Escol e il sire dei Wraith si alzarono soddisfatti dalle comode poltrone dove avevano potuto scambiare i loro rispettivi punti di vista. Si erano raccontati l’un l’altro per alcune ore: Escol perché affascinato da un personaggio del quale solo rari e perduti tomi antichi avevano fatto cenno e il Sire perché curioso di conoscere da bocca mortale cosa fosse successo negli ultimi secoli nel regno degli uomini. Entrambi avevano Atreus come collante e quindi come garante del loro rispetto e della loro stima reciproca, ed ambedue avevano disperato bisogno l’uno dell’altro. Escol perché doveva raggiungere Hilda e suo figlio il prima possibile, oltre alla necessità impellente di mettere mano sulla “Spada di Sangue”: l’unico artefatto rimasto in giro in grado di uccidere Arios. Il Sire perché intuiva che se c’era una vaga possibilità di liberare il suo popolo dalle catene del Nexus, quel piccolo umano doveva avere una possibilità di trovarla. Perlomeno suo figlio Atreus ne era convinto. Non era tanto una questione di potere, di magia o sapienza, quanto di strumenti, di predisposizione e di potenzialità. Si accomiatarono con una poderosa stretta di mano e un accordo verbale talmente solenne che sarebbe durato per tutta la vita di entrambi. Un giuramento ineluttabile, di una valenza ed una portata storica, che avrebbe portato i Wraith a recedere dalla loro guerra atavica con i Vanyr a patto che uno di essi fosse venuto a parlare con loro, rischiando in prima persona la vita. Non sarebbe stato per niente un compito facile per il figlio del Duca, ma perlomeno ora esisteva una speranza. Fecero dunque ritorno nella sala comune, ma notando gli sguardi di odio che serpeggiavano intorno al giovane Nordhmenn, il Sire dispose che egli fosse congedato e relegato immediatamente nelle proprie stanze. Al momento opportuno, sarebbe stato richiamato e avrebbe avuto una scorta che l’avrebbe condotto da suo fratello Eor. Escol ringraziò il sovrano e ne approfittò per ritirarsi e riposare qualche ora. Anche perché quelle tremende occhiatacce, cariche di veleno e astio da parte di tutti i presenti, iniziavano sul serio a metterlo in agitazione. La stanza che gli era stata assegnata era semplice ma ben arredata: aveva un letto, una scrivania e anche delle libagioni. Escol ne approfittò per assaggiare qualcosa del cibo locale, ma esso era del tutto insapore. Logico, altrimenti che crudele prigione sarebbe stata? Si avvicinò poi alla finestra e notò che sotto, nel cortile, c’erano alcuni Wraith che si allenavano combattendo tra di loro. Utilizzavano una strana “commistione simbiotica” tra poteri magici e strane lame che assomigliavano a spade ricurve, spingendo ed affondando, volando e fendendo, sparendo e attaccando. Di continuo. Senza sosta. Senza respiro. Nessun mortale poteva nemmeno sperare di reggere il confronto con essi: troppo veloci, troppo potenti, troppo alieni. Stancamente, alzò quindi gli occhi al cielo scuro: adesso giaceva alta una sola luna, non più tre. Inarcando un sopracciglio, comprese che la conta del tempo qui poteva solo corrispondere ai cicli lunari: da quando si alzava la prima luna a quando scendeva la terza. Anche contare il tempo risultava difficile. Vedendo che non si muoveva nemmeno un refolo d’aria, richiuse la finestra con un sospiro. Tutto era immobile nel Nexus, eppure sempre in movimento. Non c’era gioia, né profumo, né sapore, né piacere. Tutto era statico, ma bastava un solo pensiero sbagliato e una tempesta di caos si sarebbe abbattuta sugli Wraith, rischiando di farli tutti a pezzi. Una prigione terribile ed eterna: un carcere, un ergastolo, prima di tutto per la loro mente. Come riuscissero a sopravvivere in questo inferno restava per lui un mistero insondabile. La scrivania si mosse appena quando un foglio bianco si riempì da solo, mentre la magia del Sire si consumava davanti