Durante la sera inoltrata, la nave levò gli ormeggi e la Explorer iniziò il suo viaggio attraverso i perigliosi mari che l’avrebbero condotta sull’isola di Arches. Molti erano stati i dubbi che avevano turbato la mente di Escol e del capitano Remis su come affrontare questo rischioso cammino e fino all’ultimo avevano discusso se fosse stato il caso allungare di più i tempi e scegliere un percorso che fosse stato più sicuro. Alla fine avevano deciso di rimanere sul piano originario, per non cambiare le carte in tavola a troppa gente e per non iniziare pavidamente questa avventura. Il figlio del Duca era rimasto sul ponte per osservare, per la prima volta in vita sua, come si muoveva una nave dentro e fuori da un porto. Ne rimase affascinato, ma non fu facile per lui e anche per altri come Alden per esempio, che non erano stati mai in mare aperto, riuscire ad adattarsi in tempi ristretti a scossoni continui, sussulti e ondulamenti perenni e all’assoluta mancanza di privacy. Su una nave, le regole che vigevano sulla terraferma non esistevano. Tutto veniva spartito e condiviso, non perduravano né segreti e né silenzi. La ciurma era un’estensione del capitano. La prima notte non fu facile per nessuno della compagnia, tanto che alle prime luci dell’alba già erano tutti sul ponte a dare una mano ai marinai in servizio. Bisognava dire che il personale di bordo era davvero qualificato. Perfino in cucina ci sapevano fare e anche se il cibo era stipato e raffermo in molti casi, nessuno poteva commentare che si mangiasse male su quella corvetta! Il primo giorno filò tranquillo, tanto che Escol decise di concedersi un po' di tempo per sé, ritirandosi anzitempo nella cabina che condivideva con Kail e mettendosi a leggere la lettera che suo padre aveva lasciato per lui ad Andor. Ormai il giovane guerriero dell’Ordine aveva capito che la sua organizzazione vantava metodi e strumenti, probabilmente soprannaturali, per garantire qualunque tipo di comunicazione come quella in tempi stretti. D’altronde non sarebbe potuto essere altrimenti, se si voleva sperare di prendere sempre in anticipo la mastodontica e tentacolare organizzazione imperiale. Più forte, ma più lenta. Escol tolse meticolosamente il sigillo del Duca di Berge, suo padre, dalla pergamena, dispiegò ben bene i fogli sul letto e sospirando iniziò a leggere:
Figlio Adorato,
Il Principe Modhi mi ha messo al corrente delle tue recenti avventure e di come ti sei comportato con Valore e Onore.
Nessun padre potrebbe essere piú orgoglioso di me!
Sin dal tuo primo giorno su questa bella terra, hai portato lustro e rinomanza alla nostra Famiglia, oltre che felicità, orgoglio e speranza, nella vita di tua madre e nella mia.
Spero che continuerai sul percorso che hai iniziato, perseguendo ancora e per sempre gli Alti Valori dell’Ordine, di cui, ho saputo, sarai presto un rinomato Guerriero, e della nostra Famiglia.
Qui ci sono molte novità, di cui ovviamente non posso parlare adesso in modo esplicito, ma stiamo raccogliendo i frutti del tuo lavoro e del Principe Andor. Non temere: quando verrá il momento saremo pronti!
Fino a quel giorno, quando finalmente ci rincontreremo, sii prudente e porta a compimento la tua Sacra Missione.
Con Affetto
Tuo Padre.
Helmaer, Duca di Berge.
Escol aveva le lacrime agli occhi. Non c’era niente che lo rendesse più felice di sapere che suo padre apprezzasse il suo operato, ed avesse stima di lui. Kail era entrato per cercarlo, ma vedendolo commosso in preda ad un momento emotivamente coinvolgente, si scusò limitandosi a dirgli che il capitano voleva vederlo. Escol annuì, si ricompose in pochi secondi, e salì sul ponte della nave insieme al suo allievo, che lo aveva aspettato rispettosamente fuori dalla porta. La piccola parentesi gratificante era finita: ora doveva tornare alle sue responsabilità. Remis lo accolse sul ponte di poppa, spiegandogli cosa c’era da attendersi davvero da quel viaggio, ora che aveva il quadro completo davanti. Fino alla gola, che avrebbe portato alla famosa “virata verso ovest”, ove l’Explorer si sarebbe trovata a costeggiare non solo il “perimetro di Eord”, ma anche quello dell’isola di Arches, il loro veleggiare sarebbe filato via tranquillo e sereno: le acque erano calme, i venti tranquilli e non c’era pericolo di incappare in nessuna aggressiva tempesta. L’unico problema si sarebbe incontrato poi, durante gli ultimi due giorni di viaggio e a suo parere non sarebbe stata una possibilità, ma una certezza quella di incontrare i pirati Okar. Pertanto suggerì al figlio del Duca di allertare la sua squadra e stabilire con essa un piano di battaglia coordinato con il suo. Escol annuì e ringraziò il capitano per i preziosi consigli, quindi radunò i suoi uomini, con i quali non aveva ancora parlato dal giorno prima per via dell’incidente al porto e gli ordinò di farsi trovare all’alba sul ponte di poppa per discutere un pò di tattica. Quindi salutò