Escol, con coraggio, si mosse verso il portone esterno del maniero diroccato. Dietro di lui seguivano i suoi ardimentosi compagni, fiduciosi sia del suo giudizio, sia della sua guida. Il figlio del Duca appoggiò una mano guantata sul legno antico e rovinato della porta e poi spinse con forza. L’uscio si aprì non senza qualche difficoltà, segno che erano passati anni, forse decenni, dall’ultima volta che qualcuno si era avventurato oltre il cortile. Hilda prese a tremare non appena la porta si spalancò e la calda luce del mattino filtrò all’interno. Era una bella giornata e dunque alcuni sporadici raggi di sole riuscirono ad illuminare abbastanza bene l’ampio androne interno. Escol fece segno con la testa di muoversi oltre e raggiungere in fretta un lungo e stretto corridoio che si intravedeva poco più avanti. L’ambiente era devastato: probabilmente c’erano stati dei saccheggi, ma non di recente, a giudicare dalle condizioni dei mobili, degli arazzi e dei quadri, tutti beni preziosi, che ancora si potevano vedere chiaramente affissi ai muri o sparpagliati qua e là alla rinfusa. Alcuni secondi dopo, Escol si voltò confuso dietro di lui: aleggiava intorno al gruppo l’eco di un rumore strano, che accompagnava ogni loro misurato passo, che non riusciva proprio a capire. Il figlio del Duca ci mise però poco a metterlo a fuoco, poiché scorse Hilda con gli occhi sporgenti e in preda quasi alle convulsioni! I suoi denti battevano talmente forte ed in maniera violenta, da generare quel suono sordo e continuo che lo aveva così tanto incuriosito. Escol provò dunque a capire cosa stesse succedendo alla maga, ma quando la afferrò per le spalle, quel gelo tremendo, incontrollato, che l’aveva avvolta contagiò anche lui e subito dopo chiunque altro della compagnia. Era chiaro che si stava manifestando qualcosa di soprannaturale attorno a loro. Quando il giovane guerriero si accorse che una fitta nebbia li stava circondando fu troppo tardi! Delle sagome biancastre, evanescenti e spaventose, iniziarono ad uscire dalla foschia gelida. Erano morti viventi! I loro occhi, spenti e vuoti, non lasciavano spazio a dubbi: essi erano spettri, ectoplasmi, immortali e maledetti, proprio come sostenevano le dicerie popolari. Escol mise istintivamente la mano sulla spada, aspettandosi il peggio. Tuttavia essi rimanevano immobili, in attesa. Poi uno di essi si avvicinò di qualche metro, si fermò fluttuante davanti agli altri e pronunciò alcune frasi forti, stridenti come unghie su una lavagna. Il giovane guerriero non dimenticò mai più, in tutta la sua vita, quelle poche e potenti parole. “Noi siamo i “Guardiani” perduti. Anime remote e soffocate, morte qui a causa di una vile mano e che ora proteggono questo posto maledetto. Non potete stare qui, mortali. Andate via!” Alarien, come del resto Kail e il resto del gruppo, furono tentati seriamente di voltarsi e darsela a gambe, ma tennero duro e non cedettero alla paura innaturale che quelle creature suscitavano nei cuori dei viventi. Attesero speranzosi che il loro condottiero replicasse e che li togliesse d’impaccio. Escol ci pensò su un paio di secondi, poi esordì dicendo che il suo cuore era gonfio di dolore nel vedere delle anime tristi e disperate come le loro, imprigionate in un luogo che un tempo era simbolo di libertà, coraggio e virtù. Tuttavia sottolineò subito che non era lì per saccheggiare o depredare alcunché. Egli era Escol di Berge, un guerriero dell’Ordine e indicò Kail come suo allievo e appartenente alla famiglia “Mohdi”: la più importante di tutte quelle che avevano vissuto qui, prima del massacro perpetrato da Arios. Egli spiegò che erano giunti in quella rocca per avere delle risposte e che avevano tutto il diritto di ottenerle, perché quel luogo apparteneva anche a loro. Il figlio del Duca fece segno ai suoi amici di non toccare le armi, ma non poté fare niente per evitare che l’elementale del fuoco, che difendeva silenziosamente Hilda, si destasse per proteggerla e rimanesse pronto a tutto. Si creò ben presto una situazione strana intorno alla compagnia: erano circondati da una fitta nebbia, gelida, densa e innaturale, ma