La compagnia alla fine scelse la via più difficile ma più rapida: affrontare uno “spirito di sangue”, che il bastone di Aric avrebbe richiamato sul posto attraverso un potente incantesimo di evocazione.
La decisione era stata presa dunque, ma nessuno aveva ancora avuto l'ardore di spronare i propri compagni a radunarsi e a prepararsi per la pugna. Aleggiava una certa sfiducia nel gruppo, come una amara consapevolezza che il coraggio poteva non bastare questa volta contro un simile avversario. Di certo i “guardiani di pietra” avrebbero fatto il possibile per limitarne il potere, probabilmente "il mostro" non avrebbe potuto varcare alcuna uscita fuori dal “livello del cuore”, ma a quel punto poco sarebbe cambiato per Theros, Flint e tutti i popoli liberi di Krynn. Ogni cosa sarebbe andata perduta, dopo la loro disfatta.
Comunque, a parziale giustificazione del loro “prendere tempo”, le informazioni sul nemico erano troppo poche per poter studiare una strategia minuziosa in tutti i dettagli per poterlo affrontare e sconfiggere in sicurezza. Tutto ciò che si poteva fare era "preparare" al meglio la “lancia di Huma” e poi affidarsi ad Estellen, al bastone incantato del mago e all’eroico furore dei guerrieri.
A tal proposito, Lord Kanthor richiamò l’attenzione di Stuard. Il giovane cavaliere seguì il comandante di “Castle Eastwatch” davanti l’ingresso al livello della forgia, quello che collegava il passaggio sotterraneo alla “Montagna del Drago”.
“Sir Stuard, permettete un secondo? Se vogliamo davvero affrontare questa terribile creatura e partecipare a questa… pazzia… avrete bisogno di un’armatura. Sono andato personalmente assieme ai miei due cavalieri a recuperare i corpi dei caduti e i loro averi e a portare omaggio alle loro salme. Vi chiedo di prendere in prestito una delle loro per questo incombente scontro… a Sir Ulrich e Sir Joseph non serviranno più…”
Lord Kanthor indicò un sacco di iuta poco distante.
Stuard stava per dire qualcosa di moralmente profondo riguardo l’onore e l’impossibilità per lui di poter accettare un dono del genere. L’armatura di un cavaliere era infatti ciò che più lo rappresentava, anche più della sua spada e lui non poteva vivere con il peso che le sue azioni avrebbero potuto disonorare non uno, ma ben due cavalieri: sé stesso e uno dei due coraggiosi sottoposti di Lord Kanthor! Tuttavia il comandante di "Castle Eastwatch" lo anticipò, sorridendo e alzando una mano per interrompere parole che già conosceva prima che venissero pronunziate.
“Sir Stuard, so che il vostro viaggio vi porterà dentro altri mille pericoli come questo. Sarete voi ad onorare, non uno, ma ben due cavalieri, accettando l’armatura di uno di questi due valorosi caduti: me e il cavaliere stesso! Egli sarebbe felice di sapere che le sue imprese non saranno dimenticate in quel freddo corridoio sotterraneo, ma anzi sostenute attraverso il vostro glorioso operato e il vostro incrollabile coraggio… e francamente anche io ne verrei assai ristorato. Vi prego, lasciate che vi aiuti ad indossarla.”
Stuard tentennò. Il “Codice e la Misura” imponevano che non si poteva indossare l’armatura di un altro cavaliere, a meno che fosse lui stesso o il parente più prossimo a darla in dono a qualcuno ritenuto degno. Tuttavia, era anche vero che andare in battaglia senza di essa non era cosa onorevole per un cavaliere. Inoltre la posta in gioco era altissima, ed avere in battaglia una faretra piena di frecce era molto meglio che averne poche a disposizione. Quindi il paladino con riluttanza accettò, ma in seguito avrebbe preteso sapere, qualora fossero sopravvissuti allo scontro, dove trovare la famiglia di Sir Ulrich (o Sir Joseph) per poterla restituire. Lord Kanthor annuì, mentre stringeva forte le cinghie dietro la schiena del giovane cavaliere. Alla fine della vestizione, l’armatura non gli calzava proprio perfettamente, ma poteva andare.
