Ricevere un seme d’oro direttamente nelle proprie mani, soprattutto per chi elfo non era, rappresentava un avvenimento unico nell’Enclave: solo chi era veramente ”degno”, infatti, poteva sperare di ottenere una simile “attenzione” da parte dell’albero sacro. Un’entità potente e cosciente, che sceglieva con cura i suoi campioni. Dopo aver ricevuto gli sbalorditi e sinceri complimenti da parte del capitano Volker e l’intera “guardia nera”, per l’incredibile dono, che la loro “presenza spirituale” più cara ed importante aveva elargito ad un semplice essere umano, Escol ringraziò dal più profondo del cuore ed uscì a grandi passi dal Tempio. Aveva ancora troppe cose da fare. Raccogliere i pezzi dopo lo scontro con gli invasori imperiali non era un compito affatto facile per la gente che viveva nella cittadella. Le strade erano invase da cadaveri di entrambe le fazioni, il sangue sporcava i muri delle case e le urla di coloro che agonizzavano ancora echeggiavano per i vicoli e le vie maestre come ombre sinistre. Elfi, umani e nani, tappezzavano quasi ogni crocicchio come un macabro acciottolato di carne e smaltire quei corpi era un compito tanto infausto quanto necessario. Ecco perché tutti erano chiamati a fare la loro parte. Anche lui ovviamente. Quando il grosso del lavoro finì, il figlio del Duca poté tornare a casa, finalmente. Era l’imbrunire. Avvicinandosi alla sua abitazione, il giovane notò che due nani avevano rimesso a posto la porta e avevano ricostruito la staccionata del piccolo cortile che incorniciava l’entrata. A parte qualche traccia di sangue, che ancora poteva essere notata qua e là, tutto era stato rimesso a posto. I segni della battaglia quasi non si vedevano più all’esterno, ma quando Escol entrò, non poté certo dire la stessa cosa per le due donne che erano in piedi al centro della stanza. Liss gli si buttò addosso scoppiando a piangere, mentre Keira lo osservava con un bieco cipiglio che non presagiva nulla di buono. “Il rito funebre in onore di… Malcom… si terrà domani mattina. Rimarrai con noi stanotte?” Disse la donna più anziana con voce ferma. Escol annuì, continuando ad accarezzare i soffici capelli corvini di Liss. Poi la giovane corse via, rintanandosi nella sua stanza. Lui e Keira rimasero un pò a parlare riguardo il prossimo futuro e la donna sembrava quasi riluttante a rivelargli quali fossero i suoi piani per le settimane a venire. Decisero pertanto di rimandare la discussione ad altro momento: il giorno dopo sarebbe stato molto difficile per entrambi e ancor di più lo sarebbe stato per Liss. Escol si addormentò accanto alla sua figlioccia, crollata sul letto dopo aver finito i singhiozzi. Guardare il suo viso rigato dalle lacrime gli spezzò di nuovo il cuore. Il mattino arrivò troppo in fretta. Il figlio del Duca si alzò dolorante dalla sedia dove era rimasto tutta la notte, rimboccò le coperte della sua protetta e andò in cucina a preparare per tutti la colazione. Le donne arrivarono poco più tardi. I tre consumarono il cibo mattutino senza appetito e poi si prepararono per andare al Tempio. Keira indossava un abito consunto ma regale, di fine sartoria Nordhmenn, ed attorno al capo portava un velo nero, che Escol non aveva visto più da anni. Si trattava di un originale “velo funebre Nordhmenn”: un ornamento che le donne indossavano ai funerali, quando purtroppo i loro consorti tornavano dalla guerra sugli scudi dei compagni, anziché sul proprio cavallo. Il figlio del Duca le teneva strette a sé in un abbraccio di ferro, tentando di trasmettere ad entrambe più forza possibile, ma Keira soprattutto non sembrava