L’alba arrivò presto e quando Escol si alzò dal suo giaciglio, il falò era ridotto a misere braci. Slanter aveva già recuperato i cavalli slegandoli dal carro, li aveva sellati singolarmente e preparati al galoppo imminente. Guardando il bieco cipiglio di Aldor, già sveglio da prima di entrambi, domandò sottovoce al figlio del Duca se potesse viaggiare con lui anziché con il mezzelfo. Si sarebbe sentito “più al sicuro”. Sorridendo, il giovane guerriero annuì. Così, di buona lena, il piccolo gruppo si mosse a ritroso lungo il sentiero, seguendo le capaci indicazioni del nano. Cavalcando senza sosta, in appena un giorno i tre compagni arrivarono alla collina al di sotto della quale si stava consumando da anni un perenne assedio. Era mattina inoltrata e il dispiegamento di forze sul campo di battaglia sembrava davvero impenetrabile. Pareva un formicaio saltellante e brulicante, che andava e veniva continuamente da sotto le mura dell’imponente edificio elfico. Grazie al travestimento di Escol, nessun imperiale diede troppa importanza alla loro presenza, anche se il maestro d’arme, con la sua cappa scura e il suo cappuccio tirato sul viso, marcava decisamente male. Il nano scortò il gruppo sul luogo dell’aggressione, mostrando con il piede quanto le tracce si fossero confuse dopo tre giorni. Eppure, grazie alla sua incredibile abilità ed esperienza, notò comunque qualcosa di rilevante. In un tratto non troppo pietroso, poco più avanti, c’erano infatti delle orme che scendevano giù per la collina, costeggiando la roccia e sparendo più in basso, nei pressi di una serie di brevi e mozze caverne. Slanter mise in guardia tutti e due i suoi compagni: quello era un territorio esplosivo: bastava un passo falso e sarebbero stati subito scoperti ed impiccati. Inoltre non riusciva a capire come avrebbero fatto a passare le decine di campi e le migliaia di soldati per arrivare incolumi ai cancelli d’entrata dell'Enclave. Aldor ammiccò, rassicurando il nano: una volta che avessero trovato la famiglia di Escol, avrebbe fatto lui il resto. Egli infatti era stato un generale imperiale rinomato, al pari di Astarte e la sua fama di spadaccino risuonava ancora oggi cristallina per tutto l’esercito. Aveva dei contatti importanti in alcune di quelle legioni e riteneva che fosse ragionevolmente facile convincere i loro comandanti a permettergli di passare oltre. Mentre il figlio del Duca annuiva, Slanter non pareva tanto sicuro, ricordando a tutti che se fosse stato catturato e considerato un disertore, la sua famiglia sarebbe certamente stata uccisa. Con un gesto eloquente della mano, il maestro d’armi invitò il nano a proseguire, ed egli, sospirando, obbedì. Slanter scortò la piccola compagnia attorno alla collina, girando al largo dalle pattuglie più numerose. Ogni tanto si fermava a controllare le tracce, poi si rialzava e riprendeva a camminare in direzione delle caverne: a suo parere era lì che si erano rifugiate quelle persone. Non aveva dubbi in proposito! Dopo qualche altra decina di metri, Aldor alzò una mano, appena fuori una di quelle grotte. Con l’indice sul naso, comunicò a tutti di fare silenzio, mentre si addentrava solitario nella caverna. Escol fremeva per il nervoso, con la mano che scivolava costantemente sulla spada. Giusto qualche secondo e Aldor fece ritorno, riferendo a bassa voce che c’erano tre soldati di guardia in quella spelonca: una cosa assai anomala, perché generalmente non si faceva da sentinella ad un luogo senza apparente valore tattico. Escol di nuovo fu d’accordo con il grande guerriero. Quindi il mezzelfo disse di stargli vicino, ma di rimanere in silenzio e far parlare lui. Nè Escol e nè Slanter si opposero a questa sua decisione. Quando i tre si mostrarono alle guardie, esse intimarono “l’alt” e