Escol fu costretto a stropicciarsi gli occhi diverse volte per riprendersi dalla profonda vertigine che l’aveva colto e quasi sbattuto per terra. E quando era sicuro di riuscire a mettere di nuovo a fuoco ogni cosa, ancora non capiva se ciò che stava vedendo era frutto della sua fantasia o di qualche colpo in testa che l’aveva rimbambito. Si trovava su una distesa sconfinata di terra secca e sassi, priva di alberi e all’apparenza di qualunque forma di vita animale, sotto un cielo stellato e tre lune piene, belle alte, che illuminavano abbastanza bene uno scenario tanto inaspettato quanto surreale. Ma com’era possibile? Un attimo prima si trovava nel Tempio di “Sire Fuoco” e ora all’aperto, in qualche posto chissà dove. Escol sospirò affranto, gli pareva di rivivere un deja vu, quando la chierica Lady Dana l’aveva scaraventato sul piano degli elementali al fine di realizzare il piano di Atreus! Scuotendo la testa, confuso ed affranto, iniziò a camminare. Il figlio del Duca non sapeva dire quanto aveva errato, ore o forse solo pochi minuti. Sembrava che in quel luogo il tempo e lo spazio funzionassero diversamente. Per cui ad un certo punto preferì fermarsi a riflettere, per non rischiare di girare a vuoto e sprecare energie. Il panorama non cambiava e la notte non sembrava mai calare. Poi, all’improvviso, scorse finalmente qualcosa all’orizzonte. Qualcosa che volava. Pensò si trattasse di uno stormo di grossi uccelli, ma pian piano che si avvicinavano, si rese conto che si trattava di altro. Erano creature alate che non aveva mai visto: enormi, minacciose, dagli affilati artigli e dalla lunga e nodosa coda. Inoltre venivano cavalcate da qualcuno. Escol ci mise un pò a capire chi fossero i loro fantini, ma alla fine riconobbe gli inconfondibili tratti somatici dei Wraith! Essi girarono un pò sopra di lui, per poi atterrare, uno dopo l’altro, con un tonfo sordo. Erano in otto e tutti armati fino ai denti. Uno di loro si rivolse a lui in una lingua sconosciuta, mentre gli altri sembravano fremere per ucciderlo. Escol allargò le braccia, spiegando che non capiva la loro lingua, ma quando il Wraith più disposto al dialogo udì le sue parole, spalancò gli occhi e rispose utilizzando il suo stesso idioma. “Chi sei? perché sei qui?” Domandò semplicemente, ma con tono minaccioso. Escol rispose dicendo la verità, cercando di ricostruire quello che aveva capito di quanto gli fosse successo. Spiegò che era stato “Sire Fuoco” a mandarlo lì, che proveniva da un mondo chiamato “Eord” e che cercava una donna dai capelli rossi di nome Hilda. Lei e il suo bambino erano suoi parenti. Il Wraith scese dalla sua cavalcatura alata, che si accoccolò su sé stessa senza però mai togliere il suo sguardo fessurato e crudele dall’uomo a cui si stava rivolgendo il suo padrone. Il Wraith si tolse l’elmo e si presentò come Todd. Escol replicò rivelandogli il suo nome e la sua casata. Poi domandò dove si trovasse. “Ti trovi nel Nexus, Escol di Berge. Benvenuto nella nostra prigione!” Rispose Todd, con un ghigno strano sulle labbra. Il Nexus? Escol ne aveva sentito parlare, ma non pensava che un mortale potesse mai riuscire a raggiungerlo. Tantomeno uscirne, rifletté tra sé mordendosi un labbro. Dietro di loro, uno dei Wraith faticava a tenere a freno la sua cavalcatura. “Dobbiamo ucciderlo, Todd.” Disse gelido. Todd alzò una mano per rallentarne l’impeto. “Sebbene abbiamo avuto l’ordine di eliminare qualunque potenziale minaccia appaia nel Nexus, costui dice di conoscere la mortale dai capelli rossi e suo figlio, pertanto lo porteremo dal nostro Sovrano e lui deciderà cosa farne… inoltre, non sembra rappresentare una minaccia per il nostro popolo.” Escol inarcò un sopracciglio, non sapendo se