ai suoi occhi sbalorditi. Sulla pergamena si impressero le sue scuse per quell’esilio improvviso, eseguito ovviamente per il bene del suo ospite. Il figlio del Duca annuì e lo ringraziò mentalmente, verificando poi che la porta della stanza fosse davvero chiusa a chiave. Alzando le spalle, non potendo fare molto altro, il giovane guerriero si appoggiò sul letto e chiuse gli occhi. Quando qualcuno bussò non seppe dire quanto tempo fosse passato: ore? Minuti? Giorni? Tuttavia non era importante: non aveva avuto ristoro dal suo sonno: le ossa gli dolevano esattamente come prima di coricarsi. Aveva dormito sì, ma solo per abitudine: nel Nexus evidentemente non era previsto nemmeno riposare, perché il recupero fisico non era un lusso che la prigione concedeva ai detenuti. Quella stanza, quel letto, erano solo dei piccoli “doni” del Sire per lui. Gesti gentili per farlo sentire in qualche modo a casa. “Avanti.” Disse Escol, mentre la porta si apriva con un sonoro “clack”. “Sei pronto a partire?” Todd era venuto a prenderlo, ed Escol non se lo fece ripetere due volte. Afferrò lo zaino e lo seguì. I due parlarono un po' del viaggio che si stavano apprestando a compiere, difficile e pericoloso soprattutto nella sua parte finale. Todd spiegò infatti che le viverne li avrebbero portati (per come l’umano era abituato a misurare il tempo) a circa due ore e mezza dal castello dove viveva Eor, fratello del Sire. Egli infatti, il più grande fabbro ed usufruitore di magia del suo popolo, aveva eretto una impenetrabile barriera mistica, che aveva lo scopo di impedire fastidiose visite come quella che loro avevano intenzione di fargli. Da un certo punto in poi quindi, avrebbero dovuto proseguire a piedi, ed il cammino sarebbe diventato incerto e periglioso, poiché il Nexus avrebbe ritorto le più grandi paure che portavano nel cuore contro di loro. I due percorsero i corridoi marmorei del palazzo e poi il vissuto cortile esterno, fino a raggiungere delle enormi stalle, all'interno di appositi edifici quadrati solo parzialmente coperti. Qui, delle straordinarie e terribili creature volanti, che Escol aveva già incontrato al suo arrivo, riposavano o artigliavano il terreno in ampi recinti separati. Come lui e Todd si avvicinarono, due di esse tirarono su la grossa testa, spalancando le fauci irte di zanne affilate. Escol le indicò, pregando che il compagno stesse scherzando. “Non vorrai che io cavalchi uno di questi, spero?!” Todd ghignò e rispose: “Beh, se non vuoi andare a piedi e morire sicuramente durante il tragitto, credo proprio di sì. Non temere però, noi Wraith controlliamo le viverne con i nostri poteri mentali e io sono abbastanza abile da dominarle entrambe senza problemi.” Escol entrò timidamente nel recinto seguendo Todd e quando l’enorme bestia alata si accovacciò per permettergli di salire sulla sua groppa, egli cautamente si avvicinò e iniziò ad osservarla meglio. Un esemplare davvero magnifico! Probabilmente era una bestia aggressiva e crudele, ma la sua fierezza e la sua meravigliosa eleganza, la rendevano comunque di una bellezza unica. Avendo appreso da Todd che il suo popolo non dava loro un nome, Escol decise di chiamarla Aghnes. Aveva stabilito arbitrariamente che doveva trattarsi di una femmina e provò anche a socializzare con lei, accarezzandola e dandole del cibo vero dallo zaino, che la viverna sembrò apprezzare molto. Tuttavia Todd lo avvertì di stare molto attento a quel che faceva: quelle creature erano spietate e feroci e senza il suo controllo mentale già avrebbero provato a fare a pezzi entrambi ancor prima che fossero entrati nel recinto. Poi Todd montò in sella al suo destriero alato e disse ad Escol di fare altrettanto. Quindi decollò e si portò dietro Aghnes, tra le urla di terrore del figlio del Duca. Furono le tre ore più lunghe della sua vita: per quanto volare