Quando il mezzelfo pensò di essersi ripreso a sufficienza, si avvicinò con decisione ad Aric ed Estellen. In un angolo, in disparte sulla piattaforma, Stuard manteneva un bieco cipiglio: conosceva ormai bene Kail e non gli piaceva affatto l’espressione disperata che aveva stampata sul viso. Pareva troppo latrice di scelte infauste.
D’altro canto, lo scout aveva idee contrastanti nella testa e doveva per forza metterle in ordine o le decisioni che avrebbe preso nelle prossime ore, avrebbero rischiato di compromettere le successive fasi della loro missione. Per un breve momento il mezzelfo incontrò gli occhi di Stuard e seppe immediatamente che il cavaliere non condivideva quello che entro pochi secondi avrebbe chiesto alla sua amica e allo stregone. Ignorando il suo disappunto, il ranger domandò ai suoi amici se avessero potuto fare qualcosa per eliminare la maledizione che Moebius aveva presumibilmente scagliato su suo nonno. Almeno secondo quanto Demetrius aveva raccontato loro: esisteva anche la possibilità infatti, nemmeno troppo remota, che avesse avuto ragione sua moglie Arielle a considerarle soltanto vaneggiamenti di una mente sfinita e troppo provata dalle vicissitudini nefaste che aveva subito nella sua vita.
Tuttavia Kail non voleva tralasciare alcun particolare: ciò che Demetrius aveva evidenziato durante il suo monologo, erano forze che non nessuno poteva permettersi di trascurare, tantomeno lui. Anche a costo di creare malumori più o meno manifesti all’interno del gruppo.
Il primo ad agire fu Aric.
Il mago domandò a Demetrius e a sua moglie se poteva dare un’occhiata più approfondita al marchio che aveva sulla schiena. Ovviamente nessuno si oppose. Quelle persone si accompagnavano ad Eiliana Starbreeze, una vera beniamina per il popolo silvano e certamente dovevano sapere quello che facevano. Infatti, bastò un semplicissimo incantesimo rivelatore, per mostrare allo sconcertato stregone che quel marchio era in realtà una vera e propria “parola di potere”, espressa nel linguaggio antico e dimenticato dei dragoni! Purtroppo si trattava di un sortilegio malvagio: una maledizione potente e crudele.
Tuttavia non era tutto: quel simbolo esprimeva sì una condanna per chi lo portava, ma anche un “vincolo” indelebile con un'altra anima. Una specie di "connessione diretta" con qualcun altro.
Lo stregone corrucciò la fronte. Quello non era un semplice "incantamento", ma un vero e proprio "ordito di magia". Un complesso rituale arcano, che nascondeva molti incantesimi uno dentro l’altro. Come una matriosca enorme e stratificata, troppo potente affinché lui potesse smascherarla nella sua interezza, ma di sicuro abbastanza evidente da lasciar intuire che quell’incisione diabolica legasse in maniera indissolubile il destino di "due persone". Una era Demetrius e l’altra, volendo accogliere come veritiere le parole del nonno di Kail a proposito della sentenza che aveva lanciato Moebius, doveva essere il figlio “mezzo drago” dello stesso! In pratica, il fratellastro di Kail!
Aric stringeva la staffa demoniaca come se cercasse sostegno, consapevole che c’era molto di più dietro quelle poche informazioni che era stato in grado di ricavare. Importanti si, ma insufficienti. Come se qualcuno le avesse messe lì come uno specchietto per le allodole.
Tuttavia il bastone taceva. Il mago sapeva bene che "esso" non amava i dragoni e le loro infide magie. Forse perché erano molto simili alle sue, chi poteva saperlo? Fatto stava che non ebbe aiuti di alcun genere dal suo malefico compagno di viaggio e, voltandosi sconsolato verso il mezzelfo, gli disse solo che, come tutti gli scongiuri sufficientemente potenti, un esorcismo all’altezza di quella maledizione avrebbe potuto sradicare quel simbolo nefasto sulle spalle dell’elfo. Lo stregone mise però tutti in guardia: essendo "esso" strettamente collegato ad un altro uguale, cancellarlo avrebbe potuto significare uccidere Demetrius sul colpo.
