Escol disse a tutti di rimanere calmi e di lasciare fare a lui. Fece scivolare un coltello dentro la manica e si alzò per andare ad aprire la porta. Pronto a tutto, la spalancò. Dall’altra parte, un uomo ammantato con una pesante cappa nera, bagnato fino al midollo, fece un lieve inchino. Non sembrava molto rassicurante. Escol domandò subito cosa desiderasse. L’uomo lentamente si scoprì il cappuccio e mostrò le sue fattezze. Si trattava di Eofaulf! Solo che adesso il ranger aveva una larga e frastagliata cicatrice che gli segnava tutta la parte destra del viso. Come lo riconobbe, Escol chiuse la porta alle sue spalle e gli disse di seguirlo tosto nel granaio. Era contento che il suo vecchio amico si fosse salvato, ma come diavolo gli era venuto in mente di andarlo a stanare in quella casa? Con dentro gente innocente? Il figlio del Duca spiegò immediatamente come stavano le cose all’ormai ex guardia imperiale al servizio di Astarte. Gli disse senza mezzi termini quanto fosse stata inopportuna quella visita. Eofaulf si scusò, ma sottolineò il fatto che erano mesi che lo stava cercando e che alcuni della loro vecchia compagnia lo stavano aspettando. Alarien era tra questi. L’elfa e Wizimir infatti, erano adesso all’enclave assediata degli elfi, poco distante da lì. Hilda era stata catturata, ma l’imperatore non era riuscito ad ucciderla, pertanto l’aveva confinata in una prigione mistica invalicabile. Suo fratello era morto, così come Eledras. Ovviamente lui non era giunto lì per trascinarlo in chissà quale altra missione suicida, ma solo per recapitargli quelle informazioni. Tuttavia, se ancora credeva nel ribaltare la situazione, avrebbe dovuto seguirlo dagli elfi. C’era qualcosa in quell’enclave che riusciva a tenere lontano l’imperatore e le sue legioni, che gliene impediva la conquista. Si doveva ripartire da quel luogo se si voleva resistere. Il problema di Escol era però che lui non aveva più alcuna voglia di lottare, di combattere contro i mulini a vento. Aveva perso letteralmente ogni cosa per averlo fatto, meno di tre mesi prima. Voleva solo vivere gli anni che gli restavano, pochi o tanti che fossero stati, in pace ed in armonia con le persone che l’avevano ospitato e gli avevano insegnato a vivere di cose semplici ma essenziali. Eofaulf annuì, poco convinto, ma fece notare al giovane guerriero che se era davvero questo quello che voleva, se davvero desiderava il bene di quelle persone, doveva andarsene da lì. Perché come era riuscito  a trovarlo lui, di certo ci sarebbero riusciti anche gli inquisitori e gli imperiali, che erano sulle sue tracce da molte settimane. Il figlio del Duca domandò all’amico se avesse una spada da dargli, in caso dovesse difendersi e, in onore dei vecchi tempi, lo scout veterano gliene donò una che aveva in più. “Questo è tutto quello che mi serve…” Concluse il figlio del Duca, bisbigliando tra sé. Eofaulf rimase in silenzio, affatto sicuro che quella fosse la scelta più giusta che il suo vecchio comandante potesse fare. Poi i due si abbracciarono e il ranger sparì subito dopo nell’oscurità, lasciando il guerriero solo, sotto la pioggia battente, immerso nei propri pensieri. Escol rientrò in casa zuppo, ma fece segno chiaro a tutti che non serviva che si alzassero da tavola. Quello giunto alla porta era un suo vecchio amico, che gli aveva finalmente fornito un’arma valida. Adesso però se n’era andato per la sua strada. Sperava tanto che quello rimanesse un episodio isolato, ma era comunque meglio restare all’erta. Malcom annuì, stringendo forte la mano della moglie, ma la consueta esuberanza e allegria di Liss, ormai si erano spente guardando il bieco cipiglio di Escol. Quando, durante la notte, il figlio del Duca ricevette la visita di un Wizimir etereo, piuttosto provato e consunto però, capì che non era più possibile sperare nell’anonimato! In troppi l’avevano trovato. Inoltre, un sogno che aveva fatto molti mesi prima era tornato ad aggredirlo con ferocia quella sera: un vecchio era sdraiato su una specie di letto di marmo, vegliato da una giovane elfa identica ad Elwen, solo con gli occhi verdi anziché azzurri. Ella esordì dicendo che il vecchio “si stava svegliando”, facendo salire un