Stuard afferrò anche lo scudo del suo sfortunato collega defunto e sguainò la spada: per la prima volta da quando era partito dal suo maniero, aveva davvero l’aspetto di un vero "cavaliere di Solamnia", con tanto di insegne e simboli, anche se non erano quelli che avrebbero dovuto rappresentarlo. Sir Ulrich e Sir Joseph erano infatti entrambi “Cavalieri della Corona”, non della “Spada”, ma dovevano esser stati comunque dei prodi soldati o non sarebbero stati scelti per scendere in quell’inferno di gelo e morte che era costato loro la vita.
Il giovane paladino dunque era pronto.
Andò a rassicurare i due fabbri e a dirgli che, qualunque cosa fosse successa, loro avrebbero dovuto sopravvivere per il bene di Krynn. Se infatti fossero caduti, anche le speranze di vincere la guerra sarebbero sfumate con loro, ed il tallone di Takhisis avrebbe schiacciato sicuramente la testa di Lord Gunthar senza alcuna pietà. Non fu facile convincerli, soprattutto il nano, ma alla fine Stuard la spuntò. Per il momento.
Kail preparò meticolosamente il suo arco e la sua faretra: avrebbe provato a tenere occupato il mostro da lontano, evitando così di impicciare i cavalieri, che sarebbero sicuramente andati corpo a corpo. Il mezzelfo era quello che appariva meno sicuro della compagnia: la sua paura era palpabile, come la fitta nebbia che permeava ogni cosa nella valle. Tuttavia anche lui prese posizione con coraggio subito dietro i cavalieri. Pronto a tutto.
Estellen si mise accanto al mago, nelle retrovie. Il suo lavoro sarebbe stato il più prezioso, perché lo “spirito di sangue” era una creatura maledetta fornita di poteri divini, vista la natura che incarnava. Si sperava dunque che la portavoce di Paladine, insieme con i “guardiani del tempio”, riuscissero a limitarne i poteri, attraverso le abilità che il “drago di platino” aveva fornito loro.
Per ultimo c’era il mago.
Egli sembrava distratto, come se stesse parlando di continuo con quel bastone maledetto, che tutti stavano cominciando ad odiare oltremodo di più, ben intuendone l’ambigua natura. Lo stregone lo stringeva fino a sbiancare le nocche, come se volesse costringerlo a piegarsi al suo volere, ma invano. Nessuno dei suoi amici aveva ben chiaro “cosa fosse davvero” la staffa che impugnava, ma avevano comunque capito che non si trattava di un comune bastone incantato. Quell’affare era molto di più e adesso stava per dimostrarlo.
Ad un cenno d’intesa generale, l’intera compagnia si preparò allo scontro, impugnando spade, ed incoccando frecce, mentre la staffa demoniaca rilasciava un incantesimo che Aric aveva letto solo nei libri più rari e antichi della Torre di Wayreth. Nessuno dei maghi che l’avevano preceduto, in decine di secoli, escluso forse Fistandantilus, era mai stato in grado di padroneggiarlo. La potenza della sua magia era tale, che la mente del mago, in qualche modo strano collegata a quella del demone presente nel bastone, stava rischiando di implodere. Segni arcani di color rosso fuoco, piovevano dall’alto velocissimi davanti agli occhi atterriti dello stregone, che, impotente, aveva solo voglia di urlare tutta la sua disperazione. Fortunatamente per lui, egli non poteva capirli e quindi la sensazione durò solo alcuni interminabili momenti, ma quando l’incantamento terminò, Aric fu cosciente di aver sfiorato la follia. Nessun mortale infatti avrebbe dovuto conoscere un incantesimo simile. Chi ne fosse stato in grado, sarebbe certamente impazzito dopo averlo lanciato!
Il “desiderio” del demone fu comunque esaudito, rivelando nel corridoio qualcosa di immondo che stava lentamente sorgendo dalla polla di sangue. Qualcosa di indicibilmente orrendo, ancor peggiore del putridume viscoso che si agitava poco prima davanti al loro sguardo disgustato.
Estellen sgranò gli occhi: nemmeno Lindaara aveva mai visto un essere così osceno!
Alto più di quattro metri, formato dalla stessa sostanza del “sangue di Takhisis”, aveva, tra le pieghe sanguinolente e sgocciolanti che formavano il suo corpo, quattro braccia e tre dita per ogni mano, tre occhi e tre corna, ed una fisionomia vagamente demoniaca (probabilmente determinata dalla natura di chi aveva lanciato l’incantesimo rivelatore). Emetteva un suono sinistro, come di uno sciame di vespe che si agitava impazzito prima di colpire a morte un intruso troppo curioso e un odore, che definire nauseante significava sminuire l’essenza stessa di questa parola.