I suoi compagni tacquero, assorbendo a fatica quell’ultima informazione. Eppure ebbero la sensazione che il giovane stregone avrebbe potuto fare di più per districarsi meglio in quella delicata situazione, ma si stava trattenendo e forse, in quel contesto specifico, anche a ragione.
Quando fu il turno di Estellen esaminare la “parola di potere”, lei ne percepì distintamente il male ancor prima di imporre la sua volontà su di esso. Confermò pertanto che le parole di Demetrius non potevano essere così tanto deliranti: una maledizione del genere, non poteva esser frutto di un incantatore o un sacerdote oscuro alle prime armi: quello era un potente, ma anche "intricato ordito" all’interno “della trama” stessa del creato, che i suoi occhi turchesi, imbevuti della grazia divina, riuscivano a scorgere solamente in parte.
Solo una volta qualcuno era riuscito ad ingannarla in quel modo: a Silvanesti, dentro la “Torre delle Stelle”. Solo Cyan Bloodbane ci era riuscito. Ecco perché la giovane chierica iniziò a sudare dal nervoso e a preoccuparsi per il destino di Demetrius e in generale di tutta la famiglia Londelle, compreso il suo amico Kail. “Percepiva”, quasi nell’aria, che tutto ciò che era stato raccontato dal vecchio elfo poco prima era vero: c’era lo zampino del drago verde dietro quel marchio infame! E “dentro di esso” c’era molto di più del “vincolo” che era riuscito a scorgere Aric grazie al suo incantesimo rivelatore. Era come una fitta e complessa ragnatela di significati, gli uni collegati agli altri. Non tanto come una maestosa matriosca come il mago aveva pensato, cioè sincronicamente, quanto piuttosto come la lana più volte stratificata che componeva i ricami di sua madre, valeva a dire diacronicamente, di cui perfino lei riusciva a scorgere solo i fili più superficiali. Quelli che “Lui” voleva che loro vedessro.
Assottigliando gli occhi, Estellen fu seriamente tentata di esorcizzare lo stesso quel maleficio, quasi per reazione rabbiosa, se non fosse che, in caso avesse avuto ragione, nell’eventualità cioè ci fosse stata la mente diabolica che sospettava dietro quel simbolo infausto, probabilmente le conseguenze per tutti sarebbero state ben più gravi del perdere il solo Demetrius. Se avesse avuto la sicurezza di donargli la pace, di mandarlo nelle aule maestose di Paladine, oltre la “settima porta”, attraverso il suo scongiuro, forse avrebbe potuto proporre quella soluzione come soddisfacente. Prima di tutto per Kail. Poi per Arielle stessa. Non poteva guarire la follia del vecchio elfo, se di follia si parlava, ma forse poteva donargli una dipartita serena, ripulendo la sua anima dalla lordura cui era stata sottoposta dal terribile Moebius.
Ma era troppo rischioso.
Il mezzelfo continuava ad insistere che il suo fratellastro avrebbe potuto anche non essere ciò che le parole di Moebius avevano lasciato intendere. Forse egli era davvero il “salvatore” del popolo elfico, ma Estellen conosceva bene la verità. Il figlio di Cyan Bloodbane era malvagio, profondamente malvagio. Come suo padre. Era la sua natura, il suo destino, il suo retaggio. Affrontarlo senza avere la possibilità di sconfiggerlo, significava perdere ancor prima di iniziare a contendere con lui. Una persona saggia dunque avrebbe tentato l’esorcismo comunnque. Se fosse andato bene, infatti e Demetrius fosse sopravvissuto, tanto meglio. In caso contrario, gli avrebbe donato la pace e avrebbe reso vulnerabile il loro nemico. Perché di questo si parlava: quel “mezzo drago” era loro nemico! Tutti lo sapevano in quella stanza, ma nessuno aveva il coragggio di ammetterlo apertamente per non ferire i sentimenti di Kail.