ringraziarlo o meno per quell’insulto. “Ma gli ordini…” Commentò il cavaliere irrequieto, sempre più inferocito. “Basta! Così ho deciso…non vedi il marchio su di lui? Vuoi ignorare tutti questi segni?” A quel punto il Wraith assetato di sangue si placò, lasciando però il figlio del Duca ancor più confuso. Marchio? Quale marchio? “Voi tornate pure al castello, io voglio parlare con l’umano e rientreremo a piedi. Tutto chiaro?” Sentenziò Todd, mentre guardava i suoi compagni annuire. Poi le sette sentinelle del Nexus ripresero il volo, seguiti con riluttanza dalla cavalcatura alata del loro capo. Escol era sempre più perplesso. Considerando la distanza da coprire, ci avrebbero messo giorni per arrivare nei pressi del punto da cui li aveva visti provenire. Eppure Todd non pareva preoccupato, anzi lo invitò a seguirlo. I due parlarono di tante cose, dalla luce del sole, che Todd non aveva mai visto e che nel Nexus non esisteva, alle razze come gli elfi e i nani, che il Wraith nemmeno sapeva chi fossero, fino alla storia antica. Una narrazione talmente lontana nel tempo, che agli occhi del giovane Nordhmenn pareva più una leggenda, che raccontava che i Paradine esiliarono i Wraith nel Nexus come punizione per la loro crudeltà e malvagità. Sembrava inoltre che Todd sapesse che su Eord esisteva una comunità di Wraith, ma spiegò subito che andar via dal Nexus voleva dire, per la sua gente, perdere quasi sicuramente il senno. A quel punto Escol capì la natura della follia degli Wraith, perché si era generata e perché li portava a fare spesso cose senza senso, come cacciare ed uccidere i loro figli Asura. Mentre parlavano, gli scenari cambiavano rapidamente intorno a loro e Todd spiegò che nel Nexus bastava semplicemente “desiderare” qualcosa, che essa si realizzava. Tuttavia, senza raziocinio ed allenamento, venivano generate, spesso per caso, minacce di grave entità per la sua comunità, prigioniera da millenni in questo luogo d’incubo. Ecco perché avevano l’ordine di uccidere a vista ogni cosa che si muoveva da queste parti. Escol e Todd arrivarono dopo un tempo davvero indefinibile sopra una scarpata. Sotto di essa, un castello enorme si palesò davanti agli occhi increduli del figlio del Duca. Con tanto di passaggio a livello, ponte levatoio e guardie all’entrata. Poi i due si materializzarono sulla passerella, passando senza problemi di fianco a decine di Wraith, che guardarono il giovane umano con curiosità e diffidenza, ma senza dire nulla. Todd scortò Escol dentro il complesso, solcando cortili, scale e corridoi, fino a raggiungere una gigantesca stanza, scavata come il resto dell’edificio nella pietra, che mostrava un enorme scranno al suo centro. Sopra il trono, era seduto un Wraith dall’aspetto solenne e antico. Era vestito con una tunica rossa e i suoi capelli d’argento erano lisci e lunghi sotto le larghe spalle. Appena i due si avvicinarono, tutti ammutolirono. Todd si inchinò e così fece Escol. Brevemente, introdusse il figlio del Duca al suo cospetto, dichiarando chi fosse e cosa cercasse. Il “Sovrano” annuì. “So chi è costui. Gli altri tuoi compagni hanno già fatto rapporto. Dovrei punirti pesantemente per aver disubbidito ad un ordine diretto, ma per questa volta non lo farò, perché avresti portato offesa alla mia consorte e a suo figlio.” Todd lo ringraziò per la sua indulgenza. Poi lo sguardo del Re si spostò su Escol. Il figlio del Duca ancora stava cercando di digerire ciò che aveva appena appreso e cioè che Hilda era adesso la moglie del Wraith a capo di questa comunità, ma puntò fieramente gli occhi su di lui. “Cosa cerchi dalla mia consorte, Escol di Berge?”