Escol, Stee e Slanter, erano appena usciti dal tempio dei Paradine: il primo snodo dell’erta gradinata costruita sul costone della montagna, che conduceva a quello ben più grande di "Sire Fuoco” che si intravedeva sulla vetta. Da lì avevano trascinato via un nuovo potere, ma anche un’immensa tristezza per via dell’imprevisto e doloroso sacrificio di Aelion. Il figlio del Duca stringeva a sé il suo nuovo formidabile scudo incantato, che portava il nome e l’essenza stessa dell’elfo, ma scuoteva ogni tre gradini la testa per il gesto tanto sconsiderato quanto altruistico del compagno guaritore. Egli si era sacrificato per lui. Per la sua missione! Perso nei suoi cupi pensieri, non si rese nemmeno conto quando arrivò al secondo snodo: un altro piccolo tempio che, a prima vista, per quanto identico nella struttura, sembrava molto meno solenne ed ordinato del precedente. Pareva infatti che una sorta di terremoto avesse sconquassato il soffitto e le pareti stesse, spargendo in ogni dove e alla rinfusa sassi e pietre. Eppure, perlomeno all’apparenza, non si vedevano crolli evidenti: un fatto assai strano. I tre compagni arrancavano per la fatica della salita, ed Escol li invitò ad entrare e a riprendere fiato. Come per l’altro edificio, la scalinata saliva da sud verso nord, ed il piccolo tempio rappresentava l’unica struttura abbastanza spaziosa per riposare in pace. Come tutti e tre furono dentro, Escol iniziò a guardarsi intorno, notando che c’erano quattro piccole fontane per ogni lato della costruzione. L’acqua all’interno di esse era scura e stantia, ma il figlio del Duca percepiva qualcosa di mistico in essa o forse nelle fontane stesse, che ebbero l’effetto di metterlo in allerta. Meglio lasciare subito quel luogo e procedere oltre: il suo sesto senso lo avvisava che qualcosa non andava. Non riuscì nemmeno a finire la frase, che Slanter lo invitò a raggiungerlo subito nell’apertura a sud, quella da dove erano entrati: un’orda inferocita e folle di Wraith stava salendo verso di loro come un fiume in piena! Non avevano accumulato molto vantaggio e le intenzioni di quelle infide creature sembravano tutt’altro che amichevoli. Escol si affrettò a guidare i suoi compagni verso l’uscita a nord, ma “qualcuno” o “qualcosa” non si mostrò d’accordo con lui: il guardiano del tempio! Le pietre iniziarono a scuotersi e a muoversi, finché non presero ad aggregarsi le une con le altre, formando un grosso e massiccio elementale della terra! Dopo un attimo di panico Stee ingaggiò subito, mentre Escol riuscì a schivare le mazzate del guardiano, potenti ma lente. Il più sfortunato fu il povero nano, che venne colpito di striscio ad una spalla e scaraventato su un muro. Il figlio del Duca sguainò la spada e si serrò dietro il suo scudo portentoso, ma ben presto si rese conto che le sue armi e quelle del mezzelfo scalfivano appena la dura scorza rocciosa della creatura. Ben presto quel mostro li avrebbe sfiancati e l’orda di Wraith li avrebbe raggiunti, massacrando tutti senza pietà. Doveva assolutamente inventarsi qualcosa. Memore dell’esperienza avuta sul “piano elementale” di molto tempo prima, Escol pensò che quel guardiano senza cervello, ma dalla forza e resistenza incommensurabili, doveva rispondere per forza a una o più creature senzienti. Creature di natura affine, ed in grado di fronteggiarlo o renderlo di nuovo innocuo senza particolari sforzi. Anche se non se ne vedevano, in quella stanza potevano esserci, ma solo lui poteva sapere chi fossero e dove rimanevano silenti. Folgorato da questa intuizione, Escol si avvicinò alle fontane, raccolse un po' di quell’acqua marcia e la gettò sul gigante di pietra. Il risultato fu strabiliante: la pietra iniziò a sfrigolare e consumarsi, ma non fu ancora sufficiente a fermare il titano. Stee stava facendo di tutto per tenerlo impegnato, ma non era