Kail cercò in tutti i modi di tirar su il morale dell’amico, ma la batosta che aveva subito Stuard nell’apprendere che il suo maestro d’armi, colui che gli aveva insegnato ad usare spada e scudo in quel modo così unico e particolare, era purtroppo caduto sul campo di battaglia, era stata troppo sonora da digerire. Il giovane cavaliere era rimasto senza parole per alcune ore e anche quando erano venuti a prenderlo degli uomini del suo casato, per scortarlo nelle sue nuove stanze, li aveva seguiti senza dire una parola o palesare un’emozione. Così alla fine il mezzelfo era rimasto da solo, tanto che quando udì la voce di Astarte che intimava alle guardie di levarsi di mezzo e farlo scendere, sussultò per lo stupore, quasi non sperando più che il suo mentore potesse venire infine a salvarlo.
Stuard aveva attraversato mezzo maniero per giungere a destinazione e non era stato un tragitto breve, talmente grandi erano le sale ed i corridoi che componevano la tenuta di Lord Gunthar. Il giovane cavaliere aveva ben capito che le ampie stanze e i lunghi passaggi interni, strutturati attraverso ben tre livelli dell’enorme edificio, erano stati adibiti ad ospitare le casate più importanti di tutto il cavalierato. Per quel che gli interessava, la sua, quella degli Astarte e quella degli Uth Monnar, geograficamente molto vicine nella Solamnia meridionale, erano state accorpate nella stessa sezione della struttura, che era decisamente lontana dalle segrete del maniero. Comunque alla fine giunsero a destinazione e Stuard poté notare che il vessillo del drago, sormontato da una ingioiellata corona, drappeggiava gran parte del lungo corridoio dell’ala est del maniero, mentre altri due grandi stendardi potevano esser notati chiaramente da quella posizione: quello degli Uth Monnar, l’unicorno bianco, ad una decina di metri più avanti e l’aquila gialla degli Astarte, posizionato ancor più in là. La luce del sole filtrava dalle finestre e batteva proprio sul lato est, dove c’erano le stanze e le sale tattiche delle tre casate adiacenti. Quindi il giovane cavaliere non poté non notare l’imponente figura di suo fratello che si apprestava ad andargli incontro con incedere marziale. Con un sospiro sofferto, Stuard si preparò a ricevere un ulteriore strigliata da parte di Theodor e probabilmente, da lì a poco, anche di suo padre.
Kail si alzò di scatto dal suo giaciglio solo per vedere la figura imponente di Astarte fermarsi proprio davanti alla sua cella. Il vecchio cavaliere portava l’elmo cerimoniale sotto il braccio e la livrea dell’aquila impressa sull’ampio petto.
“Sono molto dispiaciuto per il tuo operato Kail, ma non per la tua presunta disubbidienza: ho imparato a fidarmi di te da molto, moltissimo tempo. Non ti avrei concesso di proteggere la vita dell’infante Erstellen, se non mi fossi fidato ciecamente di te. Ecco perché sono dispiaciuto... sono dispiaciuto perché non me ne hai parlato. Perché non ti sei sincerato se io avessi davvero appoggiato o meno questo vostro viaggio attraverso le terre selvagge. Se mi avessi convinto che fosse stata la cosa giusta da fare, ti avrei difeso ed appoggiato con ogni oncia del mio spirito. Credimi. Avremmo fatto le cose in regola e ne saremmo usciti vincitori. Invece mi hai nascosto questo vostro progetto, che con il passare del tempo è divenuto agli occhi di tutti un’ordalia segreta, hai scelto di muoverti furtivo come un criminale e adesso la nostra casata, quella degli Uth Breannar e quella degli Uth Monnar, sono accusate di cospirazione contro il cavalierato e “alto tradimento”! Hanno osato perfino sospettare che siamo stati noi a dirvi di compiere questa “missione” non autorizzata. Ad organizzarla, perfino. Prepararla in ogni dettaglio, dalla fuga dalla Solamnia, al transito nel mare nuovo, fino ai lontani boschi di Silvanesti… soltanto per garantire alle nostre famiglie fama e prestigio oltre misura! Per essere stati coloro che alfine potevano vantarsi di aver inviato la figlia del drago di platino nel suo cammino verso l’illuminazione e dunque la salvezza del nostro mondo! Altrimenti come avrebbero potuto riuscire a farcela tre uomini da soli, di cui due poco più che ragazzi, ad attraversare mezzo mondo, affrontare terribili avversità e tornare sani e salvi e soprattutto in tempo per questo secondo consiglio di Whitestone? Sarebbe stato praticamente impossibile, tabella di marcia alla mano, se le cose non fossero state già “apparecchiate” prima, con navi, mezzi di locomozione su terra, ed i giusti alleati in ogni precisa tappa, pronti ad aiutarvi in ogni circostanza.”
