Così la compagnia riprese finalmente il suo viaggio verso Palanthas, con il cuore gonfio di tristezza per gli amici che si erano lasciati alle spalle, ma anche speranzoso per quelli che avrebbero certamente incontrato in futuro.
Oggi lasciavano la “Montagna del Drago” con un nuovo compagno, anche se non da tutti ben visto: il mago veste rossa di nome Aric. Lo stregone era rimasto silenzioso quasi per tutto il tragitto che attraversava la valle, concedendosi solo qualche caustico commento a margine quando Estellen aveva percepito un’aura forte e benevola a ridosso di alcune rovine, che erano spuntate dalla nebbia così, dal nulla.
I nostri eroi seguivano un attento Kail che, da buon ranger e nonostante il braccio offeso, rimaneva sempre vigile e concentrato. Estellen e Stuard notarono subito che il mezzelfo e il mago erano già passati di lì, perché erano troppo sicuri riguardo la giusta via da seguire. Una volta arrivati alle rovine, il mezzelfo raccontò al cavaliere e alla sacerdotessa cosa fosse stato un tempo quel posto e perché lei sentiva tanta bontà e potere salire da sotto la terra. Estellen fu tentata di andare a salutare il suo vecchio amico “Holy”, ma poi preferì superare le montagne di Lastgaard il prima possibile, così da poter entrare in un nuovo ciclo di avventure e progetti che li avrebbe finalmente svincolati dalla lunga e pesante missione appena conclusa.
Se c’era una cosa infatti che avevano imparato nei loro lunghi viaggi, era che una volta che un capitolo veniva chiuso, bisognava velocemente immergersi in quello successivo. Altrimenti si rischiava di rimanere invischiati nel passato e di perdere la lucidità necessaria per affrontare le nuove minacce e i pericoli futuri.
Il gruppo si trovò a costeggiare la torre est del rifugio, l’unica ancora in piedi e Kail aggirò con raffinata maestria i ruderi dei vari edifici che un tempo la circondavano, scovando infine il sentiero nascosto nonostante l’impenetrabile foschia. Esso finiva alle spalle dell’avamposto, proprio come “Holy” gli aveva detto. Il mezzelfo si arrestò innanzi un banco di nebbia particolarmente fitto, ma secondo lui sospetto, asserendo che la loro meta era infine proprio lì davanti, alla loro portata. I suoi compagni non riuscivano a vedere nulla, ma ormai, dopo tanti mesi, avevano imparato a fidarsi del giudizio del loro compagno, pertanto lo seguirono in fila indiana, limitandosi a scorgere solo la schiena del compagno davanti. Estellen quasi inciampò, quando praticamente dal nulla spuntò una rozza scalinata in pietra che serpeggiava lungo il costone di roccia, inerpicandosi sulla montagna.
Kail iniziò a salire, senza ripensamenti. Senza voltarsi verso la magnificenza della valle nemmeno una volta. Così fecero i suoi amici, ciascuno perso nei propri pensieri. La traversata durò quasi un giorno e la compagnia dovette accamparsi per la notte. Kail diede l’ordine di accendere un fuoco: era inutile infatti sperare di entrare nella foresta senza prima essere visto dai suoi confratelli elfi. Era il loro ambiente e lui era certo che li avrebbero notati subito, l’indomani mattina, anche senza quel piccolo bagliore luminoso prodotto adesso dal loro falò.
Non fu facile arrampicarsi alla cieca, vista quanto fosse fitta la nebbia, per quasi cinque lunghi chilometri attraverso la montagna, ma alla fine erano riusciti a passare dall’altra parte e a sistemare un piccolo rifugio temporaneo: Kail era fiero dei suoi amici, della loro resistenza e tenacia!
All’alba iniziarono la discesa.
La nebbia sembrava diradarsi mano a mano che si scendeva verso la foresta adiacente. Dapprima sembrava una macchiolina verde scura che si intravedeva in mezzo alla fuliggine biancastra della densa foschia. Poi però la macchia iniziò ad allargarsi, così come la nebbia a scemare. Presto i nostri eroi poterono osservarne quasi con completa chiarezza l’incredibile ampiezza ed estensione. La foresta di “ElderWildWood” o più semplicemente, la foresta degli elfi Kagonesti, pareva grande come Silvanesti: un’esplosione di vita e di verde che si allargava senza limiti apparenti per chilometri e chilometri.