ordinarono di farsi riconoscere, spade alla mano. A quel punto Aldor si tolse il cappuccio e mostrò il suo viso e quando due di loro capirono chi fosse, rinfoderarono le armi e si dissero felici di rivederlo dopo tanto tempo. L’altro restava guardingo, ma anch’egli ripose la spada nel fodero. Il maestro d’armi spiegò che aveva raggiunto la zona dell’assedio per parlare con uno dei comandanti e farsi reintegrare nelle legioni imperiali, ma aggiunse anche che in quel momento stava seguendo le tracce di alcuni uomini che sembrava si fossero rintanati in una delle tante caverne adiacenti alla collina. I soldati annuirono, asserendo che anche loro erano lì per lo stesso motivo: avevano visto tre civili che si addentravano proprio in questa caverna, e li avevano seguiti per indagare, ma poi erano spariti. Prima di poter approfondire la questione però, una delle sentinelle, forse la più sospettosa, domandò chi fossero Escol e il nano. Prontamente, il figlio del Duca gli mostrò il foglio firmato dall’imperatore, che faceva di lui un legionario della scorta personale di un’inquisitrice, sulle tracce di un pericoloso criminale. La guardia a quel punto mise le mani avanti e si scusò, poi Aldor domandò alle altre due se potessero concedergli due minuti da soli, per svolgere un’apposita “verifica” sul posto. A quel punto Escol si accovacciò e sfilò dallo zaino “l’Occhio di Arios”! Aldor commentò che il giovane era un apprendista dell’inquisitrice e che doveva operare un sortilegio con quello strano oggetto che aveva in mano. I soldati si guardarono perplessi per un secondo, poi obbedirono alle parole del maestro d’armi: d’altronde quell’uomo era una leggenda vivente! Finalmente soli, Escol utilizzò l’Occhio sulle pareti della grotta, scoprendo che esse erano incantate! Sorridendo, spiegò ai suoi compagni ciò che aveva dedotto. Secondo il suo parere, quelle mura di granito erano illusorie! Probabilmente esisteva un passaggio di qualche tipo, da qualche parte, nascosto nella pietra grezza. Questo significava due cose: 1) che la sua famiglia era per fortuna in salvo all’interno “dell’Enclave degli Elfi” e 2) che loro invece non sarebbero mai entrati da questa parte, perlomeno finché quei tre soldati fossero rimasti nelle vicinanze. Bisognava dunque per forza attingere alle conoscenze di Aldor per farlo. Annuendo, il maestro d’arme uscì e ringraziò gli uomini di guardia alla caverna. Poi domandò dove fosse stanziato il comandante Hari Rabo della “Settima Legione”. Uno dei soldati gli indicò subito la sua posizione nell’enorme vallata, gremita di armigeri di ogni tipo. Aldor quindi salutò e si mise alla testa del gruppo, scendendo a valle come nulla fosse. Con il viso scoperto, nessuno aveva osato interdirlo: quello era il generale Stee Aldor, forse il più grande guerriero su Eord di tutti i tempi! Non senza diverse difficoltà, la compagnia raggiunse infine l’accampamento della “Settima Legione”. Una volta dentro, il veterano domandò di Hari Rabo e un soldato gli indicò prontamente la sua tenda. Hari Rabo era un guerriero esperto, sui cinquanta, con i capelli brizzolati, il fisico imponente e lo sguardo fiero. Quando lo riconobbe, lo accolse con tutti gli onori: d’altronde il generale Aldor era stato suo comandante quando era stato poco più che un ragazzo! Fece accomodare con piacere lui e i suoi amici e gli domandò perché fosse andato da lui. Entrambi sapevano bene che il motivo non poteva essere certo che voleva arruolarsi di nuovo nell’esercito di Arios! Aldor scelse l’approccio diretto con quell’uomo, che ad Escol era parso severo ma giusto. Disse che aveva necessità di scortare il giovane guerriero che l’accompagnava dentro “l’Enclave degli Elfi”. Al che Hari Rabo chiese ad Escol chi lui fosse e anche il figlio del Duca scelse