a dorso di viverna fosse un’esperienza incredibile, spiegò a Todd che stava pregando ogni dio che conosceva pur di riuscire a mettere i piedi per terra il prima possibile. Dopo un’altra mezz'ora di volo rocambolesco e grida strozzate, Escol fu accontentato. In fretta, scese dalla viverna e vomitò di lato. Con pazienza, il Wraith attese che il mortale si riprendesse, poi congedò le due viverne, che tornarono al castello spiccando di nuovo il volo con un balzo agile e potente. Escol aveva legato al pomolo della sella di Aghnes un nastro blu per poterla riconoscere in futuro, ed era riuscito a nutrirla ancora una volta prima che volasse via per tornare a casa. Ovviamente Todd rimase perplesso per tutte quelle premure nei confronti di una semplice cavalcatura, ma Escol provò a spiegargli che nel suo mondo, rispettare ogni forma di vita, animale o senziente che fosse, rappresentava il principio cardine della convivenza e dell’armonia con il creato. Ogni creatura aveva il suo posto e il suo ruolo, certo, ma bisognava sempre apprezzare e mai sminuire chi si occupava di cose all’apparenza meno importanti delle proprie. Todd non replicò: essendo nato nel Nexus, era di mente più aperta rispetto a chi ricordava ancora gli infiniti millenni di guerra e rancori nei confronti dei Vanyr. Escol sorrise soddisfatto, perché intuì che il giovane Wraith ci avrebbe davvero pensato su. Dopo circa un’ora di cammino, la sua guida alzò una mano, ed avvertì Escol che si sarebbe presto trovato in pericolo. Egli non avrebbe potuto proteggerlo, perlomeno non subito, quindi lo avvisò di rimanere calmo e di affrontare le sue paure con volontà e determinazione o non sarebbe sopravvissuto. Era un punto molto importante questo, che poteva costargli la vita. Poi l’intero scenario cambiò, risucchiando il figlio del Duca in un luogo che lui conosceva molto bene e che aveva l’effetto di terrorizzarlo ogni volta che ci ripensava: la cittadella dell’imperatore, nel maledetto giorno in cui l’aveva incontrato ed era stato sconfitto miseramente! I suoi passi echeggiavano sinistri nell’immensa sala del trono, ove l’erta scalinata conduceva in cima allo scranno d’alabastro sul quale sedeva spesso il malvagio Arios. Con gli occhi atterriti che guizzavano da una parte all’altra, Escol lo notò, spada in pugno, mentre stava avanzando minaccioso verso di lui. A terra, poco distante, giacevano due corpi, ma non due cadaveri qualunque: erano quelli straziati di Keira e Liss! Il Nexus aveva estrapolato esattamente le sue peggiori paure: Arios il dannato che quasi l’aveva ucciso un anno prima e la morte delle due donne che rappresentano oggi la sua famiglia. Escol sapeva che era solo un artifizio, un costrutto mentale da parte dell'infame prigione, ma tutto era drammaticamente reale, così reale, che quando Arios sferzò l’aria con la sua spada i suoi capelli si mossero quando l’aveva schivata. Percepì perfino l’odore di zolfo e decomposizione propri dell’imperatore maledetto. Il figlio del Duca cercò di seguire il consiglio di Todd, restando concentrato e determinato. Rispose colpo su colpo, finché Arios arretrò da lui, ma solo per scatenargli contro un terrore ancor più grande. Infatti i corpi di Keira e Liss si animarono, rinascendo come terribili non morti! Escol riuscì ad abbattere il simulacro di Keira, ma non quello di Liss. Provò a fuggire, ma il Nexus lo riportava sempre davanti a lei. Dietro di Liss, Arios sussurrava parole negromantiche, manovrando la giovane come un burattino spezzato. Il sangue sgorgava dal suo collo reciso, ma i suoi occhi spenti guizzavano verso di lui con odio innaturale. Escol sapeva che tutto questo era finzione, un sopruso del Nexus sui suoi ricordi, ma non riusciva a reagire, a combattere. Non con Liss. Venne ferito diverse volte prima che quello scenario da incubo crollò su sé stesso, restituendolo al