Il gruppo rimase diversi minuti interdetto sul da farsi, circondato da persone di ogni razza e nazionalità, che parlavano nella loro lingua o in comune quando interloquivano tra di loro e stranamente sembravano andassero d’accordo come mai era accaduto prima. Non che fosse una cosa brutta ovviamente, ma di sicuro era una cosa strana e Stuard affermò con determinazione che la risposta alle loro domande si trovava al di la del cancello del maniero.
Esso rimaneva aperto, anzi spalancato e non c’erano cavalieri di Solamnia a pattugliare la zona, segno che tutti potevano entrare liberamente, come se il maniero stesso fosse una tenda più grande, ma dello stesso livello sociale delle numerose ed eterogenee delegazioni che ospitava. Le uniche sentinelle, che sembravano a guardia di qualcosa, erano due cavalieri della corona che pattugliavano l’entrata ad un sentiero piuttosto fiorito e particolarmente curato dai giardinieri del posto, che doveva condurre in qualche luogo di evidente importanza nella tenuta.
Sempre più perplessi, Estellen e Kail seguirono Stuard all’interno della struttura.
L’edificio era enorme e a base quadrata, ed aveva quattro affusolate torri ai suoi quattro angoli, più una centrale che svettava sopra le altre. Il vessillo del leone sventolava fiero sui quattro pennacchi delle torri perimetrali e ancor di più su quella principale. Inoltre, lungo il margine interno della struttura, potevano notarsi diverse costruzioni che ospitavano stalle, magazzini, botteghe e perfino un’ampia cappella dedicata a Kiri – Jolith, dove diversi devoti cavalieri entravano ed uscivano portando i loro ossequi al dio, loro protettore.
Estellen sorrise sinceramente per quell’antica usanza che qui evidentemente era rimasta inalterata nei secoli e comprese perché gli Uth Wistan erano di sicuro la casata più potente e rispettata di tutto il cavalierato. Poche di esse infatti erano rimaste ancorate agli antichi registri, che legavano questo sacro ordine di guerrieri al culto degli dei del bene, principalmente a quello del primogenito di Paladine. Molte avevano perso le originarie, gloriose abitudini, rimanendo incastrate nei pantani di sciocchi intrighi interni, alla bramosa ricerca di un potere gretto e becero e nei meandri delle più meschine cospirazioni, al fine di primeggiare politicamente e spalleggiate da una obsoleta interpretazione della Misura, che impediva la normale evoluzione di un ordine vecchio di secoli e bisognoso di un restauro integrale.
Un tempo maestoso, il triumvirato aveva giudicato in maniera retta ed imparziale, sotto l’attento e vigile sguardo di Kiri – Jolith, ogni circostanza in cui la virtù e la giustizia veniva messa in discussione. Il Gran Maestro dell’ordine della rosa, Il Sommo Chierico dell’ordine della spada e il Giudice Supremo dell’ordine della corona, erano le tre figure a capo del cavalierato, ma con la scomparsa degli dei, l'arrivo del cataclisma, ed il lento declino dei veri valori proposti da sempre dai solamnici, si erano ridotti a due: quello della Rosa e quello della Corona, poiché con la scomparsa di Kiri – Jolith, anche i cosiddetti paladini dell’ordine erano scomparsi con lui. Adesso decidevano i potenti e i ricchi il destino dei cavalieri, ma essendo questi tempi di guerra, Lord Guntahr Uth Wistan stava tentando di ripristinare l’antico codice cavalleresco: ecco perché era importante rivelare il ritorno degli dei. Dei veri dei. Estellen avrebbe potuto garantire una svolta al cavalierato! Se fossero tornati i paladini dell’ordine della spada infatti, i solamnici avrebbero smesso di farsi la guerra tra di loro, per avidità o brama di potere, altrimenti ne avrebbero pagato il fio con la vita.
Stuard bisbigliava queste sue considerazioni ai suoi amici, mentre, a grandi passi, attraversava il gigantesco cortile che divideva i cancelli d’entrata dall’ampia navata che introduceva alla torre principale dell’edificio. Tuttavia, il loro passaggio non passò inosservato, ed infatti furono presto avvicinati da un giovane cavaliere della corona, anch’egli disarmato.