Kail ascoltava le parole di Astarte, con gli occhi lievemente obliqui socchiusi per lo sforzo di sopportarle stoicamente. Esse infatti gli arrivarono alle appuntite orecchie come pugnali affilati e sapeva che il cavaliere non gli stava mentendo e nemmeno mascherando parzialmente la verità. Stava davvero presentando il pensiero comune di una buona parte dei vertici del cavalierato. Se questa era davvero la loro posizione, il loro modo di pensare, non riguardo lui o i suoi amici, ma riguardo l’onore, il coraggio e soprattutto la fede negli dei, non c’era alcuna speranza per loro. Meritavano senza alcun dubbio di chiudere i battenti o di andare distrutti dalle forze del male. Il mezzelfo non provò nemmeno a difendersi, non tentò neanche di elencare le numerose e più che legittime ragioni per non meritare assolutamente nessuna delle accuse formali formulate contro di lui. Si limitò a rimanere in silenzio e ad aspettare che fosse Lord Astarte a chiosare sul quel assurdo resoconto.
“Farò il possibile per salvarti Kail, ma le accuse sono molto gravi e anche la mia casata condivide lo stesso tuo destino. Ti verranno fatte delle domande dirette in proposito, spero risponderai in maniera adeguata.”
Terminò alla fine l’anziano cavaliere, con voce quasi rotta dalla pena.
Poco prima che egli tornasse alle scale però, Kail volle dirgli qualcosa: qualcosa che riuscì a scuotere il suo mentore nel profondo. Il mezzelfo lo supplicò di salvare Estellen! Perché era lei la chiave. Lei era la “speranza”. Non un improbabile oggetto portato da altrettanto improbabili avventurieri provenienti da est. Lei era “il verbo di Paladine” e lei doveva sopravvivere e portare a termine la sua prossima missione che, avevano appreso da Fizban, fosse quella di giungere a Palanthas entro l’inizio della primavera. Lì lei avrebbe ricordato le sacre parole e avrebbe salvato il mondo. Nient’altro contava, quindi, nemmeno la sua vita o quella di Stuard. Solo Estellen.
Lord Astarte annuì, poi gli ordinò di prepararsi poiché avrebbe presto inviato qualcuno dei suoi uomini, per spostarlo dalle prigioni alle stanze che aveva fatto preparare per lui. Quindi con il consueto atteggiamento marziale risalì le scale e sparì tra i corridoi del maniero. L’eco dei suoi passi riecheggiò per molti minuti nella testa del mezzelfo, che era rimasto di nuovo solo. Terribilmente solo, immerso nei suoi imperscrutabili pensieri.
Quando Theodor arrivò da suo fratello, rincarò la dose con ammonimenti e avvertimenti, francamente poco necessari, vista la situazione. Sottolineò quanto fosse importante adesso studiare una linea d’azione che portasse al processo con un piano funzionale, sfruttando l’appoggio di Lord Gunthar che, quasi certamente, non l’avrebbe abbandonato al suo cupo destino. Non fosse altro per il fatto che il signore del maniero sapeva molto bene che Lord Crownguard voleva sbarazzarsi di lui e cedere alle sue pretese sconsiderate senza far nulla, avrebbe nuociuto fortemente alla sua posizione politica all’interno del cavalierato.
Stuard ascoltava sempre più disgustato il fiume di parole e di considerazioni che suo fratello gli stava vomitando sopra, finché la figura ingrigita, ma ancora fiera ed imponente di suo padre, uscì da una delle stanze con il vessillo degli Uth Breannar con tutta l’intenzione di andare direttamente da lui. Il giovane cavaliere gonfiò il petto, tenendo le mani unite saldamente dietro la schiena.
Estellen, che aveva sentito la voce dell’amico poco distante nel corridoio, aveva socchiuso la porta, ma quando notò Sir Marcus avvicinarsi al figlio, preferì evitare di intromettersi in quel delicato momento d’intimità tra i due, rientrando subito nelle sue stanze.
Poco prima di raggiungerlo, Theodor si mise in mezzo tra i due, pregando il padre di essere clemente, di non inasprire i toni, già decisamente oltre la soglia di sopportazione per Stuard.
Sir Marcus guardò il figlio più grande negli occhi e disse:
“Fatti da parte. Subito.”
Theodor non aveva mai visto suo padre in quello stato: il petto all’infuori e la schiena tenuta dritta, sembrava in quell’occasione la copia di suo nonno Gerald, uno dei più grandi e valorosi cavalieri di Solamnia degli ultimi cinquanta anni.
Sir Marcus non aveva la nomea di essere un cavaliere dal polso fermo e dallo sguardo duro come quello di suo padre, aveva sempre preferito la diplomazia alla guerra e l’arte della parola a quella della spada. Tutto l’opposto di Theodor, famoso per la sua irruenza e propensione alla battaglia.
Tuttavia guardandolo adesso negli occhi, Sir Theodor preferì non fare polemica ed obbedire, scansandosi da davanti suo fratello.
Stuard chiuse gli occhi preparandosi al peggio, invece, ciò che gli arrivarono non furono dei violenti manrovesci, ma delle poche e lucide parole che seppero però scuotere il suo cuore.
“Ne è valsa la pena, figliolo?”
Domandò Sir Marcus, calmo.
“Assolutamente, padre.” Rispose Stuard, con voce ferma.
“Allora sono fiero di te. Stai rischiando tutto per questa tua convinzione, perfino la tua vita. Solo gli uomini coraggiosi lo fanno e in questi tempi di guerra, solo il coraggio potrà salvarci. Ora va nelle tue stanze e riposati.”
Sir Marcus appoggiò una mano sulla spalla del figlio più piccolo e lo benedì con la sua approvazione, lasciando di stucco non solo Sir Theodor ma perfino lo stesso Stuard.