grigio pallore spettrale dei panorami del Nexus. Accanto a lui, Todd aveva appena trafitto una creatura fatta d’ombra. Secondo il Wraith, la prigione si serviva di questi emissari oscuri per far sgorgare dalle menti dei prigionieri i loro più atavici timori. Una messa in scena, ma tutt’altro che innocua. Infatti le ferite di Escol e anche quelle del suo compagno erano rimaste aperte dopo quella sfida. Tanto che il Figlio del Duca condivise con lui due pozioni risanatrici. Todd lo ringraziò, poi attese pazientemente che il giovane umano si riprendesse dallo shock, ed infine tornò a guidarlo per una via che solo lui riusciva a vedere. Presto arrivarono ad un castello molto simile a quello che si erano lasciati alle spalle, solo molto più piccolo e meno strutturato. Tuttavia anch’esso era gremito di Wraith, ma nessuno di essi si oppose al loro passaggio. Questo edificio, per quanto quasi uguale all’altro, ispirò ad Escol sensazioni diverse. Aveva l’aria di essere più un elaborato enclave abitato da potenti maghi, che un avamposto militare pieno zeppo di guerrieri. In ogni caso, alla fine Todd lo portò a destinazione, in quella che sembrava una grande biblioteca e al contempo un laboratorio alchemico. La prima cosa che colpì l'occhio attento di Escol fu un grande spadone a due mani, appoggiato di traverso su un altare bianco ricoperto completamente da glifi magici. La lama della spada era anch’essa bianca come il latte, ma all’interno sembrava scorrere una sostanza rossastra, che si ritraeva ed allargava di continuo, quasi fosse viva. Lì vicino stava il possente Eor, intento a preparare delle pozioni. Todd presentò sé stesso ed Escol, ed il fratello del Sire andò a conoscere con piacere il suo nuovo ospite. Eor era identico a suo fratello, solo che preferiva abbigliarsi con vestiti scuri, a differenza del Sire che sceglieva spesso tinte più chiare. Il Wraith lo accolse con grande cortesia, ottemperando immediatamente alla richiesta del giovane umano di poter incontrare Hilda. La mezzelfa arrivò pochi minuti dopo, ma era parecchio diversa da come Escol la ricordava: aveva i capelli lunghi, la mascella più dura e gli occhi meno spensierati. Come lo vide, non seppe trattenere lacrime ed emozioni: corse verso di lui e gli saltò al collo. Probabilmente aveva quasi perso le speranze di rivederlo: per lei erano passati sette anni! Todd uscì dalla stanza, ma Escol non pretese la stessa delicatezza dal padrone di casa che rimase ad assistere curioso alla loro conversazione. Escol le raccontò della situazione tragica che stava vivendo Eord, sull’orlo del baratro per via dell’assedio all’ultima cittadella degli Elfi. L’ultimo luogo rimasto ancora davvero libero nel mondo. Le disse che lei doveva sapere come stavano le cose, poiché avrebbe dovuto fare una scelta: tornare con lui o rimanere al sicuro nel Nexus. Hilda invece gli raccontò cosa le fosse successo dopo che le loro strade si erano divise nella cittadella. Escol era andato incontro al suo destino infausto, affrontando Arios. Lei invece era riuscita a stento a fuggire e solamente perché Atreus l’aveva trovata e salvata. Secondo la mezzelfa, non era stato Arios a confinarla nel santuario di Sire Fuoco, ma l’Asur. Quindi l’imperatore maledetto gli aveva mentito sotto le miniere dei nani! Atreus l’aveva protetta dai Wraith nelle Terre Misteriose e l’aveva condotta oltre le scalinate, fino al Tempio della sacra fiamma. Qui, l’elementale maggiore aveva eretto un’illusione e un muro di fuoco, per chi fosse stato troppo stolto da osare reclamare la mezzelfa e il suo bambino non ancora nato. L’Asura aveva poi aperto un varco per lei per il Nexus. O forse era stato Sire Fuoco, Hilda non si mostrò sicura su questo punto. Fatto stava che i Guardiani l'avevano trovata a vagare per le pianure d’ombra e notando il simbolo di Atreus sulla sua fronte, l’avevano