Si presentò come Sir Gericho, non specificando però né il suo cognome né la sua casata e domandò loro chi fossero e perché si trovassero lì. Quando Stuard si presentò, Sir Gericho lo accolse con tutti gli onori, ma prima di scortarlo all’interno del maniero, chiese a lui e ai suoi amici di lasciare le loro armi nel deposito preposto.
Nonostante una certa reticenza, alla fine sia Kail che Stuard si convinsero e lo seguirono nei pressi dell’entrata del castello, dove c’era un piccolo magazzino con centinaia di armi accatastate e tutte ordinatamente schedate, appartenenti probabilmente a tutti quelli che avevano fatto domanda di entrare nella tenuta Uth Wistan. Stuard firmò e lasciò al responsabile la sua antica spada, ma non prima di farsi assicurare che quell’arma, importantissima per la sua famiglia, non venisse mai lasciata incustodita, ma anzi, se possibile, assegnata il prima possibile alla cura diretta della delegazione degli Uth Breannar presenti al castello. Stessa cosa fece Kail con la spada di Silvanos, benedetta da E’li in persona: alla fine se ne divise, ma sottolineò quanto quell’arma fosse importante, visto il suo antico e sacro retaggio.
Sir Gericho, un ragazzo intorno ai ventiquattro, forse venticinque anni, pensando che il mezzelfo stesse un po’ esagerando con le descrizioni, azzardò una battuta che però a Kail non piacque affatto. Il cavaliere infatti, sorridendo sarcasticamente, aveva commentato che dunque, se avesse venduto quell’arma, avrebbe potuto perfino acquistare un centinaio di barili del “Mead” e quindi diventare una persona ricca oltre ogni misura. Kail perse quasi il senno al ricordo di quanti elfi venivano quotidianamente trucidati per fabbricare quella maledetta mistura di morte, il cui ingrediente principale veniva estratto dalla loro ghiandola pineale, una volta che il loro sangue era stato saturato completamente dalla stessa terribile miscela.
Ci volle tutta la diplomazia e la proverbiale saggezza di Estellen per calmarlo e per spiegare al cavaliere che sarebbe stato il caso far cadere immediatamente l’argomento. Per il suo bene.
Il cavaliere alla fine si scusò con il mezzelfo, spiegando che non aveva avuto alcuna intenzione di ferirlo o di rievocare in lui brutte esperienze. Poi raccolse le loro firme e disse all’addetto al magazzino di catalogare le loro armi e di aspettare il suo ordine diretto prima di accatastarle con le altre: sarebbe stato più che probabile infatti che le due spade, ed il pugnale di Estellen, fossero trasferite direttamente nel maniero, sotto la responsabilità della casata Uth Breannar. Così, Sir Gericho si allontanò, rientrando nella torre centrale e chiedendo loro di attendere qualche minuto: il tempo necessario per farsi rilasciare i loro lasciapassare.
Nel frattempo i nostri eroi poterono ammirare la bellezza dell’edificio, le sue alte torri, i suoi elaborati minareti e i suoi splendidi cancelli, che separavano gli ambienti interni da quelli esterni. I minuti passavano inesorabili e Kail ebbe un presentimento strano, come una sensazione che qualcosa si stava mettendo male.
Infatti, quando finalmente due cavalieri, armati fino ai denti e accompagnati da un altro cavaliere più anziano, vennero a prenderli per portarli direttamente nelle prigioni, il mezzelfo non restò così di sasso come i suoi amici.
Le accuse erano molto gravi e provenivano inaspettatamente proprio dal Giudice Supremo, Lord Kerwin Crownguard: alto tradimento, disubbidienza agli ordini diretti del consiglio dei cavalieri e, questa solo per Stuard, utilizzo improprio dello status di cavaliere, motivo per il quale egli aveva potuto utilizzare la spada cerimoniale della propria famiglia prima del giuramento, aspetto severamente proibito dalla Misura.
I cavalieri si affiancarono ai nostri eroi e li scortarono dentro l’edificio, fino a raggiungere le segrete nei sotterranei del maniero. I volti di quei giovani ragazzi erano tristi e imbarazzati nel trattare una dama, apparentemente innocua e dall’aria così innocente come sembrava Estellen, come una prigioniera della peggior risma, ma quelli erano stati gli ordini e loro non potevano purtroppo farci niente.