grazie al tremendo calore che sprigionava Hilda, percepivano adesso tutti questi “effetti” come un'eco distante. Il calore feroce ed il freddo intenso, erano comunque l’ultimo dei loro problemi, visto che la mezzelfa aveva gli occhi del colore delle fiamme più intense e la pelle rossastra come se stesse per avvampare. Se malauguratamente avesse rilasciato quel potere, avrebbe probabilmente distrutto ogni cosa lì dentro. Escol si voltò implorante verso lo spettro, il quale, tosto, rispose così: “Solo tu puoi entrare, Escol di Berge. Nessun altro. Trova le tue risposte e poi esci di qui. Questa non è casa tua. Non più.” Il figlio del Duca provò a convincere lo “spettro guardiano” che anche Kail, essendo un Mohdi, aveva il suo stesso diritto di cercare le sue risposte, ma non ci fu niente che potesse dire per fargli cambiare idea. Pertanto si raccomandò con i suoi compagni di attenderlo senza fare nel frattempo cose stupide e iniziò a incamminarsi verso il corridoio invaso dalla nebbia. Come gli passò accanto, lo spettro che gli aveva parlato si inginocchiò al suo cospetto, cogliendo Escol di sorpresa. Il figlio del Duca lo guardò perplesso e lo spettro gli confidò che non sapeva per quanto tempo sarebbe riuscito a trattenere gli altri, pertanto: “che svolgesse in fretta la propria ordalia nel castello”! Inarcando un sopracciglio per quell’inatteso risvolto della situazione, il giovane guerriero riprese il suo incedere verso la parte più interna del maniero. Mentre passava lungo il corridoio, nella nebbia più fitta, si sentivano solo gli echi dei suoi passi sul pavimento di legno scricchiolante. Fortunatamente, la foschia via via si diradò, all’inizio solidificandosi in piccoli banchi indistinti, a destra e a sinistra rispetto alla sua persona, poi assumendo l’aspetto di tante figure traslucide, tutte riverenti in ginocchio. Mentre procedeva innanzi, Escol deglutì per il nervoso. Sembrava chiaro al giovane guerriero che gli spettri non si fossero prostrati innanzi a lui, ma di fronte a ciò che lui rappresentava: la sua casata, quella dei Berge! Eppure avrebbero dovuto manifestare quel tipo di premura nei confronti di Kail: lui era un Mohdi e, da quel che sapeva, egli apparteneva alla casa più importante di tutte nell’Ordine. Oppure no? Erano tante le incognite e le cose che non conosceva di questa antichissima setta, di come era strutturata, della sua catena di comando. Pertanto cercò di rimanere concentrato e di non cedere alla paura e al panico di non avere il tempo necessario per svolgere la sua missione: capire chi fosse davvero “Escol Berge”! Il corridoio terminò davanti due corte rampe di scale: una saliva verso destra e l’altra verso sinistra. Il figlio del Duca sapeva che probabilmente non ce l’avrebbe mai fatta ad esplorare entrambe, pertanto pregò i Paradine di concedergli una visione chiara: afferrò il medaglione di Enwel, invocando la sua “prescienza” e poi iniziò a salire le scale di sinistra. Escol affrettò il passo quando arrivò al secondo piano, e notò subito una fila di stanze che si dipanavano per diverse decine di metri. Freneticamente iniziò ad aprirle tutte, scoprendo che erano probabilmente tutte camere da letto dei membri dell’Ordine. Anche qui l’area era disseminata di cadaveri, alcuni in armatura, altri vestiti in maniera semplice e comoda per la notte. Alcuni scheletri, inquietantemente, penzolavano dalla balaustra, ancora sospesi per metà nel vuoto. Eppure, in giro non c’era nemmeno un corpo degli aggressori! Se non avesse pensato che sarebbe stato impossibile, c’era da credere che qui dentro si fosse consumato un suicidio di massa. Le macchie di sangue erano dappertutto: sul pavimento, sulle porte, all’interno delle stanze, sugli arazzi, ma non c’erano armi e nessun indizio che richiamasse alla natura degli aggressori. Assottigliando gli occhi, Escol si fermò innanzi alla penultima stanza. La luminosità era molto bassa qui, ma non appena si avvicinò, notò che essa era molto diversa dalle altre. Si trattava infatti di un’ampia biblioteca! Prudentemente, il figlio del Duca avanzò di qualche passo, impaurito dalla quantità insana dei libri ivi