affatto avesse bisogno di uno sprone in quel momento, quanto piuttosto di una devastante vendetta e questa sensazione non riuscì a tranquillizzarlo nemmeno un pò. Raggiunsero a passo lento e misurato il Tempio e assistettero ad una cerimonia elfica rivolta a celebrare i morti e a presentare loro un aldilà che li avrebbe ospitati per sempre. Aelion era uno dei loquaci officianti. Il corpo di Malcom era stato ricostruito talmente bene che pareva dormisse e Keira non riusciva a smettere di mormorare parole silenziose al marito. Dallo sguardo duro che aveva, Escol non avrebbe scommesso nemmeno una moneta di rame che si trattasse di parole d’amore. Ad un certo punto, uno degli elfi accanto a loro fece un passo in avanti e Aelion lo invitò a parlare in onore del defunto: “Non conoscevo Malcom, ma quando i nemici hanno sfondato le nostre difese, lui e un manipolo di uomini coraggiosi, sono intervenuti in nostro aiuto. Se non fosse stato per loro… per il loro sacrificio… non avremmo mai potuto rallentare la loro avanzata, permettendo ai rinforzi di arrivare in nostro soccorso e chiudere la breccia che si era spalancata nelle nostre difese. Forse… forse se lui e gli altri del popolo degli uomini non fossero intervenuti … e morti… questa città ieri sarebbe stata conquistata e moltissime altre persone sarebbero cadute. Non potrò mai dimenticare un gesto eroico così nobile. Non potrò mai dimenticare un uomo simile. Onore a lui.” Il guerriero elfo teneva l’elmo sotto il braccio e indossava l’alta uniforme. La sua voce era forte e chiara, ma ogni tanto tremava di sincero rammarico per quella vita coraggiosa, spezzata così ingiustamente. Il silenzio avvolse i presenti dopo che egli tornò al suo posto. Aelion si guardò intorno per capire se c’era qualcun altro che desiderasse salutare Malcom per l’ultima volta e lo trovò proprio in Escol. Il figlio del Duca si staccò dalle due donne che accompagnava e raggiunse lentamente la salma di Malcom. Ogni passo in avanti fu una sofferenza indicibile. Afferrò poi il feretro con entrambe le mani e disse con voce rotta: “Mi hai accolto nella tua casa, curato, protetto e trattato come un figlio. Sarei rimasto con te per sempre, padre mio … fratello mio … se il destino avverso non avesse deciso diversamente e mi rammarico perché è a causa mia che tu sei morto. Non posso far altro che prometterti una cosa: da oggi in poi mi occuperò io della tua famiglia, che ora, grazie a te, è diventata anche la mia. Spero soltanto che riuscirai a perdonarmi. Che io … riuscirò a perdonarmi.” Quando Escol terminò di parlare, tornò al suo posto affranto e con il capo chino. Per un attimo tutti i presenti pensarono che avrebbe strappato via il legno che proteggeva il feretro per la rabbia e il dolore insopportabili. Tutti gli sguardi si voltarono quindi su Keira, che accennava occhiate di rimando a tutti, quasi implorando di non chiederle di sottoporsi ad una simile tortura. Tuttavia capì ben presto che non poteva esimersi dal dire qualcosa in onore del marito, per cui si schiarì la voce e tirando su la testa disse: “Mi chiamo Keira Agdekson, secondogenita del principe Agdekson degli “Esiliati”. Sono stata educata a comportarmi come un guerriero Nordhmenn e ad accettare il mio ruolo di principessa di una casata importante. Tuttavia, ho rinunciato a tutto per Malcom. Lui è stato il mio grande amore … non ci sarà nessun altro come lui nella mia vita… un uomo dolce, compassionevole e pacifico…. ma mi è stato strappato via, ed ora… ora non è rimasta più alcuna luce nella mia vita: solo oscurità e bramosia di vendetta. Perché colui che ha