Alhana rincorse Eluarna per tutto il terzo livello della città e quando la trovò ci mise un po’ a riprendere fiato. Vedendola piegata sulle ginocchia, la governatrice di Sithelnost attese con pazienza che la sua regina riacquistasse il controllo sul suo linguaggio e soprattutto sui suoi polmoni, poi finalmente si appartarono per parlare.
In buona sostanza Alhana domandò all’elfa guerriera se era a conoscenza della leggenda di Waylorn e quanto di vero ci fosse in quelle storie popolari che aveva appreso da bambina. Eluarna la guardò perplessa: non tanto perché il mito di Waylorn non fosse almeno in parte vero, quanto per il fatto che lei fosse davvero convinta di riuscire a riportare l’antico druido in vita.
Il mito di Waylorn non era affatto una leggenda, ma più una storia infarcita di mezze verità. La sua singolare tomba di cristallo era stata portata dagli umani a Silvanesti come dono per gli elfi, molto prima che la foresta potesse espandersi nella maniera in cui si era estesa oggi. Ancora oggi essa era lì, ferma nel tempo e chiunque conoscesse la sua ubicazione, poteva renderle onore senza alcuna restrizione. I silvani poi, per poter celebrare meglio la sua memoria attraverso i secoli, costruirono un’affusolata torre sopra la sontuosa ma fragile lapide del druido, a testimonianza dei tempi andati e di come, una volta, questi personaggi devoti a Chislev si erano occupati delle foreste, come i chierici degli esseri senzienti.
Purtroppo le loro antiche conoscenze andarono perdute con lo scorrere dei millenni, per poi sparire del tutto durante e dopo il cataclisma. Tuttavia Waylorn era stato l’ultimo ad essere rimasto in vita e a combattere al fianco di Huma le legioni di Takhisis. In seguito e per motivi sconosciuti, si era lasciato morire, oppure sprofondare in un sonno mistico (la cosa non era chiara) dal quale non si era destato nemmeno dopo la montagna di fuoco scagliata dagli dei.
Eluarna non era sicura quale fosse stata davvero la sorte toccata al druido, ma di una cosa era certa: nessuno aveva il potere di risvegliarlo, nemmeno una sacerdotessa di Paladine! Non volendo minare la sua autorità con un ordine diretto, Alhana domandò alla governatrice della città di farle dono di uno scout che scortasse ugualmente lei e i suoi amici alla torre del druido: se non avessero tentato, la foresta sarebbe stata comunque spacciata, tanto valeva dunque fare un tentativo. Cosa avrebbero avuto da perdere?
Nonostante le mille esitazioni che le frullavano per la mente, alla fine Eluarna acconsentì e fissarono la partenza alla torre di Waylorn per l’alba del giorno dopo.
Nel frattempo i nostri eroi fecero provviste per i successivi giorni di viaggio: non mancava tanto alla loro mèta, ma senza viveri ed acqua, non sarebbero durati il tempo necessario per arrivarci, in quel territorio desolato e arso dalle fiamme. Quando Alhana tornò da loro e spiegò le sue intenzioni, nessuno obiettò alcunché, accettando di buon grado di fare una piccola deviazione alla torre del druido per sperare di salvare la maestosa foresta dei silvani.
Non appena le prime luci del sole cominciarono ad intravedersi tra gli alberi feriti della città, il gruppo si riunì dabbasso e attese la loro guida che li avrebbe scortati alla tomba di Waylorn. Il viaggio durò alcuni giorni, ma più si spingevano verso sud, più la foresta sembrava riprendere il suo solito colorito verdeggiante e i suoi intricati grovigli di piante e cespugli, tipici del fitto sottobosco di Silvanesti. Lo scout non credeva ai propri occhi di poter di nuovo camminare sull’erba o salire su un albero e arrivò quasi alle lacrime poco dopo, poiché non pensava che in vita sua avrebbe mai più visto questi miracoli della natura.
