Kail continuava a sfogliare e risfogliare le pagine del diario di Eyne freneticamente, alla ricerca di qualcosa, fosse stato anche un dettaglio minimo che non avesse notato prima e che avrebbe potuto aiutarlo a capire e magari ad accettare meglio il fatto che sua madre aveva preferito sacrificare suo figlio infante, pur di far rivivere suo marito morto sessant’anni prima. Purtroppo non c’era niente in quelle pagine che non avesse già visto e considerato, pertanto appoggiò il diario da una parte e si stropicciò la faccia, nel tentativo di rimanere lucido per le decisioni che sarebbero state prese da lì a poco.
In effetti era molto tardi, ed erano tutti piuttosto stanchi e provati dalle terribili sfide cui erano stati sottoposti nelle ultime ore. Estellen aveva gli occhi pesanti che le si chiudevano di continuo e anche Stuard, nonostante avesse come sempre lo sguardo duro e concentrato, stava per soccombere alla stanchezza. Pertanto, mentre Alhana ed Eiliana rimanevano imperterrite a controllare la mappa per capire il percorso migliore da fare, la sacerdotessa di Paladine si alzò traballante e chiese a Kail se poteva raggiungere la camera da letto per potersi riposare qualche ora.
Così, i nostri eroi decisero di ispezionare le ultime stanze della casa che ancora non avevano visto.
Iniziarono con la porta a destra del corridoio, scoprendo che in effetti ospitava proprio la camera da letto di Eyne e Decius. Lo si evinceva da alcuni disegni, peraltro molto belli, che erano stati incorniciati ed affissi sulle pareti. I soggetti erano sempre gli stessi: un elfo ed un’elfa in atteggiamenti romantici, ritratti a mano libera con acquarelli o carboncini.
Una volta che l’aria fu divenuta respirabile nella stanza, Kail notò che l’arredamento della stessa era molto essenziale: c’era un letto a due piazze, semplice e senza lenzuola, una consunta credenza messa di lato, un paio vecchie di sedie e un piccolo e basso sgabello. Tuttavia Stuard fece notare a tutti che in effetti c’era un oggetto di valore nella stanza: un anello d’oro infatti, era stato abbandonato sulla credenza e spiccava lucente e solitario come un fiore nel deserto. Il cavaliere lo esaminò, capendo dalle iniziali incise sul metallo, che si trattava della fede nuziale di Eyne. Pertanto avvertì Kail alle sue spalle e gli passò l’anello. Si trattava di un oggetto molto particolare: sembrava un’edera dorata, che avvolgeva il dito di chi l’avrebbe indossato con delle frange auree che simulavano minuziosamente i suoi rampicanti immersi nella rugiada del mattino.
Una vera e propria opera d’arte, pensò il mezzelfo tra sé.
Kail fu molto indeciso se prendere con sé anche l’anello, poiché in fondo si trattava di un pegno d’amore tra sua madre e Decius e non tra lei e suo padre, ma alla fine si convinse a portarlo via da quella casa maledetta e magari restituirlo un giorno alla sua legittima proprietaria, se fosse riuscito a perdonarla. Lo ripose dunque nella scatola di legno dove era custodita anche la piccola chiave d’argento che apriva il laboratorio e poi si unì ad Eiliana ed Alhana per discutere sul cammino da fare l’indomani mattina. Eiliana infatti aveva studiato due percorsi diversi e voleva discuterne con il mezzelfo prima di avvertire anche gli altri. Quindi iniziò tra i due una concitata discussione che terminò bruscamente qualche minuto dopo per un motivo assolutamente inaspettato.
Infatti Stuard ed Estellen presero posto nella stanza da letto, ritagliandosi uno spazio sul letto spoglio, ma quasi subito la giovane sacerdotessa di Paladine fu destata da una sensazione d’angoscia terribile che la aggredì senza preavviso. Lasciando al suo meritato riposo il cavaliere, la portavoce di E’li si alzò e, traballando, raggiunse l’altra stanza, rimasta ancora inesplorata e con la porta chiusa. Più si avvicinava a quell’uscio sigillato, più avvertiva qualcosa di terribile provenire da lì dentro. C’era tanto dolore e una sofferenza indicibile. Uno strazio insopportabile per chiunque, perfino per lei, tanto da impedirle di entrare a controllare quale fosse la fonte di quel supplizio.
