Tutti conoscevano l’argomento e tutti erano al corrente delle ansie del nano. Attorno al fuoco bisognava prendere una decisione che, a dire il vero, Escol aveva già stabilito prima di partire. Era solo per cortesia nei confronti di Slanter che stava offrendo di nuovo quella possibilità: ridiscutere per la seconda volta le loro opzioni, giunti a questo punto del cammino. Purtroppo, nonostante il bieco cipiglio e il terrore all’apparenza immotivato dello scout, l’alternativa al sentiero tra le montagne, cioè la via a sud, non poteva realmente essere ritenuta una soluzione valida. L’intera squadra di Escol ci provò davvero a riconsiderarla, ma era davvero impensabile passare oltre quattrocento ottanta uomini, tra legionari e mercenari, oltrepassare un’intera vallata gremita di nemici, sgusciare tra le loro fila non visti e accedere alle miniere senza dare nell’occhio. Sembrava impossibile persino avendo con loro un guerriero forte e abile come Stee. Eppure il nano biascicò che qualcosa di addirittura peggiore poteva annidarsi lassù, tra la nebbia e le vette più insondabili della catena montuosa sopra le loro teste. Il suo popolo lo sapeva molto bene: molte donne e bambini erano spariti a causa di una minaccia invisibile che aleggiava da quelle parti e chiunque era andato ad indagare, negli anni, non era mai tornato indietro per raccontare cosa fosse successo a quelle persone. Escol fece pazientemente sfogare il nano per la seconda volta, poi cercò di rassicurarlo: il gruppo in cui si trovava aveva affrontato Arios in persona. C’erano dunque poche cose su Eord che avrebbero potuto spaventarlo davvero. Pertanto sarebbe stato meglio che si fosse calmato e che avesse fatto il possibile per guidarli fino all’estremo nord della vallata, dove poi, calando verso est, si sarebbero trovati a poche centinaia di metri dall'entrata delle miniere. Mestamente il nano annuì, arrendendosi alla volontà di tutto il gruppo unito. L’indomani mattina dunque Slanter fece un bel respiro e iniziò a inerpicarsi per le montagne, seguendo un sentiero che solo lui probabilmente riusciva a vedere. A dire il vero c’era un inesplicabile, ineffabile senso d’ansia crescente che afferrava i loro cuori, via via si procedeva oltre, ma quando il gruppo trovò un punto per formare un campo, nessuno poteva affermare di aver notato qualcosa di anomalo o pericoloso lungo il tragitto. Solo il nano sembrava scosso. Scuro in volto e nervoso persino oltre il livello cui ormai si erano abituati i suoi compagni. Il gruppo abbandonò il sottobosco di prima mattina, sfruttando la luce del sole già alla tiepida aurora. Dopo qualche ora accadde un fatto strano: gli elfi della compagnia iniziarono ad arricciare il naso e a tossire. Più e più volte, di continuo. Incuriosito, Escol domandò a dama Alarien cosa le stesse accadendo e l’elfa rispose, scegliendo bene le parole, che un timido odore di zolfo iniziava a sentirsi tutt’intorno alla zona e questa cosa pareva assai strana, oltre ad essere rivoltante. Il figlio del Duca chiese dunque a Slanter se ci fossero depositi di zolfo o piccoli laghetti di acque sulfuree da quelle parti, ma il nano scosse la testa, più che sicuro che non ce ne fosse nessuno. Allorché il figlio del Duca pregò il nano di “sentire” la roccia con le mani (alla maniera del popolo basso), per poter capire se questo odore, che gli elfi percepivano, potesse provenire dal basso, ma ancora una volta Slanter negò con fermezza questa possibilità. Sotto di loro c’erano solo migliaia di tonnellate di roccia piena. Non c’erano gallerie o sentieri sotterranei. Non qui perlomeno. Lui era nato e cresciuto in quella zona, per cui le probabilità che potesse sbagliarsi erano davvero esigue. Grattandosi il sottile strato di barba che gli era ricresciuta, Escol allora ordinò a tutti