per niente facile vista la sua mole. Escol rinnovò i suoi sforzi con ancor più determinazione. Questa volta riempì la borraccia con un po' d'acqua di tutte e quattro le fontane, si avvicinò con cautela alla schiena della creatura e gliela svuotò addosso! L'effetto fu ancor più sconvolgente: da sopra il corpo gorgogliante dell’elementale della terra, una nuova, incredibile creatura scivolò via come un’ombra liquida iniziando subito a combatterlo: un elementale dell’acqua! Escol sapeva bene che gli elementali dell’acqua erano superiori nella gerarchia rispetto a quelli della terra e se adesso stavano combattendo, voleva dire che il nuovo arrivato stava dalla loro parte. Senza perdere un altro secondo, afferrò Slanter ancora mezzo tramortito, ed uscì. Il generale lo seguì qualche istante più tardi. Purtroppo non avevano il tempo di rifiatare un pò, perché i Wraith si erano avvicinati parecchio e quindi furono costretti a riprendere a salire immediatamente. Quando arrivarono al tempio successivo, il terzo snodo, Escol pensò che gli sarebbe scoppiato il cuore nel petto. Perfino Stee sembrava stremato. Tuttavia, quando fecero per varcare la soglia, un’oscurità pesante e totale suggerì loro prudenza. Non si vedeva niente oltre. Perfino gettando dentro una torcia la luce veniva repressa da quel buio assoluto. I tre compagni si guardarono per un secondo negli occhi, poi voltarono lo sguardo verso il basso. Non avevano scelta. Escol fu il primo ad entrare, seguito da presso dagli altri. Come misero piede all’interno, pian piano l’oscurità iniziò a diradarsi, mostrando chiaramente le fattezze del tempio, identiche a quelle dei precedenti. Non c’erano però altari, né fontane e né pietre. Si solidificò all’improvviso e dal nulla un turbine di energia, che stava preparando la scena per l’arrivo di qualcosa di davvero terrificante. Lentamente, inesorabilmente, uno squarcio dimensionale portò al centro della stanza, tra calore, lingue di fuoco e un puzzo insopportabile di zolfo, un terribile ed invincibile Jaychira! Escol l’aveva visto fare a pezzi Eledras in pochi minuti e la prima cosa che fece fu quella di voltarsi agghiacciato verso Stee, che dimostrò subito di aver capito cosa gli si fosse materializzato davanti. Una bestia alta quasi tre metri, dalle fattezze di un grosso gorilla dal pelo fulvo e cremisi, ma forte come cento Okar e veloce come altrettanti elfi oscuri! Questo mostro praticamente non poteva essere ucciso in un duello, poiché più veniva ferito e più diventava forte e potente. Si mormorava che l’unico modo di sconfiggerlo fosse ammazzarlo con un unico poderoso colpo. Tutte queste cose Escol le aveva dette più volte a Stee durante gli ultimi mesi, ma temendo adesso per la loro vita, ordinò subito di fuggire, tentando di svicolare via oltre la porta nord. Tuttavia, questa volta Stee non obbedì al suo comando. Lo afferrò per un braccio, gli sorrise e gli disse: “E’ tutta la vita che aspetto questo momento. Grazie Duca di Berge di avermi condotto fin qui. Ora va’ e compi la tua missione!” Escol lo guardò con occhi imploranti, ma il mezzelfo si mostrò irremovibile: sguainò le sue due lame e avanzò implacabilmente verso il suo avversario. Escol abbassò lo sguardo. Triste. Sfinito. Un altro compagno se ne stava andando per aiutarlo a procedere oltre. Per portare a compimento quello che nemmeno era sicuro fosse il suo destino. Sospirò, afferrò Slanter per la collottola e uscì dal tempio. Sperò solo che Stee avrebbe fatto tesoro dei suoi consigli. Gli ultimi due componenti della compagnia si allontanarono, sussultando ad ogni suono che percepivano provenire dal tempio alle loro spalle. Fu un sollievo uscire dal raggio d’azione dei propri sensi, sapendo che il loro amico era ancora vivo. Il Jaychira avrebbe faticato parecchio prima di uccidere uno come Stee! Quando arrivarono in cima