Stuard, che aveva seguito i suoi movimenti, la raggiunse tosto e le domandò cosa c’era che non andava. Vedendola così smarrita, triste e addolorata, il cavaliere la scansò delicatamente da davanti la porta e poi coraggiosamente la aprì, sbirciando dentro, lampada alla mano.
Oltre al fetore nauseabondo che uscì spietatamente dalla stanza, dettaglio comprensibile visto che era rimasta chiusa per decenni, c’era qualche altra cosa che assalì Stuard come un orco inferocito: una penetrante e angosciante sofferenza, palpabile e fisica come un pugno allo stomaco, che il cavaliere non pensava nessun essere vivente avrebbe potuto mai sopportare! La sua fu un’esperienza di contatto fugace, brevissima: due o tre secondi al massimo e già stava rischiando di impazzire, tanto da pensare seriamente al suicidio. Figuriamoci l’idea di doverci convivere per tutta la vita!
Si, perché quel dolore, quell’angoscia, totale ed omnicomprensiva, riguardava fatti specifici, esperienze di vita vissuta, che il cavaliere poté osservare in tutta la loro assurda atrocità e viverne il riflesso, anche se fortunatamente solo per pochi istanti.
Estellen fu costretta a sorreggerlo, finché Stuard riuscì a riprendersi con fatica dallo shock.
La luce della lampada illuminò quindi la stanza, mostrando che si trattava di un piccolo ripostiglio. C’erano attrezzi per la manutenzione della casa, un banco da lavoro e una piccola rastrelliera, dove erano ammucchiati vari oggetti utili, come bottiglie, pezzi di stoffa e molteplici utensili. Tuttavia due cose spiccavano su tutte: una serie di incartamenti: lettere, pergamene ed altri scritti, ordinatamente sistemati in basso sulla rastrelliera, ed una scultura in legno raffigurante una donna, in bella vista proprio sul banco da lavoro.
Estellen si avvicinò alla scultura, notando che era davvero ben fatta, ma probabilmente non era stata finita, poiché mancavano dei dettagli importanti, che un artista meticoloso come chi l’aveva intagliata con tanta maestria, non poteva aver dimenticato. La scultura riproduceva una donna, che aveva un solo piede in terra e teneva l’altro sollevato, con il ginocchio piegato che le arrivava all’altezza dello stomaco e le braccia rivolte verso il cielo, con la testa leggermente piegata da un lato.
Una posa in effetti assai particolare.
Aveva una piccola incisione sulla base, che riportava ancora una volta il nome di Decius Tennier.
I due amici capirono che l’elfo aveva fatto quella scultura per sua moglie, ma non aveva avuto il tempo di finirla, poiché la morte l’aveva colto prima. Perché poi essa emanasse così tanta sofferenza e angoscia rimaneva un mistero, ma quando la spada di Stuard rivelò un bagliore bluastro su di essa, Estellen comprese che attorno a quel lavoro di intaglio era stato officiato un potente quanto oscuro incantamento. Un rituale di natura malvagia, che aveva spogliato l’incantatore di tutta la sua sofferenza e il suo patimento, riversandoli nella scultura!
Estellen fece un passo indietro quando ebbe questa illuminante epifania. Non aveva mai assistito ad una manifestazione tanto palese di disperazione e sconforto.
Come avrebbe detto Kail pochi secondi dopo:
“cos’era un uomo senza la sua sofferenza? Senza quelle emozioni, anche devastanti, che aveva provato nella sua vita, cosa sarebbe rimasto di lui? Che persona sarebbe diventata?”
Estellen abbassò il capo, non riuscendo a non pensare che quando si superava un certo limite di sopportazione, quando ciò che di sensato rimaneva da fare nella vita fosse solo la scelta di togliersela, forse quella soluzione rimaneva l’unica vera alternativa al suicidio. Soprattutto per un’elfa: una creatura di luce, che amava la vita sopra ogni cosa.
Soggiogata dalla pena e dalla pietà nei confronti di Eyne, la portavoce di Paladine non riuscì a far altro che abbracciare la scultura, condividendo ancor di più con essa il suo dolore, ma lasciando esterrefatti i suoi amici e perfino il suo animale guida.