Tuttavia non era per questo che Estellen sospese la volontà di praticare il rituale di purificazione. Lo fece perché non voleva sottovalutare per la seconda volta il grande dragone verde. Una creatura che per millenni aveva tenuto sotto scacco un intero popolo. Con il suo odio, la sua gretta volontà di soggiogarlo e infine di distruggerlo. Qualcuno che aveva osato sfidare E’li nella sua stessa casa, nel suo stesso tempio e c’era riuscito. Cambiando la natura stessa dei rituali delle sue sacerdotesse, lentamente, metodicamente. Un essere diabolico, che aveva modificato perfino la storia sacra dei silvani: i famosi “dodici passi di E’li”. Avrebbe potuto scommettere qualunque cosa, che Arielle stessa ancora non sapesse che fossero in realtà tredici, quelli che il suo dio aveva compiuto all’interno del fiume benedetto! Egli era riuscito a rendere quasi tutti i rituali in onore di Paladine/E’li inutili o addirittura controproducenti in alcuni casi.
Estellen si staccò da Demetrius quasi infastidita e prese ad osservarlo meglio. Osservò quell’elfo cieco che dipingeva e si meravigliò parecchio per questo miracolo. Certo, gli elfi vivevano per parecchi secoli e Demetrius aveva perso la vista poco più di cinquanta anni prima: un’inezia per uno della sua razza. Magari egli era stato un pittore per tutta la vita e adesso poteva tranquillamente mettere su tela qualche soggetto che aveva riprodotto mille volte, avendo come riferimento solamente l’immagine che di esso aveva fissato nella mente. Notò il fitto bosco, raffigurato con precisione sconcertante e le due figure che, nel quadro, correvano felici su un prato fiorito al fine di abbracciarsi.
Due elfi: un uomo e una donna. Una scena semplice, che anche un cieco, con l’esperienza di Demetrius, avrebbe potuto di fatto riprodurre. Eppure c’era qualcosa che non le quadrava. Magari era una sensazione (quale ideale di felicità poteva esprimere un vecchio elfo che aveva sofferto quanto aveva fatto lui?), ma secondo il suo parere non era possibile dipingere in quel modo senza l’uso della vista. Al di la del soggetto, tutti quei particolari, quei colori, quei chiaroscuri. Le sembrava impossibile.
Aric provò a spiegarle che molte persone, che avevano contratto degli handicap in tarda età, avevano sopperito attraverso gli altri sensi alle loro lacune e che, nel caso di Demetrius, stavano parlando di un elfo molto anziano. Una creatura secolare, che "quell’immagine felice" poteva benissimo averla impressa nella mente da decenni. Eppure pareva che niente riuscisse a convincerla, nemmeno l’intervento di Kail, che aveva sposato l’interpretazione del mago. Secondo lei c’era ancora qualcosa che non tornava: “sentiva” che quel “dono” che gli era rimasto non era lì per “caso” o semplicemente perché Demetrius aveva dipinto per tutta la vita. Quel “dono” gli era rimasto per altri motivi. Motivi oscuri forse, che andavano svelati e compresi prima di prendere una posizione precisa su ciò che farne di lui. Pertanto si arrese e rispettò la volontà unanime di lasciare le cose come stavano, per il momento.
Meglio non toccare niente prima di apprendere maggiori informazioni!
Tutti annuirono attorno a lei, anche se Aric candidamente fece notare che se se ne fossero andati senza prendere una posizione, se avessero proseguito oltre Silvamori senza intervenire, avrebbero potuto perdere definitivamente l’occasione per indebolire il loro nemico. Per quanto il mezzelfo sbuffasse ogni volta che ci si rivolgeva al figlio di Cyan in quel modo, su questo sembravano tutti d’accordo. Inoltre l’intera compagnia sapeva benissimo che il cavaliere non avrebbe mai permesso di rischiare la vita di Demetrius impunemente, senza prima avere un piano. Magari alla fine avrebbe lasciato lo stesso fare ad Estellen quell’esorcismo, ma non glielo avrebbe mai perdonato se qualcosa fosse andato storto.
In quella breve pausa, Eiliana condusse tutti sulla pedana esterna, nel tentativo di riportare l'attenzione dei suoi amici su problemi tanto impellenti quanto ugualmente gravosi.
“Allora amici miei, come intendete tornare nel continente solamnico? Avete già delle idee?”
Azzardò la nobile elfa.