ordito la morte di Malcom, non può restare impunito. Questo lo giuro: non avrò pace finché il vero responsabile non verrà giustiziato e l’anima del mio amato potrà riposare in pace! E’ tutto.” Le parole di Keira arrivarono nei cuori dei presenti come tanti coltelli affilati. Liss tirava su col naso e provò a non piangere, ma quando una fiaccola diede fuoco alla pira sulla quale la salma del padre fu disposta, non resse più, ed Escol fu costretto a trattenerla prima che si facesse male sul serio. La cerimonia fu a dir poco straziante e Malcom fu congedato dal regno materiale attraverso cremazione completa, rituale tipicamente Nordhmenn. Keira aveva voluto così e così si era fatto.Tornare a casa fu una delle cose più difficili che il giovane guerriero dovette affrontare in tutta la sua avventurosa vita. Malcom era stato come un padre o un fratello maggiore per lui, ma non poteva dare sfogo alle lacrime o al dolore, perché apparire fragile davanti a Liss era un lusso che non poteva permettersi. La piccola arrivò a casa e di corsa si sigillò ancora nella sua camera, consumata dall’angoscia e dalla mancanza. Keira invece entrò con passo deciso, si tolse il velo funebre, ed andò diretta verso il baule che conteneva la sua armatura. Si piegò sulle ginocchia e iniziò a contemplare i pezzi con occhio scintillante e bramoso. Escol fece un passo avanti. “Che intenzioni hai?” Disse calmo. “Voglio vendetta.” Sussurrò la donna da sopra la spalla. “E come intenderesti ottenerla?” Rispose Escol, muovendo un altro passo verso di lei. Keira si tirò su: aveva la sua spada di famiglia in mano. Il figlio del Duca spostò lo sguardo dalla spada di lei ai suoi occhi, profondi, segnati, determinati. “Voglio tornare a casa mia, nel regno di Agdekson, nelle Terre Selvagge. Voglio capire com’è la situazione laggiù, riprendere in mano le cose, riorganizzare gli eserciti e…” Escol alzò una mano. “Hai idea che due legioni imperiali hanno conquistato gran parte di quelle terre? Il mio ducato è adesso sotto il tallone dell’imperatore e non puoi sapere se lo è anche il tuo. Se vai lì da sola, morirai.” Il giovane guerriero parlò piano, ma il tono era fermo e deciso, come quello di lei. “So che esiste questo rischio, ma non mi interessa. Sono rimasta troppo tempo in disparte, solo per amore di Malcom. Ma ora lui non c’è più e… e adesso non c’è più niente che mi trattenga qui. Nulla che mi impedisca di tornare a combattere!” Escol assottigliò lo sguardo, quasi minacciosamente. “No? E che mi dici di quella ragazzina lì dentro? Ha appena perso il padre. Vuoi che rimanga orfana?” Keira abbassò lo sguardo. “Starà … bene … qui.” Bisbigliò poco convinta. “Dici? Non mi sembra, in base agli ultimi accadimenti.” Keira tirò su la testa, ed incrociò con fierezza il suo sguardo. Poi gli piantò un dito sul petto e disse. “D’accordo, è vero … questo non è più un luogo sicuro, ma le cose rimarranno così, che io resti qui con lei o meno. Se gli imperiali ci assaliranno in massa, sai perfettamente che nessuno sopravviverà al loro numero. Almeno a casa proverei a fare qualcosa. La morte di Malcom non può rimanere impunita!” Escol le afferrò la mano e la abbracciò. Le baciò teneramente la chioma bionda. Il suo profumo era inebriante. Poi le prese le guance con entrambe le mani e le disse: “Non ti sto chiedendo di rimanere indietro, Keira. Ti sto solo implorando di aspettare il mio ritorno. Quando tornerò, porterò con me una nuova speranza per questa Enclave. Poi ti accompagnerò a casa, magari portando Liss con noi. Affronteremo questo viaggio insieme: avrai molte più possibilità di arrivare