L’occhio attento di Kail notò, nell’ultimo tratto della discesa, dei movimenti furtivi tra gli alberi, il che sembrava molto strano: i Kagonesti, anche più dei loro cugini Qualinesti e Silvanesti, erano pressoché invisibili in una foresta così fitta. Questo voleva significare che o li avevano già visti e stavano per l’appunto volutamente comunicandogli in maniera indiretta questa informazione, oppure non erano elfi Kagonesti!
Dopo circa un giorno intero di salite e discese, la scalinata terminò in una radura abbastanza aperta e mettere finalmente i piedi sull’erba soffice, diede un grande sollievo ad Estellen e soprattutto al mago.
Aric non aveva parlato molto con i suoi nuovi compagni, ma essi capirono subito che lo stregone non era abituato a dormire all’addiaccio e privo di ogni tipo di comodità propria della vita civilizzata. Era riuscito a riposare poco e il suo fisico, non propriamente atletico, sembrava risentirne. Per fortuna stavano per entrare in una foresta, quindi lo stregone si sarebbe lamentato di meno della pioggia, del freddo e del vento gelido, che gli era entrato fin nelle viscere.
Pian piano che procedevano per la radura e verso la foresta, la nebbia si diradava sempre di più, fino a scomparire del tutto dopo circa cento metri dal punto in cui alle loro spalle la scalinata si era esaurita.
Appena usciti definitivamente dalla nebbia, il medaglione del mezzelfo iniziò a vibrare e la spada di Stuard ad emettere bagliori verdastri, dritti tra le fronde degli alberi. Kail ordinò ai suoi compagni dietro di lui di arrestare il passo. C’era indubbiamente qualcuno dietro gli alberi e, da quel che suggerivano i loro oggetti incantati, era molto probabile che non si trattasse di elfi!
Quando un grosso orco, bardato con pezzi di armatura da cavaliere di Solamnia, venne allo scoperto, fu troppo tardi per capire che erano caduti in una trappola! Una trappola di cui Kail aveva favorito il successo, visto che la sera prima aveva consegnato la loro posizione precisa ai loro nemici più agguerriti. L’orco, dallo sguardo malevolo e gli occhi porcini, sogghignò e gongolando grugnì:
“L’umano non ha mentito dunque… guarda che bel regalo abbiamo avuto qui. Il nostro comandante sarà felice di scoprire che abbiamo messo le mani sulla persona che la nostra regina desidera tanto ardentemente. Uccidete pure gli altri…”
Un nutrito gruppo di orchi, accompagnato da un piccolo sciame di goblin e due possenti giganti di collina, tenuti al guinzaglio con una pesante catena di ferro, entrarono prepotenti nell’area e iniziarono a prepararsi al combattimento.
Dunque qualcuno li aveva venduti!
Questo era ciò che Kail aveva pensato in prima battuta. Solo che sembrava assai strano. Nessuno conosceva quella via di fuga tra le montagne, eccetto loro stessi e il drago di bronzo. A meno che avessero dovuto sospettare anche di lui, ma per quale motivo avrebbe dovuto venderli al nemico? Il mezzelfo sentì che la testa gli stava esplodendo, ma non aveva tempo per fare congetture o trovare un’improbabile spiegazione alle parole dell’orco: ora lui e i suoi amici dovevano lottare per le loro vite e sopravvivere ad una situazione davvero difficile da affrontare.
I goblin furono i primi ad avanzare, saltellando e brandendo improbabili coltellacci arrugginiti. La loro unica forza era il numero. Essi avrebbero fatto da "apri pista" agli orchi, molto meglio armati e pericolosi, che sarebbero venuti dopo. Infine, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbero sguinzagliato i giganti e a quel punto sarebbe stata davvero dura uscirne tutti interi.
Estellen invocò subito il potere di Paladine, offrendo a tutti incredibili vantaggi nel combattimento corpo a corpo. Se ne accorsero immediatamente Stuard e Kail, che quasi non controllavano le loro spade in battaglia, tanto erano veloci e precise a tagliare e a colpire. L’ultimo ad agire fu lo stregone, che, con uno strano ghigno disegnato sul volto, scagliò senza pensarci sopra un secondo una palla di fuoco in un’ampia area delle retrovie nemiche. L’effetto della deflagrazione fu assordante e decisamente pirotecnica. Molti goblin furono letteralmente carbonizzati all’istante e scaraventati casualmente da ogni parte, a decine di metri di distanza.
Si creò così letteralmente uno squarcio tra le loro fila, che il capitano orco faticò a ricucire. Vedendo che le loro prede erano affatto prive di risorse, diede l’ordine di liberare uno dei due giganti, il quale iniziò ad avvicinarsi a grandi e pesanti passi ai due guerrieri nel mezzo della mischia. Il colosso procedeva senza curarsi di calpestare i suoi sventurati compagni, tanto che gli orchi preferirono aggirare il problema, ed avvicinarsi ad Estellen e ad Aric dai lati.