Kail attese qualche secondo prima di risponderle. Aveva la voce impastata dal nervoso e dall’ansia. Conoscere i suoi nonni era stata una vera benedizione, ma rimanere sospesi in quel modo circa il loro destino lo lacerava dall’interno. Comunque il mezzelfo illustrò lo stesso e molto bene le tappe da percorrere, dove la prossima e più vicina sarebbe stata Pontigoth, città portuale dalla quale avrebbero sperato di pagare qualcuno per ottenere un passaggio via nave fino alla Solamnia.
Eiliana gli sorrise, facendogli notare che per arrivare a Pontigoth avrebbero dovuto prima affrontare l’inferno. Perché questo era la città di Daltigoth: un vero inferno! Pertanto disse a tutti di incontrarsi tra un’ora nella vicina casa del borgomastro per discutere meglio di strategie.
“Sarebbe preferibile vederci lì per parlarne un po’ più approfonditamente, poi capiremo se il reggente Belthanos avallerà le nostre eventuali richieste di assistenza…”
Detto questo, la bellissima elfa si voltò e con perizia e velocità si calò giù dalla scala di corda fino a raggiungere il livello del suolo. In pochi secondi era già sparita dalla vista dell’intera compagnia. Prima di seguirla, Stuard volle prima controllare la mappa e farsi un’idea di ciò che lo aspettava.
Una volta attraversata del tutto la foresta, partendo da Silvamori e passando per i due capisaldi degli elfi selvaggi, Sun e Rain, dove avrebbero potuto sperare di fare rifornimento per il viaggio, c’erano solo due soluzioni. O prendere il passo tra le montagne, oppure tentare di oltrepassarle. Aggirarle sarebbe stato semplicemente impraticabile, perché ci avrebbero messo settimane, mesi forse e non c’era abbastanza tempo. La strada diretta, attraverso il valico, li avrebbe invece portati a destinazione in meno di sette giorni. Certo, sarebbero dovuti passare per la città, opzione che Eiliana descriveva come terrificante. L’altra via era scavalcare le montagne, percorso molto più arduo e lungo, che li avrebbe condotti a Pontigoth in almeno tre settimane. Tanto, ma forse non troppo.
Il cavaliere non vedeva altre vie oltre a quelle. Un po’ sconfortato, rimise la mappa nello zaino e attese che Kail finisse di parlare con sua nonna Arielle.
Il mezzelfo le stava offrendo il diario di sua madre, invitandola così a leggerlo e a confrontare ciò che Eyne le aveva detto, nel corso degli anni in cui le aveva fatto visite clandestine, con quello che aveva scritto sui suoi appunti. Avrebbe notato delle inquietanti incongruenze. Ovviamente Arielle accettò il dono di buon grado, promettendo di leggerlo con attenzione e poi riferirgli ciò che ne aveva dedotto. I punti controversi riguardavano principalmente il medaglione. Nello specifico, sulle circostanze in cui Eyne ne venne in possesso. Arielle sapeva che era stato un elfo scuro a darglielo, almeno così sua figlia le aveva riferito, ma sul diario si parlava che era stato un “dono di Takhisis”, quando Eyne era andata in pellegrinaggio a Neraka per prendere i suoi voti. Inoltre nel diario si parlava di un potente rituale di resurrezione, che Eyne aveva intenzione di fare su Decius, il suo amato marito ormai defunto, nel quale il medaglione avrebbe dovuto rappresentare "il quarto elemento essenziale su cinque" per realizzarlo. Perché dunque privarsene per darlo a Kail, se esso serviva a questo scopo? La sua funzione non era in realtà quella di proteggerla dal drago verde?
Aric non poté non sentire quella conversazione, ed un brivido freddo gli gelò la spina dorsale. In quel momento infatti rammentò bene le ultime parole che Demetrius aveva pronunciato, prima di tornare al suo silenzio forzato.
“… ed io sapevo che Eyne era stata ingannata non una, ma due volte, poiché nel mio cuore sentivo che “l’incubo con le ali” e “la dea oscura” erano d’accordo su questo terrificante ordito!”
Silenziosamente, lo stregone si immerse in solitarie riflessioni, che davvero tutti si auguravano gettassero un po’ di luce su quella spinosa e complicata situazione.