alle scale, ed entrarono in un complesso molto più grande degli altri, l’orda di Wraith era appena arrivata al terzo snodo. Entrambi chiusero gli occhi in silenzio: anche se fosse sopravvissuto fino ad ora, dopo il loro passaggio niente sarebbe rimasto vivo lì dentro. Nemmeno quel dannato mostro! Sospirando quasi all’unisono, entrarono, scoprendo ben presto che un insopportabile calore proveniva dal centro del tempio. Un muro di fuoco infatti si frapponeva tra i due compagni e una piccola scalinata che si intravedeva dall’altra parte. Inoltre, c’era qualche altra cosa che Escol aveva notato appena dopo le fiamme, ma non riusciva a capire cosa fosse. Allargando le braccia in maniera implorante, disse: “Sire Fuoco, padre delle fiamme e del calore, tu che comandi tutti gli elementi e che hai scelto una mortale come tuoi occhi ed orecchie per camminare su questo mondo, ascolta le mie suppliche! Abbiamo fatto tanta strada per giungere da te. Ho bisogno di vedere Hilda… il destino di Eord dipende da questo!” All’inizio non sembrò accadere nulla, ma poi una voce, potente e dominante, si palesò. Essa scosse le fondamenta stesse dell’edificio e penetrò nella mente dei due amici come un coltello con il burro. “Perché desideri vederla, Escol di Berge?” Il figlio del Duca sapeva che non aveva molto tempo per scegliere bene le parole e quindi decise di dire la verità. “Ella porta dentro di sé mio figlio, maestà. L’ultima speranza di Eord. Né lei e né lui, possono ormai rimanere lontani dalla verità. Devono sapere cosa sta succedendo lì fuori! Devono sapere che il destino di Eord è appeso ad un filo!” “Sire Fuoco” obiettò però che se il mondo dei mortali era davvero in pericolo, il posto dove adesso si trovavano la donna e il bambino era il più sicuro per tenere viva la speranza di cui egli parlava. Eppure Escol sembrava irremovibile: il peso della responsabilità di far conoscere a Hilda la verità l’avrebbe ben presto schiacciato, se “Sire Fuoco” non gli avesse concesso questa possibilità. “Molto bene, Escol di Berge. Lascerò che sia il destino a scegliere cosa sia meglio per tutti. Se i Paradine lo vorranno, tu passerai oltre la barriera di fuoco, altrimenti morirai nel tentativo. Cosa decidi?” Escol annuì, ignorando le apprensive obiezioni del nano. Il calore che quelle fiamme magiche rimandavano era assoluto, poiché non naturale. Tuttavia, con coraggio, Escol afferrò il suo scudo, ed attivò i talenti di “Aelion”. Tra essi vi era un potere divino che proteggeva dagli elementi. Fu una scommessa ovviamente, ma il figlio del Duca sapeva che l’elfo aveva implorato i Paradine per rimanere al suo fianco come un’arma benedetta, per cui si affidò al suo sapiente giudizio. Chiuse gli occhi, si schiacciò nello scudo e passò oltre. Non fu comunque un’esperienza piacevole: in alcune parti del corpo rimasero visibili piccole ustioni e vesciche, ma incredibilmente riuscì a sopravvivere. Escol urlò al nano che stava bene e di attenderlo lì, poi esaminò la situazione. Trasalì, quando notò che un corpo mortale giaceva disteso su un piccolo e basso altare di marmo, con una bianca coperta che ne impediva la vista. Si avvicinò con cautela e scoprì delicatamente il suo volto. Era davvero quello di Hilda! E lei era ancora incinta, visto quanto era grande il suo ventre. Tuttavia, non si spiegava come poteva essere che suo figlio non fosse ancora nato. Era passato molto più di un anno da quando si erano visti l’ultima volta. Lui la chiamò dolcemente. Lei lentamente aprì gli occhi, lo vide e gli sorrise. Tuttavia, quando Escol la invitò a destarsi, dicendole che l’avrebbe portata via da lì, Hilda scosse la testa mormorando: “Io non sono qui, mio dolce Escol.” E il figlio del Duca non ebbe il tempo di chiederle cosa intendesse, poiché una fortissima vertigine lo assalì, lasciandolo scosso, disorientato e senza fiato.