laggiù viva, così come ne avrà la tua vendetta.” Keira appoggiò la fronte sul suo petto e lo abbracciò, disperandosi. La spada le cadde dalla mano, con un tonfo sordo. “D’accordo … ti aspetterò. Faremo questa cosa insieme.” Disse, smorzando le lacrime con le dita. Poi si tirò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla guancia, quindi si ritirò anche lei nelle sue stanze. Nel buio, Escol rimase a guardare la spada di Keira, la raccolse e la rimise con cura nel baule. Sapeva bene che sarebbe stata solo una tregua momentanea, ma almeno poteva partire con un'angoscia in meno nel cuore. Il resto della giornata passò velocemente, tra le mille cose da fare all’Enclave. Il mattino seguente Escol era già pronto molto prima dell’alba. Non aveva avuto il coraggio di salutare Liss, limitandosi ad entrare nelle sue stanze, a baciarla e a lasciare una breve lettera sul suo comodino. Non aveva avuto il cuore nemmeno di accomiatarsi da Keira, ma la donna questa volta l’aveva preceduto, destandosi ancor prima di lui, preparandogli la colazione e salutandolo di persona. Per la prima volta negli ultimi tre giorni gli aveva sorriso guardandolo andar via, ferma sull’uscio come di consueto. Perso nei suoi cupi pensieri, pieni di incognite, apprensioni e angosce, Escol forzò un sorriso di rimando e senza mai voltarsi raggiunse tosto il Tempio. Qui trovò Aelion e Stee già pronti a partire, a cui si unì Slanter qualche minuto più tardi. Prima di andare, Escol donò ad Aelion la maschera di Alarien, spiegandogli a cosa servisse e illustrandogli le incredibili capacità magiche di camuffamento che possedeva. Il chierico lo ringraziò, decidendo di indossarla immediatamente. Poi montarono a cavallo e, senza aggiungere troppe parole, tornarono alla “via magica” che portava alla montagna. Quella da cui erano entrati. Escol domandò ad Aelion se poteva incantare anche il suo scudo prima di iniziare il viaggio, ma l’elfo, pur accogliendo con piacere quella richiesta, rispose che l’avrebbe fatto durante il cammino, perché non sarebbe stato un compito né semplice né breve. Escol annuì. I due parlarono anche delle virtù impresse dall’elfo nell’armatura e soprattutto dell’ultimo incantamento nascosto nella spada, che era riuscito a svelare con grande difficoltà. Una magia terribile, legata ai morti e alla morte. Talmente potente e pericolosa, che Aelion sconsigliò vivamente al figlio del Duca di utilizzarla in battaglia: il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto! Escol inarcò un sopracciglio, riflettendo attentamento sulla scelta di quelle parole. Poi il gruppo arrivò al passaggio mistico e Stee andò per primo: se c’era qualcuno di guardia dall’altra parte, meglio mandare avanti il più letale, veloce e spietato del gruppo. Quando Stee tornò per avvertire che la via era libera, il gruppo passò oltre e notò che due imperiali erano stati sventrati da due lame precise ed affilate: le due spade del generale! Escol lo guardò, ma il mezzelfo sembrava non averci fatto nemmeno caso: rimontò sul cavallo e lo spronò in avanti come nulla fosse. I quattro cavalieri raggiunsero molto presto il crinale, trascinando con loro il quinto cavallo, quello che sarebbe presto appartenuto al loro ultimo compagno: l’asura di nome Vanyl. Nessuno sapeva niente su questa esotica ed inquietante maga, se non che era una collega/amica di Wizimir e che aveva giurato di seguirli e di aiutarli nella loro missione. Slanter non sembrava preoccupato della situazione: conosceva troppo bene l’area per cadere in una trappola, in un’imboscata o in un improvvisato posto di blocco imperiale. Aggirò