Tuttavia alla fine arrivarono a destinazione e i nostri eroi, coraggiosamente, entrarono subito all’interno della torre. Essa era alta circa venti metri, ed aveva una corta scala a chiocciola che costeggiava il muro e che conduceva al pinnacolo in cima. L’edificio rimandava ad un tipo di architettura chiaramente umana, ma aveva qualcosa, qualche dettaglio in particolare, che metteva in evidenza che anche gli elfi avevano partecipato alla costruzione della struttura. Anche loro avevano voluto omaggiare Waylorn in qualche modo.
Kail notò subito che, prima di salire le scale, sulla destra, c’era una piccola alcova. Dentro di essa spiccava un passaggio verso il basso, che il mezzelfo fece immediatamente notare a tutti. Alhana afferrò subito la torcia dalle mani di Stuard e ordinò a tutti di seguirla. Era pur sempre una regina!
Il passaggio aveva delle scale strette ma ben conservate che conducevano all’interno di un’umida stanza, al centro della quale era ampiamente visibile una tomba in marmo sovrastata da una teca di cristallo dove un corpo riposava tranquillo. Alzando la torcia Alhana illuminò i contorni del viso di quell’uomo, rivelando che aveva un fisico massiccio, i capelli biondi e il volto duro, come i guerrieri di una volta. Indossava un’antica armatura solamnica, ormai in disuso da secoli e teneva tra le mani un bastone, probabilmente incantato, ornato in maniera assai bizzarra. Esso era chiaramente un artefatto, forse costruito dallo stesso Waylorn, ed era munito di tre fasce d’oro, entrambe fissate poco al di sotto dei due vertici dello stesso, e di una pietra di quarzo ialino vorticante che, oltre ad illuminare fiocamente la teca, era incastonata, quasi incassata, poco al di sopra dei tre anelli dell’estremità alta del bastone.
Alhana guardò per diversi secondi il mistico artefatto, poi sospirò per l’ansia e si girò verso Estellen, chiedendole, quasi implorandola di risvegliare il druido. Estellen si avvicinò, constatando che egli in effetti non era morto, ma solamente immerso in un sonno magico. Pertanto alzò le mani verso il cielo che non poteva vedere e con voce imperiosa disse:
“Torna alla luce, spirito della foresta. Ascolta la voce di E’li. Destati, poiché gli alberi sofferenti ti chiamano!”
Ci fu un breve ma intenso momento in cui i muri tremarono alle parole di Estellen. Perfino la torcia si spense. L’unica fonte di luce rimasta, fu quella del bastone del druido.
Waylorn ci mise un po’ a svegliarsi, ma alla fine aprì i suoi limpidi occhi azzurri e si tirò su allarmato. Come chi si risvegliava di soprassalto da un brutto incubo. Afferrò tosto il bastone e disse:
“Dov’è dunque Sylvyana? Quali incommensurabili danni ha fatto questa volta?”
Estellen lo rassicurò, dicendogli che nessuno che rispondeva a quel nome li stava minacciando, ma che in effetti un nemico c’era che tutti i popoli liberi stavano combattendo e che aveva causato danni incalcolabili alla foresta degli elfi.
Il druido si rimise in piedi con difficoltà e domandò ai nostri eroi qualche dettaglio in più su ciò che era successo nel tempo in cui lui era rimasto a dormire. A turno, l’intero gruppo provò a sintetizzare secoli di storia, fino ad arrivare a ciò che era oggi capitato alla foresta a causa della furia dei draghi.
Il druido provò a muovere i primi passi: d’altro canto le sue gambe non si muovevano da moltissimi anni, ma ascoltò con pazienza la lezione di storia da parte di Alhana e dei suoi amici.
Poi commentò:
“Se la foresta è malata, io la guarirò. Ho giurato di farlo. Tuttavia non potrò restare per molto tempo, poiché se io mi sono destato, anche Sylvyana, la cavalca viverne, l’avrà fatto e io ho il dovere di fermarla!”
