I due compagni erano rimasti soli. Escol e Kail spinsero le pesanti ante della porta che dava alla sala del trono con grande forza e con grande speranza nel cuore. Tuttavia, quando videro quale inferno li stava aspettando, furono assaliti dal panico. Dentro una stanza gigantesca, interamente costruita scolpendo ossidiana e marmo nero, centinaia di soldati imperiali stavano combattendo contro un mare di elfi scuri! Nonostante la disparità nei numeri, i legionari di Arios sembrava avrebbero avuto la meglio alla lunga: erano semplicemente troppo forti per quasi qualunque avversario. Le urla erano davvero strazianti e l’ampiezza dell’immensa camera amplificava ancor di più ogni singolo rumore di acciaio contro acciaio o grido strozzato. Kail si era paralizzato alla vista di tutta quella morte e di tutto quel sangue. Il pavimento era disseminato di arti mozzati: si stava consumando un vero e proprio massacro. Escol lo scosse subito, tirandolo per un braccio. In mezzo a quel marasma di gente che si uccideva, loro potevano avere ancora una chance di passare inosservati fino a raggiungere la scalinata al centro della stanza, dove si ergeva lo scranno di Arios. Perfino dal punto in cui si trovavano era possibile scorgerlo chiaramente. Il figlio del Duca urlò al giovane Mohdi di seguirlo, poi scartò di lato ed iniziò a correre come un forsennato, spada in pugno. Kail lo seguiva da presso, arrancando e stando attento a non farsi coinvolgere nei tremendi scontri che lo sfioravano ad ogni passo. I due, fianco a fianco, corsero a perdifiato per centinaia di metri, finché arrivarono ad appena un tiro di balestra dalle nere scale. Sopra di esse, una sagoma scura, abbastanza giovane e dai lunghi capelli neri, sedeva composta sul trono come nulla fosse. Sembrava immobile, come fuori posto. Alcuni imperiali li notarono e corsero verso di loro per intercettarli. Escol gridò a Kail di proseguire da solo, che avrebbe pensato lui a quei soldati. Kail annuì, tirò fuori il pugnale di Cardras, ed iniziò a salire le scale velocemente per raggiungere quell’uomo. A quel punto Arios lo notò, si tirò su dallo scranno e lanciò contro il giovane Mohdi un potente incantesimo di fuoco. Escol guardò la scena terrorizzato, quasi disinteressandosi delle guardie che stavano accorrendo verso di lui. Fortunatamente, il seme di Mellotron che gli aveva donato protesse il giovane Prescelto, deviando il flusso di magia elfica verso l’alto e disperdendo completamente la mortale palla di fuoco. L’imperatore sgranò gli occhi e non ebbe più il tempo di fare altro: Kail infatti arrivò come una furia da sotto, ed affondò la lama incantata dritta nel suo cuore. Arios strabuzzò gli occhi e cadde esanime ai suoi piedi. Nel frattempo Escol aveva iniziato a combattere i legionari, aiutato per fortuna da alcuni elfi scuri che l’avevano visto, ed erano giunti in suo soccorso. Poi una voce non ancora matura, ma abbastanza potente da farsi udire chiaramente da tutti, si levò ancor più sopra delle grida di battaglia e disperazione e disse: “Fermi, nobili soldati dell’impero! Io sono Kail Mohdi, figlio di Lucas Mohdi e discendente diretto dell’ultimo vero imperatore di Eord! Arios, “l’imperatore maledetto”, è finalmente morto e io sono qui a reclamare il trono, che era stato da lui preso impropriamente, per diritto di nascita!” La maggior parte degli imperiali si fermarono immediatamente, così come i loro nemici. Tutti sembravano sconvolti per ciò che era appena successo e per la svolta incredibile che aveva preso la situazione. Confusi, i legionari si guardavano l’un l’altro, non sapendo più bene cosa dovessero fare. Escol, ancora con la spada sguainata, guardava Kail con le lacrime agli occhi. Era così fiero di lui! Il suo giovane allievo ce l’aveva fatta: aveva ucciso l'imperatore! Iniziò a salire le scale per raggiungerlo e proprio lì, sui primi gradini della lunga scalinata, giaceva il corpo straziato e sventrato da orribili ferite del “Maestro delle Ombre”. L’imperatore l’aveva ucciso dunque. Escol era quasi dispiaciuto per lui. Sembrava che la fortuna non l’avesse per nulla aiutato quel giorno, perché evidentemente si era schierata tutta dalla loro parte. Immaginava infatti di sudare molto di più per ottenere la vittoria, ma i Paradine forse avevano voluto semplificare le cose. Meglio così. Il figlio del Duca si tolse la maschera e la gettò di lato: ormai il tempo del “Terrore d’Argento” era finito! Quello