. Il giovane guerriero fece un passo avanti e raccontò ogni cosa: dalla sua entrata nelle Terre Misteriose, all’incontro con i Wraith esuli, dalla scalinata che portava alla dimora di “Sire Fuoco” alla follia distruttiva in cui era caduto il suo popolo e di cui adesso aveva scoperto il motivo. Parlò di Arios e di Atreus, il suo amico Asur, anche lui morto per tentare di eliminare l’imperatore maledetto e prendersi il suo trono. Il sovrano ghignò, spiegando che gli intenti di Atreus si spingevano ben oltre il trono di Eord e che sapeva bene del suo rapporto con lui, uno dei suoi figli preferiti. Era proprio grazie al suo marchio che ancora non era stato ucciso, ma anzi godeva del rispetto che si doveva se non ad un amico, perlomeno ad un alleato. Escol corrucciò la fronte e domandò di che diavolo di marchio stavano parlando. Possibile che tutti potevano vederlo tranne lui? Todd sorrise, stupendosi per il fatto che i mortali non avessero la capacità di percepire la magia Asura. Una magia elementare per i Wraith, loro progenitori, ma evidentemente anni luce avanti rispetto alla loro. Magnanimamente, il Sire spiegò ad Escol che il marchio di Atreus lo accompagnava ad ogni passo, perché l’Asur gliel’aveva stampato sulla fronte! Il figlio del Duca arrossì, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso, pensando a quanto spesso Atreus fosse stato inopportuno. Tuttavia, aveva imparato che niente che faceva quell’Asur era privo di significato. Forse quel sigillo magico, che aveva impresso sulla sua pelle, era stato messo lì proprio in previsione di questo momento. Forse faceva tutto parte del famoso piano “B” che egli gli aveva confidato più di un anno prima. Un piano di scorta, qualora quello di utilizzare il pugnale di Chardras per uccidere Arios fosse fallito. Il Re lo studiò, come se stesse scavando a fondo nei suoi pensieri, poi fece un gesto con la mano e tutto intorno a loro scomparve. Anche la stanza del trono. I due si trovavano adesso in una delle camere personali del Sovrano, seduti su due comode poltrone, davanti ad uno scoppiettante fuoco. Escol ci mise un po' per riprendersi: ogni volta che si utilizzavano le proprietà del Nexus, un senso di vertigine fortissima lo afferrava per diversi secondi, prima di lasciarlo andare decisamente scombussolato. Il Sovrano annuì, spiegando però che niente era davvero reale nel Nexus. Si poteva tutto, ma nulla restava fermo in eterno. Ed era questa la vera prigione per gli Wraith: una razza di eterni che vivevano un'esistenza fittizia, dentro un mondo fittizio, con pericoli però molto reali, che potevano nascere da un pensiero sbagliato o da uno scatto d’ira poco controllato. La disciplina e il rigore rappresentavano dunque la vera chiave per rimanere vivi in questo posto, e per una razza così ambiziosa come la loro, era una vera tortura. Ecco perché molti di loro aveva preferito la follia alla prigionia. Escol però disse di aver conosciuto un Wraith, che gli aveva salvato la vita nelle Terre Misteriose e che non era impazzito. Quindi osservò che passare oltre il Nexus non sempre provocava la perdita del senno. Il Sovrano, sorridendo amaro, rispose così: “Certo. Altrimenti non sarebbe una vera punizione. Una vera tortura. Il fatto che ci sia anche solo una piccola speranza di conservare la propria integrità mentale, ha portato comunque molti del mio popolo a tentare la via della libertà. Anche se sapevano che le possibilità erano meno che minime, si sono aggrappati lo stesso a questa tenue fiammella. Questa è la profondità della maledizione scagliata dagli infami Paradine su di noi.” Escol sussultò nell’udire quelle parole, così aspre e cariche di livore e odio. Preferì cambiare discorso, chiedendo di Hilda e del bambino. Il Sire rispose che i due mortali stavano bene e che li aveva nascosti da suo fratello