di essere sincero, rivelando le sue corrette generalità. Il comandante della “Settima Legione” sgranò gli occhi: quello che aveva davanti era per distacco il criminale peggiore e più ricercato in tutto l’impero! Quindi tornò a guardare Aldor perplesso. Il maestro d’armi scrollò le spalle, aggiungendo solo che quel ragazzo doveva andare a verificare di persona se alcune persone a lui care fossero davvero al sicuro nella fortezza degli elfi. Hari Rabo sbuffò, alzando gli occhi al cielo esasperato. “Mi chiedi davvero tanto questa volta, Aldor…” Bisbigliò tra i denti. Il vecchio ex generale annuì, ma non ebbe alcun dubbio che quell’uomo lo avrebbe alla fine aiutato. Infatti il comandante si alzò e, dopo aver dato precise disposizioni ai suoi subalterni, si allontanò dal campo, fino a raggiungere un punto preciso a est della trincea. Un luogo nascosto e coperto da segreto evidentemente. Lì mostrò loro un passaggio, quasi invisibile, tra rocce ed alberi. “Non penso che debba spiegarti dove finisca questo condotto…” Aldor sorrise e ringraziò il robusto ufficiale. Con una poderosa stretta di mano, i due si salutarono con rispetto. Il maestro d’armi poi si mise di nuovo alla davanti al gruppo, ed iniziò a rispondere alle inevitabili domande di un legittimamente curioso Escol. Questi “passaggi segreti” erano dislocati un pò dappertutto nella sconfinata vallata circostante e conducevano tutti fin dentro l’Enclave! Dopo decenni di assedio, non tutte le legioni imperiali erano ancora disposte a seguire pedissequamente gli ordini di Arios, che imponeva di trucidare barbaramente uomini, donne e bambini innocenti o di lasciarli morire di fame. Alcune erano stanche di combattere senza alcuno scopo e senza nessun onore. Quindi, con il tempo, avevano preso a sostenere gli elfi, portando loro viveri e oggetti utili alla loro sopravvivenza, attraverso questi passaggi nascosti. Il figlio del Duca allora comprese il vero significato di quegli innocui “assalti” cui aveva assistito tre giorni prima. Assalti portati sempre senza alcun esito vantaggioso: era solo una farsa, un modo per non far insospettire nessuno degli emissari dell’imperatore, che sicuramente circolavano nella vallata. Inoltre Aldor sosteneva che le legioni che finivano qui, erano quasi sempre quelle meno “vicine” ad Arios. Come la “Settima” per esempio. Dunque esisteva una spaccatura anche tra le legioni stesse dell’Impero. “Interessante…” Rifletté Escol. parecchio incuriosito dalla cosa. Presto però i tre compagni risalirono verso l’alto, fino ad arrivare innanzi una cancellata di ferro, con lì vicino due elfi di guardia. “Bentornato, maestro Aldor…”, lo accolse un soldato, mentre tirava su il cancello per farli entrare. Il maestro d’armi domandò subito di Volker, Signore della città elfica. La sentinella rispose che l’ufficiale si trovava attualmente nel Tempio, luogo nel quale erano stati portati ultimamente alcuni profughi racimolati all’esterno dell’Enclave. A passo svelto dunque, Escol si diresse verso un’imponente costruzione in marmo bianco e poté finalmente ammirare le meraviglie interne di questo enorme complesso, chiamato “Enclave”, che aveva l’aria davvero maestosa. Alte guglie ne abbellivano le mura, spesse e impenetrabili. Tre anelli protettivi stratificavano e diversificavano le difese, dando ai soldati, in caso di emergenza, la possibilità di ripiegare all’interno dell’anello più interno e riorganizzarsi se fosse stato necessario. Un vero capolavoro di architettura insomma, oltre che un meraviglioso costrutto marmoreo rilucente! Aldor affiancò Escol una volta dentro il Tempio, richiamando così l’attenzione di un elfo seduto su uno scranno, che lo riconobbe immediatamente. I due si scambiarono qualche convenevole di rito, poi Volker si rivolse ad