con Kail sul trono, sarebbe dovuto essere un nuovo inizio. Per tutti i popoli liberi di Eord e quindi anche per lui. Poi successe l’imponderabile. Il volto di Kail iniziò a contorcersi dal dolore! Il dolore si trasformò presto in agonia, quando la punta di un pugnale, del pugnale di Cardras, uscì dal suo sterno, uccidendolo in pochi istanti. Escol inorridì, sgranando gli occhi in preda al puro terrore. Kail si afflosciò come una foglia secca e dietro di lui, un uomo ammantato di nero, con il volto coperto e identico a quello che aveva visto nella sua quarta visione, si sporse dalle scale, gridando che lui, Arios, era immortale! Nessuno avrebbe potuto sconfiggerlo, nessun mortale avrebbe mai preso il suo posto sul trono di Eord e spronò di nuovo i suoi legionari a ripulire la sua sala del trono da quella feccia elfica immonda! Kail aveva ucciso qualcun altro dunque, un fantoccio che era stato messo lì al posto dell’imperatore! Ma come era stato possibile? Come faceva Arios a sapere del loro piano, così da riuscire a sventarlo con quel sotterfugio? Escol urlò contro di lui, ed iniziò a salire le scale a grande velocità. Con un gesto della mano, Arios lo paralizzò e il giovane Berge fu costretto a rimanere così, fermo, incapace di poter muovere un passo in avanti. Provò a scagliargli contro “Enwel”, la sua mistica spada, con tutta la forza che gli rimaneva e con entrambe le mani, ma l’imperatore si muoveva troppo velocemente e la schivò facilmente. Nonostante il clamore assordante dietro di lui fosse ripreso, Escol riusciva a sentire ogni parola che quel mostro incappucciato, che aveva appena ucciso Kail, pronunciava. “E così tu saresti il “Terrore d’Argento”. Devo riconoscere che sei stato una vera spina nel fianco in questi ultimi mesi, Escol Berge!” Disse l’imperatore levando una mano in direzione del giovane figlio del Duca. Poi si voltò verso il lato sud ovest della sala e aggiunse: “Devo farti i complimenti, maestro Bedde. Il tuo astuto piano ha funzionato perfettamente!” Accompagnato da una piccola scorta imperiale, un uomo che Escol conosceva benissimo, si avvicinò alla scalinata. Poi iniziò a salire e quando passò a pochi centimetri da lui il figlio del Duca stentò a credere a quello che vedeva. Si trattava di Andor! Bedde, l’uomo che l’aveva braccato o, a questo punto, che aveva finto di braccarlo per tutto quel tempo, era proprio il suo vecchio maestro! “Grazie, mio signore.” Rispose Andor, affiancando Arios. Nel frattempo gli elfi scuri erano stati tutti sterminati, ed Escol era l’ultimo rimasto in vita tra i ribelli in quella enorme stanza. “L’idea di portare tutti i miei nemici qui, in un unico posto e in un unico momento, è stata davvero brillante. In questo modo, ho avuto la possibilità di ucciderli tutti quanti insieme in un sol colpo. Troppi anni passati a sedare faide, a rimpiazzare uomini a me fedeli, caduti nell’adempimento del proprio dovere, a causa di qualcuno di questi… questi… ribelli… senza patria e senza rispetto per la loro razza….” L’imperatore indicò Escol con disprezzo. Il giovane guerriero era rimasto senza parole. Kail era morto, tutti i suoi alleati erano morti. Compreso probabilmente Astarte. Anche suo padre  era stato quasi certamente ucciso e il responsabile di tutte queste sciagure non era stato Arios, ma Andor. Lui l’aveva addestrato, guidato, sorretto, solo per arrivare a quel momento. Il momento in cui avrebbe condotto tutti i popoli e tutti quelli che odiavano da sempre l’imperatore e che l’avevano combattuto strenuamente, alla disfatta più totale. Un piano ordito nei dettagli in un arco di tempo di almeno quindici anni. Un minuzioso disegno, complesso e stratificato, dove alcune cose non erano ancora chiare, ma il cui scopo invece lo era benissimo: cancellare con una sola passata di spugna tutti i nemici dell’imperatore! Escol girò gli occhi su Andor e gli domandò perché. Perché l’aveva fatto. Bedde sogghignò, asserendo che le voci su Arios erano sbagliate: egli non era il male, anzi era colui che avrebbe portato ad un un nuovo inizio. L’inizio di una storia che avrebbe contemplato solo il destino degli uomini come rilevante e dove le altre razze sarebbero state annichilite dalla loro superiorità ed eccellenza. Escol scuoteva la testa a quelle farneticazioni senza senso e tornò a chiudersi in un silenzio tirato e forzato. “Bedde, mi ha parlato molto bene di te, Berge. Mi servirebbero generali del tuo calibro