Estellen assottigliò gli occhi, furibonda, mentre una luce azzurra iniziò ad avvolgerla per intero. Aric scuoteva invece la testa afflitto: se il bastone non fosse rimasto di sua sponte piantato sul pavimento, probabilmente sarebbe fuggito in preda al terrore più puro. Così come Kail, che riuscì a malapena a rimanere lucido solo grazie al medaglione di sua madre, che in qualche modo sembrava dargli calore e coraggio, anche nascosto in un taschino. Infine Stuard e i cavalieri si erano rifugiati nel “Codice e nella Misura”, pertanto sarebbero morti, ma mai fuggiti. Solo che qualcosa impediva loro di aggredire sul posto quel mostro spaventoso. Una paura innaturale che fermava il loro braccio.
Il primo ad attaccarlo fu stranamente il mezzelfo. Aveva una freccia incoccata, che però anch’egli non riusciva a scagliare. Tuttavia qualcuno gli impose di farlo evidentemente, poiché il dardo saettò finalmente verso la creatura, sebbene sparendo innocua dentro il suo corpo melmoso.
L’azione non causò danni allo “spirito di sangue”, ma ebbe il merito di dare inizio alle danze.
I soldati attaccarono subito dopo quell’orrore da sotto, cercando di distrarlo con le loro spade, ma solo Lord Kanthor e Stuard riuscirono vagamente nell’impresa, trapassandolo più volte, ed impensierendolo almeno un poco. Sir Platus infatti rimase subito disarmato, poiché il semplice acciaio si consumava in appena un secondo a contatto con quella fanghiglia malsana che ne formava la pelle.
Tuttavia, l’attacco dei cavalieri permise ad Aric di utilizzare il bastone per scagliare la “Dragonlance” contro di esso e ad Estellen di bruciarlo con il suo fuoco azzurro. La lancia lo passò da parte a parte, mentre le fiamme sacre lo investirono appieno. Ci fu un attimo di panico, dove in molti sperarono che quei colpi tremendi avessero distrutto la terribile creatura. Non fu così. Quando il fumo di diradò, quell’incubo sgocciolante ne uscì ancor più feroce ed aggressivo di prima!
Estellen non riusciva a crederci! Com’era possibile? Quell’abominio aveva resistito ad un colpo diretto della “Dragonlance” di Huma e al suo fuoco sacro! Pareva solo un po’ confuso, come se qualcosa di molto potente lo stesse rallentando, ottenebrando.
“I guardiani!”
Pensò tra sé la giovane sacerdotessa, ringraziando silenziosamente Paladine per l’insperato aiuto.
L’insistente ronzio salì di tono, quando, con grande difficoltà, il mostro fece un passo avanti verso di lei ed Aric.
Kail nel frattempo aveva gettato l’arco da una parte e con la spada di Silvanost sguainata aveva affiancato i cavalieri, entrando in un furioso corpo a corpo.
Gli occhi giallastri e crudeli della creatura si fissarono però tutti e tre su di Aric e il ronzio arrivò quasi a stordire i nostri eroi. Il mago si sentì improvvisamente strano, poi capì cosa gli stesse accadendo: qualcuno gli stava strappando l’anima dal corpo! Nessuna protezione poteva opporsi ad una simile magia e lo stregone quasi si abbandonò all’idea di essere il primo a cadere. Fortunatamente la sua staffa non fu d’accordo con lui e sebbene Aric crollò lo stesso al suolo esanime, il suo cuore ancora batteva. Il bastone aveva trasformato un incantesimo mortale in uno solamente debilitante. La veste rossa era caduta, ma la verga demoniaca rimaneva in piedi da sola, magicamente.
Estellen si preparò a sferrare un’offensiva, ma l’istinto di aiutare l’amico fu troppo grande e decise invece di invocare Paladine per rimettere in piedi il mago.
Nel frattempo i guerrieri avevano sferrato i loro attacchi, ma il “diavolo di sangue” sembrava immortale, inarrestabile. Infastidito dai soldati e dal mezzelfo e soprattutto dai “guardiani” della “Montagna del drago”, sferrò un colpo stizzito con due dei suoi quattro arti, colpendo quasi contemporaneamente con entrambi i pugni lo scudo di Stuard. Il cavaliere fu scagliato circa sei metri distante, la sua protezione metallica venne immediatamente frantumata e solo grazie all’intervento del suo dio non morì all’istante per il violento impatto con la parete.