accompagnata dal loro Sire che l’aveva presa come consorte per proteggerla. Quindi entrambi erano stati marchiati dallo stesso segno: ulteriore prova che l’Asur voleva che entrambi si trovassero nel Nexus contemporaneamente. Eor mostrò, tramite uno specchio magico, che era vero: ambedue recavano la firma di Atreus sulla fronte. Quindi non poteva esistere alcun dubbio: egli aveva studiato questo piano nel dettaglio molto prima dello scontro con Arios. E i suoi padri, per loro fortuna, si erano fidati del suo giudizio. Questo era il motivo per cui lui e Hilda erano ancora vivi. Tuttavia, prima di prendere un altro discorso e organizzare le prossime mosse, Escol fu invitato dalla mezzelfa a conoscere suo figlio. Quando entrò il piccolo Kail lo fece sussultare: sia per il nome che la madre aveva scelto per lui e sia perché aveva il suo stesso aspetto da bambino! Aveva i suoi occhi e i suoi capelli, ma le labbra e il mento della mezzelfa, oltre un lievissimo accenno di orecchie a punta che solo in pochi avrebbero potuto notare. Escol si chinò alla sua altezza e gli domandò se durante la sua assenza avesse vegliato degnamente sulla madre. Il bimbo rispose senza esitazione che sua maestà Eor si era preso cura di entrambi, ma aggiunse anche che se fosse stato necessario, lui l’avrebbe fatto. Dalla piccola daga che aveva al fianco, Escol non dubitava che Hilda e il Wraith, oltre che le tradizioni Nordhmenn, avessero insegnato al piccolo anche come difendersi adeguatamente. Il figlio del Duca annuì e gli disse che era molto fiero di lui. Il petto del piccolo si gonfiò per l’orgoglio e quasi si disperò quando Eor lo invitò a lasciare la sala perché gli adulti adesso dovevano parlare. Escol lo guardò allontanarsi, poi ringraziò di cuore il Wraith per la sua pazienza e il suo sostegno negli anni. Egli lo tranquillizzò, spiegando che sapeva del suo arrivo dal fratello minore, che gli aveva anche raccontato ogni cosa, compreso il loro “sacro accordo”. Aggiunse che quindi era lui che doveva ringraziarlo per ciò che avrebbe fatto in futuro per la sua gente. Inoltre rivelò due dettagli curiosi. Il primo fu che egli aveva lasciato a suo fratello il diritto di contendersi il trono per aspirare al ruolo di capo degli Wraith. La successione quindi non accadeva per diritto di nascita, ma grazie ad un combattimento rituale molto specifico e cruento. Chiunque si fosse dimostrato abbastanza forte da sfidare ed uccidere il sovrano in carica, poteva diventare il Sire del suo popolo. Il secondo fu che una volta diventato Re, il Wraith sovrano perdeva il suo vero nome, diventando per tutti semplicemente il “Sire”. Eor aveva preferito i suoi studi e la solitudine, lasciando volentieri al fratello gli oneri della corona. Mentre parlava, Escol si rese conto che la persona che aveva davanti era di gran lunga l’essere più potente che avesse mai incontrato in vita sua. Avrebbe potuto spazzare via Arios solamente con un singolo sguardo! Eppure era gentile e disponibile, perfino quando gli aveva chiesto, forse un pò impunemente, se avesse potuto prestargli la “Spada di Sangue”. Un oggetto leggendario, da lui forgiato col solo scopo di uccidere i Paradine. Sembrava perlomeno paradossale che la sua gente fosse stata bandita nel Nexus proprio in seguito all’uccisione di un Paradine. Forse che proprio quella spada fosse la chiave che teneva chiusa la porta della prigione da questa parte? Comunque, a quanto pareva, l’arma era senziente e quindi essa stessa avrebbe dovuto decidere se accettare la sua richiesta o meno. Eor non sarebbe stato contrario se avesse acconsentito a seguirlo. Immerso nelle sue riflessioni, Escol annuì, preparandosi ad una nuova e incredibile sfida, dicendosi disposto ad accettare le usanze di un popolo che, a stento, riusciva a capire, ma che grazie ad Atreus aveva imparato da tempo a rispettare.