e del tuo valore. Unisciti a me e insieme domineremo per sempre su queste terre… terre finalmente purgate dai dissidi e dalle improbabili rivoluzioni delle razze inferiori!" Escol puntò gli occhi verso l’alto, notando il corpo esanime del giovanissimo Kail. Il suo allievo. Il suo amico. Poi socchiudendoli minacciosamente, disse: “Arios, da me avrai solo una promessa: ti ucciderò per secondo!” Il giovane guerriero guardò con odio Bedde/Andor, che aveva incrociato le braccia in segno di sfida. Sembrava eloquente a tutti chi invece sarebbe stato il primo della sua lista. “Peccato…” bisbigliò l’imperatore, facendo un minaccioso passo in avanti verso di lui. Bedde provò a convincere Escol a cambiare idea in quei pochi istanti che gli rimanevano, che la scelta migliore sarebbe stata quella di rimanere al fianco di Arios, il grande e potente imperatore, ma il figlio del Duca sputò di lato tutta la sua disapprovazione. Invitò così Arios ad ucciderlo adesso, finché ancora era in tempo e così egli si preparò ad accontentarlo. D’improvviso però, la voce di Andor mutò, così come il suo atteggiamento, fino a quel momento cinico e spietato. Tendendo una mano verso Escol disse: “Non cedere ora, Escol Berge. Non tutto è ancora perduto!” L’imperatore urlò di rabbia e furia, incenerendo Bedde sul posto (almeno era questo quello che sembrò), che sparì all’istante dalla vista di tutti! Il suo grido strozzato echeggiò per molti secondi nella grande sala imperiale. Arios scese diversi scalini, furibondo come nessuno dei suoi allibiti soldati l’aveva mai visto. Poi riversò su Escol una magia oscura, tanto potente quanto distruttiva. L’armatura del guerriero esplose in mille pezzi e una miriade di piccolissime schegge di metallo gli si conficcarono in tutto il corpo, come tanti microscopici pugnali affilati. Il figlio del Duca urlò per il dolore. Sarebbe dovuto morire, ma Enwel, la sua amata Enwel, lo protesse un’ultima volta. Il ciondolo che portava al collo infatti, oltre ad assorbire la magia mortale di Arios, gli regalò anche la visione straziante dell’elfa che si allontanava, questa volta definitivamente da lui. Enwel gli aveva salvato ancora una volta la vita, ma aveva sacrificato sé stessa, la sua stessa anima per farlo. Il gioiello, che Escol portava da mesi al collo, si sgretolò o forse si fuse con le sue stesse carni, sparendo così e per sempre dalla sua vista. In fin di vita, il figlio del Duca o ciò che ne rimaneva, si accasciò esanime sui gradini della scalinata. Solo, distrutto e agonizzante. Aveva perso davvero ogni cosa fuorché la dignità, ed ora attendeva solo che Arios portasse a termine ciò che aveva iniziato. L’imperatore alzò l’altra mano verso di lui, ma poi iniziò a muovere la testa a destra e sinistra, come se cercasse di vedere qualcosa o qualcuno. All’improvviso esclamò furioso: “Vecchio, vattene. Non riuscirai a salvarlo!” Il corpo del giovane guerriero si alzò dolcemente da terra e, ad una velocità impossibile da descrivere, volò via dalla sala del trono, trasportato da venti all’apparenza invisibili. Solo dopo alcuni secondi Escol scoprì che questa nuvola d’aria che lo sorreggeva, apparteneva all'essenza stessa di un leggendario efreet, evocato da qualcuno che, nascosto da qualche parte, voleva portarlo in salvo. Il giovane guerriero riprese conoscenza e perse i sensi innumerevoli volte. In una di queste, era passato innanzi al Jaychira, che stava ancora pasteggiando con il corpo maciullato di Eledras. Fortunatamente però di Hilda non v’era traccia da nessuna parte. Escol fece in tempo a notare che anche Alden, Eofaulf e Alarien, erano spariti da vicino l’entrata del palazzo imperiale. Invece, il fratello di Eofaulf non ce l’aveva fatta: il suo corpo esanime giaceva lì a terra privo di vita. L’efreet volava veloce, ma era braccato da presso da altri spiriti elementali come lui ma evocati da Arios, che si avvicinavano sempre di più. Salutando ed augurando buona fortuna al giovane Berge, l’elementale dell’aria lo lasciò cadere all’interno di una piccola foresta, da qualche parte nei territori imperiali. Escol annaspò, finendo direttamente nell’abbraccio di un grosso albero dalle ampie fronde, che attutirono quasi del tutto la sua caduta. Più morto che vivo, il figlio del Duca rimase lì, immobile, tra le foglie e i cespugli. L’imperatore aveva vinto e il suo destino, la sua storia, il suo futuro, in pochi a quel punto avrebbero potuto immaginarlo.