la piccola altura con perizia sopraffina e poi scese a valle all’improvviso, utilizzando sentieri che solo lui poteva vedere. Quindi si mise a seguire una pista che entrava ed usciva di continuo da un’estesa macchia d’alberi, per poi sbucare su un sentiero commerciale che pareva molto battuto. Lo scopo del nano adesso apparve chiaro a tutti: seguire eventuali mercanti di passaggio e farsi scudo con loro, passando per dei mercenari in caso di guai. La prossima città non era lontana e loro avevano viveri a sufficienza solo per quel breve viaggio. Giunti lì avrebbero fatto provviste per quella successiva e così via: viaggiare leggeri diventava essenziale nelle loro condizioni. Dopo una svolta improvvisa, notarono un carro che veniva dalla direzione opposta. C’erano due uomini a cassetta, che parevano contadini e con loro una bambina di non più di otto anni, piuttosto malconcia. Escol non poteva esserne sicuro ovviamente, ma ebbe la sensazione che quella ragazzina non fosse molto contenta di trovarsi in mezzo a quei due tipacci. Pertanto fermò il cavallo, lo girò e raggiunse i contadini. I suoi compagni si fermarono e seguirono la scena da dietro la spalla. Il figlio del Duca notò che uno dei due omoni aveva appena dato uno schiaffo alla piccola, che aveva preso a piangere e a singhiozzare. A quel punto Escol afferrò le redini dalle mani dell’uomo e lo obbligò a fermarsi. Poi chiese chi fossero e perché malmenassero una bambina. I due, visibilmente ubriachi, in tutta risposta, dopo aver imprecato contro di lui, la afferrarono per i capelli e la gettarono malamente sul sentiero, invitandolo a prenderla pure con sé, poiché loro ne avevano già fatto “largo uso”. Risero sguaiatamente delle loro coraggiose gesta. Preso dall’ira, Escol smontò da cavallo, li afferrò entrambi e li scaraventò giù dal carro. Poi sguainò Enwel e gli si avvicinò minaccioso. I due implorarono per le loro vite e la mano del guerriero tremò per la bramosia di sangue che gli era salita al cervello. Poi indicò con la punta della spada sfrigolante la foresta e gli urlò di sparire dalla sua vista, prima che la sua furia mettesse in discussione quest’ultima decisione. I due si alzarono e barcollando svanirono, urlando di paura, nella macchia di alberi. Escol rinfoderò la spada e si voltò preoccupato verso la bambina. Solo che non c’era più una bimba di otto anni seduta a gambe incrociate sul terriccio, ma una donna di età indefinibile, dalla pelle nera come la pece e gli occhi rossi come la brace. “Tu devi essere Escol.” Disse con un ghigno storto, mentre si alzava. “E tu devi essere Vanyl, credo. Vuoi spiegarmi?” Rispose Escol, incrociando le braccia. “Nessuna spiegazione. Volevo solo capire che tipo di persona avrei dovuto seguire… ed ora, grazie alla mia illusione, lo so.” Escol aggrottò le sopracciglia. “Mi stai dicendo … che quei contadini nemmeno esistevano? Che è stato tutto frutto della tua magia?” Ringhiò il giovane guerriero, indicando la macchia di alberi poco distanti. L’asura si pulì le mani dalla polvere, poi sorridendo disse: “Non proprio tutto. Il carro apparteneva davvero a quei contadini, prima che glielo togliessi e uccidessi loro e la bambina…” Escol sgranò gli occhi incredulo. “Scherzo. Non c’era nessuna bambina con loro. Inoltre un carro ci sarà utile, non credi? Andiamo, su, abbiamo un lavoro da fare.” Il figlio del Duca stava per domandarle a quale sorte avesse condannato i due contadini, ma decise di tacere. Poi annuì, ma subito dopo scosse la testa affranto: la convivenza con l’asura sarebbe stata davvero dura nelle settimane a venire, ne era certo.