Il viaggio verso la capitale dell’impero durò circa quindici giorni. L’unica cosa di rilievo che capitò ad Escol, prima di giungere in città, fu il tentativo da parte di Atreus di contattarlo. Purtroppo qualcosa andò storto, visto che l’Asur non era riuscito a comunicare con il figlio del Duca. Escol infatti poteva vederlo chiaramente nel suo sogno, ma non riusciva a sentirlo e questo gli fece pensare che questo problema, che mai era capitato prima, dipendesse in qualche modo dalla vicinanza con Arios e del suo potere, che si era fatta davvero prossima. I due alleati non riuscirono dunque a parlare, ed il giovane guerriero si rammaricò per questo, perché era convinto che Atreus gli avrebbe rivelato informazioni preziose circa la sua “quarta visione”. L’avrebbe aiutato a interpretarla. La periferia di Laudarksey era già perfettamente visibile, mentre la compagnia procedeva lungo la strada ovest che conduceva all’accesso occidentale. Ben presto si lasciarono la campagna alle spalle e seguirono la moltitudine di carovane che erano dirette ai fiorenti mercati della capitale. La città non possedeva mura perimetrali a proteggerla, ma aveva comunque delle pattuglie che verificavano costantemente chi entrava e chi usciva da essa. Ad una di esse, il figlio del Duca disse di chiamarsi Theodor e di guidare la scorta di Padre Alden, chierico personale del generale Astarte, in missione per conto dello stesso. Escol e il soldato, ebbero anche un momento in cui riuscirono a scherzare insieme riguardo Hilda. Il rampollo dei Berge aveva infatti commentato, assai ironicamente, che la mezzelfa “accompagnava” il sant’uomo e con questo velato gioco di doppi sensi, la guardia si limitò a fare una battuta di cattivo gusto e sogghignare, senza approfondire oltre su cosa ci facesse a Laudarksey una mezzosangue. Una volta dentro la città, Escol si rese conto immediatamente quanto fosse grande. Poteva contenere tranquillamente tutte le città imperiali che aveva visitato finora! Laudarksey era una metropoli immensa, piena di vita e di gente che l’abitava o che andava e veniva, per via dei mercati sempre stracolmi. La cittadella, dove viveva Arios, era quindi una città dentro la città. Come una gemma incastonata su una complessa montatura, era il fiore all’occhiello di una megalopoli gargantuesca, stratificata oltre ogni concezione. Essa era abbastanza ampia da riempire quasi per intero la parte sud occidentale del territorio urbano e questa constatazione lasciò davvero tutti a bocca aperta. Il figlio del Duca si era aspettato un “clima diverso” a dire il vero, per le strade e in generale tra le persone. Un clima di paura e tensione. Nulla di tutto questo. C’erano delle pattuglie certo, ma nella misura che era normale che ci fossero, con tutta quella gente che sciamava freneticamente per le vie. Non vide però soprusi, angherie o prepotenze da parte della milizia, né inquietanti patiboli dislocati per le piazze, riboccanti di sangue di elfi e nani. Dall’esterno pareva davvero una città come tutte le altre. Solo più grande. Molto più grande. Escol si rammentò delle parole che gli aveva detto Andor prima che partisse per l’isola di Arches: dopo aver finito con il pugnale di Cardras, doveva venire direttamente alla capitale e cercare la locanda chiamata Amber Leaf. Pertanto il giovane guerriero fece esattamente così. Domandò a un passante la via più diretta per la locanda in questione e condusse i suoi compagni a destinazione. La locanda era stranamente vuota, a parte qualche sporadico avventore. Mentre i suoi compagni presero posto ad un tavolo, Escol andò dall’oste e si rese subito conto quanto egli fosse fuori posto in quel luogo. Non era infatti il tipico oste che aveva incontrato più volte durante i suoi lunghi viaggi: era massiccio, nerboruto e aveva le mani callose come quelle di un combattente navigato. Inoltre uno sfregio frastagliato gli passava da parte a parte  l’occhio destro, una cicatrice orrenda provocata sicuramente da una lama affilata. Escol aveva provato all'inizio un approccio più leggero con lui, chiedendogli se negli ultimi giorni qualcuno aveva chiesto di un gruppetto assortito come loro, ma l’oste rispose in maniera elusiva, scostante. Quindi il figlio del Duca decise di proporne uno più compromettente, iniziando a tamburellare le dita sul bancone alla maniera dei membri dell’Ordine. L’oste osservò bene i movimenti della mano e, senza mostrare alcuna emozione, replicò disinvoltamente