Aric si tirò su e afferrò nuovamente il bastone. Respirava a fatica e si sentiva svuotato quasi di ogni energia, ma tenne duro, utilizzando la telecinesi per sollevare nuovamente la “Dragonlance”, adesso dietro le spalle del mostro e scagliarla ancora contro di lui. La “lancia sacra” sfrecciò velocissima, trapassandogli di nuovo la schiena, mentre Estellen lo avvolgeva con dei lacci sacri di colore biancastro. La “creatura di sangue” si dimenava, vomitando il suo caratteristico frastuono ronzante su tutto il corridoio, rintronando momentaneamente sia il mezzelfo che Broadblade. Aric comandò alla lancia di arrestare il suo cammino, la girò e poi la scaraventò nuovamente contro il mostro che schiumava rabbia rossastra.
L’antica arma di Huma lo trapassò ancora una volta, poi il mostro ruppe i legacci di Estellen, aggredendo con ferocia sia il mezzelfo che Lord Kanthor.
Il cavaliere riuscì a gettarsi da una parte, salvandosi la vita, ma Kail fu in grado solo parzialmente di schivare il colpo rabbioso del suo avversario. Anche il povero ranger, solo con lo spostamento d’aria, fu sbalzato indietro di molti metri e anche lui, come Stuard, sopravvisse per miracolo, cavandosela con un braccio spezzato di netto a causa del tremendo urto contro il muro.
La compagnia stava perdendo colpi e uomini e i prossimi attacchi sarebbero stati decesivi per determinare l’esito dello scontro.
Con le ultime forze che aveva, lo stregone domandò disperatamente aiuto al suo bastone, aprendosi completamente a “Lui”. Il demone accolse la sua richiesta, ma Aric fu consapevole che così facendo un pezzetto della sua anima si era spinta un centimetro in più verso l’oscurità. Non si poteva infatti scendere a patti con i demoni senza piegarsi alla loro natura: una natura malvagia e corrotta, che lo stregone avvertì distintamente e per la prima volta fluire libera dentro di sé. La “lancia di Huma”, ancora sospesa a mezz’aria, si capovolse e tornò a trafiggere come un fulmine il petto del mostro, poi la schiena e di nuovo il petto, ancora ed ancora. Estellen rimase incredula nel vedere la potenza dell'incantesimo di Aric, ma lucida e concentrò tutto il suo potere per tenere ferma la “bestia di sangue” più che poteva. Se non l’avesse fatto, Lord Kanthor, che era rimasto il solo a fronteggiarla, sarebbe stata spazzato via molto presto.
Lo stregone era stremato, gli occhi gli si appannarono e alla fine cadde. Sentì solo Estellen che gridava al suo avversario di cedere, di andarsene nell'Abisso che l'aveva vomitato e che non aveva fatto tutta quella strada per morire per mano sua!
Poi ogni cosa si spense per il mago.
Quando la voce melodiosa della sua compagna lo ridestò, lentamente, con grande sforzo, egli aveva riaperto gli occhi, notando a fatica che la giovane portavoce di Paladine stava bene. Aric tirò su la schiena, non senza molte difficoltà, scorgendo che anche il cavaliere ed il mezzelfo, sebbene parecchio malconci, erano ancora vivi. Estellen si era già presa cura di loro, ma evidentemente non abbastanza, visto che ancora non riuscivano ad alzarsi. Sir Platus e Lord Kanthor stavano infine pattugliando la zona, probabilmente per controllare se ci fosse ancora qualche traccia del “sangue di Takhisis” nei paraggi. Comunque, lo “spirito di sangue” era stato sconfitto ed era svanito e questa era la notizia più importante!
Il bastone stanziava ancora dritto davanti a lui: silenziosa ed inquietante sentinella alla sua persona.
Il demone ed Estellen avevano salvato tutti. Nessuno era morto, fortunatamente, ma lui sentiva di aver perso qualcosa dentro di sé dopo quel terribile scontro. Per la prima volta infatti, guardava alla sua staffa con bramosia e compiacimento, non con distacco e prudenza. Sotto gli occhi perplessi della sacerdotessa, Aric allungò una mano tremante verso di essa e la verga incantata rispose al suo richiamo mentale andando da lui, come se una folata di vento l’avesse spinta direttamente nella sua presa. Poi si tirò su e con un sorriso sghembo, iniziò a capire la portata del gioco a cui era stato invitato a partecipare.