Eor. Spiegò che quando era arrivata nel Nexus, Hilda era stata accompagnata da “Sire Fuoco”, che poi l’aveva lasciata lì, ed era tornato indietro. Lui l’aveva accolta e sposata, per evitare che qualche Wraith le facesse del male e aveva deciso poi di mandarla da suo fratello per questioni di sicurezza. Escol gli confidò allora che il bambino, che qui era un fanciullo poiché il tempo scorreva più veloce, era suo figlio, concepito con Hilda come conseguenza di un incantesimo di charme scagliato da Atreus. Un altro pezzo del puzzle che l’Asur aveva messo sul tavolo. Il Sovrano annuì e disse: “Penso proprio che tu sia qui per un motivo specifico, Escol di Berge. Nella mente di mio figlio Atreus, il tuo ruolo non era solo quello di rovesciare l’imperatore, ma quello di liberare il mio popolo… perché questo è l’obiettivo principale di ogni Asura!” Escol rifletté attentamente su quelle parole, che trovarono subito riscontro, sia per l’ampiezza del disegno di Atreus, sia per quello che gli aveva detto sua figlia Vanyl. Entrambi infatti, padre e figlia, avevano più volte sottolineato che il trono non era la cosa più importante che essi desideravano per il loro popolo. Essi bramavano sopra ogni altra cosa la libertà dei loro padri! Desideravano che loro riprendessero il loro dominio su Eord. Dominio che però passava per un guerra sanguinosa, che aveva rischiato di distruggere il mondo. Ecco perché i Paradine erano intervenuti: altrimenti lo scontro devastante tra Wraith e Vanyr avrebbe in poco tempo incenerito ogni cosa! A questo punto, morso dalla curiosità, Escol azzardò di chiedere al Monarca quali fossero le radici di tale guerra tra questi due popoli semi divini. Cos’è che teneva accesa da millenni la loro rabbia, il loro odio reciproco. Da anni aveva smesso di credere a ciò che veniva dipinto come “assolutamente buono” e come “assolutamente cattivo”. Con la maturità, aveva realizzato che ciò che non era del tutto scellerato, veniva sempre guidato da principi specifici, magari poco condivisibili, forse gretti e dettati dall’avidità, ma mai definibili esclusivamente come “malvagi”. Il Sovrano lo scrutò intensamente, annuendo quando Escol aggiunse che se avesse trovato il modo di liberarli dal loro giogo, l'avrebbe fatto, ma non senza prima assicurarsi che Eord non sarebbe scivolato in un pericolo ben peggiore dell’imperatore maledetto. Fu allora che il Sire parlò, raccontando la vera storia degli Wraith e dei Vanyr. Una storia che nessun uomo ancora in vita conosceva e che lui adesso avrebbe avuto l’onore di apprendere. “Un tempo noi eravamo come voi o meglio i nostri creatori lo erano. Mortali, nati e cresciuti su un mondo molto simile al tuo, Escol di Berge. Perseguitati da feroci predatori alati, simili alle nostre viverne ma infinitamente più grandi e potenti, creature chiamate volgarmente “Draghi”, i nostri padri stavano per essere sterminati. Solo grazie alla loro magia riuscirono a resistere, ma era solo una questione di tempo prima di essere spazzati via senza alcuna pietà. Finché riuscirono a creare noi. “Spettri”, ecco il perché del nostro nome, in grado di fronteggiarli velati dall’oscurità. Potentissimi nella magia e spietati nel combattimento. I “Draghi” restavano più potenti dei Wraith, ma noi eravamo cento volte di più e iniziammo lentamente a ribaltare le sorti della guerra. Il nostro solo scopo era stanarli ed ucciderli tutti, perché fummo forgiati con questo unico scopo. Ben presto però, questa guerra senza quartiere ebbe conseguenze catastrofiche, portando all’estinzione ogni forma di vita nel nostro mondo natio, compresi i nostri stessi padri. Ma noi continuammo a combattere e a combattere, per secoli, per millenni, finché ci evolvemmo, sia noi che