Escol, chiedendogli chi fosse e perché si trovasse lì. Il giovane guerriero si presentò come Escol Berge e si limitò ad aggiungere che cercava solo la sua famiglia adottiva. L’elfo, incredulo, si alzò dal suo scranno e quasi si inchinò al suo cospetto, ma il figlio del Duca alzò la mano e gli disse chiaramente che non era necessaria alcuna reverenza con lui, perché non la meritava affatto. Prima che potesse chiarire meglio cosa intendesse dire però, una voce femminile, cristallina ed ancora acerba, esplose alle sue spalle, rivelando un'immagine che il giovane guerriero non dimenticò mai più. Si trattava di Liss che gli correva incontro, finendogli dritta tra le braccia, mentre piangeva di gioia! Il giovane guerriero non riuscì a trattenere l’emozione: la sollevò da terra e quasi la stritolò per la felicità. Poi Liss spiegò che sua madre e suo padre stavano bene, ed erano stati accolti ed accuditi dagli elfi. Escol le disse di andare subito da loro e di avvertirli del suo ritorno. La ragazza annuì, ammettendo che era stata davvero in pena per lui, così come pure i suoi genitori. Gli diede un tenero bacio sulle labbra e sparì poi per i corridoi del Tempio. Un pò imbarazzato, Escol si voltò e disse al nobile elfo che avrebbe fatto qualunque cosa, per sdebitarsi dell’immenso servigio offertogli di aver salvato la sua famiglia adottiva. Volker commentò che in effetti c’era una persona nel Tempio che voleva vederlo e che gli sarebbe stato molto grato, se il figlio del Duca di Berge avesse voluto accogliere quella richiesta. Ovviamente Escol acconsentì con gioia. Tuttavia le sorprese non erano ancora finite quel giorno, poiché pochi secondi dopo ritrovò sia Eofaulf che Alarien! I suoi due ex compagni erano entrambi sopravvissuti all’assedio e lui li salutò con grande ardore. Soprattutto l’elfa, che mai avrebbe sperato di poter rivedere dopo l’assalto alla Cittadella. Tuttavia essi non erano soli. Insieme a loro c’era un’altra elfa, una sacerdotessa che sembrava la sosia di Elwen! Tanto che Escol quasi ebbe un mancamento quando la vide. L’elfa non aveva un nome, ella aveva servito tutta la vita al Tempio, ed era chiamata da tutti semplicemente: “l’eletta”. Tuttavia Escol sapeva che non poteva trattarsi di una mera coincidenza: di certo dovevano esistere delle carte, nella città elfica dove viveva la famiglia di Elwen, che avrebbero saputo spiegare questo mistero. Forse quella donna era sua sorella gemella e le due erano state separate alla nascita, chi poteva dirlo? In ogni caso il giovane guerriero decise di saldare il suo debito con Volker: avrebbe dunque incontrato questa persona, come egli gli aveva chiesto. Poi avrebbe ripagato quello con il nano, andando a salvare la sua famiglia nelle miniere di ferro a sud. Quindi avrebbe indagato sulle radici “dell’eletta”, tornando a casa di Elwen e cercando di capire se fossero vere le sue supposizioni a riguardo. Quindi avrebbe pensato a come liberare Hilda e suo padre. Aldor avrebbe potuto accompagnarlo, così da poter chiudere anche il conto aperto con lui, quando e se avessero incontrato un “Jaychira”. Tuttavia chiarì subito una cosa a tutti quelli che potevano nutrire nei suoi confronti aspettative superiori a quelle elencate: lui aveva chiuso con Arios! Non avrebbe mai più partecipato a nessuna missione suicida o compito impossibile da realizzare, perchè l’ultima volta che ci aveva provato aveva perso troppo, forse ogni cosa. Ora era un altro uomo, ed era davvero felice di riuscire ad ammetterlo con sé stesso. Niente, davvero niente, avrebbe potuto modificare questa sua posizione!
Capitolo 2 - L’Enclave degli Elfi.
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- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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