allo stesso modo, mostrando di aver capito il messaggio in codice. Quindi annuì, guardandolo di sottecchi. Escol si avvicinò un po di più, mettendo entrambi i gomiti sul bancone. Poi domandò di Andor. L’oste, che chiaramente come lui era un membro dell’Ordine, fece segno con il mento in fondo alla sala, dove era seduto un uomo incappucciato, che Escol a malapena aveva intravisto quando era entrato. Quindi ringraziò l’oste e si diresse verso di lui. Passando, invitò i suoi amici ad ordinare qualcosa: lui sarebbe arrivato entro pochi minuti. Il giovane guerriero si sedette davanti all’uomo incappucciato, che in effetti si rivelò essere proprio Andor. Il suo vecchio maestro chiese subito se tutto fosse andato secondo i piani, ed Escol annuì. Andor sospirò, sollevato nel capire che la missione aveva avuto successo. Poi gli disse di prepararsi, perché presto, molto presto, sarebbe accaduto qualcosa di incredibile, qui a Laudarksey. Nani, elfi, ed esiliati, con a capo il Duca di Berge suo padre, avevano infatti invaso i territori Occidentali dell’impero, costringendo in questo modo “l’imperatore maledetto” ad inviare una larga parte della sua “Guardia Imperiale” ad intercettarli, morso dall’ira per questo oltraggio. Ovviamente le forze ribelli non avevano speranze di vittoria, ma avrebbero concesso a lui e ai suoi amici tempo sufficiente per entrare nella cittadella e affrontare Arios direttamente: un disperato ma necessario diversivo, senza il quale nessuno avrebbe avuto speranza di filtrare attraverso le troppe guardie scelte che erano preposte a proteggerlo. Andor sarebbe andato con loro e anche alcuni altri amici  li avrebbero raggiunti prestissimo. Amici conosciuti in passato e che avevano sperato da tempo immemore che questo momento fosse finalmente arrivato. Escol ebbe un tonfo al cuore. Suo padre in persona avrebbe guidato l’esercito degli esiliati? La cosa lo riempiva di orgoglio, ma lo terrorizzava allo stesso tempo. E se fosse caduto sul campo di battaglia? E se lui non fosse riuscito nel suo compito, consegnando a morte certa anche suo padre? Le gambe iniziarono a tremargli e la sua volontà a vacillare. Il suo vecchio maestro lo osservò e gli afferrò con forza un braccio. “Non cedere ora, Escol. Troppo dipende da te. Forse ogni cosa…” Escol rammentava bene la lettera del suo avo, l’ultimo gran maestro dell’Ordine: “Arios deve essere fermato ad ogni costo e a qualunque prezzo… o chiunque, su Eord, avrebbe sofferto a causa sua!” Il figlio del Duca non aveva condiviso e ancora non condivideva la scelta che aveva fatto Edric Berge di sacrificare l’Ordine stesso per un bene superiore, ma aveva colto il punto. Arios era una sciagura che andava ben al di là di quello che aveva fatto a nani ed elfi. Egli era un demone che ancora non aveva liberato per intero la sua malvagità, ma che chi tirava i fili del destino dei popoli di Eord, come Eledras, Atreus o il “Fondatore” stesso, evidentemente conoscevano molto bene. Escol gli strinse la mano e si tirò su, ringraziandolo per averlo spronato nel momento del bisogno. Poi tornò dai suoi amici. Consumò insieme a loro un ultimo pasto decente, quindi, insieme ad Andor, attesero il momento propizio per agire. Quando iniziarono a vedere fermento in città, una specie di strana inquietudine negli occhi delle guardie cittadine, si mossero verso la cittadella di Arios. Passando di strada in strada, di vicolo in vicolo, giunsero infine in un boschetto che antecedeva l’entrata ad essa. Qui accadde l'inaspettato. Decine di portali magici si aprirono contemporaneamente, rivelando una cinquantina di Nordhmenn, capeggiati da Aemaer! Sembrava quasi che sapessero il momento esatto del loro arrivo lì. Escol riabbracciò volentieri il vecchio amico, che gli mostrò con orgoglio gli uomini più forti delle tribù dei “Nordhmenn puri”, i famigerati tagliatori di teste! Escol accolse con gioia quell’inaspettato aiuto, ma lo fece ancor di più, quando un esile elfo, vestito di bianco, gli venne incontro con lo sguardo duro come il marmo. Eledras era venuto lì da lui, per combattere al suo fianco! Il figlio del Duca gli strinse la mano con forza, suscitando grande stupore nei suoi compagni, che non si sarebbero mai aspettati che il loro comandante avesse un rapporto così intimo con personaggi così potenti. Quando i portali si richiusero, tutti si raccolsero intorno a lui, ed Escol sapeva che quel giorno, perlomeno quel giorno, non sarebbe di certo morto invano!