custoditi. Da dove avrebbe iniziato a cercare le risposte che cercava? Ce n’erano troppi e divisi in settori troppo variegati. Decise allora di andare ad istinto. Si lasciò attrarre da una fila di libri che sembravano molto antichi, ed erano messi in bella evidenza su uno scaffale proprio dinanzi l’entrata. Qui il giovane guerriero trovò “Le Cronache dell’Ordine”, dal suo primo atto, all’ultimo. Decise di iniziare col prendere due di questa serie di tomi, il primo e l’ultimo: non aveva tempo per mettersi a sfogliarli tutti e valutare quali fossero i migliori per le sue necessità. Passò poi oltre e scovò, tra mille altri, un libello su un alto scaffale che parlava proprio dei Berge. Lo afferrò e mise nello zaino anche quello. Poi, girando tra i reparti delle razze di Eord, notò una sezione dedicata agli Asura. Per prendere uno di quei tomi, che gli parve utile per carpire informazioni su Atreus, dovette scansare un povero cadavere rattrappito appoggiato ancora su una libreria. Il disgraziato era stato assassinato alle spalle, mentre consultava un libro e non si era accorto di niente! Le misere spoglie dell’uomo, si dissolsero immediatamente come neve al sole, nonostante il suo tocco delicato che cercava di scansarlo. Intristito, ma abbastanza soddisfatto di ciò che aveva trovato, Escol uscì dalla biblioteca e si affacciò nell’ultima stanza disponibile. Qui rinvenne qualcosa di parecchio strano: i resti di un uomo di alto rango, giacevano immobili dietro una scrivania ove il poveretto stava provando a scrivere qualcosa, una missiva forse. Alle sue spalle spiccava evidente la prima ed unica arma che aveva visto nell’edificio: un lungo e affilato pugnale, con cui egli era stato evidentemente trucidato! Inoltre, un piccolo foglio di pergamena era stato affisso sulla sua schiena, che recava sopra una macabra e assolutamente inaspettata rivendicazione. I caratteri erano stati impressi con il sangue e il messaggio recitava in questo modo: “Io, Atreus, del popolo degli Asura, ho fatto tutto questo. Ho distrutto l’Ordine e ucciso tutti quanti, in quella che verrà ricordata come “La Notte dei Lunghi Pugnali”!” Sconvolto da quella rivelazione, Escol si immerse nei propri pensieri. Da quel poco che lo conosceva, Atreus sarebbe stato perfettamente in grado di allearsi con Arios per distruggere l’Ordine: alla fine gli scogli che riteneva di avere, per tornare un giorno sul trono di Eord, erano solo due: l’Ordine e Arios stesso. Allearsi dunque con Arios per distruggere l’Ordine e poi, un secolo e passa dopo, con ciò che restava dell’Ordine per distruggere Arios, poteva essere tranquillamente una strategia che aveva nelle sue corde. Tuttavia, se erano stati proprio gli Asura a commettere quel genocidio, dove erano i corpi dei sicari mandati da Atreus? Avrebbero potuto portarli via dopo aver consumato la strage, ma questa spiegazione avrebbe avuto senso solo se avessero voluto mantenere l’anonimato. Invece quelle morti erano state tutte rivendicate! Il coltello era certamente Asura, ma questo significava poco o niente: chiunque poteva averlo messo lì per incastrare Atreus. Magari qualcuno poteva aver compiuto quel barbaro scempio, aveva poi ripulito la zona dai cadaveri e dato la colpa a lui e al suo popolo: sarebbe risultata quasi per tutti una scelta più che plausibile, visto che si parlava degli Asura.Tuttavia Escol sentiva puzza di trappola lontano un miglio. Si ripropose quindi quanto prima di chiedere direttamente ad Atreus come fossero andate davvero le cose. Ora però si dedicò a dare un’occhiata ai resti di quel corpo. Quell’uomo si chiamava “Edric di Berge”, ed era il Gran Maestro dell’Ordine! Incredibile ma vero: la sua famiglia aveva avuto tra i suoi avi un uomo che aveva comandato l’Ordine e lui ne stava adesso contemplando purtroppo i resti a pochi centimetri di distanza. Escol gli sfilò l’anello dal dito e lo controllò attentamente: era assolutamente identico al suo! Pertanto era certamente autentico. Decise di portarlo via con sé e affidarlo a suo padre: egli avrebbe saputo cosa farne. Afferrò poi il foglio che Edric stava scrivendo e iniziò a leggerlo attentamente.