La sacerdotessa di Paladine notò questo dettaglio e mentre Kail e Stuard combattevano strenuamente per le loro vite, invocò ancora una volta il potere del suo dio, materializzando dei lacci sacri che immobilizzarono temporaneamente le possenti gambe del gigante. Egli traballò per qualche secondo, poi inciampò e finì a terra con un tonfo sordo che fece tremare la terra.
Vedendo che il mostro era in difficoltà, Aric afferrò il bastone e, preso da una smania incontrollata e sadica, decise di utilizzare uno degli incantesimi presenti in esso e che lui aveva studiato alla “Torre della stregoneria di Wayreth”, ma che gli era proibito. Sorrise quando avvertì il potere fluire dalla staffa al suo braccio, ma poco prima di evocare il “fulmine abissale”, alzò d’istinto gli occhi al cielo e, sebbene fosse mattina presto, riuscì a scorgere tra le nubi non più due lune, ma tre! Nuitari, il dio della magia nera, lo stava aspettando impaziente. Sarebbe bastato lasciarsi andare in quel momento, utilizzando un incantamento vietato per le vesti rosse e tutto sarebbe cambiato per lui. Anche nella gestione della verga che lo accompagnava: il demone gli avrebbe certamente permesso maggiore libertà, se la sua magia avesse preso una piega più oscura. Fortunatamente Aric tentennò, per poi decidere di scagliare un “normale” fulmine magico, di origine naturale, sul mostro ancora inginocchiato. Percepì distintamente la delusione da parte del demone presente nella staffa, ma non si sentiva ancora pronto per rinunciare troppo presto a chi era stato. Doveva conoscere prima tutta la storia che era nascosta dietro, poi avrebbe fatto la sua scelta!
Un potente colpo di luce ed elettricità investì dal cielo il gigante e poi rimbalzò, saltellando, sullo sciame di creature che gli stavano vicino, uccidendole sul posto. Kail notò con la coda dell’occhio ciò che era appena successo, ed apprezzò l’operato del mago. Tuttavia sapeva bene che sarebbe stata una questione di tempo prima che sarebbero stati soverchiati dalle incombenti forze del nemico. La spada di Silvanos mulinava e mieteva ancora vittime, così come la spada della famiglia di Stuard, ma i loro nemici erano troppi e non vedeva alcun modo di cavarsela questa volta. Si augurò solo che la persona che Takhisis voleva venisse catturata viva fosse stata Estellen: con lei in vita ci sarebbe stata ancora speranza per i popoli liberi di Krynn.
Prima di esser letteralmente sommerso dai suoi avversari, una freccia sibilò accanto al suo orecchio e trafisse un goblin in un occhio. Poi ne arrivò un’altra e poi un’altra ancora. Dopo pochi secondi, letteralmente una pioggia di frecce si abbattè sui loro nemici, disperdendo i goblin, che si diedero alla fuga e confondendo gli orchi, che non riuscivano a capire come arginare quel problema.
La foresta sembrava aver richiamato altri interpreti nello scontro.
Alla fine anche gli orchi furono costretti a fuggire, lasciando solo i due giganti come ultimi baluardi del loro contingente armato. L’ultimo dei due colossi cadde esanime dopo che un centinaio di frecce l’avevano colpito una dopo l’altra al petto e quando il poderoso mostro si abbattè con uno schianto al suolo, restò solo silenzio e sangue nella radura.
Stuard si appoggiò alla spada, faticando per riprendere fiato, mentre il mezzelfo cercava di inquadrare quella nuova situazione. Ciò che era sicuro era che i Kagonesti avevano salvato loro la vita, fatto per niente strano visto che non erano certo degli assassini. Ora bisognava capire le loro intenzioni nei loro confronti e fino a che punto avessero voluto aiutarli, facendoli passare per il loro territorio.
Il mezzelfo si guardò indietro per un attimo. Estellen lo fissava con le mani giunte, speranzosa. Stuard accanto a lui annuì, mentre Aric, beh, il mago si teneva stretto come consuetudine al suo bastone maledetto, ed aveva un’espressione bieca che sembrava dire: “fate un passo falso e distruggo la vostra miserabile foresta!”.