tutti sbrigativamente e tornò ad ampie falcate nella sua cabina. Hilda provò ad attaccare bottone, ma Escol la fulminò con lo sguardo e la giovane mezzelfa abbassò gli occhi, arrendendosi subito all’ira che ancora usciva a fiotti dagli occhi del suo comandante. Kail lo raggiunse qualche minuto dopo. I due scambiarono qualche parola, poi il figlio del Duca, vinto dalla stanchezza, si addormentò. Dopo aver avuto un giorno di tregua, i sogni però ripresero ad assalirlo. Lui era cosciente di vivere esperienze solamente oniriche, ma esse erano talmente vivide, che non riuscivano a non inquietarlo. Quella notte poi rimase unica. Egli si vide volteggiare nuovamente fin dentro la solita città assediata, planando sullo stesso tempio in marmo e arrivando ancora da Enwel e l’anziano Nordhmenn disteso sul feretro. Solo che adesso il vecchio umano non era più sdraiato, ma seduto e allungava una mano rugosa verso di lui come se riuscisse anch’egli a vederlo! Escol non si era aspettato certo una reazione del genere da parte sua, ed istintivamente si ritrasse, ma probabilmente egli stava solo cercando di dirgli qualcosa o stava implorando il suo aiuto, chi poteva saperlo? Il figlio del Duca non fece in tempo a capirlo, perché venne trasportato in un baleno da un’altra parte! In un altro luogo, in un altro tempo. Per la prima volta il suo sogno era cambiato, ma adesso era solo uno spettatore passivo. Il giovane guerriero dell’Ordine non riusciva a credere ai suoi occhi quando realizzò cos’era che stava vedendo: si trattava del momento in cui Andreas Mohdi stava salutando sua moglie e suo figlio Kail, prima di andare a guidare le forze degli Esiliati che avrebbero invaso l’Impero per soccorrere le Enclavi degli Elfi, assediate dalle Legioni Imperiali! Infatti, la seconda scena in cui fu trascinato, mostrava la battaglia personale tra il generale Victor Astarte e Andreas Mohdi, vinta da Astarte solo per un soffio. A dire il vero, il grande e corpulento generale, qui nel fiore degli anni, aveva combattuto il suo avversario ed amico con scarso entusiasmo e alla fine l’aveva trafitto solo perché Andreas, al prossimo colpo di spada, avrebbe ucciso lui altrimenti. Il piglio del suo amico/nemico infatti, sembrava molto più determinato del suo e Victor era uscito dallo scontro vivo per miracolo. Escol non ebbe nemmeno stavolta il tempo di riflettere meglio su quanto aveva assistito, che di nuovo lo scenario venne stravolto davanti a lui. Ora si trovava in una grande stanza di un ricco maniero, ove il generale Astarte, la moglie disperata del defunto Andreas Mohdi e il piccolo Kail, stavano condividendo un momento molto intenso. Victor infatti, stava attendendo con pazienza che lei gli affidasse la tutela di suo figlio. Furono momenti difficili e tremendi per una madre, ma alla fine fece quello che andava fatto. Astarte uscì dalla sala con il piccolo Kail in braccio, mentre lei fu devastata da un pianto senza fine. Escol abbassò il capo per il triste destino capitato al suo allievo, ma la visione onirica non aveva finito di mostrargli eventi del passato: un quarto atto infatti gli venne proposto, che ebbe l’effetto di lasciarlo davvero di stucco. Fu davvero terribile e inspiegabile. Con gli occhi di un uccello, Escol planò all’interno di un salone grande come il suo stesso castello. Al centro del salone c’era un trono e sul trono un uomo che indossava degli abiti neri come la pece, ed una maschera. Teneva sulle ginocchia il piccolo Kail e nella mano destra uno strano lungo pugnale, piú simile ad una corta daga. Il particolare che lo sconvolse davvero fu che il bimbo sulle ginocchia dell’uomo aveva la gola tagliata! Atterrito da tale angosciante visione, Escol si svegliò di soprassalto e andò a controllare il sonno di Kail. Il ragazzo dormiva della grossa e quando il suo mentore lo destò, per capire se tutto andasse bene e se avesse fatto il suo stesso sogno, egli rispose che se anche l’avesse fatto, non se ne ricordava. Il figlio del Duca allora lasciò che Kail si riaddormentasse, domandandosi se fosse stato davvero un sogno quello che aveva avuto o se invece se l’era immaginato. Fortunatamente il medaglione di Enwel bruciava da morire e questo voleva significare che di certo non si era inventato niente. Solo che non riusciva a capire, in quella intricata visione, dove finiva il sogno basato su fatti reali e dove iniziava quello che doveva essere interpretato. Di sicuro mancavano dei pezzi fondamentali per inserire la quarta parte della visione onirica nel contesto, ma vedere il viso stravolto dal dolore del giovanissimo Kail aveva davvero turbato e non poco il figlio del Duca. Quella scena doveva per forza rappresentare qualcos'altro. Anche perchè, se quello morto sulle ginocchia di Arios, perchè su quel trono solo “il Maledetto” sedeva, fosse stato davvero Kail, voleva significare che il suo allievo era un impostore. Una cosa troppo difficile di cui convincersi.