groppo in gola al figlio del Duca. Dopo questi due eventi praticamente contemporanei e tenendo anche presente la visita inaspettata di Eofaulf, Escol si alzò da letto ed andò a svegliare Malcom. Gli disse che dovevano andare via da quella casa, perché erano tutti in pericolo. Altri lo avevano cercato nei suoi sogni e attraverso la magia e questo avrebbe portato di certo i suoi nemici da loro. Ovviamente il figlio del Duca non avrebbe costretto nessuno a seguire il suo consiglio, ma aggiunse che, in caso contrario, egli sarebbe rimasto con loro a proteggerli, ma prima o poi sarebbe caduto e loro sarebbero stati uccisi. Malcom cercò di spiegare che quella era la loro casa e quelle erano le loro terre, ma Escol commentò che ai legionari questo non importava. Solo la volontà di Arios contava. Con un profondo sospiro decise di raccontargli anche di suo padre e di chi fosse lui veramente. Il figlio del Duca di Berge! Davvero intristito per quello che stava udendo, della sofferenza che il padre di quel ragazzo stava subendo in quel preciso momento, Malcom disse che ci avrebbe pensato seriamente. Il mattino Liss andò a scuola e loro andarono come ogni giorno nei campi a lavorare, ma Malcom volle rimanere solo con sua moglie per parlarne un po’, ed offrì ad Escol la giornata libera. Preoccupato, il figlio del Duca prelevò un cavallo dalla stalla e si recò al villaggio per controllare Liss. Aveva portato la spada con sé. Una volta giunto nella foresta, notò un’inquisitrice e quindici legionari, proprio vicino al punto dove l’elementale l’aveva lasciato cadere dal cielo! “Questa era l’ultima sua posizione conosciuta, mia signora…” Disse un soldato alla donna. Terrorizzato come raramente si era sentito, Escol risalì subito a cavallo e filò al galoppo a recuperare Liss. La giovane si mostrò un po’ stordita dai modi sbrigativi e rudi dell’amico, ma obbedì e lo seguì. Insieme tornarono ai campi, dove Escol per la prima volta da quando era laggiù, impose la sua volontà a Malcom e Keira. Non c’era più tempo per pensare, per valutare, per organizzarsi: gli imperiali erano a poche ore da lì e loro dovevano sbrigarsi. Un quarto d’ora per mettere tutto il necessario sul carro  e poi partire verso sud ovest. Direzione: la zona di guerra! Escol ovviamente non sapeva ancora bene come fare per accedere all’enclave, ma era consapevole che quello restava l’unico posto sicuro per la sua famiglia. Ovunque fosse andato infatti, sarebbe stato immediatamente scovato e sottomesso. Della cosa non era particolarmente affranto, ma l’idea di mandare a morte certa le uniche persone che amava lo faceva impazzire. Escol condusse il carro per diversi giorni lungo il percorso che portava al fronte. Fu fermato alcune volte, ma nessuno sembrava interessato ad una famiglia di contadini, che probabilmente aveva smarrito la strada. Dopo cinque giorni di viaggio, giunsero su un promontorio e il giovane guerriero poté vedere con i suoi occhi l’incredibile assedio sottostante la vallata. Un mare di soldati dell’impero tentavano di assaltare le mura di una cittadella incredibilmente bella e massiccia, completamente in marmo bianco e con alte guglie splendenti. Nonostante tutti i loro sforzi, venivano costantemente ricacciati indietro. Sospirando, il figlio del Duca si preparò per la notte, sperando di farsi venire un’idea geniale per poter accedere all’interno dell’enclave in maniera anonima. Alla fine erano solo in quattro e avrebbero potuto sgusciare oltre quel muro umano, se fossero stati bravi a sfruttare la giusta occasione. Lui era diventato un vero esperto in questo genere di cose. Pieno di buoni propositi, si addormentò. Quando si svegliò al mattino, con un forte mal di testa e un sapore amaro in bocca, scoprì tristemente però che nessuno di quei propositi si sarebbe mai realizzato. Qualcuno, nel sonno, l’aveva drogato ,incatenato ed imbavagliato dentro il carro. Quasi impazzito per la preoccupazione nei confronti di Liss e i suoi genitori, Escol si dovette arrendere ancora una volta all’inevitabilità del suo oscuro destino. Sarebbe stato condotto alla capitale, dall’imperatore in persona e con ogni probabilità avrebbe seguito il terribile destino che era toccato a suo padre.