di rimanere vigili, con un occhio puntato verso l’alto. Collegando quasi per istinto le sparizioni dei nani di cui parlava Slanter a questo odore di zolfo, che lui ancora non percepiva ma che infastidiva invece gli elfi, il giovane Berge si era convinto che la minaccia potesse venire dall’alto e che fosse più che concreta. Una viverna? Un drago forse? Lui aveva solo sentito parlare di queste bestie leggendarie e si augurava vivamente di sbagliare e di non trovarsele di fronte, né adesso e né mai. Alla fine del secondo giorno di viaggio, l’odore di zolfo poteva esser percepito distintamente anche da umani e mezzelfi. Dopo un’altra mezza giornata di cammino, tra sottoboschi, piccole macchie e sentieri di montagna, l’odore era diventato per tutti quasi insopportabile. Inoltre una fitta nebbia aveva cominciato a calare dall’alto, iniziando a rendere la visibilità più difficile per i nostri eroi. Durante il suo solito primo turno di guardia, in attesa di poter finalmente andare a dormire e sognare i soliti scenari, ultimamente padroni della sua attività onirica, Escol udì un rumore dietro di lui. In un lampo si alzò in piedi, sguainò la spada sfrigolante e intimò l’alt a chiunque stesse sopraggiungendo dall'altra parte. Si trattava di un vecchio uomo, vestito con abiti da cerimonia. Sembrava una specie di sacerdote laico o forse di un alchimista, Escol non riuscì a capirlo bene. Si presentò con il nome di Riltar e disse al figlio del Duca di essere un membro dell’Ordine. Ci mancava poco che Escol sputasse di lato tutto il suo disgusto! Dopo il tradimento di Andor infatti era meglio che l’Ordine si tenesse a debita distanza da lui. Stringendo ancor più forte Enwel, il giovane Berge domandò a Riltar che cosa ci facesse qui e che cosa volesse mai da lui. L’anziano uomo spiegò che l’aveva seguito addirittura da fuori l’enclave elfica, quindi da diversi giorni. Lo scopo era solo uno: farlo desistere dal continuare su questa strada, secondo lui troppo pericolosa e difficile. L’Ordine l’aveva inviato affinché egli fosse preservato da una più che probabile morte prematura, che non sarebbe servita a nessuno. Ritenere che Escol fosse indispettito dall’atteggiamento del vecchio, sarebbe stato solo un giudizio parziale ed edulcorato. Non solo il figlio del Duca non credeva alle parole di quell’uomo (avrebbe trovato mille modi e situazioni diverse e meno pericolose di quella per avvicinarlo, visto che lo seguiva da giorni), ma iniziava ad innervosirlo parecchio la tracotanza della setta che rappresentava, stranamente adesso così preoccupata della sua sorte e di quella dei suoi amici. Escol lo fece parlare, ma quando non ne poté più di tutti i suoi argomenti quantomeno sospetti, lo invitò ad andarsene finché fosse stato in tempo. Egli infatti non aveva ancora avvertito i suoi amici, che ancora riposavano accanto ad un tiepido fuoco, ma l’avrebbe fatto molto presto e avrebbe scommesso la sua spada che sarebbero stati molto meno diplomatici di lui. Riltar provò ancora una volta a convincere Escol a desistere dal continuare su quella via, ma vedendo il suo sguardo truce e la mano che si avvicinava inquietantemente alla spada, scelse saggiamente di inchinarsi leggermente e sparire nel sottobosco. Il figlio del Duca rimase qualche altro minuto oltre il suo turno da sentinella per riflettere meglio su quella situazione quantomeno dubbia. Al di là delle intenzioni di quell’uomo, tutta la faccenda pareva un’immensa menzogna. Se infatti egli avesse voluto scongiurare che la compagnia prendesse quel sentiero, perché non intercettarla prima? Se era così pericoloso stare qui, perché dire a un vecchio di venire fin quassù e aspettare tre giorni prima di farsi vedere? No, c’era qualcosa che non quadrava e lui ne avrebbe parlato quanto prima con i suoi amici.