Kail sospirò, poi tornò a guardare la foresta, immobile, silenziosa come la morte. Nemmeno la sua vista elfica gli permetteva di scorgere il benché minimo movimento all’interno. Fece qualche passo in avanti, presentando sé stesso e i suoi compagni, mostrando le sue radici, molto simili alle loro, ma una freccia di avvertimento atterrò ad un metro dai suoi piedi, arrestandolo laddove si trovava. Poi una voce soittile ma determinata intimò:
“Fermi. Non avvicinatevi oltre… questo è il nostro territorio. Non seiete graditi qui…”
Kail aprì le braccia in segno di amicizia, dicendo che voleva solo ringraziarli per aver difeso lui e i suoi compagni, ma la voce incalzò ancora, dicendo:
“Non abbiamo protetto voi, ma i nostri confini. Noi non vi odiamo, almeno non come gli orchi, ma al popolo Kagonesti non interessano le faccende dei cavalieri e degli avidi umani… andate via!”
Una seconda freccia cadde pochi centimetri più avanti rispetto la precedente. Lo scout si voltò verso i compagni: aveva un’espressione affranta sul volto. Un’espressione di sconfitta. Finché, un’altra voce intervenne nella conversazione. Una voce femminile.
“Kail? Sei proprio tu? Aspettate… ”
Un’elfa silvana, non Kagonesti, dall’andatura regale e che indossava un’armatura di cuoio senza fronzoli, si sporse di qualche metro, tenendo a bada una piccola guarnigione di elfi selvaggi che smaniava alle sue spalle. Nonostante le rimostranze dei suoi sospettosi cugini, tatuati e spogli invece da qualunque protezione artificiale, si avvicinò, dapprima cautamente, poi aumentando il passo, appena evidentemente aveva riconosciuto chi fosse quel mezzelfo.
Eiliana lo abbracciò forte e lo baciò teneramente, poi con gli occhi ancora chiusi sussurrò:
“Dunque il viandante non mentiva quando ci ha detto che sareste arrivati da questo punto. Ho sperato che foste voi, la descrizione combaciava, solo non ero del tutto sicura, perché ha aggiunto che c’era un mago nella vostra compagnia. E’li mi ha fatto un grande dono oggi. Poterti rivedere Kail, mio promesso e… constatare che siete ancora tutti vivi, mi da una gioia infinita!”
L’elfa appoggiò la testa sul petto del mezzelfo, che era stato talmente spiazzato dalla cosa che non riuscì ad aggiungere niente. La strinse solo a sé on il braccio sano. I due rimasero così qualche secondo, stretti l’uno all’altra. Poi Eiliana si voltò verso la foresta in attesa e disse in elfico di abbassare le armi, perché quelle persone erano loro amiche. Tuttavia un Kagonesti dall’aria piuttosto truce, più alto rispetto agli altri e che pareva essere il comandante di quel commando di elfi, uscì dalla boscaglia e disse qualcosa alla donna.
In un dialetto molto stretto che Kail capì a malapena, sentenziò:
“Mia signora Eiliana, noi non ci fidiamo dei visitatori. Che garanzie potete fornire al nostro popolo che essi non ci venderanno al nemico, come in passato gli umani hanno già fatto?”.
Eiliana cambiò letteralmente espressione ed atteggiamento. Gli occhi le si indurirono, così come i modi, che fino a quel momento erano stati sempre gentili e posati.
“Costui è Kail Uth Mohdi. Se E’li lo vorrà, presto diventerà Kail Starbreeze, mio consorte e nobile della foresta di Silvanesti. Inoltre egli porta con sé un’arma che lo rende di diritto “amico di tutti gli elfi”, donatagli direttamente da Alhana Starbreeze, mia cugina e regina del popolo silvano. Mirate la spada del primo re, Silvanos…”
Un lieve brusio si agitò tra le fronde degli alberi, oltre la foresta.
Eiliana sussurrò appena, guardando in terra in direzione di Kail:
“Hai ancora la spada con te, vero?”
Kail sorrise ed annuì. L’elfa gli fece segno di sguainarla. Il mezzelfo obbedì, mostrando con fierezza la lama del grande re di Silvanesti agli elfi selvaggi. L’altrettanto fiero Kagonesti rimase alcuni secondi interdetto, a riflettere su quel dettaglio non da poco, poi annuì una sola volta e sparì in un baleno nella foresta.
Così la compagnia ebbe il permesso di entrare nella foresta di “ElderWildWood” e raggiungere la città campo di “Silvamori” entro le prime luci del mattino successivo.
Inoltre, ciò che era successo quel giorno, dimostrò in maniera inequivocabile, mentre Eiliana correva ad abbracciare Estellen e Stuard, che alcuni addii erano in fondo soltanto dei lunghi arrivederci.