A questo punto, morsa dalla curiosità, Alhana chiese a Waylorn chi fosse questa Sylvyana e lui acconsentì a raccontarle di un amore travagliato, di scelte sbagliate e di cuori lordati dall’oscurità. Egli citò brevemente anche una donna chiamata “la regina dei ghoul”, ma in buona sostanza pareva che questa Sylvyana fosse apparsa ogni qualvolta Takhisis abbia cercato di mettere le proprie oscure mani su Krynn, alleandosi con personaggi malvagi ogni volta diversi.
Tutte le volte che la regina dalle cinque teste di drago aveva dispiegato un esercito, lei era apparsa dal nulla al suo fianco e Waylorn l’aveva sempre combattuta e respinta, l’ultima volta ai tempi di Huma, bandendola oltre un portale denominato “Il fiume del Tempo”. Waylorn parlava di Sylvyana con tristezza, mai con rabbia, con dolore e mai con cattiveria. Era chiaro che tenesse molto a lei.
Il druido si appoggiava al suo bastone, che definì “il divinatore della vita”: sarebbe stato attraverso di esso che lui avrebbe ridonato la vita alla foresta devastata. Prima di andare però, Waylorn volle spendere alcune parole per Stuard.
Notando la sua armatura e il suo portamento, gli domandò se fosse un cavaliere di Solamnia, ma Stuard rispose che non lo era. Non ancora perlomeno. Quindi Waylorn gli rivelò che aveva avuto nelle sue molte vite passate grandi amicizie presso i solamnici. L’armatura che indossava infatti gliel’aveva donata Vinas Solamnus in persona, a pochi giorni dalla sua morte. Il druido non poté non notare poi la sua lunga e ornata spada e gli chiese se potesse vederla meglio. Quando Stuard la sfoderò, mostrando la lama affilata e le gemme splendenti, Waylorn quasi trasalì. Egli gli confidò che quella spada era antica almeno tremila anni. Era stata forgiata da Reorx in persona per il sommo dio Gilean, tra l’altro unica arma che il custode della neutralità avrebbe mai più fatto costruire per lui dal dio dei nani. L’arma fu donata poi dallo stesso Gilean a Vinas Solamnus, in seguito ai suoi impagabili servigi per aver unificato le migliaia di piccole tribù umane (i suoi figli diretti) sotto l’egida di un unico simbolo: la spada, la corona e il martin pescatore! Raccontò di come dopo la sua morte la spada passò a uno dei suoi più fedeli e giovani cavalieri, Lord Marcus Brightblade: l’unico che aveva avuto sufficiente saggezza e arguzia da capire come utilizzare a pieno le incredibili proprietà di quella spada. Waylorn raccontò di averlo visto spesso sul campo di battaglia piantare l’arma nel terreno e fermare da solo molti nemici, semplicemente chiudendo gli occhi e appoggiando le mani sull’elsa della spada. Una volta l’aveva visto perfino respingere un drago facendo in quel modo!
“Combattere senza combattere”, questo era il motto di sir Brightblade. Qualunque cosa volesse dire.
Stuard non era sicuro di capire bene di cosa il druido stesse davvero parlando, ma sapeva molto bene che quella spada non era stata sguainata per diverse generazioni. Forse qualcosa del retaggio di Brightblade, della sua inafferrabile tecnica, era rimasto attraverso il passaggio della spada tra le dinastie. Forse era per questo che nessuno aveva mai voluto utilizzarla in combattimento. Dovunque risiedesse la verità, il cavaliere fu molto grato a Waylorn di quelle informazioni, ed era molto affascinato da quel personaggio così bizzarro e dalla sua antica e desueta armatura. Sarebbe stato contento di parlare ancora con lui del codice e della misura, così come erano stati concepiti da Vinas Solamnus, ma purtroppo il tempo era quasi finito per loro ed ora dovevano fare l’ultimo sforzo e trovare finalmente il tempio di Paladine. Altrimenti tutto ciò che avevano fatto finora sarebbe stato vano e lui non lo avrebbe mai potuto permettere.