loro, in forme di vita superiori, eteree, quasi divine. Queste nuove condizioni però, non placarono affatto le nostre primigenie intenzioni, scatenando altre tipologie di guerre che non potresti capire nemmeno se mi sforzassi a descrivertele nel dettaglio. Fu a quel punto che arrivò la “Prima Convergenza” e la possibilità per noi di tornare a vestire la nostra fisicità quasi dimenticata. Tuttavia, lo stesso capitò ai “Draghi”, che si manifestarono sul tuo mondo sotto forma di Vanyr! La guerra quindi non tardò a tornare, aspra e terribile come sempre. Solo a causa dei maledetti Paradine, al loro editto e al nostro esilio, essa fu momentaneamente interrotta, per poi tornare a manifestarsi, secoli dopo, grazie ai nostri figli Asura e a quelli dei Vanyr, i Valoarian. Il resto della storia credo che tu la conosca, Escol di Berge: il tuo popolo, alleatosi con i Valoarian, sconfissero i nostri figli, esiliandoli ai confini dell’impero.” Il figlio del Duca annuì, notando perfettamente il bieco cipiglio stampato sul volto di quello che era il capo dei Wraith! Una creatura la cui natura era certamente crudele e spietata, ma perché forgiata per essere così dai suoi creatori. In un certo senso, non aveva colpe per questo. Tuttavia, coi millenni si erano evoluti, avevano raggiunto un’identità come popolo, ed erano stati vittime di secoli di prigionia e privazioni. Schioccò le labbra e gli disse che se avesse trovato il modo di tirarli fuori di lì, l’avrebbe fatto, ma voleva la sua parola, che era vincolante come se non più di quella degli Asura, che tornati su Eord non avrebbero questa volta ripreso la guerra con i Vanyr. Mai più! Il Sire ci pensò sopra, facendogli capire che forse un sistema di fuga esisteva davvero e che forse lui o chi per lui, avrebbe potuto liberarli dalla loro prigionia. Poi aggiunse in un sussurro: “Se tu mi porterai qui il Sire dei Vanyr… e con lui il suo giuramento solenne che nemmeno loro riprenderanno le armi contro di noi, hai la mia parola, Escol di Berge!” Escol obiettò che rientrare nel Nexus non era proprio tra i suoi progetti futuri, ma il Sovrano parve irremovibile su questo: lui poteva anche concedergli fiducia, visto che la sua presenza faceva parte del disegno di Atreus, ma specificò che egli, per quanto potente, non era il più forte del suo popolo. E lui era abbastanza potente da spazzare via Arios con relativamente poco sforzo, questo Escol lo sapeva benissimo. Non era sufficiente la sua parola per tenere buona la sua gente, non per sempre: serviva un gesto plateale come quello per sigillare l’accordo in maniera indissolubile. Sospirando affranto, Escol annuì. “Allora abbiamo un accordo.” Disse il Sire, mentre il giovane guerriero di nuovo annuiva. Tuttavia azzardò a chiedere una cortesia al Sovrano: egli aveva bisogno della “Spada di Sangue”: la mitica lama rossa, forgiata dagli Wraith, che anticamente era riuscita ad uccidere un Paradine. Solo con quell’arma aveva una possibilità di fermare Arios. “Tu brami la “Spada di Sangue”, la mia spada. Quella che utilizzai durante la guerra per uccidere uno degli infami Paradine. Non la troverai qui. Essa appartiene a mio fratello Eor, l’artigiano che l’ha forgiata. Posso accompagnarti da lui se vuoi chiedergliela in prestito, Escol di Berge. Non posso fare altro per te.” Il giovane guerriero sgranò gli occhi: quello che aveva davanti era il Wraith che aveva ucciso il Paradine di cui parlavano le scritture! E suo fratello era il fabbro che aveva creato la spada. “E sia!” Disse il figlio del Duca con rinnovato ardore. Doveva comunque incontrare Hilda e il bambino, per cui era meglio prendere la palla al balzo. Sperò solo che il fratello del sovrano fosse predisposto al dialogo almeno quanto lui.