dabbasso a controllare di persona il cadavere e magari se poteva aver lasciato lui quei segni sul terreno, ma nessuno a parte loro erano calati da quel piccolo dirupo chissà da quanto tempo.
Quindi si trattava davvero di una terza persona, probabilmente sopraggiunta successivamente e direttamente dalle terre brulle.
Considerando che aveva utilizzato un coltello da cucina, era molto probabile che esso fosse di proprietà di Martin e quindi che avesse voluto lasciar credere che fosse stato il paggio ad incidere quelle due lettere. Solo che aveva commesso l’errore di sbagliare il verso. A meno di sostenere altre improbabili interpretazioni ancor più ingarbugliate (tipo che l’avesse fatto apposta o cose del genere). Inoltre era pressoché impossibile rintracciarne i movimenti attraverso il ritrovamento di elementi indiziari, visto il terreno roccioso e asettico di quella zona.
Quando Stuard pronunciò il nome e il cognome di Kerwin Crownguard a voce alta, entrambi i suoi amici sembrarono condividere l’improvvisa epifania del cavaliere, soprassedendo per il momento sull’argomento concernente i segni e concentrandosi su un altro ben più importante. Se infatti Kerwin Crownguard fosse stato il contatto di Ariakas da questa parte del mondo, sarebbero stati davvero guai seri per le forze alleate. Egli avrebbe potuto distruggere il cavalierato dall’interno, cosa che gli stava già riuscendo abbastanza bene anche senza essere a capo di questa cospirazione e con il globo dei draghi nelle sue mani chi avrebbe potuto osare contrastarne la volontà? Se fosse stato davvero lui “il nemico dentro”, talmente senza scrupoli da accusare il proprio figlio di essere il mandante di due omicidi, tutto Krynn sarebbe stato sull’orlo della disfatta, non solo la Solamnia.
Un ultimo illuminante collegamento prima di risalirla scarpata lo confermò Gideon annusando le mani di Martin: era infatti proprio quello l’aroma che lo aveva attratto in quella radura, un pungente odore di mandorla di cui i nostri eroi si guardarono bene dal rivelarne la vera natura. Prima di tornare al rado spiazzo soprastante, Kail volle chiedere all’elfo cosa lo avesse reso così confuso e pensieroso, ed egli in tutta risposta gli mostrò l’altra parte della freccia spezzata, rinvenuta qualche metro più avanti.
Kail inarcò un sopracciglio: la cocca era certamente elaborata e composta di un piumaggio che non riusciva a riconoscere, ma per quanto particolare e ben realizzata, non gli diceva molto altro. Allorché Gideon venne in suo soccorso, spiegando che il piumaggio di quella cocca era composta da pregiate e rarissime piume di grifone e che quella tipologia di freccia era “unica”, appartenendo ai “wardancer”: i guerrieri più forti di tutta Qualinesti! L’elfo spiegò che solo tredici guerrieri potevano diventare “wardancer” e solo quando uno di loro moriva veniva scelto un bambino elfo che lo sostituisse, ovviamente dopo molti anni di addestramento durissimo. I “wardancer” erano i guerrieri scelti a guardia del re. Erano la sua ombra e il suo baluardo. Solostaran non si muoveva mai senza almeno uno di questi formidabili combattenti che lo seguiva da presso. “Un passo avanti per il re e un passo avanti per il wardancer dietro di lui”, era il loro motto.
Fu a quel punto che Kail capì.
Si ricordò infatti di una cena che era avvenuta al maniero di Lord Gunthar, tra lui e il re degli elfi di Qualinesti. Se quanto affermato da Gideon rispondeva a verità e non aveva dubbi a riguardo, uno dei “wardancer” era andato sicuramente con lui quella sera, come sua scorta personale. Quindi aveva lasciato per forza le proprie armi al deposito, come imponeva la regola del padrone del maniero. Sarebbe stato poi relativamente facile per qualcuno che ne avesse avuta l’autorità, rubare una delle sue frecce e poi usarla (o farla usare) sul povero Martin per incastrare in questo modo Solostaran e il suo popolo.
Tuttavia, la stranezza della cocca, congiuntamente alla scarsa perizia come arciere, aveva portato al tiro maldestro che aveva ferito il giovane ad un polpaccio senza però ucciderlo sul colpo. Quindi egli aveva perso l’equilibrio, ed era ruzzolato giù per il dirupo.
Il mezzelfo si recò di nuovo sul bordo della scarpata ed osservò il corpo immobile del servo di Sir Derek.
“Stava strisciando, quindi non era morto ancora… cosa diavolo può essere successo quindi… ma certo!”
Kail batté il pugno sul palmo della mano e si voltò verso i suoi amici, incuriositi a quel punto dal suo ragionamento.
“Il suo assassino gli ha ordinato di non muoversi e Martin è morto dissanguato! E’ l’unica spiegazione possibile.”
Kail chiarì che Martin era ancora pesantemente sotto il potente effetto del “mead”, che l’aveva costretto a rimanere immobile perfino quando il suo assalitore gli aveva scagliato contro un dardo con l'intenzione di ucciderlo. Infatti non c’erano tracce di lotta che potessero testimoniare una differente interpretazione dei fatti. Poco dopo, quando era sceso da cavallo, raggiungendo il bordo del dirupo e notando che la sua vittima era ancora viva, gli aveva ordinato di rimanere fermo, di non strisciare più e di lasciarsi morire dissanguato! Ancora una volta il povero paggio, costretto dalla droga, fu obbligato ad obbedire e a perdere in questo modo terribile la vita.
Questa ricostruzione di come erano andate le cose sembrava a tutti più che plausibile. Confermava tra l’altro anche l’idea che era stato qualcun altro e non Martin ad incidere quelle due lettere sul terreno, infatti lui non poteva più muoversi, soggiogato da una volontà ben più forte della sua.
Bisognava a quel punto capire se chi lo aveva fatto, voleva aiutarli oppure depistarli. Eppure Estellen “sentiva” che quel messaggio era stato lasciato lì da qualcuno che aveva visto tutto e che voleva metterli sulla giusta strada, ma affidarsi alle sensazioni di un chierico senza l’ausilio di prove certe, non sarebbe bastato a smascherare l’assassino. Anche la portavoce di Paladine lo sapeva bene.
Prima che Gideon tornasse al suo accampamento e i nostri eroi al maniero, Stuard notò un piccolo oggetto luccicante nell’area dove erano state trovate le tracce dei cavalli. Sotto uno spesso strato di fango ed erba, praticamente invisibile allo sguardo anche del più navigato degli elfi, uno strano bottone venne fuori dal pantano. Il cavaliere si chinò e lo raccolse. I suoi amici gli si affiancarono e quando Stuard fece notare che sul bottone c’era lo stemma di Gavin, città poco distante e capitale dell’Isola di Sancrist, Kail non riusciva a crederci: adesso anche la milizia locale poteva essere coinvolta in questa cospirazione!
Caso strano, un altro dei membri votanti del Consiglio del giorno dopo.
I miliziani di Sancrist potevano essere davvero gli assassini del giovane Martin o coloro che avevano inciso quelle lettere sul terreno. Potevano perfino essere dei preziosi testimoni oculari, chi poteva saperlo? In ogni caso bisognava indagare, fare qualche domanda, almeno finché non avessero giustificato la presenza di quello strano bottone in quella maledetta radura.